Amai

Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica, difficile del mondo

Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.

Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.

Umberto Saba

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Ciò che occorre è un uomo

Ciò che occorre è un uomo
non occorre la saggezza,
ciò che occorre è un uomo
in spirito e verità;
non un paese, non le cose
ciò che occorre è un uomo
un passo sicuro e tanto salda
la mano che porge, che tutti
possano afferrarla, e camminare
liberi e salvarsi.

Carlo Betocchi

Riconoscersi

Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’ era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’ era potuta riconoscere così.”

Italo Calvino

L’avvento della saggezza col tempo

Sebbene le foglie siano molte, la radice è unica;
Per tutti i giorni bugiardi della mia giovinezza
Ho fatto oscillare nel sole le mie foglie e i miei fiori;
Ora posso appassire nella verità.

W. B. Yeats

Inno all’Amore

Se parlassi le lingue degli uomini
e anche quelle degli angeli,
ma non avessi l’Amore,
sarei come un bronzo che risuona
o un cembalo che tintinna.

E se anche avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri,
se possedessi tutta la scienza
e una fede così forte da trasportare le montagne,
ma non avessi l’Amore, non sarei nulla.

E se anche distribuissi tutti i miei averi ai poveri
e dessi il mio corpo per esser bruciato,
ma non avessi l’Amore, non mi servirebbe a nulla.

L’Amore è paziente e generoso.

L’Amore non è invidioso, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio.

L’Amore è rispettoso,
non cerca il proprio interesse,
non cede alla collera, dimentica i torti.

L’Amore non gode dell’ingiustizia, la verità è il suo fine e la sua gioia.

L’Amore tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, mai perde la speranza.

L’Amore non avrà mai fine.
Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà.
La scienza è imperfetta, la profezia limitata,
ma verrà ciò che è perfetto ed esse scompariranno.

Tre sole cose dunque rimangono:
la fede, la speranza e l’Amore.
Ma più grande di tutte è l’Amore.”

Paolo di Tarso – Inno all’Amore

Amare il proprio lavoro

Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore aprossimazione alla felicità sulla terra. Ma questa verità è una verità che non molti conoscono”.

Primo Levi

Coloro che non cambiano mai…

Coloro che non cambiano mai le proprie opinioni si amano più di quanto amano la verità
Joseph Joubert (filosofo francese)

Ho quasi paura

Ho quasi paura, in verità,
tanto sento la mia vita allacciata

al pensiero radioso
che l’anima mi ha preso l’altra estate,

tanto la tua sempre cara immagine
abita in questo cuore tutto tuo,

questo mio cuore soltanto bramoso
di amarti e di piacerti!
Io tremo – e tu perdona
la mia estrema franchezza –

se penso che un sorriso, una parola
da parte tua son legge ormai per me,

e che ti basterebbe un solo gesto,
una parola, un battito di palpebre,

per chiudere il mio essere nel lutto
della sua celeste illusione.

Paul Verlaine

Stringiti a me

Stringiti a me,
abbandonati a me,
sicura.
Io non ti mancherò
e tu non mi mancherai.
Troveremo,
troveremo la verità segreta
su cui il nostro amore
potrà riposare per sempre,
immutabile.
Non ti chiudere a me,
non soffrire sola,
non nascondermi il tuo tormento!
Parlami,
quando il cuore
ti si gonfia di pena.
Lasciami sperare
che io potrei consolarti.
Nulla sia taciuto fra noi
e nulla sia celato.
Oso ricordarti un patto
che tu medesima hai posto.
Parlami
e ti risponderò
sempre senza mentire.
Lascia che io ti aiuti,
poiché da te
mi viene tanto bene!

Gabriele D’Annunzio

Orizzonte

Mare anteriore a noi, le tue paure
avevano corallo e spiagge e alberate.
Sbendate la notte e la caligine,
le tormente ppassate e il mistero,
si apriva in fiore la Lontananza, e il Sud siderale
splendeva sulle navi dell’iniziazione.

Linea severa della riva remota:
quando la nave si approssima, s’alza la costa
in alberi ove la lontananza nulla aveva;
più vicino, s’apre la terra in suoni e colori:
e, allo sbarco, ci sono uccelli, fiori,
ove era solo, di lontano, l’astratta linea.

Il sogno è vedere le forme invisibili
della distanza imprecisa, e, con sensibili
movimenti della speranza e della volontà,
cercare sulla linea fredda dell’orizzonte
l’albero, la spiaggia, il fiore, l’uccello, la fonte:
i baci meritati della Verità.

Fernando Pessoa

Tutte le lettere d’amore sono ridicole

 Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.

Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,
come le altre,
ridicole.

Le lettere d’amore, se c’è l’amore,
devono essere
ridicole.

Ma dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono
ridicoli.

Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo
senza accorgermene
lettere d’amore
ridicole.

La verità è che oggi
sono i miei ricordi
di quelle lettere
a essere ridicoli.

(Tutte le parole sdrucciole,
come tutti i sentimenti sdruccioli,
sono naturalmente
ridicole).

