La Grande Madre — Introduzione

Tutto cominciò alle cinque di un mattino del 1945, quando decisi di nascere causando interminabili doglie a mia madre. Ero grosso e quindi dopo alcune ore di travaglio, alle cinque appunto, il medico si stufa e decide di ricorrere al forcipe. Mi prende per la testa e mi tira fuori. Così facendo, però, ne esco con il cranio un po’ allungato.
Poi mi prende per i piedi, perché stentavo a respirare, ma non calcola bene le distanze e mi fa sbattere contro il lettino. Un po’ lo strumento ostetrico, un po’ l’urto, un po’ la natura, e la mia faccia non ne giovò certo. Tanto è vero che la mia povera mamma quando mi vide si impressionò e lanciò il fatidico urlo: «Non voglio vederlo, è troppo brutto!».
Be’, come inizio niente male. Finisco così da mia nonna Carla. È lei a darmi il latte al suo seno, non materno, ma “nonnerno”.
Sì, avete letto bene. È stata mia nonna ad allattarmi perché anche lei aspettava un bambino. La differenza d’età con mia madre era di appena diciotto anni e a sua volta lei mi ha partorito a diciassette. Purtroppo il bimbo di mia nonna morì dopo il parto. Per questo io riesco a succhiare al suo seno. Già questo credo sia un caso unico al mondo.
Ma c’è dell’altro.
Da questo momento in poi, in tutte le occasioni importanti della mia vita, compare il nome di questo neonato “caro agli dèi” invece del mio. Quando la RAI mi fa il primo contratto, quando scrivo il mio primo articolo per una testata, quando mi laureo, ecco che invece di Gabriele appare scritto il suo nome. Anche quando ho condotto la prima diretta è apparso in sovrimpressione al posto di quello giusto. Ci sono abituato e mi stupisco ormai quando non capita.
Come mi sono assuefatto a questa stranezza, ho affrontato con lo stesso spirito numerose altre occasioni che mi si sono via via presentate, fino al giorno in cui ha fatto irruzione, appunto, nel mio vivere quella dimensione che gli anglosassoni chiamano “brillantanza”.
Nel 1968 decido di sposarmi. Faccio le pratiche (inutile dire che devo fare i documenti due volte perché scrivono il mio nome di battesimo errato con il solito scambio) e quindi con la mia futura moglie, da cui sono oggi divorziato, decidiamo di andare a comprare le fedi nuziali.
Ci troviamo casualmente in via Nomentana a Roma e altrettanto casualmente entriamo nella prima oreficeria che incontriamo sul cammino. Al banco c’è un anziano signore. Diamo i nostri nomi e, quando dico il mio, il padrone se ne esce con un: «Lei è per caso parente di Arturo La Porta?». Gli dico di sì e lui immediatamente aggiunge: «Ma lo sa lei che suo padre e sua madre hanno comprato le fedi proprio da me?».
Quanti gioiellieri ci sono a Roma? Come ha fatto quell’uomo a ricordarsi? Perché si rammentava proprio di papà? Credo sia inutile tentare di dare una spiegazione. Come è altrettanto inutile tentare di spiegare ciò che mi accadde al Salone del libro di Torino, nel 1990.
Sono da sempre un ammiratore di Hugo Pratt. Lo incontro e sono emozionato, felice.
E non do peso al fatto che lui mi si rivolge subito con un «Ciao, da quanto tempo». Poi parliamo con grande intensità di esoterismo e al momento di salutarsi lui mi fa una dedica sul suo libro Il romanzo di Criss Kenton.
Ma invece della firma fa un disegno.
Il volto di profilo di un indiano irochese che porta un grande orecchino, con sopra incastonato un cerchio con la croce di re Salomone. Ovvero il sigillo di Geova con un agnello al centro. Ebbene io da anni portavo al collo un talismano: un pendaglio con sopra impressa la croce di re Salomone. Mi stupisco e gli racconto della “coincidenza”.
Mi guarda a lungo e sussurra: «Niente di nuovo sotto il sole». Ovvero mi cita una frase di Giordano Bruno, una delle mie preferite: io sono un biografo di questo filosofo.
Coincidenze. Come quelle che mi inducono a ventitré anni a sognare un grande portone in via Arbia a Roma. Una voce mi dice di andare. Il giorno dopo mi reco sul luogo e “casualmente” incontro un uomo che mi chiede un fiammifero per la pipa. Scambiamo due parole, ci attardiamo, facciamo amicizia e questo signore diventa determinante nella mia vita. Mi fa scoprire la filosofia emetica e tutto un universo che mi porto dentro. Mio figlio porta il suo nome, Michele.
Che in ebraico vuol dire: chi è come Dio? Per rispondere occorre un poco di “brillantanza”, come per leggere questo libro che ha un solo vero scopo. Rivelare una dimensione parallela, e spesso nascosta, della realtà. La storiografia ufficiale ha sistematicamente cancellato i ricordi del mondo magico perché giudicato irrazionale, quindi indegno di esistere. Cercheremo invece di mettere in evidenza questo universo sconosciuto e spesso perseguitato, sia a livello psichico che fisico. È un lungo viaggio verso una forma di conoscenza che si esprime con concetti non necessariamente obbedienti alla logica di causa ed effetto, ma non per questo meno potenti dello scientismo. Si avvale anche dell’intuizione, che spesso non rispetta né spazio né tempo. A questo punto, però, si rende necessaria un’avvertenza. Stiamo per entrare in un mondo femminile. Perché la magia è femminile, splendidamente femminile. Occorre intendersi su questo elemento: femminile. Per ora è importante comprendere che non si tratta di una qualità esclusivamente delle donne, ma di una facoltà dello spirito. È la tolleranza, è la capacità di abbandono e di tenerezza, è la curiosità verso il nuovo, è l’accettazione del diverso, del debole, dello straniero. È l’energia che guida il mondo. È il sentimento dolce e rutilante, forte e languido, erotico e avvampante che sussurra alle creature il mistero della vita. È la Luna, è Artemide, è Persefone, è Iside, è Ishtar, è la madre che osserva, riflette, ama e non giudica. È la nostra capacità di intendere e di comprendere, priva di pregiudizi e di rancori. È l’energia raggiante che si dispiega benevola sulle creature. È la possibilità di un mondo privo di lotte e odi. È la pace della mente e del corpo. È la follia, la conoscenza. È contemporaneamente luce e buio, notte e giorno. È la possibilità del mutamento e della trasformazione. È insomma la parte migliore di noi, che la storia della violenza patriarcale ha soffocato per privilegiare il sangue e la lotta all’estasi dell’intuizione radiosa.
Il viaggio è dunque un itinerario sia esteriore sia interiore. Nella storia vedremo dove e quando il Femminile, che correderemo di maiuscola in segno di rispetto, è riuscito a emergere o a lasciare tracce simboliche in pittura, scultura, filosofia, letteratura, poesia e politica. E una volta evidenziati questi momenti, ecco che l’itinerario diventerà anche sotterraneo, verso l’elemento psichico più recondito. Perché Femminile è anche l’inconscio, sia individuale sia collettivo. Scoprendo l’oscura trama di questo millenario movimento, faremo anche dei ritrovamenti nella nostra città interiore. Scopriremo la città dei gioielli celata tra la vegetazione del rimosso e dell’oblio. Scopriremo il tesoro perduto che non sapevamo di possedere e che invece era soltanto in attesa di una principessa che tramutasse l’orrido apparente in un folgorante essere manifesto.
È un viaggio tra folgori, lampi, acqua, squarci e vampe. Tra persecuzioni e indomite resistenze. È scoprire il sotterraneo del cuore. È ascoltare la musica che l’orecchio cupo non riusciva a percepire più.
È, insomma, Femminile.
Sognare, forse. Ma che le interiorità erranti ci siano propizie.

