Porto XIV

Salone del libro di Torino del 1990. Hugo Pratt, il celebre autore di Corto Maltese, presenta la sua prima opera narrativa, Il romanzo di Kris Kenton. Mi avvicino a lui per un’intervista (mi sia concessa l’autocitazione, per una volta). Non ci conosciamo personalmente, ma mi dichiaro suo ammiratore. Mi guarda per un istante e nasce immediata una forte corrente di simpatia reciproca. Decide allora di farmi una dedica e immediatamente prende la penna. Poi ci ripensa e crea un bellissimo disegno. È la testa di un indiano irochese che porta al lobo dell’orecchio sinistro un curioso pendaglio, una medaglia con inscritto il segno del doppio triangolo incrociato: la croce di Geova con, all’interno, l’effige di un agnello.

«È la simbologia di re Salomone,» mi dice Pratt. «Gli Irochesi l’avevano appresa da un esploratore esperto di filosofia ermetica.»

Finito il disegno, mi consegna il libro, mentre la mia faccia assume probabilmente le sembianze dello stoccafisso. La mia sorpresa infatti è grande. Da dieci anni porto al collo una medaglia con inciso lo stesso simbolo tratteggiato da Hugo. Non ci eravamo mai incontrati, prima. La mia camicia era chiusa e quindi non aveva alcuna possibilità di scorgere il mio portafortuna, dono di un vero e proprio sciamano napoletano che di mestiere fa il direttore di banca e nel tempo «perso» il sensitivo.

A questa «combinazione» hanno assistito l’operatore RAI, Paolo Mattei, redattore dell’«Avanti!» e Alessandro Rosati, programmista presso il DSE.

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La Grande Madre — Dove si esaminano i sotterranei di re Salomone e il mistero dell’Arca dell’Alleanza, sepolta e mai più ritrovata. Oppure…

Dopo aver narrato dei primi Templari e della Gerusalemme di Baldovino, continua il fantastico racconto dell’enigmatico signore incontrato a Chartres, “addentrandoci” nei sotterranei di re Salomone alla ricerca dell’Arca dell’Alleanza.

«Per molti anni il grande re Salomone edifica il suo tempio e quando è pronto così esclama:

Il Signore che fa brillare il sole nei cieli
per la sua dimora fra noi ha scelto l’oscurità.
Ecco, io ti ho costruito questa casa per tua dimora,
che sarà la tua abitazione per sempre.

(Libro dei Re, 8-12)