Fernando Pessoa

Verità sommersa

“Nell’ozio, nei sogni, la verità sommersa viene qualche volta a galla”.

Virginia Woolf

Quem sonha mais?

Chi sogna di più, mi dirai —
Colui che vede il mondo convenuto
O chi si perse in sogni?

Che cosa è vero? Cosa sarà di più—
La bugia che c’è nella realtà
O la bugia che si trova nei sogni?

Chi è più distante dalla verità —
Chi vede la verità in ombra
O chi vede il sogno illuminato?

La persona che è un buon commensale, o questa?
Quella che si sente un estraneo nella festa?

Fernando Pessoa

Stringiti a me

 Stringiti a me,
abbandonati a me,
sicura.
Io non ti mancherò
e tu non mi mancherai.
Troveremo,
troveremo la verità segreta
su cui il nostro amore
potrà riposare per sempre,
immutabile.
Non ti chiudere a me,
non soffrire sola,
non nascondermi il tuo tormento!
Parlami,
quando il cuore
ti si gonfia di pena.
Lasciami sperare
che io potrei consolarti.
Nulla sia taciuto fra noi
e nulla sia celato.
Oso ricordarti un patto
che tu medesima hai posto.
Parlami
e ti risponderò
sempre senza mentire.
Lascia che io ti aiuti,
poiché da te
mi viene tanto bene!

Gabriele D’Annunzio

La ricerca della verità

Il mondo invisibile

“Domande come: che cosa significa questo quadro? Che cosa rappresenta? Sono possibili solo se si è incapaci di vedere un quadro nella sua verità, se si pensa macchinalmente che un’immagine molto precisa non mostri ciò che essa è con tanta precisione. Ciò equivale a credere che il sottinteso(se ce n’è uno?) valga più dell’inteso. Nella mia pittura non ci sono sottintesi”.

René Magritte

(René Magritte, Il mondo invisibile, 1954)

Addio

(Cromolitografia, Amicizia, amore e verità, pubblicata da Currier & Ives, 1874)

Il mondo si addormenta… Son qui in piedi e aspetto il mio amico…

Lo aspetto per dargli l’ultimo addio. O Amico, ardo dal desiderio

Di godere accanto a te la bellezza di questa sera. Dove sei?

Mi lasci così a lungo sola! Vago avanti e indietro con il mio liuto

Sui morbidi sentieri erbosi. O bellezza! O d’amore-e-vita eterni

Inebriato mondo!

Gustav Mahler

Anime amanti

La forza dei legami invisibili che unisce due anime amanti consente di scoprire la verità del loro essere, liberandola.

Michele Lauria

Verità

Non sono sicuro di nulla, tranne della sacralità degli affetti del cuore e della verità dell’immaginazione. Ciò che l’immaginazione coglie come Bellezza deve essere Verità.

John Keats

Ciò che ho scritto di noi

Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
è la mia nostalgia
cresciuta sul ramo inaccessibile
è la mia sete
tirata su dal pozzo dei miei sogni
è il disegno
tracciato su un raggio di sole
ciò che ho scritto di noi è tutta verità
è la tua grazia
cesta colma di frutti rovesciata sull’erba
è la tua assenza
quando divento l’ultima luce all’ultimo angolo della via
è la mia gelosia
quando corro di notte fra i treni con gli occhi bendati
è la mia felicità
fiume soleggiato che irrompe sulle dighe
ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
ciò che ho scritto di noi è tutta verità.

Nazim Hikmet

 


 

Sulla verità

Chi non si aspetta l’inaspettato, non scoprirà la verità.

Eraclito

Non possediamo che pezzi di verità

La verità è uno specchio caduto dalle mani di Dio e andato in frantumi. Ognuno ne raccoglie un frammento e sostiene che lì è racchiusa tutta la verità.

Mevlana Jalaluddin Rumi

L’arena dell’amore

Prima che il tempo iniziasse io bruciai e divenni cenere,
Mi tuffai nel fuoco e divenni una rosa,
Con nostalgia chiamai il Suo Nome e divenni un cuore,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Strappa il velo da me, lasciami nudo,
Lasciami volare sulle ali dell’amore,
Lasciami scorgere la Sua bellezza ancora una volta,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Ho abbandonato desiderio, onore, modestia,
Ho lasciato dietro di me una vuota ricchezza,
A che servo io per gli amici o gli stranieri?
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Sono venuto a conoscere il mio segreto, che è sempre dentro,
All’interno di questo corpo c’è Conoscenza e Verità,
Tutti gli amanti desiderano ciò che è in Te,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

O Ashki, sorgi, svegliati dalla dimenticanza!
Lasciamoli dire voi siete pazzi quando ascoltano le nostre invocazioni,
Arresi all’Amore e raggiunta l’unione,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Shaikh Muzaffer Ozak al Jerrahi

Subconscio

Il subconscio mormora incessantemente ed è ascoltando questi mormorii che si ascolta la verità.

Gaston Bachelard

La poesia

La poesia si avvicina alle verità essenziali più della storia.

