Occuparsi dei contenuti dell’inconscio forma l’uomo e determina la sua trasformazione.
Carl Gustav
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Occuparsi dei contenuti dell’inconscio forma l’uomo e determina la sua trasformazione.
Carl Gustav
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L’uomo primitivo era governato dai propri istinti più dei suoi moderni discendenti “razionali”, che hanno imparato a “controllarsi”, piuttosto che ad esprimere. Nel corso di questo processo di civilizzazione abbiamo progressivamente scisso la nostra coscienza dagli strati profondi della psiche umana e infine anche dalla base somatica del fenomeno psichico. L’uomo contemporaneo, a causa di mancanza d’introspezione, è sovente ignaro che, pur con tutta la sua razionalità ed efficienza, è in balìa di “forze non controllabili”. Dei e demoni tengono molti individui in uno stato d’agitazione semplicemente attraverso vaghe apprensioni, o tramite un ingente fardello di nevrosi e di disturbi somatici.
La letteratura recente postula che un’inibizione più o meno forzata e costante del naturale comportamento biopsicomotorio del corpo si traduce in una cronica e sterile microattivazione del sistema nervoso vegetativo, psico-neuro-endocrino ed immunologico. Quest’attivazione produrrebbe le manifestazioni squisitamente cliniche di tale processo: gli attacchi di panico, i disturbi da somatizzazione gastro-intestinale, sessuale o pseudo-neurologica (si pensi ai vari tipi di cefalea), le sindromi algiche e l’ipocondria, per citare la nosografia di maggiore incidenza.
Giova ricordare in quest’ambito, anche se a margine ai fini del presente discorso, la concezione junghiana sul ruolo vitale della funzione compensatrice dei sogni e della loro elaborazione nell’alleviare la strutturazione di tali disturbi.
Analizzeremo ora come esempio la fenomenologia clinica della sindrome da attacchi di panico. Questo disturbo (l’etimologia della parola appare un epifenomeno del modo in cui la regione psichica e archetipica di Pan è arrivata fino a noi dall’antica Grecia) dura generalmente solo alcuni minuti, ma causa una considerevole angoscia. Il coinvolgimento del corpo si manifesta con prepotenti sintomi organici come soffocamento, vertigini, sudorazione profusa, tremore e tachicardia cui si accompagnano spesso una sensazione di morte imminente od il timore di impazzire. Sebbene l’evidenza a favore di fattori neurofisiologici nella genesi di questo corteo sintomatologico sia ineludibile, tali osservazioni sono più persuasive nella spiegazione della patogenesi piuttosto che dell’eziologia del disturbo. Nessun dato neurobiologico è in grado di farci comprendere cosa scateni l’inizio di un attacco di panico, così come di altri disturbi psicosomatici.
Diverse evidenze suggeriscono invece che fattori psicologici possono essere rilevanti. Vari studi hanno dimostrato una maggiore incidenza in questi pazienti di eventi esistenziali stressanti, ed in particolare la perdita di persone significative nei mesi che precedono il disagio. Tutto questo suggerisce che l’eziologia riguardi il significato inconscio e simbolico degli eventi, nella misura in cui ciascuno lo elabora in maniera diversa, o non lo elabora per niente. La paura ha un oggetto, l’angoscia panica n’è priva, o meglio, il vissuto relativo è rimosso: non c’è insight. C’è un consenso quasi unanime nell’attribuire all’alessitimia, concetto centrale della psicosomatica contemporanea, parte della genesi dei processi di somatizzazione. Si tratta dell’incapacità di riconoscere e identificare i propri stati affettivi e le proprie emozioni, della difficoltà nell’identificare i sentimenti e nel distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all’attivazione emotiva e della difficoltà nel descrivere agli altri tali stati d’animo.
James Hillman postulava che alla base di processi analoghi vi sia il tradizionale approccio occidentale alla paura, ai vissuti che causano sofferenza, considerati non come un qualcosa da accettare, con cui prendere contatto, ma un problema morale da superare ad ogni costo, anche quello della rimozione e della repressione inconsapevole.
Cambiamo punto di vista ed apparentemente cambiamo argomento. Fino a qualche tempo fa lo sfoggio di tatuaggi su braccia, spalle e gambe era considerata la sfida dell’individuo contro le regole convenzionali delle società, un segno di distinzione, in alcuni casi di capacità creativa. Diffusa, inoltre, era la pratica del tatuaggio nel mondo penitenziario che sanciva l’appartenenza a gruppi e/o sottogruppi, esattamente come avviene nelle tribù primitive e quelle più “moderne”. Ad alcune persone tali tendenze inducono sensazioni sgradevoli, eppure tali fenomeni sono divenuti sempre più diffusi, fino ad interessare una certa fascia della società. Tutte le mode passano o si evolvono. Al tatuaggio si sono aggiunte altre forme di “body art”, sicuramente più spettacolari, e per certi versi anche potenzialmente dannose per la salute. Si fa riferimento al piercing, con perforazione di narici, ombelichi, lingua od altre parti del corpo.
A riguardo, ricordo le parole di una cliente ventiquattrenne: -è bello, mi piace. Inutile dire che lo ho fatto per sentirmi integrata, per essere alla moda, per sfidare il dolore…il piercing è una forma di arte che collega il corpo allo spirito. E’ l’anima che colpisce la propria carne per farla più sua, per sentirsi di più un “tutt’uno”-.
Procedendo in un ipotetico continuum nell’analisi di questo fenomeno, ho immaginato che un successivo gradino fosse individuabile nell’arte estrema contemporanea. A partire dagli anni Settanta le arti cosiddette “canoniche” subiscono un definitivo cambio di rotta approdando ad una privilegiata, inquietante terra di conquista: il corpo. Il lavoro di Ron Athey rileva l’estremizzazione del dolore fisico come manifestazione privilegiata del disagio esistenziale. Le scioccanti “esperienze” di Franko B, artista-performer italobritannico, conducono il discorso della sfida al dolore alle estreme conseguenze. Nelle sue opere arriva a farsi tramortire e torturare, da un lato mimando le limitazioni che il corpo naturalmente manifesta in alcune situazioni e dall’altro mantenendo un controllo assoluto sulla propria fisicità durante tali rituali. Questa forma d’arte ha una valenza peculiare: nasconde, al di là delle dichiarate valenze di critica di parte dell’istituzione sociale, una inversione dei processi di somatizzazione attraverso la produzione attiva d’immagini “estreme”. Franko B ha dichiarato in una intervista di “non aver più paura di mostrare le proprie vergogne”, ovvero di non aver timore nell’esprimere verbalmente ed attraverso immagini d’arte il proprio stato affettivo, ideico ed emotivo, per quanto eccessivo possa risultare al fruitore.
A questo punto riassumo la nota tesi di Hillman espressa nel suo “Il mito dell’analisi”: gli Dei rimossi (non più esperiti, le cui istanze vitali non sono più riconosciute, verbalizzate ed, entro certi limiti, agite) ritornano come nucleo archetipico di complessi sintomatici. Alcuni esempi sono quelli di Dioniso e l’isteria, della relazione tra Crono-Saturno con gli aspetti paranoici della depressione e di Ermes-Mercurio con quello che chiamiamo comportamento schizoide. Si tratta di esplorare la psicopatologia in termini di psicologia archetipica.
Veniamo dunque a Pan. Il mito greco lo pose come dio della natura, dalle molteplici sfaccettature, dimorante in Arcadia, le “oscure caverne” dove lo si poteva incontrare, una località tanto fisica che psichica. Il suo habitat erano grotte, fonti, boschi e luoghi selvaggi (l’inconscio). A ben vedere esso sussume sia l’angoscia panica che si impadronisce del corpo (dall’alessitimia alla genesi del sintomo ad un polo) che gli aspetti erotici connessi alla sua natura satiresca, caprina, fallica e demonica (autoassertività, capacità di contatto ed elaborazione delle proprie emozioni, vissuti, istinti e pulsioni, simbolizzazione consapevole della sofferenza, produzione laconicamente esplicativa delle proprie immagini interiori).
Mi sembra suggestivo osservare ora da una prospettiva olistica le nuove manifestazioni del duplice, antitetico ruolo di Pan nel determinismo di vari aspetti della psiche individuale e collettiva dell’uomo moderno ed ipotizzare il suo potenziale disvelarsi per ciascuno di noi in un punto sito nel percorso che va da un polo all’altro dell’enantiodromia descritta (dalla sofferenza alessitimica all’espressione “spudorata” del dolore del body art performer).