Ginette Paris, “La rinascita di Afrodite”

Ginette Paris interpreta il mito della Dea dell’amore indicando la via che riconduce verso il mondo di una “femminilità interiore”, vincolata, nelle sue meravigliose espressioni, da secoli di cieco patriarcato. La rinascita di Afrodite è allora per noi la riscoperta di una sessualità affrancata dall’ombra del peccato e del male, vissuta come dono naturale di bellezza e piacere, come un’esperienza mistica e un’apertura diretta al numinoso. Come sostiene l’autrice:

La “rivoluzione sessuale” ha inteso sottrarre la sessualità al dominio della religione, per liberarla del senso di colpevolezza e di peccato… La sessualità così laicizzata diventa avventura erotica ed esperienza di piacere fine a se stesso… ma che ne è stato della sessualità come forma di iniziazione a stati di coscienza che fanno parte del regno del sacro? Il mito di Afrodite ci appare come un’alternativa…
[…] …fare l’amore eleva l’uomo e lo riavvicina alla divinità, piuttosto che abbassarlo al rango del bruto o della bestia. È così che si rende evidente l’immensa opera di civiltà di una Dea che insegna agli uomini non solo l’arte di amarsi ma tutte le raffinatezze che l’accompagnano.

L’opera di Ginette Paris ci riconnette ad un sapere più ampio e profondo, con il quale l’uomo moderno sembra apparentemente non dialogare più: quello del mito. La dimensione mitica ci insegna come in noi esiste un pantheon, attivo in ogni momento della vita, di divinità (o immagini) con cui dialogare, senza escluderne nessuna, se non si vogliono ottenere conflittualità interne inconciliabili.
L’esclusione culturale e psicologica del femminile operata in molte culture di ogni epoca, ed anche contemporanee, preclude all’essere umano in toto, e non solo quindi alle donne, di esprimere ed esprimersi “naturalmente”. Tutto questo ha portato danni apparentemente irreversibili, mali psicologici che sfociano spesso in brutalità disumane. Ciò significa non onorare Afrodite.
Afrodite ci insegna anche che non è la bellezza intesa come forme aggraziate e perfette armonie a portarci all’estasi estetica. Afrodite non accorda solo alle donne considerate “belle” le sue grazie:

La bellezza che ci offre Afrodite oltrepassa il piacere della vista o la perfezione delle forme del compagno. Si tratta piuttosto della bellezza che scaturisce dall’incontro sessuale profondo e che ha in sé il potere di trasmutare l’esperienza fisica del piacere in un’esperienza estatica. Dall’amore sessuale alla bellezza, dalla bellezza all’estasi, questa è la sequenza dell’esperienza afroditica. Il piacere conserva tutta la sua importanza, perché è la via d’accesso, un mezzo, un sentiero che conduce alla spiritualità afroditica, in cui l’epifania della bellezza informa l’intera coscienza. Il compagno è rivelatore di una bellezza abbagliante, e quell’attimo di eternità ha in sé una serena perfezione perché ci è stata donata la visione aurea di Afrodite! Un’esperienza di questo genere è più che “umana”, è religiosa, perché il bello è sempre trascendente!

La rinascita di Afrodite

 

 

 

Ginette Paris, La rinascita di Afrodite, Moretti & Vitali, Bergamo 1997.

Breve scheda sull’autrice.

Ginette Paris, canadese di origine francese, è nata nel 1946. Vive in California, dove insegna Psicologia e Mitologia al “Pacifica Graduate Institute” di Santa Barbara. Ha pubblicato inoltre per la Moretti & VitaliVita interioreLa grazia pagana, Hermes e Dioniso.