Platone

L’arena dell’amore

Prima che il tempo iniziasse io bruciai e divenni cenere,
Mi tuffai nel fuoco e divenni una rosa,
Con nostalgia chiamai il Suo Nome e divenni un cuore,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Strappa il velo da me, lasciami nudo,
Lasciami volare sulle ali dell’amore,
Lasciami scorgere la Sua bellezza ancora una volta,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Ho abbandonato desiderio, onore, modestia,
Ho lasciato dietro di me una vuota ricchezza,
A che servo io per gli amici o gli stranieri?
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Sono venuto a conoscere il mio segreto, che è sempre dentro,
All’interno di questo corpo c’è Conoscenza e Verità,
Tutti gli amanti desiderano ciò che è in Te,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

O Ashki, sorgi, svegliati dalla dimenticanza!
Lasciamoli dire voi siete pazzi quando ascoltano le nostre invocazioni,
Arresi all’Amore e raggiunta l’unione,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Shaikh Muzaffer Ozak al Jerrahi

Barlume di verità

Meglio osare sbagliando che rinunziare alla conoscenza. Fra i tanti errori un
barlume di verità si fa sempre strada. Per quei barlumi, gli ermetismi
medioevali osavano sfiorare il rogo. E vi salivano, spesso, con la sfida sulle
labbra. Miracoli di abnegazione che soltanto la Scienza e la Fede possono
spingere a compiere!

Guido Di Nardo

Conosci la verità in te

“Conosci la verità in te, conosci te stesso nella verità: ed ecco! in quel momento, con tua meraviglia, riconoscerai nel tutto e in ogni singolo, proprio nel luogo che ti circonda, la patria a lungo cercata invano e appassionatamente sognata:
QUI IL CIELO SI INCONTRA CON LA TERRA.”

Arthur Schopenhauer

(ringraziando Valeria)

Il cielo si incontra con la terra

“Conosci la verità in te, conosci te stesso nella verità: ed ecco! in quel momento, con tua meraviglia, riconoscerai nel tutto e in ogni singolo, proprio nel luogo che ti circonda, la patria a lungo cercata invano e appassionatamente sognata: QUI IL CIELO SI INCONTRA CON LA TERRA.”

Arthur Schopenhauer

(ancora grazie a Valeria)

Verità

Non sono sicuro di nulla, tranne della sacralità degli affetti del cuore e della verità dell’immaginazione. Ciò che l’immaginazione coglie come Bellezza, deve essere Verità

John Keats

Sta proclamando il proprio credo

Il giudizio dell’intelligenza

Non dobbiamo pretendere di capire il mondo solo con l’intelligenza: lo conosciamo, nella stessa misura attraverso il sentimento. Quindi, il giudizio dell’intelligenza è, nel migliore dei casi, soltanto metà della verità

Carl Gustav Jung

Principio della coscienza di sé

C’è sempre un momento significativo nel quale iniziamo ad esistere, come individui o come popoli. Non è importante quanto esso corrisponda ad un fatto reale perché, il suo ricordo, diventerà in ogni caso, mito. E’ un momento che non conta come verità fattuale ma come verità simbolica, necessaria origine della coscienza di sé

Luigi Zoja

Saturno e Cartesio

Carissime-i, ecco, ancora una volta, Marina. La sua “nuova” riflessione merita un successivo dibattito

DEDICATO a GEA

Caro Gabriele, Cara Amalia,
sentite sentite dove va a parare tutto questo discorso di Carotenuto: uno dei più grandi volponi di Anima contemporanei…a mio modesto avviso.
Continua Saturno contro Cartesio…eravamo rimasti al Genius romano e al Daimon greco…

…che nascevano insieme ad ogni uomo e “sovraintendevano” a lui lungo il percorso della sua vita. Tale nozione una volta comune al genere umano rimasta viva nel Medioevo, a un certo punto, lungo l’asse che dal Rinascimento porta al Romanticismo diventa prerogativa di pochi privileggiati… Un aforisma di Nietzsche, appartenente alla sezione “Sintomi di una cultura superiore e inferiore” offre una accezione diversa di genio. Dalle immagini che evoca vorremo far idealmente iniziare, per quanto ciò possa per certi aspetti suonare paradossale, l’inversione che si declina nell’arte comune. Aforisma 242: “Se qualcuno volesse immaginare un genio della civiltà, come sarebbe questo fatto? Egli adopera così sicuramente la menzogna, la violenza e il più brutale egoismo come suoi strumenti, che solo il nome di maligno essere demoniaco gli converrebbe. Ma i suoi fini, che qua e là tralucono, sono grandi e buoni. E’ un centauro, mezzo animale e mezzo uomo, e in più ha ali di angelo sul capo.”…

…ed ecco Amalia la tua risposta sul consolidamento dei semi (“Ad una vera domanda corrisponde una vera risposta” Aldo Carotenuto)…

…Nietzsche affronta quindi il discorso in modo seminalmente psicologico e, del resto, non potrebbe essere altrimenti. L’immagine del centauro ci restituisce quella convergenza o, meglio, congiunzione dei processi primario e secondario. E’ questa congiunzione che caratterizza l’uomo dell’arte comune e la sua alterità non costituisce, in partenza privilegio di alcuno.
In un fiume, nel fiume, che s’è pensato nella immaginazione di Coleridge, devono fluire insieme Saturno e Cartesio…

Nel Xanadu alza Kubla Khan
dimora di delizie un duomo
dove Alf, il fiume sacro, scorre
per caverne vietate all’uomo
a un mare senza sole.
Dieci miglia di fertile campagna
con mura e torri furono recinte:
e c’era nel giardino un luccichio di rivi
e l’albero d’incenso era fiorito
e v’erano foreste antiche come i clivi
che abbracciavano il verde agro assolato.