Forse nel passaggio al contatto, alla progressiva capacità di dare forma e parola ai propri vissuti, di esprimere ed agire il bisogno di ascolto della voce del corpo e delle emozioni si concretizza il ruolo spirituale che noi scegliamo per Pan o che Pan sceglie per noi. E durante un percorso analitico il ruolo del terapeuta che incontra una persona con disturbi somatici diviene anche quello di mediare la riscoperta del livello di percezione e di esperienza delle immagini a cui la sua storia ha tentato di impedire l’accesso. In tal modo probabilmente incontreremo il dio che “rende pazzi”, consentendogli di “farci guarire”.
Dr. Massimo Lanzaro
Per ulteriori approfondimenti:
C.G. Jung. L’uomo e i suoi simboli. Tea, 2002.
James Hillman. Saggio su Pan. Adelphi, 2001.
Savoca G. Arte estrema. Castelvecchi,1999.
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Ogni 2 febbraio una marmotta predice la durata dell’inverno: se fa capolino dalla sua tana e vede la propria ombra, il clima invernale negli Stati Uniti si protrarrà per altre sei settimane; se invece non vede l’ombra, bisogna festeggiare, perché la primavera è ormai alle porte. Si tratta di una tradizione importata in Pennsylvania dagli immigrati tedeschi, ed è probabile che abbia le sue radici nelle credenze degli antichi romani che ritenevano appunto la prima decade di febbraio utile a intuire la durata dell’inverno, Una tradizione che poi ha assunto forme (e date) diverse in molti paesi.
Il 3 Aprile 2009 l’autore del Blog “Go into the story”, nonchè sceneggiatore e critico di ambito hollywoodiano, Scott Myers, recensiva una mia lettura psicologica (pubblicata in inglese) del film Ricomincio da capo (Groundhog Day), commedia del 1993 diretta da Harold Ramis ed interpretata da Bill Murray e Andie MacDowell, che prende spunto da tale tradizione.
In esso Phil Connors è un meteorologo televisivo che, controvoglia, deve recarsi nella piccola città di Punxsutawney per fare appunto un reportage sul Giorno della Marmotta. Un circolo temporale fa si che ogni mattina, alle 6.00 in punto, Connors viene svegliato dalla radio che trasmette sempre lo stesso brano musicale (I Got You Babe di Sonny & Cher), e da allora la giornata trascorre inesorabilmente allo stesso modo della precedente (e la marmotta intanto continua ogni giorno “a vedere la propria ombra”).
La recensione, tra l’altro dice: I’ve seen Groundhog Day probably 3 times, yet it never occurred to me that the Protagonist Phil Connor (Bill Murray) has the same first name as the groundhog Punxsatawney Phil. If not for that fact, I would tend to consider Dr. Lanzaro’s analysis to be a bit overblown. But a fact is a fact – and there is Phil the Protagonist, and Phil the Groundhog.
“Overblown” in italiano può essere tradotto con esagerato, pomposo (“over” in questo caso allude ad un “troppo”). In pratica mentre cercavo di analizzare l’evoluzione cinematografica di un carattere connotato filmicamente come presuntuoso, Scott Myers alludeva al fatto che prendessi quantomeno troppo seriamente la mia interpretazione. Quale ragione più interessante anche se un po’ autoreferenziale per scrivere e riflettere nuovamente sull’argomento. Barthes diceva che “quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia”; mi accingo dunque a riproporre non solo frammenti della mia precedente analisi, ma anche a tentare di rivedere il mio punto di vista di allora.
Suggerisco di guardare il film prima di leggere il resto di questi commenti. Vorrei inoltre segnalare che non state leggendo un articolo di critica cinematografica. Discuto di un film che dietro il racconto brillante è estremamente denso. Myers scrisse innanzitutto di essere sorpreso dal fatto che nella mia digressione avessi notato la coincidenza del nome del protagonista del film e della marmotta (entrambi si chiamano Phil), nonché dal fatto che facessi notare come più volte nel film il nome “Phil” appare nelle inquadrature sulla testa di Bill Murray, quasi a mò di didascalia.
Pensando alla non casualità di questi dettagli in effetti immaginai che il regista avesse voluto prendere spunto dalla tradizionale ricorrenza che in Pennsylvania si festeggia ormai da ben 126 anni per trattare in realtà (in maniera più o meno consapevole) il tema psicologico dell’ombra. In Analyze this del 1999 (Terapia e pallottole) Harold Ramis rivelerà più direttamente, forse, l’intreccio tra il suo cinema e la psicologia.
Sarà bene fare ora un piccolo excursus sui tre concetti chiave del pensiero junghiano: lnconscio Collettivo, Archetipo (uno dei quali è appunto “l’Ombra”) ed Individuazione.
Per Freud l’inconscio non è altro che il punto ove convergono contenuti rimossi o dimenticati. Secondo Jung esso poggia su uno strato più profondo che non deriva da esperienze e acquisizioni personali, ma è innato ed ha strutture che (cum grano salis) sono le stesse dapperutto e per tutti gli individui.
Gli archetipi riguardano i contenuti dell’inconscio collettivo e sono i tipi arcaici e primigeni espressi riccamente nei sogni e nelle visioni, oltre ad essere la sostanza del mito, della fiaba e delle dottrine esoteriche. Nel mio articolo (cui rimando) partivo dal concetto di coerenza cinematografica archetipica (Conforti, 1995), per suggerire la possibilità che una narrazione filmica possa compiutamente rappresentare la natura e gli sviluppi psicologici di (frammenti di) una delle istanze archetipiche della psiche e, nella fattispecie, l’ombra.
Il processo di individuazione è la presa di coscienza con cui ciascuno attribuisce un senso alla propria esistenza. Si realizza attraverso una congiunzione ed integrazione di coscienza e inconscio. In “Groundhog day” si può postulare che Phil Connors progressivamente entri in contatto con le parti meno gradevoli della sua personalità (l’Ombra), le comprende e lentamente, attraverso una somma di esperienze (favorite dal loop temporale) diventa una persona nuova, più completa, integra, consapevole e capace di amare.
La dottrina Junghiana vede dunque l’Ombra come parte inferiore della personalità ed una parte della totalità della psiche. Le profonde antipatie ingiustificate, per esempio, sono quasi sempre il frutto della proiezione della propria Ombra. Jung la definisce come il contenuto di sentimenti e ed emozioni rimossi da ognuno di noi, perchè ritenuti per così dire “brutti, sporchi e cattivi”, non corrispondenti ad una visione ideale di se stessi. In effetti nel film Murray veste dei panni calzanti in questo senso: è la “prima donna” televisiva, è definito “presuntuoso ed egocentrico”, non va d’accordo praticamente con nessuno, si sente sprecato in un canale televisivo locale, è sempre insofferente, tratta le persone con sufficienza ed è “troppo innamorato di se stesso per avere una relazione autentica”.
Il (non) passare dei giorni gli consente di attraversare fasi di depressione e poi di euforia ed onnipotenza fino a quando la sua vita e il suo modo di approcciarsi alle cose e alle persone comincia a cambiare.
Nonostante egli riesca a ottenere facilmente sesso e denaro, non riesce a conquistare Rita (di cui pian piano si innamora), cui non interessa quello che Connors sa, e addirittura la indispone che egli sappia anticipare tutti suoi desideri: la sua erudizione è totalmente inutile perché a lei “interessa un certo tipo di uomo, con certe qualità”. Con la conoscenza erudita non nasce mai un Phil Connors nuovo o migliore, e difatti egli si ritrova ogni giorno ad essere la persona che era il giorno prima. Questo è forse un pregnante significato della seconda parte del film, il vero senso, incidentalmente, del ricominciare da capo. Connors spezzerà il cerchio infernale quando passerà da una conoscenza che si limita a raccogliere dati a una conoscenza che trasforma (e ad una autentica consapevolezza delle parti della sua “ombra”, delle cose sgradevoli di sè, cui rinuncia o che riesce a modificare con la pazienza e la disciplina). I giorni seguenti lo vedono infatti affabile con Rita e Larry. Si dà alla scultura di statue di ghiaccio. Decide di dedicarsi agli studi. Inizia a seguire un corso di pianoforte. Imparare a suonare il piano trasforma colui che impara perché nell’apprendimento non ci si limita a memorizzare un pezzo, ma si acquisisce una tecnica che permette la padronanza di un numero virtualmente illimitato di pezzi (ironicamente, la rivelazione della bellezza della musica avviene grazie alle note della sonata K. 545 in do maggiore di Mozart, il magnifico pons asinorum di tutti i principianti).
Ne seguiamo ulteriormente i progressi. Conosciamo un Connors “buono”, che si dispera per non riuscire a salvare un pover’uomo che pare condannato a morire un due di febbraio e che finisce con l’accettare che alcune cose non possono venir comunque cambiate nel giorno che egli vorrebbe perfetto. Nell’ultimo giorno della marmotta Connors compie una serie di “buone azioni” che gli permettono di guadagnare l’affetto degli abitanti di Punxsutawney e l’ammirazione di Rita che lungi oramai dal trovarlo insopportabile lo compra all’asta degli scapoli. L’amore infine conquistato lo libera dalla ripetizione; il risveglio al tre febbraio porta con sé l’accettazione del destino: Connors vuole vivere a Punxsutawney (che tanto aveva disprezzato inizialmente). La primavera è alle porte.