«In un passo precedente la Bibbia riporta che i sacerdoti e i leviti, alla presenza di tutti gli anziani di Israele, i principi delle tribù e i capi delle famiglie, hanno trasportato dentro il tempio l’Arca dell’Alleanza. Essa, contenente “anche” le Tavole della Legge, è stata collocata “nella parte più sacra, nel Santo dei Santi…”.
«Teniamo bene a mente questi due elementi. Dio per stare con il suo popolo ha scelto “l’oscurità” e l’Arca è stata riposta nella “parte più sacra”.
«Il sacro oggetto rimane custodito in questo luogo, dentro il tempio, ma non sappiamo esattamente dove, fino al 587 avanti Cristo, quando nel Paese giunge Nabucodonosor di Babilonia con il suo esercito in armi.
«Gerusalemme cade, dopo aspri combattimenti, in sua mano. I conquistatori bruciano il tempio con tutto quello che contiene, quindi in teoria, ma solo in teoria, anche l’Arca stessa. Tanto è vero che Nabucodonosor non ne fa mai alcun cenno. Eppure noi sappiamo che questa è il simbolo concreto dell’unità degli ebrei. Dunque Nabucodonosor conquista la capitale dei semiti, se ne gloria, ma non dice nulla dell’Arca, mentre si fa vanto di aver preso loro le insegne. È logico supporre che il signore di Babilonia non la citi per un semplice motivo: non l’aveva trovata. Per questo da allora tutti ne sono alla ricerca.
«Ma Salomone, nella sua invocazione, ci ha fornito una traccia, Appunto quando parla di Dio che ha scelto l’oscurità per stare con la sua gente, ovvero nella estrinsecazione visibile della divinità, appunto nell’Arca. Il re dei babilonesi non l’ha trovata perché era collocata in un luogo oscuro e sacro nello stesso tempo. È logico supporre che sia stata sotterrata, fin dalla sua prima collocazione nel tempio; ecco spiegata quell’oscurità della prima invocazione di Salomone.
«L’Arca è stata sepolta con le Tavole della Legge di Dio. È stata nascosta dentro il tempio, o meglio, nei suoi sotterranei.
«E Baldovino di Gerusalemme, quando arrivano i nove cavalieri, dove abita? Nel suo palazzo edificato sopra l’antico tempio, di cui conserva le antiche fondamenta. Ricordiamoci a questo punto che i nove cavalieri, appena giunti a Gerusalemme, si mettono a scavare nelle stalle, ovvero nelle fondamenta.
«Ecco che abbiamo finalmente scoperto il motivo di questo strano comportamento: cercavano l’Arca.
«La storia ufficiale ci dice che mettono sottosopra tutto, caparbiamente e senza tregua, notte e giorno, per nove mesi. Poi improvvisamente ripartono. Tutti e nove.
«Che cosa li ha spinti a ripartire improvvisamente? Forse hanno trovato quello che cercavano? E che relazione esiste – se esiste – tra quanto tentavano di reperire e le cattedrali gotiche? C’è una connessione. Ma per capirla occorre gettare uno sguardo, per la prima volta, dentro l’Arca.
«I Libri Sacri sostengono che contenesse le Tavole della Legge, ma di che Tavole si tratta? Non quelle con i dieci comandamenti, semplicemente perché Mosè le distrusse tornando dal monte Sinai, lanciandole contro il Vitello d’oro idolatrato dagli ebrei che avevano perso la speranza. E allora? Siamo apparentemente da capo. Ma solo apparentemente. Infatti ancora una volta ci soccorrono le Sacre Scritture. Nella Genesi infatti Dio afferma di aver “edificato” l’universo “con Numero, con Misura, con Peso”.
Ovvero con le coordinate dell’architetto. Il segreto della creazione del mondo è perciò nel Numero, nella Misura e nel Peso. E dove custodire un simile mistero architettonico se non nell’oggetto più sacro, appunto nell’Arca dell’Alleanza?
«Se i nove cavalieri hanno trovato qualcosa, se hanno trovato l’Arca, hanno trovato il Numero, la Misura e il Peso. Che, ricordiamolo ancora, sono gli strumenti principe degli architetti.
«Riflettiamo ancora un momento: il nucleo dei Templari abbandona precipitosamente Gerusalemme e ritorna in Francia e da questo momento nascono le cattedrali gotiche. Edifici immani che sono costruiti “magicamente” in brevissimo tempo in uno stile mai conosciuto prima.
«Magicamente.
«Misteriosamente.
«Ma il mistero è ancora tale alla luce di queste riflessioni?
«Numero, Misura e Peso. Gotico, ovvero magico. Connettendo questi termini forse si getterà un po’ di luce sul buio dei segreti. Occorre soltanto tracciare una lunga linea ideale che unisca Bernardo di Chiaravalle, i cavalieri del tempio, le cattedrali gotiche, l’Arca e il suo contenuto.»

Bibliografia consigliata

Sulle connessioni tra l’Arca dell’Alleanza e i Templari occorre vedere sempre Charpentier nei due testi già citati, I misteri della cattedrale di Chartres e I misteri dei Templari.
Sui rapporti tra esoterismo magico e architettura e formulazioni esoteriche è importante Oswald Wirth, I misteri dell’arte reale, Atanòr, 1977. Sullo stesso argomento Guglielmo Bilancioni, Architettura esoterica, Sellerio, 1991.

La Grande Madre — Dove prosegue il racconto dello sconosciuto, si arriva idealmente a Gerusalemme e compaiono i primi Cavalieri Templari

L’enigmatico signore, incontrato durante le mie riprese nella cattedrale di Chartres, dopo avermi narrato di Bernardo di Chiaravalle e della nascita delle cattedrali gotiche, continua il suo fantastico racconto portandomi nella Gerusalemme dei Templari.