Ma oh! quel cupo abisso fino al fondo
straziava la collina nel suo vello di cedri.
Era un orrido sacro e ammaliato
come alcuno ce n’è sotto la luna
calante ove alza gemiti una donna
inquietata dal demone d’amore!
Dall’abisso di un turbine incessante
quasi il suolo rompesse in un singhiozzo,
una polla irruente urgeva a tratti:
fra i crosci subitanei e intermittenti,
con rimbalzi di grandine o di veccia
sotto il flagello di chi tribbia, ingenti
macigni sussultavano e frammenti.
Di là, da quella danza irta di blocchi
alto insorgeva a tratti il fiume sacro.
Cinque miglia di corso vagabondo
per boschi e valli il fiume percorreva,
poi cadeva per grotte senza fondo
tumultuoso in un oceano morto.
E rauche in mezzo a quel tumulto a Kubla
voci d’avi annunziavano la guerra!
L’ombra della chiara dimora
fluttuava sulla corrente,
indistinta l’eco arrivava
dalle grotte e dalla sorgente.
Era un raro miracolo, una casa
su caverne di ghiaccio ed assolata!

Una fanciulla con la cetra
io vidi in sogno una volta:
era una vergine abissina,
su quella cetra suonava
e cantava del Monte Abora.
Potessi in me risuscitare
quella viva armonia, quel canto
tale delizia inonderebbe il sangue
che a quel suono lungo e chiaro
potrei innalzarlo nell’aria
il castello di sole! le caverne di ghiaccio!
E chi l’udisse, lo vedrebbe là
e griderebbe: “Mistero! Mistero!”
gli occhi infuocati ed i capelli al vento!
Un circolo tre volte replicate
intorno a lui, chiudetegli le palpebre,
poiché manna ed ambrosia ha delibate,
il latte delibò del Paradiso.

…ma far coincidere Saturno e Cartesio è difficile perché il mondo richiede un certo tipo di comportamento e non ci si può permettere di comportarsi in maniera irrazionale. Saremmo subito giudicati sulla nostra incapacità di contenerci. Se ad esempio ad una riunione uno cominciasse ad urlare e a dire parolacce sarebbe immediatamente additato come incapace di dominarsi. Queste condotte nel mondo non sono ammesse e quindi si ritorcono contro la persona che le mette in atto sia ella nel torto che nella ragione. Allora, esistono situazioni nelle quali è esplicitamente richiesta una doppiezza del comportamento, una capacità di simulare e dissimulare, Un’arte della finzione che bisogna saper mettere in atto. Scrive Torquato Accetto, un nostro autore del seicento che al momento di aprire gli occhi ‘uomo, o meglio il primo uomo, procurò di nascondersi alla vista di Dio. Se gli occhi aperti significano la consapevolezza, possiamo dedurre che il primo atto in assoluto della consapevolezza si attua nella dissimulazione che, in termini darwiniani, equivale all’adattamento: se riusciamo a comportarci seguendo determinate modalità abbiamo più possibilità di sopravivvenza.
Nel mondo ci si comporta così: si dice una verità apparente e si pensa una verità segreta…tuttavia, può accadere che una persona che abbia fatto un lavoro su sé stessa, decida, in modo calmo e meditato, di esplicitare la verità segreta. Prendiamo Matteotti che, in epoca fascista, durante una riunione accusò i suoi colleghi di aver rubato. Tutti conoscevano i fatti, ma solo lui ebbe il coraggio di denunciarli e sappiamo come pagò per avere operato questa scelta.
La capacità di dire come stanno le cose è un’arte che si acquista col tempo e per la quale occorre un grande spessore psicologico, che permette di non avere più paura e, quindi, di comportarsi non solo in funzione della sopravvivenza ma soprattutto del rispetto della verità.
Quando si presenta l’occasione di denunciare apertamente la propria opinione bisogna sentirsi realmente molto forti, molto sicuri di se stessi, poiché siamo automaticamente esposti a qualsiasi vendetta, a qualsiasi ricatto, dato che esiste una legge non formulata a parole secondo la quale si deve mettere in atto una punizione nei confronti di colui che si è reso responsabile della denuncia.
Questi meccanismi del mondo degi adulti, quando si è giovani si ritrovano nella famiglia. A tavola, si parla a due livelli di verità: esiste un livello di comunicazione assolutamente falso, in cui si esprimono contenuti apparentemente razionali, e un livello affettivo, detto metacomunicazione, che è il reale commento inconsapevole a ciò che si va dicendo…

lo guardo oltre l’ordinario

Questo pensiero, di Raffaele, è “giusto” condividerlo con voi e con quanto possa suggerirvi…