Massimo Lanzaro,
Psichiatra e Psicoterapeuta
Bibliografia
C.G. Jung. Gli Archetipi e l’inconscio collettivo. In: Opere, Vol. IX, 1980, 1997, Bollati Boringhieri.
E.G. Humbert. C.G. Jung, The fundamentals of Theory and Practice. Chiron Publications, 1988 (Originariamente pubblicato nel 1984 come C.G. Jung. Ed Universitaires, Paris).
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Il patto tra un uomo e una donna avviene nei primi momenti dell’incontro ed è assolutamente inconscio: è come se le persone si scegliessero istintivamente, in quanto riconoscono in maniera assolutamente inconsapevole un possibile incastro, positivo o negativo, una danza che consentirà loro di mettere in gioco istanze inconscie proprie”.
Umberta Telfner
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…quando cominciai a capire l’alchimia mi resi conto che rappresentava il legame storico con lo gnosticismo, e che perciò c’era una continuità tra il passato e il presente. Fondata sulla filosofia naturale del medioevo, l’alchimia costituiva il ponte verso il passato, con lo gnosticismo, e verso il futuro con la moderna psicologia dell’inconscio.
Carl Gustav Jung, “Ricordi Sogni Riflessioni”, BUR, Milano 1998
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L’inconscio è l’oceano dell’indicibile, di tutto ciò che è stato espulso dalla terra del linguaggio, rimosso come risultato di un’antica proibizione.
Italo Calvino
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Chiunque nega l’esistenza dell’inconscio suppone di fatto che la nostra conoscenza attuale della psiche sia totale.
Carl Gustav Jung
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Di regola, le grandi decisioni della vita umana hanno a che fare più con gli istinti e altri misteriosi fattori inconsci che con la volontà cosciente, le buone intenzioni, la ragionevolezza.
Carl Gustav Jung
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Jung è riuscito a svincolare questo termine dal consueto significato assegnatogli dalle religioni storiche e a rendergli finalmennte la sua vera attribuzione contenutistica. L’anima è il nostro inconscio. Anima è la nostra parte umbratile, sfuggente, sinuosa, leggiadra, mentitrice, allegra, malinconica. E’ la Ninfa che ci portiamo dentro e nello stesso tempo è l’omicida e il suicida che convive in noi.
E’ la parte più vicina e più lontana dal nostro Ego razionale. E’ la farfalla di mille colori, è ammaliatrice e succuba. E’ amante languida e riservata, “pallidula”, scontrosa. E’ la fata della Natura nordica che si avvicina al boscaiolo, perso nella tormenta, e conquistata la sua fiducia lo lascia nella parte più selvaggia della foresta. Morirà di disperazione. Nel contempo è perfetta consolatrice. E’ di una bellezza indescrivibile, ma può improvvisamente trasformarsi in strega distruttrice. E’ la nostra ricchezza, gioia e sconfinata malinconia. E’ quella parte di noi che dobbiamo tentare di conoscere con tutte le ritualità dell’analisi psichica del profondo e le tecniche meditative e rituali della filosofia ermetica. E’ la nostra meta. Nostra patria, oltre le stesse ragioni del cuore.
James Hillman
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Occuparsi dei contenuti dell’inconscio forma l’uomo e determina la sua trasformazione
Carl Gustav Jung
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La semplicità simbolica del dipinto si presta a rappresentare il passaggio dall’oscurità dell’inconscio alla radiosità del giallo alchemico. Le figure che donano fiori, rappresentano un mutamento essenziale, la tenebra dell’angoscia ha ceduto il passo alla luminosità, seppure inconsapevole. Finalmente la stagnazione ripetitiva del dolore si è rovesciata in una luce ricolma di armonia
Filed under: Anima ed eredità psichica, Arte, Emozione, Inconscio, Psiche | Tagged: alchemico, angoscia, Il sogno, Inconscio, luminosità, mutamento, oscurità, Pierre Puvis de Chavannes, radiosità, Tenebra | 8 Comments »
In realtà giorno per giorno noi viviamo ben oltre i confini della nostra coscienza; la vita dell’inconscio procede con noi, senza che ne siamo consapevoli. Quanto più domina la ragione critica, tanto più la vita si impoverisce; quanto più dell’incoscio e del mito siamo capaci di portare alla coscienza, tanto più rendiamo completa la nostra vita
Carl Gustav Jung
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Le fiabe o le leggende descrivono elementi inconsci significativi nella psicologia collettiva come il sogno illustra quelli di rilievo individuale
Luigi Zoja
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Il Mercurio “Filosofico” , che agli alchimisti sta particolarmente a cuore come arcana sostanza trasformante, rappresenta evidentemente quella proiezione dell’inconscio, che interviene ogni qualvolta l’intelletto indagatore si occupa con insufficiente autocritica di una grandezza ignota.
Carl Gustav Jung
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Solo dopo che l’alchimia mi fu divenuta familiare capii che l’inconscio è un processo e che la psiche si trasforma o si sviluppa a seconda della relazione dell’Io con i contenuti dell’inconscio.
Carl Gustav Jung
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Anche le figure dell’inconscio sono “prive di informazione” e hanno bisogno dell’uomo o del contatto della coscienza per raggiungere la “conoscenza”
Carl Gustav Jung
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Questa immagine rappresenta il momento della “battaglia” con l’Ombra personale.
Lo sguardo di Edipo fisso sulla Sfinge rappresenta il tentativo disperato dell’Io cosciente di osservare i contenuti incomprensibili dell’inconscio, simbolizzati dalla Sfinge. Il mito racconta della vittoria di Edipo che, proprio in seguito a questo successo, finirà per accoppiarsi inconsapevolmente con la madre e, quindi, procurerà a se stesso un destino di disperazione che culminerà nell’autoaccecamento. A dimostrazione del fatto che l’Io non potrà mai, da solo, vincere sull’Ombra, a meno che non venga a patti e tenga conto della sua forza immane. La Sfinge qui ha tutte le caratteristiche del femminile-lunare che solo in apparenza può essere sottomessa dal maschile. L’Ombra non va messa in vincoli e negata, bensì osservata in tutta la sua potenza ed una volta presa la consapevolezza di tale energia psichica, bisogna tentare di stabilire un contatto. Questa “impresa” è “fare anima”, nel senso in cui lo intendono James Hillman, Luigi Zoja, Francesco Donfrancesco e Carla Stroppa, ovvero la “coltivazione” di quel territorio intermedio tra conscio e inconscio.
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Filed under: Amore, Anima ed eredità psichica, Emozione, Inconscio e Magia – Psiche | Tagged: Amore, Edith Piaf, Inconscio, La Vie En Rose, Magia | 3 Comments »
Quanto più dell’inconscio e del mito siamo capaci di portare alla coscienza, tanto più rendiamo complessa la nostra vita.
La ragione, se sopravvalutata, ha questo in comune con l’assolutismo politico: sotto il suo dominio la vita individuale si impoverisce
Carl Gustav Jung
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Questo dipinto è la dimostrazione di come gli artisti utilizzino formule iconografiche che traducono visivamente il pathos dell’antichità, stabilendo un rapporto, quasi sempre inconsapevole, con cristallizzazioni di antiche energie psichiche presenti nella memoria colletiva. Questi angeli della notte ripercorrono alcuni passi di Giamblico e non c’è la minima prova che, de Nuncques, l’abbia mai letto. E’ precisamente il momento in cui il filosofo parla agli “Angeli che non parlano”. Sono figure della notte-inconscio e qui sembrano perfettamente “riportate” allo spazio conscio proprio dalla terra di Mnmosyne collettiva.
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Il Re-bis è il perfetto equilibrato fra uomo e donna, tra conscio e inconscio, tra caos e ordine, tra istinto e razionalità.
E’ l’altissimo androgino. E’ sopratutto quello che Jung chiama il Sè, ovvero il Verdeggiante della 18a Sura del Corano.
E’ il Cristo ermetico. E’ il “centrato” ovvero colui che sta al mezzo della caverna iniziatica, l’Utero della Grande Madre, dei due fiumi, dei due mari, dei due mondi.
E’ il realizzato
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Cari e gentili amici, siamo arrivati al quarto ed ultimo appuntamento con lo speciale dedicato alla sensualità e sessualità di Inconscio e Magia – Psiche. Questa appassionata lirica aprirà la puntata in onda il 26 aprile (nella notte tra domenica e lunedì) alle ore 2:30 circa su Rai 2. Lasciamo parlare il corpo attraverso i palpiti rinnovati nel ricordo di Costantino Kavafis (1863-1933):
Ricorda, corpo…
Ricorda non solo quanto fosti amato, corpo,
non solo i letti sopra cui giacesti,
ma anche quei desideri che per te
brillavano negli occhi apertamente,
tremavano nella voce – resi vani
da qualche impedimento casuale.