«A meno che… cosa?» gli chiesi subito, spinto da qualcosa di più della semplice curiosità.
Nel dirgli questo scesi dal pozzo, dove mi ero comodamente sistemato e meccanicamente guardai l’orologio. Si erano fatte le tre del pomeriggio. Pensai alla mia troupe. Che fine avevano fatto i miei uomini?
Non feci in tempo a pormi la domanda che li vidi arrivare. Lavoretti in testa.
«Ti stavamo cercando» mi apostrofò «ma vedo che sei in buona compagnia, non è il signore che ti ha fermato nella cattedrale?»
«E lui, mi sta spiegando alcune cose che possono essere utili per il nostro lavoro» gli risposi quasi giustificandomi.
«Stai pure, noi andiamo in albergo. Ci vediamo stasera, abbiamo lasciato come d’accordo tutto il materiale di ripresa là dentro, domani dovremmo finire tutto.»
«Ok, ottimo.»
Salutarono e se ne andarono.
Rimasi solo con il mio interlocutore misterioso, che riprese subito: «Davvero è interessato a queste mie elucubrazioni? Perché tali sembrerebbero a chiunque. Insomma a qualsiasi intellettuale che sia imbevuto di positivismo scientista e acriticamente illuminista».
«Non è certamente il mio caso.»
«Lo so bene.»
«E allora? Cosa intendeva dire con “a meno che”…?»
Prese tempo: «Il clima è ancora buono, facciamo due passi per il paese. E, dato che lei ha molta pazienza, continuerò a raccontare. Ma occorre che lei faccia un salto di immaginazione.
Abbiamo capito che il sole entra in quella vetrata, come lei ha ripreso con le sue telecamere, per glorificare in eterno l’arrivo a Chartres di Bernardo di Chiaravalle. Ma non sta a significare soltanto questo. Che lei ci creda o meno, nella stessa ora e nello stesso giorno, nove cavalieri arrivarono alle porte della città sacra per antonomasia, Gerusalemme. Lei adesso deve trasferirsi con la mente in quella città. È pronto?».
Annuii.
E così, mentre me ne andavo in giro per Chartres, continuai ad ascoltare il racconto di quel signore di cui, appena tre ore prima, non conoscevo neppure l’esistenza.