Preziosa Marina nonché AMOREVOLE VOLPONE del mio Saracino Cuore
Fu detto di bussare alle porte del proprio cuore, perché quella porta solo da dentro può essere aperta e non da nessuna parte.
Fu detto di ricercare sempre le verità nascoste, di ricercare sempre la via della saggezza antica perché ogni continuo giusto saggio ricercare prima o poi porta ad un consapevole graduale giusto riscoprire.
Solo i grandi INIZIATI possono alzare ed oltrepassare il VELO di ISIDE, mentre per i comuni mortali è possibile solo percepire l’ombra di quel radioso riflesso, e spesso basta solo questo a mutare la vita per innalzare lo guardo oltre l’ordinario per poi ricadere dentro il proprio cuore. Una cosa è certa, le grandi verità sono custodite già nel nostro profondo cuore e solo attraverso quel silenzio interiore si può entrare nei mondi dell’anima e del creato per capire i grandi misteri della nascita, della vita, della morte ed oltre la morte così come di tutto il cosmo.

“…nell’Immaginario”

Carissimi, Silvana mi “rimprovera” un pochino. Leggete la mia risposta, volutamente ferma.

Ho letto quanto ha scritto Francesca il 24 febbraio e lo trovo bellissimo. Forse per questo non capisco bene l’intervento tuo Gabriele e quello di Alba Giordana.
Pratico normalmente la trance per connettermi a realtà più elevate di questa che viviamo ed entità più elevate, per questo conosco bene quel ”nastro silenzioso ed immortale, pieno di garbo e onnipresente” ed ho sperimentato “verità più armoniche ” sentito “musica vera ” nutrito la creatura che sono da creatrice.
Quindi perchè attenzione a “non caderci dentro?“.
Perchè parlare di sensibilità e pazzia?
Sì io mi sento molto ”radicata” nella realtà quotidiana ma Francesca non dice di non esserlo.
O forse tra le righe c’è qualcosa che io non ho colto?
Ammetto che, di tanto in tanto, ho ancora qualche timore di perdermi, qualche dubbio risvegliato da qualche interpretazione ”convenzionale” di questi fatti, che so bene non essere vera, ma.. tant’è: la coda di paglia ancora mi spunta talvolta….
Forse è per questo che chiedo: cosa c’è di poco meno di entusiasmante nelle parole di Francesca? Di quella descrizione così azzeccata di questi mondi meravigliosi, sereni e pieni di conoscenza?
Di diverso per me è che non sento il cuore come un buco ma alle volte anche troppo sollecitato e non nel vuoto mi sembra di andare, ma come dice Francesca, piuttosto cerco di diventare ”vuota“: di abbandonare gli appigli per lasciarmi trasportare e scendere di più dentro me.
Non vedo dove posano essere i problemi.
Credo che le insidie siano piuttosto nel credere vera la nostra realtà quotidiana.
Non ho capito Francesca o non capisco voi?
Grazie se mi darete chiarimenti.
Silvana

Cara Silvana, attenzione al “perdersi” in meravigliosi giardini carnivori. Non si scherza nell’IMMAGINARIO rutilante.

L’immaginazione ermetica VI

La natura è divinizzata. L’uomo partecipa dell’essenza di Dio. Il corpo umano riproduce il mondo. È possibile catturare le forze dell’universo con talismani e rituali. L’azione mentale dell’umanità non ha limiti perché trae la sua origine dal perfetto ordinatore del cosmo. Questa può essere una sintesi schematica, ma suggestiva, del pensiero di Ficino, che abbiamo cercato di riportare nell’articolo precedente. Sono contenuti che potrebbero entusiasmare molti giovani d’oggi, figuriamoci un ragazzo ardente e intelligentissimo come Pico della Mirandola. Alto, colto, dal portamento sicuro, capace di parlare tutte le lingue antiche, esperto di ebraismo e di cabala, poeta, filosofo, letterato, matematico, artista: Pico è tutto questo e anche di più. Uno spirito universale, vero anticipatore del Rinascimento in tutti i suoi aspetti, anche in quelli imprevedibili e avventurosi. Un giorno arriva a rapire in chiesa una ragazza, di cui è follemente innamorato, che è pronta a convolare a giuste nozze con un altro.

A un’anima così poliedrica ed entusiastica, le parole di Ficino giungono come acqua per un assetato. Il Mirandola diventa in breve il migliore allievo di Marsilio, sino a oscurare la fama del suo stesso maestro. A venticinque anni Pico è già conosciuto in tutte le università d’Italia e d’Europa. Il suo ingegno precocissimo desta ammirazione in tutti, anche negli avversari. Certamente la gioventù lo porta a essere impetuoso, ad accentuare le posizioni del fondatore dell’Accademia platonica. Il suo scopo principale è dimostrare l’unitarietà dell’intelletto, quindi della verità, al di là e al di sopra di tutte le differenze fittizie, legate allo spazio e al tempo.