Ora che tutto è parte del passato,
è come se ti fossi concesso
anche a quei desideri – ricorda il brillare
negli occhi volti verso te,
tremare nella voce, per te,
ricorda, corpo.
Vi auguro una felice domenica. Un abbraccio!
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Cari, ecco una storia terribile. Moralismi e perbenismi sono i protagonisti. Ha coinvolto Pietro, e come al solito, la sessualità “divergente” viene colpita appunto perché “colpa”. Che strazio!
Carissimo Prof. Gabriele La Porta,
Riguardo ai cavalli rappresentanti l’uno la nostra parte razionale e l’altro la nostra parte passionale che devono essere guidati da Sophia affinché si venga a creare un’armonia le racconto una storia vera e dolorosa per me.
Una donna di 34 anni, molto vicina a me sentimentalmente, nei suoi ultimi anni ha faticato molto per controllare la sua parte passionale, che se da una parte la stimolava a perseguire la bellezza della vita, dall’altra le creava un disagio sempre più insostenibile. Il suo conscio reprimeva la sua passione, impedendo ogni manifestazione normale, fino a quando l’inconscio si esprimeva in una esplosione comportamentale giudicata indecente dalle persone. Inevitabilmente a tal punto veniva ricoverata per mesi in psichiatria.
Alla fine, la scorsa estate, si è tolta la vita. Lei sapeva di questo suo comportamento e delle paure che aveva nel rapportarsi con gli altri soprattutto quando era presente il desiderio erotico. La manifestazione di questa sua passione non era gestita bene da Sophia, ma anche l’altra passione, quella dell’amore nel più ampio significato del termine, non si armonizzava con la parte razionale. Soltanto che la parte più manifesta, quella erotica, nascondeva agli occhi della gente (genitori inclusi) la sua grande capacità di amare.
Dopo tanti tentativi di suicidio la scorsa estate ci è riuscita. Forse aveva capito che nessuno era in grado di aiutarla a superare il suo vero problema, classificandola soltanto come malata sessuale.
Aveva capito che Sophia non riusciva ad armonizzare passione e razionale ed ha preso questa difficile decisione.
La sua parte cosciente ha capito che la sua anima non riusciva a trovare un equilibrio oppure l’ha capito la sua anima.
A me sembra un segno di una grande intelligenza e di sensibilità dell’anima.
Cosa è stato scritto, in filosofia, riguardo questo aspetto, questa coscienza di sé che prende una tale decisione estrema?Cordiali saluti.
Pietro
Caro Pietro, la storia che ci hai raccontato è la cronaca di una sconfitta. Il perbenismo è, questo sì, una iattura. Povera creatura… povera Ninfa.
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In realtà, giorno per giorno noi viviamo ben oltre i confini della nostra coscienza; la vita dell’inconscio procede con noi, senza che ne siamo consapevoli. Quanto più domina la ragione critica, tanto più la vita si impoverisce; ma quanto più dell’inconscio e del mito siamo capaci di portare alla coscienza, tanto più rendiamo completa la nostra vita.
Carl Gustav Jung, Ricordi Sogni Riflessioni, citato in Gabriele La Porta, Dizionario dell’Inconscio e della Magia, Sperling & Kupfer, 2008.
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Alla fine del 1585 Giordano Bruno è a Parigi (vedi articolo precedente) e scrive Arbor philosophorum, Figuratio aristotelici phisici auditus, Dialogi due de Fabricii, Mordentis prope divina adinventione, 120 Articuli adversus Peripateticos. Opere con una unica linea conduttrice, la diffusione capillare dell’“arte” e dei princìpi esoterici a essa sottintesi. Anzi, Bruno diventa sempre più “scoperto” e manifesto nelle sue intenzioni. A Cambray sostiene una pubblica disputa contro gli aristotelici, di qualunque tendenza. Insomma il nolano non fa differenze tra cattolici e protestanti, ma tra uomini aperti alle nuove conoscenze, alla tanto vagheggiata unità, e quelli protesi alle “chiusure accademiche”, disposti sempre a trovare differenze e contrasti, per questo tendenti alla prevaricazione e alla guerra (Eugenio Garin ha ampiamente dimostrato, nel suo Umanesimo italiano, come anche Pico della Mirandola condividesse in precedenza tali posizioni, arrivando alla formulazione di un uomo europeo dal destino «comune» per la creazione di un paese «unitario»).
Ancora una volta l’ingenuità del filosofo è sconcertante, infatti esce allo scoperto proprio nel momento in cui i suoi protettori, vicini a Enrico di Navarra, sono caduti in sospetto presso le autorità ecclesiastiche. Qualche mese prima il Guisa ha addirittura accusato Enrico III di eresia con il Manifesto di Peronne, e il cardinale di Lorena ha condannato come “nemico di Iddio” ogni seguace del “partito dei Navarra”. Sarebbe stata ancora una volta più auspicabile una maggiore prudenza, ma Bruno si considera propugnatore di un nuovo modello di vita, consiglia a tutti di rappresentare pittoricamente le immagini della memoria, crede ciecamente nella efficacia di tali pitture, e quindi non può attendere. Le conseguenze sono le solite: deve fuggire (F.A. Yates, Giordano Bruno, cit., pag. 318 e segg.).
Nel 1586 arriva in Germania, a Wittenberg, dove s’immatricola nello Studio e dove ottiene una pubblica lettura di filosofia.
Malgrado le difficoltà, le ingiurie, le accuse di magia, forse di stregoneria, le ostilità dei fanatici religiosi, l’ex domenicano raggiunge subito una posizione pubblica di grande prestigio. E dunque evidente, tali incarichi lo attestano, l’esistenza di una rete segreta di amicizie, anche ad altissimo livello sociale. Qualcuno ha addirittura ipotizzato una specie di congrega con rituali e clausole simili alla massoneria; forse è una esagerazione, ma certamente si deve supporre la realtà di persone unite da una ideologia, che permettesse di superare le barriere di nazionalità e di religione (Lucio Battistini, Società e sette segrete nella Europa rinascimentale, Del Graal, pag. 75 e segg.).
Ed ecco infatti una serie di pubblicazioni: De lampade combinatoria, De progressu et lampade venatoria logicorum, Artificium perorandi, Animadversiones circa lampadem lullianam, Lampas triginta statuarum, volumi da considerare quale ideale continuazione del De umbris. In essi Bruno conferma di voler diffondere una scienza, quella della memoria combinatoria, ricalcata in parte da Agrippa e da Lullo, per edificare una nuovissima umanità, capace di elevarsi al di sopra dei tempi presenti, corrosi dall’odio, per costruire un universo di tolleranza e di sapienza (in effetti Bruno ormai cerca «lo scopo definitivo»: ristrutturare l’umanità. Le sue immagini sono sempre più indicate quale mezzo per una modificazione intellettuale. Segni e colori dovrebbero sortire l’effetto di totale sconvolgimento psichico, al di sopra della volontà dell’osservatore, agendo, secondo le intenzioni del filosofo, a livello inconscio).
I tempi si fanno però durissimi; prevale la fazione religiosa opposta a quella più “permissiva” che gli consentiva di tenere lezioni davvero poco ortodosse. Deve di nuovo ripartire, ma prima pronuncia l’Oratio Valedicatoria, con cui si accomiata dallo Studio e dai suoi studenti. È un momento di grande effetto, non nuovo alla tempra di Bruno. In una sala con le guardie alle porte, pronte anche all’arresto, tra insegnanti colmi di risentimento, in mezzo a un pubblico eterogeneo, composto soprattutto da popolani accecati dal fanatismo religioso, il piccolo filosofo avanza deciso e osservando gli studenti esordisce: «A voi spiriti tolleranti, dagli occhi nuovi, è diretta questa orazione per tempi diversi».
Una vera provocazione, accompagnata da un tono durissimo della voce, e una precisa intenzione di non cedere a quello che per lui è un ennesimo sopruso. Eppure l’Oratio è uno dei più bei documenti del tardo Rinascimento, dove convergono due elementi fondamentali: l’irripetibilità della coscienza capace di autodeterminarsi e la fondamentale bontà dell’uomo aperto alla ricerca, qualunque essa sia. Quando Bruno termina seguono momenti di silenzio, poi è una esplosione di applausi: sono i suoi alunni presi da una autentica frenesia da ammirazione. I suoi nemici nulla possono e devono lasciarlo partire (Francesco De Cristofanis, “L’ermetismo come piaga”, L’Astrale, maggio 1975, pag. 23).