«Le guardie alla porta nord del quartiere cristiano hanno già dato l’allarme. Da tempo segnali con specchi e fuochi hanno annunciato l’arrivo di alcuni guerrieri occidentali. Non c’è quindi ragione di temere, ma è pur sempre meglio stare vigili. Sono appena vent’anni che Gerusalemme è in mano cristiana e dal giorno stesso della conquista i musulmani hanno compiuto ogni sorta di scorreria e di sabotaggio, per rendere difficile la sopravvivenza del regno.
«Coperti di polvere, i cavalli schiumanti, armati pesantemente e con indosso cotte di ferro a tripla maglia, i guerrieri giungono all’ingresso. Si fermano e uno solo di loro si avvicina a un capo manipolo di guardia al pesante portale della città.
«”Sono Hugues de Payns, della contea di Champagne” dice con voce ferma “e con me ci sono altri otto nobiluomini e scudieri. Chiediamo di essere portati al cospetto di re Baldovino II, per grazia di Dio signore di Gerusalemme”.
«Il richiedente emana un’autorità e un’energia così evidenti che il capo delle guardie acconsente alla richiesta senza fiatare. Li conduce lungo la parte in ombra dell’abitato, attraverso la via Dolorosa, che costeggia la basilica del Santo Sepolcro, fino al palazzo regio.
«Senza alcuna formalità i nuovi venuti si trovano al cospetto di Baldovino. È sul trono da pochi mesi, ma ha già compiuto nove spedizioni contro i musulmani. Ha consolidato le frontiere e la sua fama. Di lui si narra che abbia messo in fuga una pattuglia di mamelucchi soltanto gridando a squarciagola, e che si sia estratto da solo una freccia che gli aveva perforato la gamba, all’altezza del ginocchio. È tarchiato e possente, non conosce paura e il suo soprannome “mano di ferro” parla per lui. E un nobile avvezzo a dare ordini, capace di tenere testa a imperatori e papi.
«Non appena i nove cavalieri gli giungono al cospetto, si alza in piedi, e ordina che siano rifocillati con i migliori cibi presso la grande tavola del concilio.
«”Vi ringrazio maestà” gli dice Hugues de Payns, fermando con un gesto i servi scattati per eseguire l’ordine del re “ma noi desideriamo per prima cosa spiegarvi i motivi della nostra venuta. Vogliamo essere utili al regno, aiutare i cristiani e soccorrere gli indifesi. Per questo siamo pronti a giurare obbedienza a voi e a Dio. Volete voi accoglierci?”.
«”Senza alcun dubbio” risponde il sovrano che subito stringe il cavaliere nelle sue braccia. Quindi accompagna tutti verso il grande tavolo presente nella stanza e finalmente gli uomini d’arme acconsentono a prendere delle bevande e del pane non lievitato.
«Durante il pasto Baldovino decide di affidare loro il compito di salvaguardare le strade della città e quelle che conducono fino a Giaffa. Poi decreta che sia loro assegnata la parte centrale del suo stesso palazzo con la disponibilità totale delle stanze e delle scuderie.
«I nove formano il primo nucleo di una confraternita di cavalieri destinata a divenire potente e famosa: i Templari. Saranno così chiamati proprio grazie al dono di Baldovino; il suo palazzo infatti, e perciò anche la parte loro assegnata, sorge sopra l’antico tempio di re Salomone.
«”Hugues sarà il primo maestro dell’ordine e come suo consigliere nominerà uno del gruppo, André de Montbard, zio di Bernardo di Chiaravalle.»
Una lunga risata interrompe il racconto dello sconosciuto: «Ma come, lei non nota nulla di strano in questi fatti, che per altro sono verissimi e riportati da tutte le biografie di Baldovino e dalle storie dell’ordine templare?».
Raccolsi l’invito e riflettei. Tutto mi parve perfettamente logico. No, non mi sembrava ci fosse nulla di misterioso.
«Be’, allora le fornisco un altro elemento. Pochi mesi dopo l’arrivo dei guerrieri a Gerusalemme, un viaggiatore di quei tempi, ovviamente al seguito delle crociate, Jean de Wutzburg, così descrive le stalle del palazzo di Baldovino, assegnate appunto ai nuovi venuti: “Si vede una scuderia di una capacità così meravigliosa e così grande che può alloggiare più di millecinquecento cavalli e millecinquecento cammelli. Peccato che dentro non ce ne sia neppure uno. Il terreno è infatti tutto dissestato. È come se in molti vi scavassero di continuo”. Il resoconto non prosegue perché il cronista fu “gentilmente” invitato a lasciare le stalle. Cosa che presumo fece di gran carriera. A questo punto si è accesa in lei una spia?»
Cominciavo a intuire. E lui se ne accorse: «Oh, finalmente! Ma l’intero episodio, almeno come ce lo fornisce la storiografia ufficiale, è tutto da ridere. Ma come? Nove cavalieri sconosciuti arrivano davanti al re di Gerusalemme e questo regala, come si fa con un monile, una parte intera del proprio palazzo e poi permette loro di scavare indiscriminatamente nelle stalle. Le domande che sorgono spontanee sono due. Perché un dono tanto spropositato e perché costoro si improvvisano minatori. Che cosa cercano? Ma se si può anche comprendere una generosità eccessiva, non appare logico che nove cavalieri, di cui uno, è bene non dimenticarlo, imparentato con il nostro Bernardo di Chiaravalle, si mettano a frugare in profondità il terreno di una enorme stalla. Il mistero è tutto qui. E se lei ha ancora pazienza glielo svelerò, anche se con l’intuito potrebbe esserci già arrivato».
Qualcosa si illuminò nella mia mente. Una specie di fiammella. Ma scoppiettante come un minuscolo bengala gettato nella mia logica razionale.
Lui se ne accorse subito. «Vedo che finalmente si è aperto un varco. La voglio riportare a Gerusalemme, ma non più all’epoca di Baldovino, bensì ancora più indietro nel tempo. Addirittura all’epoca di re Salomone, l’edificatore del tempio. La sua immaginazione è pronta per questo nuovo viaggio?»
Riprendemmo ad andare per Chartres sul filo di un itinerario fantastico, ma non troppo. Per me c’era molto da scoprire e ormai quei nove guerrieri-scavatori mi suggerivano mille interrogativi e mille risposte. Forse nessuna era giusta. Un vero rebus, che il mio cicerone esoterico ormai aveva fomentato in me come un fuoco di stoppie nella notte.
Ancora una volta mi predisposi avidamente all’ascolto.