In un’opera monumentale e mirabile, le 900 tesi, Pico intende valorizzare l’uomo e la sua intelligenza, mediante un raffronto con tutte le cose del mondo. Alberi, pietre, acque, animali sono e saranno sempre alberi, pietre, acque, animali. Ogni cosa è dunque quello che è perché una sua essenza interiore la determina; l’uomo invece è signore di se stesso in quanto edifica da sé la sostanza di se medesimo. Il significato che Pico rivendica all’attività umana è non già di ordine civile (come per gli altri umanisti pedanti), ma cosmico. L’uomo è il nodo vivente dell’universo perché partecipe della materia con il corpo e della spiritualità con la mente.

Dio – argomenta Pico – ha concesso all’uomo la libertà di orientarsi verso uno dei due mondi di cui fa parte. Egli non ha definito nell’umano un essere assolutamente determinato, ma, dandogli la scelta orientativa, ha costituito un essere degno di rispetto e di ammirazione, innalzandolo all’essenza di un dio che conosce il mondo divino, vincendo quello che ha in sé di materiale e conseguendo il congiungimento con il divino. Il vincolo d’amore permetterà all’essere di abbracciare ogni cosa, una volta giunto nella dimensione eterna. L’immaginazione di Pico colloca l’umano al centro del tutto, amante delle creature inferiori e amato da quelle superiori. «Coltiva la terra» dice il filosofo «gareggia con gli elementi, il suo pensiero giunge nel profondo dei mari, la sua scienza l’innalza al culmine del cielo».

La celebrazione delle possibilità umane rende esplicito in Pico, più ancora che in Ficino, l’accentuazione del discorso magico, inteso come “parte pratica delle scienze naturali”. Il Mirandola aborre però la negromanzia superstiziosa e l’astrologia che predice il futuro: il suo discorso verte sulla “scientia scientiarum naturalis”, ovvero sulla magia concepita quale disciplina capace di dare all’uomo un completo dominio sulle forze fisiche, attraverso una giusta conoscenza delle cause.

Si tratta senza dubbio di concetti estremi, e in quel tempo producono un effetto scardinante, che conduce Pico dinanzi al tribunale ecclesiastico di Roma, dove però viene assolto grazie a una mirabile orazione, poi raccolta nelle 900 tesi, la celebre De hominis dignitate, rivendicante all’umanità il diritto di “signoreggiare” sul mondo, sull’ipocrisia, sui preconcetti, sull’ignoranza. Un vero inno alla tolleranza in nome della cultura e della conoscenza.

Gli effetti dell’opera di Ficino e di Pico sono di immensa portata. Gli artisti ne rimangono influenzati così profondamente da esser condotti a creare opere totalmente ispirate al pensiero di questi filosofi. Botticelli, loro intimo amico, diviene il “rappresentatore” geniale della visione del mondo dei due filosofi. La sua Primavera è uno dei capolavori assoluti dell’umanità, perché in esso sono esplicitati tutti i contenuti di un’epoca, in cui si intrecciano perfettamente la gioia di una vita riconquistata e la sublime certezza di una ragione libera e investigatrice. Appartiene alla sfera della Divina Commedia, del Faust di Goethe, della Nona sinfonia, del Partenone. Di quelle opere che non sono attribuibili a un paese, a un’epoca, a una corrente culturale, ma all’umanità intesa nella sua globalità.

Chiunque osservi il dipinto, anche se completamente digiuno di arte, rimane colpito dall’atmosfera di soavità, di leggiadria, di gioia profonda che emana dalle figure. Il dipinto “parla” un linguaggio sottile all’osservatore, un inno silenzioso alla vita nei suoi valori più alti. Tolleranza, amore, gaudio, corporeità, spiritualismo si intrecciano in un mosaico geniale, che colpisce direttamente al cuore il turista anche più frettoloso. In effetti questo è lo scopo di Ficino e di Pico. No, non è un errore, nominare Marsilio e il signore di Mirandola, perché l’opera compiuta da questi due filosofi viene assegnata a Botticelli, perché ritenuto il più sensibile ai temi della rinascita platonica e della magia. Il pittore non viene scelto per la sua tecnica, ma essenzialmente per la capacità di apprendere totalmente la nuova visione del mondo delineata dalla Accademia platonica fiorentina. La sua genialità nel dipingere, la conoscenza dei «contenuti» da trasmettere, l’influenza dei testi ermetici, l’insegnamento ficiniano, contribuiscono alla nascita del capolavoro. Vediamo allora nei particolari il dipinto, dal punto di vista di chi osserva.

Sulla destra c’è Zefiro, poi la ninfa Chloris, e Flora. Quindi, al centro, Venere, l’unica di cui non si intraveda il corpo nudo, sul cui capo c’è Amore che scocca una freccia con gli occhi bendati. Poi le tre Grazie, Pulchritudo, Castitas e Voluptas. Infine, al fondo, Hermes. La “chiave” di interpretazione a noi particolarmente utile è racchiusa nelle tre Grazie, perché ci introduce per la prima volta a contatto con le immagini “magiche”, ovvero contenenti significati esplicitamente esoterici.