C’è una precisa differenza, continuamente riproposta, tra studenti e corpo accademico. Bruno riuscirà sempre a trascinare con sé i giovani, mai gli insegnanti, soprattutto gli umanisti di grammatica. Lo stereotipo dell’insegnamento aristotelico e una barriera incessantemente eretta contro di lui. Un ostacolo di prevenzione e di ostilità mai superata (F.A. Yates, Giordano Bruno, cit., pag. 240 e segg.). Odi viscerali lo perseguitano, dovunque, quasi un invisibile tentacolo, prima o poi stringente sino al soffocamento. In antitesi c’è l’amore dei giovani, una considerazione sconfinata, come una idolatria, priva di qualsivoglia critica razionale. Un abbandono emotivo che consentirà al filosofo di avere seguaci fedelissimi e devoti sino al sacrificio (Mario Spini, Note bruniane, Edizioni del Labirinto, pag.55).
Nel marzo del 1588 l’italiano è a Praga dove conosce Rodolfo II. È un incontro fondamentale per entrambi, decisivo per il re, Rodolfo è un appassionato esoterista, ha conosciuto i massimi maestri contemporanei dell’ermetismo ed è felice di poter parlare con il “mago di Nola”, la cui fama è ormai diffusa in tutta Europa. Nel palazzo che prende nome dallo stesso re avviene uno dei dialoghi più suggestivi di quell’epoca. “Ritorno a Platone”, così lo definisce il Turnejser, fedelissimo al filosofo, forse accecato dall’amore. Ugualmente, al di là dell’enfasi, Rodolfo muterà di fatto la intelligenza che può divenire universale, di una memoria edificata sul modello dell’universo, di una immaginazione dilatata sino alle stelle, alle idee eterne e infinite, presenti nella “mente di Dio” (De umbris idearum e Cantus circaeus, Atanòr, cura di G.L.P, “Introduzione” pag. 24 e 27).
Il principe è come folgorato. Da questo momento farà ricercare tutti i testi di alchimia esistenti, i compendi di ermetismo, i testi neoplatonici, costituendo una biblioteca unica nel suo genere. È una sorta di malia. Da un punto di vista prettamente culturale è un evento foriero di grandi iniziative, sia per la filologia, sia per il nascente sperimentalismo. Politicamente provocherà l’isolamento progressivo di Rodolfo; alla sua morte si scatenerà la lotta per l’investitura che finirà per precipitare l’Europa nella guerra dei trent’anni. (F.A. Yates, L’Illuminismo dei Rosacroce, cit., pag. 65 e segg., dove è esaminata la cosiddetta “questione di Praga”, con la relativa defenestrazione degli ambasciatori della Lega cattolica. I boemi, abituati allo spirito di tolleranza e alle aperture religiose e filosofiche di Rodolfo, non potevano accettare l’idea di essere governati da un fanatico cattolico. «Il problema fu per breve tempo rinviato con l’elezione all’impero e alla corona di Boemia del fratello di Rodolfo, Mattia, vecchio e inetto, che morì presto a sua volta, e dopo di lui non fu più possibile rimandarlo. Le forze della reazione si stavano raccogliendo. Solo pochi anni di tregua vi sarebbero stati prima della ripresa delle guerre di religione. Il candidato più prossimo all’impero e al trono di Boemia era l’arciduca Ferdinando di Stiria, un Asburgo fanaticamente cattolico, educato dai gesuiti e risoluto a sgominare l’eresia. Nel 1617 Ferdinando di Stiria diventò re di Boemia. Fedele alla sua educazione e alla sua natura, egli pose immediatamente fine alla politica di tolleranza religiosa di Rodolfo» (F.A. Yates, op. cit., pag. 23). Questi motivi spinsero i boemi a nominare nel 1619 Federico del Palatinato legittimo successore di Rodolfo, di cui condivideva gli interessi esoterici. Non a caso era stato in Inghilterra e aveva conosciuto gli stessi nobili fedeli all’ermetismo bruniano. L’elezione finirà nel disastro della battaglia della Montagna Bianca, e la perdita della libertà per i boemi e i moravi. Fornirà inoltre l’occasione per la guerra dei trent’anni. Molti storici fanno risalire al mancato intervento dell’Inghilterra, a fianco del Palatinato, la vera motivazione della sconfitta e della futura interminabile guerra. I nobili elisabettiani di ispirazione ermetica avevano infatti consigliato re Giacomo di entrare nello scontro.)
Fondata una biblioteca ermetica, stabiliti due corsi allo Studio, creata una rete di fedeli allievi, Bruno si muove ancora. Le motivazioni non sono quindi da ricercare in un ambiente ostile e respingente, bensì nell’esigenza del filosofo di cercare altri da sensibilizzare alla sua visione teorica e pratica dell’uomo e del suo compito sulla Terra.
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Cari amici, domani sera, 8 luglio, sarò a Polignano a Mare (BA) per la presentazione del mio Dizionario dell’Inconscio e della Magia, in piazza dell’Orologio, in occasione della rassegna Festival…il libro possibile-A Sud tra mare e parole.
Vi auguro una felice serata. Con affetto!
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Gentili amici, questa sera sarò a Lovere (BG), uno dei borghi più belli d’Italia, un luogo incantato sul magnifico Lago d’Iseo, per la presentazione del mio ultimo libro, il Dizionario dell’Inconscio e della Magia, edito dalla Sperling & Kupfer, presso la Libreria Mondadori di piazza Tredici Martiri, alle ore 21:00, nel corso della nuova edizione di “Happy hour con l’autore, reading in piazza”.
Auguro a tutti voi un piacevole fine settimana!
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Oggi sono a Prato a presentare il libro di Enrico Cheli “Percorsi di consapevolezza”. Sarà presente l’autore, a seguire, presenterà il mio “Dizionario dell’inconscio e della magia”.
L’appuntamento è presso l’Auditorium per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci”, v.le della Repubblica 277 a Prato, ovviamente.
L’ingresso è gratuito.
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UN GRANDE AMORE, IL TEMPO E LA GIOVINEZZA.
DUE SCOMPARSE MISTERIOSE
(Parte III)
La luna adesso è ancora più vicina, sembra abbracciare i due amanti che quasi si compenetrano in uno slancio di puro reciproco abbandono. Ugualmente il tempo lascia cadere i suoi attimi gli uni dentro gli altri per formare il lento giro delle ore, fino alla luce lontana che annuncia il nuovo giorno.
«Dio, non mi hai ascoltata!» pensa Donata tremante. Adesso i singhiozzi scuotono il suo bel seno rigoglioso a suscitare commozione nel nobiluomo. Ma per ben altri motivi. Ancora terribili addii si muovono spaventosi nei ricordi. Incancellabili come soltanto le cerimonie funebri possono esserlo. Una, due, cinque, venti. Quanti cortei di morte ha visto? Innumerevoli. Cambiano le città, le persone, i vestiti. Rimangono solo quelle processioni ammantate di dolore. Perciò si era imposto di non amare più. E aveva mantenuto la parola per molto tempo. Fino a lei. A quell’esserino tutto abbandono e sensualità che l’ha imprigionato in una storia senza fine. O meglio, dal finale obbligato, purtroppo.
La Stati alza il volto per imprimersi nella mente gli occhi celesti di lui come gemme incastonate nella collana dei pensieri. Da ora, per sempre.
Poi si scuote: «Occorre andare,» sussurra, «non puoi far tardi rispetto a quel… quel…».
Non trova le parole, ma altre lacrime.
«Non ti preoccupare,» le sussurra il conte. «C’è qualcun altro che deve rammaricarsi e non lo sa, purtroppo per lui.»
Ancora una volta una scossa nella testa di Donata. Quel momento perduto riaffiora. Un decimo di attimo. Poi più nulla. La protezione inconscia ha funzionato ancora.
II chiarore si fa strada nella notte sconfiggendo negli angoli più riposti il manto del buio. II nobile si è vestito. Con cura. Poi finalmente ha preso la spada. Se l’è cinta con mossa rapida di chi è abituato alle armi. Quindi si volta nella stanza. Sta per salutare la sua diletta, ma la trova vestita: «Ti prego, non mi lasciare. Ne morirei».
Sente che è vero. Quel soffice grumo di passioni potrebbe davvero spezzarsi. E sarebbe così inutile. Così assurdo. Ma non può spiegarle quanto e come sia sciocco stare in pensiero. Quindi non può fare a meno di acconsentire. Contrariamente a tutte le regole, la conduce al duello.
«È inteso,» le spiega, «che non potrai muoverti dalla gondola. Osserverai dal mare. Anche perché il mio incontro, chiamiamolo così avverrà davanti alla basilica, di fronte all’imbarcadero. E ti supplico: non stare in pensiero.»