Bibliografia consigliata

Sulla missione dei nove cavalieri a Gerusalemme è illuminante il già citato I misteri della cattedrale di Chartres di Charpentier. Inoltre è utile il saggio di Franco Monaci, I nove Templari e Baldovino di Gerusalemme, in Rivista di studi filosofici, 1955, numero VI.

La Grande Madre — Introduzione

Tutto cominciò alle cinque di un mattino del 1945, quando decisi di nascere causando interminabili doglie a mia madre. Ero grosso e quindi dopo alcune ore di travaglio, alle cinque appunto, il medico si stufa e decide di ricorrere al forcipe. Mi prende per la testa e mi tira fuori. Così facendo, però, ne esco con il cranio un po’ allungato.
Poi mi prende per i piedi, perché stentavo a respirare, ma non calcola bene le distanze e mi fa sbattere contro il lettino. Un po’ lo strumento ostetrico, un po’ l’urto, un po’ la natura, e la mia faccia non ne giovò certo. Tanto è vero che la mia povera mamma quando mi vide si impressionò e lanciò il fatidico urlo: «Non voglio vederlo, è troppo brutto!».
Be’, come inizio niente male. Finisco così da mia nonna Carla. È lei a darmi il latte al suo seno, non materno, ma “nonnerno”.
Sì, avete letto bene. È stata mia nonna ad allattarmi perché anche lei aspettava un bambino. La differenza d’età con mia madre era di appena diciotto anni e a sua volta lei mi ha partorito a diciassette. Purtroppo il bimbo di mia nonna morì dopo il parto. Per questo io riesco a succhiare al suo seno. Già questo credo sia un caso unico al mondo.
Ma c’è dell’altro.
Da questo momento in poi, in tutte le occasioni importanti della mia vita, compare il nome di questo neonato “caro agli dèi” invece del mio. Quando la RAI mi fa il primo contratto, quando scrivo il mio primo articolo per una testata, quando mi laureo, ecco che invece di Gabriele appare scritto il suo nome. Anche quando ho condotto la prima diretta è apparso in sovrimpressione al posto di quello giusto. Ci sono abituato e mi stupisco ormai quando non capita.
Come mi sono assuefatto a questa stranezza, ho affrontato con lo stesso spirito numerose altre occasioni che mi si sono via via presentate, fino al giorno in cui ha fatto irruzione, appunto, nel mio vivere quella dimensione che gli anglosassoni chiamano “brillantanza”.
Nel 1968 decido di sposarmi. Faccio le pratiche (inutile dire che devo fare i documenti due volte perché scrivono il mio nome di battesimo errato con il solito scambio) e quindi con la mia futura moglie, da cui sono oggi divorziato, decidiamo di andare a comprare le fedi nuziali.
Ci troviamo casualmente in via Nomentana a Roma e altrettanto casualmente entriamo nella prima oreficeria che incontriamo sul cammino. Al banco c’è un anziano signore. Diamo i nostri nomi e, quando dico il mio, il padrone se ne esce con un: «Lei è per caso parente di Arturo La Porta?». Gli dico di sì e lui immediatamente aggiunge: «Ma lo sa lei che suo padre e sua madre hanno comprato le fedi proprio da me?».
Quanti gioiellieri ci sono a Roma? Come ha fatto quell’uomo a ricordarsi? Perché si rammentava proprio di papà? Credo sia inutile tentare di dare una spiegazione. Come è altrettanto inutile tentare di spiegare ciò che mi accadde al Salone del libro di Torino, nel 1990.
Sono da sempre un ammiratore di Hugo Pratt. Lo incontro e sono emozionato, felice.
E non do peso al fatto che lui mi si rivolge subito con un «Ciao, da quanto tempo». Poi parliamo con grande intensità di esoterismo e al momento di salutarsi lui mi fa una dedica sul suo libro Il romanzo di Criss Kenton.
Ma invece della firma fa un disegno.
Il volto di profilo di un indiano irochese che porta un grande orecchino, con sopra incastonato un cerchio con la croce di re Salomone. Ovvero il sigillo di Geova con un agnello al centro. Ebbene io da anni portavo al collo un talismano: un pendaglio con sopra impressa la croce di re Salomone. Mi stupisco e gli racconto della “coincidenza”.