Anche al più disattento osservatore contemporaneo balzano agli occhi le caratteristiche di Voluptas, l’ultima delle tre Grazie, a sinistra del dipinto; il capo leggermente reclinato sulla sinistra sembra abbandonato, eppure accenna a un invito coinvolgente in un movimento come di danza. I capelli sciolti sul collo a piccole ciocche rafforzano il senso del darsi e nel contempo dell’accettazione della persona oggetto dello sguardo sognante e denso di inviti riscontrabili anche nella bocca, il cui labbro inferiore è sotteso all’altro nell’espressione della proposta. Un insieme rispecchiante fedelmente il nome della donna-grazia incarnata in quel viso. Voluttà nel senso pieno del significato latino, che intende il desiderio di ricevere, del dare e del sapersi abbandonare. Il dipingere questo volto con le intenzioni citate, il fatto che potesse essere creato, determina appunto una rottura con gli antichi canoni artistici, introducente l’uomo nel mondo permeato del senso pieno dell’esistere.

I concetti filosofici del dipinto sono stati più volte esaminati (anche se con notevoli divergenze) dagli studiosi. In questo ambito è utile concentrare l’attenzione sulla parte sinistra del dipinto, perché i volti delle Grazie e i loro movimenti possono essere assunti a simbolo della nuova concezione tendente a liberalizzare gli intelletti. Nella tradizione Castitas, Pulchritudo e Voluptas venivano rappresentate sempre con Voluptas in posizione subalterna o paritetica rispetto alle altre. Botticelli rivoluziona tale schematismo immettendo nel gruppo il movimento (come farà poi Raffaello). Castitas è sempre di spalle, come vuole l’usanza, ma la gamba sinistra ha appena compiuto un passo in avanti perché la destra rimane come sospesa in attesa di un nuovo movimento. Il viso è chiaramente visibile di profilo, con lo sguardo assorto, teso, calmo e fiducioso verso un’altra Grazia che le si fa incontro, Voluptas (questa chiave di interpretazione è data da Edgar Wind, Misteri pagani nel Rinascimento, Adelphi, pag. 23 e segg).

Questo è il motivo dirompente, la Castità che si muove verso la Voluttà. La stessa spalla sinistra completamente nuda, il velo-vestito slacciato, alcune ciocche di capelli liberatesi dall’elmo, l’intrecciarsi delle dita della mano sinistra, attestano come questa sia coinvolta nell’ambito della Voluttà. Il suo movimento di coinvolgimento sembra aspettarla, invitarla e nello stesso tempo avvolgerla con lo sguardo. Il loro incedere l’una verso l’altra è osservato da Pulchritudo, dalla bellezza, che intreccia le mani con le altre due, assistendo all’incontro distante, e tuttavia partecipe. Voluttà perciò comanda il gruppo attirando a sé le altre in un movimento sincronico danzante e rituale. Castità a sua volta viene come posseduta dalla vicina in un abbraccio in movimento. L’interdipendenza delle tre, il predominio dell’elemento erotico, il possedimento di Castitas e lo sciogliersi delle sue naturali remore, ricordano una danza d’amore a sfondo dionisiaco, unico elemento di questo ambito riscontrabile nelle opere dei partecipanti al circolo platonico fiorentino. A tale proposito è utile rammentare come lo psicoanalista Rollo May ricordi quanto, nella danza rituale presso i cosiddetti popoli primitivi, l’indigeno si identifichi con la figura che egli ritiene padrona di se stesso. Insomma il ballerino, nella danza frenetica del rituale, invita gli dèi ctonii, li riceve, li accetta identificandosi con essi, accogliendoli come una parte costitutiva del proprio essere. Questo implica il principio dell’identificazione con ciò che ossessiona, non tanto per liberarsene, ma per assumerlo in quanto parte costitutiva della personalità precedentemente rifiutata (Rollo May, L’amore e la volontà, Astrolabio, pag. 131).