La osserva, ascolta dalla sua pelle, dalle sue fibre, dalle pupille travagliate, quanto lo ami. È felice, perché adora quella sincerità animale. Vera più di mille parole. Nel contempo una tenebra cupa torna a gettare panico nel suo sentimento più riposto.
«Non ti abbandonare,» sussurra una parte di lui, «all’amore che avvampa. Non ricordi? Quanto vuoi soffrire ancora? Lasciala, lasciala, lasciala.»
Si ritrae con un passo indietro. La osserva in tutta la figura. Tenue, malgrado il corpo bello e forte. Sottile nel sentimento di totalità che gli porta. Così un fortissimo rifiuto si fa strada nel suo io più lontano. Un «no» imperioso che abbatte tutte le difese. Accetta quella tenerezza. La ricambia. Ne è invaso. Non vuole rinunciare.
Donata sente un calore avvampante che emana dal corpo di lui. Gli occhi celesti sembrano fiaccole del tempo. C’è un vortice in quelle pupille. Forse qualcosa di pericoloso si annida negli abissi oculari. Ma non importa. Non capisce bene. Anche intuendo una minaccia, si lascia trasportare. Si allaccia a lui. Vuole averlo un’ultima volta. Forse una lama tra poco gli strapperà la vita, ma ora le spire dei palpiti sono più forti e quella stessa vita reclama, scalpita, urla il suo diritto all’amore.
«Vorrei stare insieme.» Così gli dice con gli occhi chiusi. Che si arresti dunque il tempo.
Così è. II conte prende quel groviglio di attese e speranze vicino alla finestra. Vestito. Come nei giochi d’amore che mille e mille volte hanno fatto.
«Mi piace che sei serio,» gli ha sussurrato in centinaia di rapporti. «Mi eccita che sei vestito con la giacca mentre mi prendi di spalle.»
Anche ora avviene quel dolce struggimento. Poi è il momento di terminare l’incanto. Ma questa volta il nobile non si tira indietro. Per la prima volta in due anni accetta di fluire in lei. Donata avverte la vita scorrerle nel profondo del corpo. Intuisce che quell’uomo è suo. Totalmente. Sì, il leggendario nobiluomo, vincitore su legioni di cuori, è in suo possesso. Finalmente. Una gioia senza pari la inonda. Poi un lampo crudele le schianta la mente. Un guerriero bestiale le è balzato nell’immaginazione. È il marchese Veniero con il suo fioretto. Lo vede con gli occhi della mente e lancia un grido. Ora ha tutto. Tra breve, nulla.
Si sente mancare. Trova ugualmente nel suo essere energie impensabili. Si distacca. Osserva l’uomo che è tutta la sua vita e mormora flebilmente come una piuma: «Andiamo».
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Sto partendo, vado a Verona. Starò fuori fino a domenica.
A lezione spiegherò il rapporto tra processi alchemici e processi chimici secondo Jung. E inoltre, affronterò la connessione tra i pianeti dello Zodiaco e gli stati profondi dell’Inconscio, secondo Marsilio Ficino. Quindi, se avrò tempo, inviterò a vedere tutti insieme il film “Lars, una ragazza tutta sua”. E’ la traduzione artistica della parola greca EPISTAMAI, ABITARE LO STESSO SPAZIO PSICHICO.
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Inconscio (1)
Solo dopo che l’alchimia mi fu divenuta familiare capii che l’inconscio è un processo, e che la psiche si trasforma o si sviluppa a seconda della relazione dell’Io con i contenuti dell’inconscio.
Carl Gustav Jung, Ricordi, Sogni, Riflessioni, Rizzoli, 1998, pag. 254
Inconscio (2)
… Occuparsi dei contenuti dell’inconscio forma l’uomo e determina la sua trasformazione.
Carl Gustav Jung, Ricordi, Sogni, Riflessioni, Rizzoli, 1998, pag. 268
Inconscio (3)
Anche le figure dell’inconscio sono “prive di informazione” e hanno bisogno dell’uomo o del contatto con la coscienza per raggiungere la “conoscenza”.
Carl Gustav Jung, Ricordi, Sogni, Riflessioni, Rizzoli, 1998, pag. 362
Inconscio (4)
Mai e in nessun luogo l’uomo ha dominato la materia, se non ha osservato esattamente il suo comportamento e spiato con la massima attenzione le sue leggi. E solo in quanto lo abbia fatto, può dominarla in ugual misura. Così stanno anche le cose con quello spirito che oggi chiamiamo inconscio: esso è restio come la materia ed altrettanto misterioso ed evasivo: e obbedisce a “leggi”, che, per la loro inumanità e sovranità e sovraumanità, per lo più ci appaiono come un crimen lesae maiestatis hunamae. Quando l’uomo pone mano all’opus, egli ripete, come dicono gli alchimisti, l’opera creatrice di Dio. Andare incontro all’informe, al caos del mondo di Tiamat è infatti un’esperienza primordiale.
Carl Gustav Jung, Spirito Mercurio, in Studi sull’alchimia, Bollati Boringhieri, 1988, pagg. 265-266
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Emozione (1)
… L’emozione infatti è la fonte principale della presa di coscienza. Senza emozione non c’è trasformazione delle tenebre in luce, dell’inerzia in moto. […] Un complesso è realmente superato soltanto quando lo si è consumato vivendolo fino in fondo…
Carl Gustav Jung, citato in John Weir Perry, Emozioni complessi relazioni, in AA.VV., Anima – Per nascosti sentieri, Moretti e Vitali, 2001, pag. 186
Emozione (2)
Queste profonde emozioni viscerali, del fegato, dei genitali, del cuore, queste risposte del sangue animale ci tengono in sintonia, in contatto con il mondo che ci circonda, con la sua bellezza… questi divini influssi, come Blake chiamava le emozioni, non sono nostri. Il desiderio, la rabbia, la paura e la vergogna sono echi dell’anima del mondo, il presentarsi nel mondo di qualità che danno al nostro corpo e al nostro spirito informazioni su come essere…
James Hillman, Politica della bellezza, Moretti e Vitali, 1999, pag. 64
Estasi (1)
La Luce Increata è l’Energia divina. Chi la contempla risente dapprima la presenza di Dio vivente. Questa sensazione dell’Immateriale è immateriale, intellettuale, ma affatto mentale. Essa rapisce l’uomo in un altro mondo con tanta potenza e sottigliezza che egli non si accorge del momento e non sa più se è nel suo corpo o al di fuori. Tuttavia egli ha del suo essere una coscienza più forte e più lucida, più profonda; nello stesso tempo, preso dalla dolcezza dell’amore divino, dimentica se stesso e il mondo; in ispirito, afferra l’Inafferabile, vede l’Invisibile e lo Respira.
Anonimo Maestro Spirituale, citato in Pietro Bornìa, Il Guardiano della Soglia, introduzione di Giuliano Kremmerz, Rebis, 1987, pag. 19
Estasi (2)
L’innamoramento si può a buon diritto considerare un’estasi, nel senso letterale, fisico-dinamico della parola, come ek-stasis, in quanto disloca il già dislocato, le due opposte tinture maschile e femminile, facendo intravedere al di là della loro opposizione l’androgino, il maschile nel femminile e il femminile nel maschile e la loro reciproca fusione.
Franz von Baader, Filosofia erotica, Rusconi, 1982, pag. 29
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Desiderio
Devo dire che mi piace questa etimologia della parola “desiderio”, in latino desiderium, un’etimologia forse discutibile, forse incontrollata, che dice che il desiderio, desiderium, sarebbe per l’appunto un modo di non essere più siderati, folgorati, di uscire dalla “siderazione”. Il desiderio sarebbe una de-siderazione: desiderium, da de-siderari. L’inconscio, effettivamente, o piuttosto il rapporto con l’inconscio, può essere folgorante, paralizzante e senza divenire. Ma può anche aprire all’esperienza di un mondo attivo, autonomo, animato…
Christian Gaillard, Malinconia e prospettive, in AA.VV., Anima – Per nascosti sentieri, Moretti e Vitali, 2001, pag. 22
Destino (1)
Dobbiamo andare oltre l’Io, nelle profondità dell’inconscio, perché è lì che si trova l’anima e, se questa è malata, deve essere purificata. Ammettiamo che riusciamo a sintonizzarci col dramma che si svolge nel profondo e vi scopriamo che le trame sono veramente orribili. È concesso cambiare trama? In altre parole possiamo cambiare il nostro destino? La risposta non può essere univoca. Certamente il destino è immutabile, come non si può alterare il cammino dei pianeti nella loro orbita, ma possiamo cambiare noi stessi in modo da favorire la sua realizzazione, invece di contrastarla. La tensione, le nevrosi, le malattie si sviluppano proprio perché ci si oppone alla propria sorte. Smetti di contrastare la sua trama ma piuttosto prendine parte, abbelliscila, rendila manifesta nel comportamento quotidiano: diventa attore del dramma, aggiungici qualche nuovo ingrediente e tutto comincia a cambiare.