Mi guarda a lungo e sussurra: «Niente di nuovo sotto il sole». Ovvero mi cita una frase di Giordano Bruno, una delle mie preferite: io sono un biografo di questo filosofo.
Coincidenze. Come quelle che mi inducono a ventitré anni a sognare un grande portone in via Arbia a Roma. Una voce mi dice di andare. Il giorno dopo mi reco sul luogo e “casualmente” incontro un uomo che mi chiede un fiammifero per la pipa. Scambiamo due parole, ci attardiamo, facciamo amicizia e questo signore diventa determinante nella mia vita. Mi fa scoprire la filosofia emetica e tutto un universo che mi porto dentro. Mio figlio porta il suo nome, Michele.
Che in ebraico vuol dire: chi è come Dio? Per rispondere occorre un poco di “brillantanza”, come per leggere questo libro che ha un solo vero scopo. Rivelare una dimensione parallela, e spesso nascosta, della realtà. La storiografia ufficiale ha sistematicamente cancellato i ricordi del mondo magico perché giudicato irrazionale, quindi indegno di esistere. Cercheremo invece di mettere in evidenza questo universo sconosciuto e spesso perseguitato, sia a livello psichico che fisico. È un lungo viaggio verso una forma di conoscenza che si esprime con concetti non necessariamente obbedienti alla logica di causa ed effetto, ma non per questo meno potenti dello scientismo. Si avvale anche dell’intuizione, che spesso non rispetta né spazio né tempo. A questo punto, però, si rende necessaria un’avvertenza. Stiamo per entrare in un mondo femminile. Perché la magia è femminile, splendidamente femminile. Occorre intendersi su questo elemento: femminile. Per ora è importante comprendere che non si tratta di una qualità esclusivamente delle donne, ma di una facoltà dello spirito. È la tolleranza, è la capacità di abbandono e di tenerezza, è la curiosità verso il nuovo, è l’accettazione del diverso, del debole, dello straniero. È l’energia che guida il mondo. È il sentimento dolce e rutilante, forte e languido, erotico e avvampante che sussurra alle creature il mistero della vita. È la Luna, è Artemide, è Persefone, è Iside, è Ishtar, è la madre che osserva, riflette, ama e non giudica. È la nostra capacità di intendere e di comprendere, priva di pregiudizi e di rancori. È l’energia raggiante che si dispiega benevola sulle creature. È la possibilità di un mondo privo di lotte e odi. È la pace della mente e del corpo. È la follia, la conoscenza. È contemporaneamente luce e buio, notte e giorno. È la possibilità del mutamento e della trasformazione. È insomma la parte migliore di noi, che la storia della violenza patriarcale ha soffocato per privilegiare il sangue e la lotta all’estasi dell’intuizione radiosa.
Il viaggio è dunque un itinerario sia esteriore sia interiore. Nella storia vedremo dove e quando il Femminile, che correderemo di maiuscola in segno di rispetto, è riuscito a emergere o a lasciare tracce simboliche in pittura, scultura, filosofia, letteratura, poesia e politica. E una volta evidenziati questi momenti, ecco che l’itinerario diventerà anche sotterraneo, verso l’elemento psichico più recondito. Perché Femminile è anche l’inconscio, sia individuale sia collettivo. Scoprendo l’oscura trama di questo millenario movimento, faremo anche dei ritrovamenti nella nostra città interiore. Scopriremo la città dei gioielli celata tra la vegetazione del rimosso e dell’oblio. Scopriremo il tesoro perduto che non sapevamo di possedere e che invece era soltanto in attesa di una principessa che tramutasse l’orrido apparente in un folgorante essere manifesto.
È un viaggio tra folgori, lampi, acqua, squarci e vampe. Tra persecuzioni e indomite resistenze. È scoprire il sotterraneo del cuore. È ascoltare la musica che l’orecchio cupo non riusciva a percepire più.
È, insomma, Femminile.
Sognare, forse. Ma che le interiorità erranti ci siano propizie.