Rileggendo la triade delle Grazie del Botticelli con il contributo psicanalitico del May appare manifesta la tensione di Castitas ad assorbire gli elementi erotici di Voluptas, per farli propri in un intreccio creativo. In effetti l’Accademia ficiniana ha agito concretamente con i mezzi dell’arte e della filosofia per affermare la nuova concezione della vita, tramite gli scritti ermetici e platonici. (Tra gli scritti tramandati come Corpus hermeticum ebbe grande influsso soprattutto il Picatrix. Esso è una summa, con stile diseguale, raccolta in Spagna tra il 1047 e il 1051. Biqratis – Buqratis, quindi, alla latina, Picatrix – sembra esserne stato il compilatore. Del Picatrix c’è una versione latina del 1256 voluta da Alfonso d’Aragona, ma tale versione è incompleta e contiene varianti. Oggi esistono due manoscritti latini fedelissimi. Uno è nella Biblioteca nazionale di Parigi e l’altro nella Biblioteca nazionale di Firenze. Questo scritto fu quello che Ficino e Pico diedero a Botticelli come fonte di ispirazione per la Primavera.) L’influenza di tali scritti fu vasta e riscontrabile persino in Galilei, nella lettera a monsignor Pietro Dini del 2 marzo 1615, come riporta ancora Garin. Tale testo «dimostra la presenza nello scienziato di echi di ogni genere: accanto ad una metafisica di matrice neoplatonica perfino il tema cabalistico della concentrazione della luce, e del suo esplosivo irraggiamento» (Eugenio Garin, Lo zodiaco della vita, Laterza, 1982, pagg. 12-13). L’ascendente, a decenni di distanza, nei confronti di uno scienziato come Galilei, mostra l’influenza del gruppo filosofico fiorentino su ogni campo del sapere.

Insomma la Primavera, negli intenti di Ficino, ha il compito di propagandare il pensiero magico e platonico, come uno splendido supporto visivo, capace di parlare ai cuori molto più rapidamente di qualsiasi libro.

Ma torniamo adesso al dipinto. Dopo le Grazie, c’è Hermes, il dio della intelligenza, che con un bastone sembra scostare delle fronde, per far penetrare la luce tra i rami. La danza delle tre donne pare condurre proprio al dio. Questo significa che, una volta trovata la pienezza del corpo, l’uomo può spingere la propria mente verso la luce. Ecco, adesso il messaggio è chiaro.

Quando la natura fiorisce, mentre spira il vento di Zefiro, recante i doni della conoscenza delle cose, è giusto che l’uomo riscopra il suo stesso corpo, e una volta che si è riappropriato anche del piacere fisico, può conquistare le vette dello spirito. Perché l’unica saggezza possibile è quella che equilibra perfettamente, amorosamente, la carne con l’anima, senza privilegiare nessuno dei due a discapito dell’altro. La sapienza è di chi armonizza il finito (il corpo) con l’infinito (anima), sotto il segno dell’amore. Infatti la “signora” del dipinto è proprio l’antica dea dell’amore, Afrodite, che non a caso Esiodo definiva “la saggia”. Ricorrere alle figure delle divinità mitiche è una valenza propria anche di Guarino Veronese e della cultura di Ferrara. La lingua con cui si scriveva era il latino di Lucrezio, i contenuti erano platonici ed epicurei, la finalità era la restaurazione di una ipotetica antichissima religione fatta di convergenze, espresse mediante l’uso sistematico di nuclei mitici. (Eugenio Garin, Ritratti di umanisti. Guarino Veronese e la cultura di Ferrara, Biblioteca Sansoni, pagg. 84-85).

Porto XXIII

Lo hanno definito «mago di Hollywood» e di certo non hanno torto. Ma forse su quel «mago» dovremmo riflettere un po‘, anche se il suo cognome ci ricorda la tragica fortezza in cui scrisse Silvio Pellico.

Nativo di Cincinnati, Ohio, classe 1947, Steven Spielberg è un mago moderno e barbuto che usa l’obiettivo per i suoi incantesimi e, parlando ai più piccoli, svela ai grandi verità altrimenti insopportabili.

Il mito non lo preoccupa, il sogno lo avvince suggerendogli un linguaggio praticabile sullo schermo e la storia che ha scelto di narrare nei suoi film è sempre la stessa: quella di una creatura inseguita in fuga nel tempo. Una creatura che non vuole crescere perché teme di perdere il bambino che ha in sé. Un po’ come Il piccolo principe regalatoci da un altro «mago» di questo secolo, Antoine de Saint-Exupéry.

Nell’Interiorità di Anima — “Cielo che incontra terra”…

Cielo che incontra terra

Conosci la verità in te, conosci te stesso nella verità: ed ecco! in quel momento, con tua meraviglia, riconoscerai nel tutto e in ogni singolo, proprio nel luogo che ti circonda, la patria a lungo cercata invano e appassionatamente sognata: QUI IL CIELO SI INCONTRA CON LA TERRA.

Arthur Schopenhauer, Manoscritti 1804-1818, 17-1812, in Breviario, a cura di Carla Buttazzi, Milano, Rusconi, 1996, pag. 35

Possibilità

Nella vita ci capita come al viandante: man mano che avanza, gli oggetti per lui assumono una forma diversa da quella che avevano in lontananza, ed è come se al suo avvicinarsi mutassero aspetto. Ciò accade soprattutto coi nostri desideri. Spesso troviamo qualcosa di completamente diverso, migliore di quello che cercavamo; spesso troviamo la cosa cercata, ma per vie completamente diverse da quella invano battuta all’inizio. E dove noi cercavamo piacere, felicità, gioia spesso troviamo illuminazione, consapevolezza, conoscenza – un bene duraturo, autentico, al posto di uno fuggevole e apparente.

Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena vol I – Parerga, 492-1850, in Breviario, a cura di Carla Buttazzi, Milano, Rusconi, 1996, pag. 187