Albert Kreinheder, Il corpo e l’anima, Moretti e Vitali, 2001, pag. 104
Destino (2)
Ecco, quindi, cos’è il destino: semplicemente il realizzarsi delle potenzialità insite nelle energie del nostro stesso sistema. Le energie sono impegnate in un certo modo ed è quell’impegno a venire verso di noi.
Joseph Campbell, Riflessioni sull’arte di vivere, Guanda, 1998, pag. 19
Dimenticare
Quando dimentichiamo qualcosa, si tratta di oblio o di assorbimento? – si domandava Emily Dickinson. Quando un nuovo pensiero, un sentimento, un concetto ci si presenta, noi non possiamo dimenticarcene o ignorarlo. E quando lo abbiamo lasciato entrare, o abbiamo accettato di vivere in sua compagnia, può darsi che quello non voglia essere una preoccupazione. Sarà dimenticato, ma non esiliato nell’oblio: sarà assorbito nell’essere.
Thomas Moore, Nel chiostro del mondo, Moretti e Vitali, 1996, pag. 52
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Tutto cominciò alle cinque di un mattino del 1945, quando decisi di nascere causando interminabili doglie a mia madre. Ero grosso e quindi dopo alcune ore di travaglio, alle cinque appunto, il medico si stufa e decide di ricorrere al forcipe. Mi prende per la testa e mi tira fuori. Così facendo, però, ne esco con il cranio un po’ allungato.
Poi mi prende per i piedi, perché stentavo a respirare, ma non calcola bene le distanze e mi fa sbattere contro il lettino. Un po’ lo strumento ostetrico, un po’ l’urto, un po’ la natura, e la mia faccia non ne giovò certo. Tanto è vero che la mia povera mamma quando mi vide si impressionò e lanciò il fatidico urlo: «Non voglio vederlo, è troppo brutto!».
Be’, come inizio niente male. Finisco così da mia nonna Carla. È lei a darmi il latte al suo seno, non materno, ma “nonnerno”.
Sì, avete letto bene. È stata mia nonna ad allattarmi perché anche lei aspettava un bambino. La differenza d’età con mia madre era di appena diciotto anni e a sua volta lei mi ha partorito a diciassette. Purtroppo il bimbo di mia nonna morì dopo il parto. Per questo io riesco a succhiare al suo seno. Già questo credo sia un caso unico al mondo.
Ma c’è dell’altro.
Da questo momento in poi, in tutte le occasioni importanti della mia vita, compare il nome di questo neonato “caro agli dèi” invece del mio. Quando la RAI mi fa il primo contratto, quando scrivo il mio primo articolo per una testata, quando mi laureo, ecco che invece di Gabriele appare scritto il suo nome. Anche quando ho condotto la prima diretta è apparso in sovrimpressione al posto di quello giusto. Ci sono abituato e mi stupisco ormai quando non capita.
Come mi sono assuefatto a questa stranezza, ho affrontato con lo stesso spirito numerose altre occasioni che mi si sono via via presentate, fino al giorno in cui ha fatto irruzione, appunto, nel mio vivere quella dimensione che gli anglosassoni chiamano “brillantanza”.
Nel 1968 decido di sposarmi. Faccio le pratiche (inutile dire che devo fare i documenti due volte perché scrivono il mio nome di battesimo errato con il solito scambio) e quindi con la mia futura moglie, da cui sono oggi divorziato, decidiamo di andare a comprare le fedi nuziali.
Ci troviamo casualmente in via Nomentana a Roma e altrettanto casualmente entriamo nella prima oreficeria che incontriamo sul cammino. Al banco c’è un anziano signore. Diamo i nostri nomi e, quando dico il mio, il padrone se ne esce con un: «Lei è per caso parente di Arturo La Porta?». Gli dico di sì e lui immediatamente aggiunge: «Ma lo sa lei che suo padre e sua madre hanno comprato le fedi proprio da me?».
Quanti gioiellieri ci sono a Roma? Come ha fatto quell’uomo a ricordarsi? Perché si rammentava proprio di papà? Credo sia inutile tentare di dare una spiegazione. Come è altrettanto inutile tentare di spiegare ciò che mi accadde al Salone del libro di Torino, nel 1990.
Sono da sempre un ammiratore di Hugo Pratt. Lo incontro e sono emozionato, felice.
E non do peso al fatto che lui mi si rivolge subito con un «Ciao, da quanto tempo». Poi parliamo con grande intensità di esoterismo e al momento di salutarsi lui mi fa una dedica sul suo libro Il romanzo di Criss Kenton.
Ma invece della firma fa un disegno.
Il volto di profilo di un indiano irochese che porta un grande orecchino, con sopra incastonato un cerchio con la croce di re Salomone. Ovvero il sigillo di Geova con un agnello al centro. Ebbene io da anni portavo al collo un talismano: un pendaglio con sopra impressa la croce di re Salomone. Mi stupisco e gli racconto della “coincidenza”.
Mi guarda a lungo e sussurra: «Niente di nuovo sotto il sole». Ovvero mi cita una frase di Giordano Bruno, una delle mie preferite: io sono un biografo di questo filosofo.
Coincidenze. Come quelle che mi inducono a ventitré anni a sognare un grande portone in via Arbia a Roma. Una voce mi dice di andare. Il giorno dopo mi reco sul luogo e “casualmente” incontro un uomo che mi chiede un fiammifero per la pipa. Scambiamo due parole, ci attardiamo, facciamo amicizia e questo signore diventa determinante nella mia vita. Mi fa scoprire la filosofia emetica e tutto un universo che mi porto dentro. Mio figlio porta il suo nome, Michele.
Che in ebraico vuol dire: chi è come Dio? Per rispondere occorre un poco di “brillantanza”, come per leggere questo libro che ha un solo vero scopo. Rivelare una dimensione parallela, e spesso nascosta, della realtà. La storiografia ufficiale ha sistematicamente cancellato i ricordi del mondo magico perché giudicato irrazionale, quindi indegno di esistere. Cercheremo invece di mettere in evidenza questo universo sconosciuto e spesso perseguitato, sia a livello psichico che fisico. È un lungo viaggio verso una forma di conoscenza che si esprime con concetti non necessariamente obbedienti alla logica di causa ed effetto, ma non per questo meno potenti dello scientismo. Si avvale anche dell’intuizione, che spesso non rispetta né spazio né tempo. A questo punto, però, si rende necessaria un’avvertenza. Stiamo per entrare in un mondo femminile. Perché la magia è femminile, splendidamente femminile. Occorre intendersi su questo elemento: femminile. Per ora è importante comprendere che non si tratta di una qualità esclusivamente delle donne, ma di una facoltà dello spirito. È la tolleranza, è la capacità di abbandono e di tenerezza, è la curiosità verso il nuovo, è l’accettazione del diverso, del debole, dello straniero. È l’energia che guida il mondo. È il sentimento dolce e rutilante, forte e languido, erotico e avvampante che sussurra alle creature il mistero della vita. È la Luna, è Artemide, è Persefone, è Iside, è Ishtar, è la madre che osserva, riflette, ama e non giudica. È la nostra capacità di intendere e di comprendere, priva di pregiudizi e di rancori. È l’energia raggiante che si dispiega benevola sulle creature. È la possibilità di un mondo privo di lotte e odi. È la pace della mente e del corpo. È la follia, la conoscenza. È contemporaneamente luce e buio, notte e giorno. È la possibilità del mutamento e della trasformazione. È insomma la parte migliore di noi, che la storia della violenza patriarcale ha soffocato per privilegiare il sangue e la lotta all’estasi dell’intuizione radiosa.
Il viaggio è dunque un itinerario sia esteriore sia interiore. Nella storia vedremo dove e quando il Femminile, che correderemo di maiuscola in segno di rispetto, è riuscito a emergere o a lasciare tracce simboliche in pittura, scultura, filosofia, letteratura, poesia e politica. E una volta evidenziati questi momenti, ecco che l’itinerario diventerà anche sotterraneo, verso l’elemento psichico più recondito. Perché Femminile è anche l’inconscio, sia individuale sia collettivo. Scoprendo l’oscura trama di questo millenario movimento, faremo anche dei ritrovamenti nella nostra città interiore. Scopriremo la città dei gioielli celata tra la vegetazione del rimosso e dell’oblio. Scopriremo il tesoro perduto che non sapevamo di possedere e che invece era soltanto in attesa di una principessa che tramutasse l’orrido apparente in un folgorante essere manifesto.
È un viaggio tra folgori, lampi, acqua, squarci e vampe. Tra persecuzioni e indomite resistenze. È scoprire il sotterraneo del cuore. È ascoltare la musica che l’orecchio cupo non riusciva a percepire più.
È, insomma, Femminile.
Sognare, forse. Ma che le interiorità erranti ci siano propizie.
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Il mio ultimo testo si intitola “Dizionario dell’Inconscio e della Magia“. Entrambi, l’Inconscio e la Magia, hanno lo stesso serbatoio, ed è la profondità di Anima. Inconscio è uno dei modi in cui si chiama Anima. La Magia, che sarebbe la filosofia ermetica, e l’Inconscio condividono come un lago oscuro che è dentro ciascuno di noi. Quel lago oscuro è la nostra parte inconsapevole. L’Inconscio custodisce questo lago.
L’Inconscio e la Magia hanno in comune, inoltre, l’interiorità dell’uomo e della Donna. L’Inconscio è il contenitore, la Magia è lo strumento che studia il contenitore. L’Inconscio contiene tutti i nostri complessi, tutti i motivi irrisolti, ma anche tutta una simbologia profonda che dall’Inconscio affiora verso la parte cosciente, il Conscio. La Magia è la filosofia ermetica: decodifica i simboli. Ovverosia è lo strumento con il quale noi riusciamo a guardare i simboli che dalla nostra parte non cosciente, non consapevole entrano nella nostra sfera consapevole, mediante i sogni. Perché i sogni sono il veicolo. La filosofia ermetica vede quei simboli, li studia e dà loro significato. La filosofia junghiana, da qui l’incrocio, ha fatto di se stessa la disciplina che studia e approfondisce simboli e archetipi. Gli archetipi sono simboli ancora più potenti: prima c’è lo sfondo dell’archetipo e dagli archetipi poi nascono come figli i simboli. La Magia è lo strumento che guardando affiorare nei sogni di tutto questo riesce a dare un significato razionale e una logica che noi possiamo comprendere. L’uno non può fare a meno dell’altro. L’Inconscio è indispensabile alla Magia e viceversa. Questo dizionario vuole essere uno strumento utile per chi voglia approfondire la propria parte nascosta.
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Continuiamo il nostro viaggio, lasciandoci sedurre ed onorando
Afrodite d’oro, Dea di Cipro, che infonde il dolce desiderio negli Dei
e domina le stirpi degli uomini mortali,
e gli uccelli che volano nel cielo, e tutti gli animali,
quanti, innumerevoli, nutre la terra, e quanti il mare
dall’Inno Omerico, citato in Ginette Paris,
La rinascita di Afrodite, Moretti&Vitali, 1997
Lo scritto che segue è tratto dal Dizionario dell’Inconscio e della Magia, il mio ultimo libro edito da Sperling & Kupfer.
Afrodite
Dea dell’Amore e della Bellezza. È figlia di Urano. Nasce dai testicoli e dallo sperma di questo Dio, che fu evirato da Crono. Quando le parti amputate di Urano caddero in mare, ecco che sorse la Dea. Appena uscita dal mare fu portata dagli Zefiri a Citera e poi a Cipro. Qui l’accolsero le Stagioni (le Ore) che la vestirono splendidamente e la portarono tra gli Immortali. Afrodite è il divino che estrinseca in una sessualità dove spesso la parte razionale, il nostro ego, è travolto o quanto meno escluso. Da qui il sospetto o addirittura l’avversione delle religioni del Mediterraneo nei confronti di questa Signora madre di Eros. Suoi appellativi sono principalmente Philommeides, che vuol dire amante dei sorrisi, ma anche e soprattutto amante dei genitali. Poi anche Anasyrma, che significa Arte di sollevarsi la veste.
La sessualità e la sensualità di Afrodite sono direttamente in contatto con la nostra parte Ombra, quindi con l’inconscio. Per tale motivo tutti i culti e le cerimonie legati alle parti profonde e sotterranee di Afrodite sono state condannate non solo dai religiosi, ma da tutti i pensatori di stampo razionalista. Così come da moltissimi psicoterapeuti. Persino Platone si vede “obbligato” a scindere Afrodite in due. Quella nata da Urano è la Dea dell’Amore Puro. E quella nata da Dione (un mito tardo rispetto al primo) è la Dea dell’Amore “volgare”. Questa si chiama Afrodite Pandemia.
Nella filosofia ermetica non esiste Amore Volgare. Nella filosofia junghiana non esiste amore “volgare”. Alcuni altri nomi di Afrodite erano Peitho, colei che persuade; Porne, colei che si prostituisce; Psithiros, colei che bisbiglia; Parakyptousa, colei che sbircia.
Quest’ultimo scritto su Afrodite andrà a comporre un altro tassello dell’Alfabeto dell’interiorità. Sullo stesso tema vi consiglio inoltre il testo di Thomas Moore, Lo spirito del sesso, Sonzogno, Milano 1998.
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… continuiamo il nostro viaggio, ancora in Anima
Anima (25)
Allora capii che nell’anima, fin dalle sue prime origini, c’è stato un anelito alla luce e un impulso inestinguibile ad uscire dalla primitiva oscurità.
Carl Gustav Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, a cura di Aniela Jaffé, Rizzoli, 1998, p. 321.
Anima (26)
Jung ha sempre insistito sull’autonomia dell’anima… L’anima non è “causata” dalla natura, dalla componente ereditaria, né dall’ambiente o dall’educazione. L’anima è indipendente, autonoma, non può, o può solo in parte venire intesa attraverso le categorie di causa ed effetto.
Adolf Guggenbühl-Craig, Il bene del male, Moretti&Vitali, 1998, p. 44.
Anima (27)
L’anima… sta sempre sul confine tra il mondo ordinato in modo razionale e causale e l’altro mondo, quello trascendente, ultraterreno.
Adolf Guggenbühl-Craig, Il bene del male, Moretti e Vitali, 1998, p. 148.
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Rispondo alla richiesta di rendere disponibile dei riassunti, brevi introduzioni delle mie lezioni universitarie.
La lezione verteva essenzialmente sul concetto di Enigma di C.G. Jung:
…gli eventi inesprimibili provocati dalla regressione nell’epoca preinfantile, non vogliono sostitutivi; vogliono assumere forma individuale nella vita e nell’epoca del singolo. Quelle immagini sono nate dalla vita, dalle sofferenze e dalla gioia dei nostri predecessori e vogliono tornare in vita sia come esperienze vissute che come fatti. Il loro contrasto con la coscienza però impedisce loro di reinserirsi nel nostro mondo. Bisogna trovare il modo di gettare un ponte tra realtà conscia e realtà inconscia.
Alla luce di questo si è progressivamente entrati nella sapienza di Eraclito, antesignano della psicologia del profondo – basti citare uno dei suoi più celebri e profondi pensieri: “Mi capita di incontrare me stesso” – e nel mito di Kore e Demetra.
Esiste un collegamento tra questo mito e il cosiddetto Enigma di Jung. Il punto centrale è la necessità della trasformazione del morire in vita, di entrare in Ades e di uscire.
Per un maggiore approfondimento sul tema di Kore consiglio di Mari Ela Panzeca, Kore sprofonda negli Inferi, Moretti & Vitali.
Per Eraclito si veda la straordinaria opera in tre volumi di Giorgio Colli, La sapienza greca.
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Un viaggio che attraversa i sentieri dell’interiorità. Apre i varchi dell’Anima verso la sua componente obliata che deve “resurgere”, rinascere in un percorso unitario, sinora mai affrontato. È la via estatica della Sophia che avvicina e congiunge la conoscenza di Hermes, detta anche Magia, con la psicologia del profondo di Jung, lungo i meandri dell’antica sapienza e del mito, dell’arte alchemica, della Magia Naturalis umanistica e rinascimentale e dell’Immaginazione Creativa. Il pensiero magico, così come la conoscenza della nostra componente oscura, quella dell’Inconscio, non si realizza nell’approccio razionale, logico, ma attraverso una partecipazione mistica, una folgorazione inaspettata, un sapere che schiudendosi ci apre al mistero di noi stessi. Perché il sapere è sempre unitario. E il fine della saggezza psicologica e magica è, pertanto, una tensione dell’uomo all’interezza, una composizione armonica del sé profondo con il sé esteriore e di entrambi con il cosmo, fino al ricongiungimento con il divino. L’Anima diviene, quindi, il collegamento tra il piano umano e quello ultraterreno, individuale e collettivo, tra il nostro lato cosciente e quello inconscio, non per mezzo di tecniche disumanizzanti e castratrici ma di un profondo stato di compassione per l’altro. E ancora lungo i percorsi labirintici dell’Inconscio e dei Sogni, dei Simboli e degli Archetipi. È in questo spazio apparentemente ignoto che l’uomo mago diviene l’uomo interiore.
Simona Condorelli, Egidio Senatore
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