Teatro delle Ombre presenta “Amleto” ovvero le conseguenze della bellezza amara di W. Shakespeare

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La Danimarca come luogo dell’anima, spazio privo di connotazioni reali, sospeso in un tempo presente ma in realtà senza tempo, perché il dramma che vi si svolge ha sempre riguardato l’uomo: è l’eterno scontro tra la sua natura divina (che si esprime attraverso l’amore verso le persone care) e quella più bassa, dominata dall’istinto di sopraffazione e del gretto materialismo. Amleto percorre fin dall’inizio la strada che lo porterà ad esprimere la parte più elevata di un essere umano: egli è posseduto da un sentimento dapprima solo romantico (l’amore per Ofelia) poi sempre più puro, che raggiunge la sua perfezione e profondità nell’incontro con il padre. La figura del protagonista è poetica, idealizzante, quasi astratta: è la continua tensione verso la soglia della conoscenza di un animo umano che si manifesta attraverso la “violenza” e la “bellezza” delle parole usate. Di contro Ofelia ci appare inizialmente sotto una luce terrena, che rivela tutti i limiti e le contraddizioni della giovane donna, tuttavia non ancora corrotta dalla sociètà in cui si trova immersa e in cui sembrano manifestarsi gli aspetti più meschini della natura umana. L’amore di Amleto suscita in lei una femminilità angelicata, ma nulla può contro l’insensibilità e il cinismo del mondo che la circonda.

Quest ‘ultimo si mostra popolato di personaggi inquietanti, che incombono sui giovani con la loro smania di potere e la loro incapacità di comprendere: essi rappresentano la perdita dell’innocenza, lo scoglio su cui si infrangono i sogni di ogni essere umano. Da una parte Amleto e la sua profondità e dall’altra caratteri ed ombre che lo contrastano.

Amleto quindi è costretto ad essere l’elemento di rottura all’interno dell’opera sia nella dimensione ideale che in quella sociale in senso negativo. La sua ambiguità e l’abilità nel crearsi realtà alternative con cui giocare a suo piacimento gli permettono di sovvertire l’ordine razionale per ricostruirlo nell’animo dell’interlocutore. È l’animo dell’attore, di colui che si crea la propria scena dando vita alle emozioni proprie e degli altri.

Note di regia

Otto attori: voci, stati di coscienza, visioni, si intrecciano e si moltiplicano in un gioco di specchi abitando la scena come proiezioni di una mente sconvolta, tormentata dal dubbio e dalle possibilità.

Lo sguardo di Amleto deforma la realtà come un quadro di Picasso, come una musica antica e nota che venga alterata e distorta. La poesia si alterna alla comicità, con omaggi all’avanspettacolo, richiami cinematografici, citazioni di grandi maestri del teatro. Infatti è possibile rintracciare echi di Carmelo Bene, di Leo De Berardinis, di Pina Bausch.

Uno studio sulla storia dell’arte a 360 gradi: il palcoscenico grazie ai tulle viene diviso in tre parti. La parte più profonda della scena, vive atmosfere caravaggesche, chiaro-scuri dove l’incisività del gesto diventa protagonista, la parte centrale della scena invece è immersa in atmosfere espressioniste, dove oltre al colore anche il movimento diventa il fulcro dello spettacolo. Sul proscenio le atmosfere acide create dalle luci, evocano un mondo crudele, in cui il personaggio è vittima di se stesso e del sistema che lo circonda.

Decidere di mettere in scena”Amleto”, è stato come guardarsi allo specchio e nel profondo dell’animo. Amleto, ti sfida e davanti ad Amleto non potavamo barare, perché tutto il suo “essere” ti guarda negli occhi, ti mette a nudo, e, il suo “non essere” riguarda la vita, l’amore, l’arte che da sempre lo rappresenta:

il teatro.

Lo spettacolo è un insieme di vocalità e coreografie, infatti il nostro intento è la ricerca quasi ossessionante della musicalità vocale e della coralità del movimento.

Siamo partiti infatti da delle improvvisazioni, è stato fatto un percorso per ogni singolo attore, c’è stato un lavoro profondo per permettere ad ogni attore di esprimere il meglio di sé, per integrarsi al meglio con gli altri attori con cui condivide la scena.

Attraverso questo percorso, il nostro intento è quello di arrivare “all’evento”, non al semplice spettacolo.

Un altro punto su cui è stato fatto un lavoro enorme è l’uso del microfono: abbiamo deciso infatti di utilizzare il microfono per sottolineare meglio alcuni passaggi dell’opera; quindi, anche qui, l’utilizzo del microfono non per amplificare la voce, ma, per sottolineare degli stati d’animo essenziali.

Abbiamo pensato di ambientare questo “Amleto” in un luogo post-atomico, gli attori si muovono come in una coreografia di danza contemporanea, ogni movimento, ogni gesto è proprio dell’attore che lo interpreta, ed ogni attore è il completamento dell’altro.

La struttura contiene all’interno, tutto ciò che è bello per me: di quella bellezza amara di Rimbaud, la bellezza terribile, pericolosa, che troviamo nel sublime, per cui anche la tragedia è bella.

La profondità, che porta a vedere veramente le cose. Lo spettacolo sarà un viaggio di coscienze (attori e spettatori), in uno spazio vuoto, scomposto in tanti piani dalle luci, e da dei corpi danzanti con la loro voce-suono. Nel filo conduttore musicale, che spazia dalla musica classica al rock, le nostre voci si inseriscono come contrappunto con le parole del drammaturgo più grande di tutti: William Shakespeare.

Informazioni

Regia: Daniele Scattina

Regista assistente: Enzo Masci

Attori: Astra Lanz, Federica D’Aversa, Roberta Marcucci, Romeo Cirelli, Simone Destrero, Gaetano Lembo, Pietro Naglieri, Goiacomo Rosselli, Daniele Scattina

Corpo scenico: Ludovica D’Auria, Valeria Iovino, Chiara Lorusso, Clarissa Rollo, Vittorio Magazzù Tamburello

Teatro Vascello, via Giacinto Carini 78, Roma. Martedì 31 maggio e mercoledì 1 giugno, ore 21.

Info e prenotazioni: Tel. 06 5881021 – 06 5898031

Biglietti: Intero €20, ridotto €15, ridotto studenti €10

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Cinema: “Seconda primavera”di Francesco Calogero verrà presentato questa sera a Roma al Cinema Farnese Persol

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Questa sera, alle 20,30, a Roma al Cinema Farnese Persol in Piazza Campo de’ Fiori, il regista Francesco Calogero e il cast presentano il film “Seconda primavera”.  La storia, ambientata a Messina, si svolge nell’arco di sei stagioni, durante le quali si intrecciano le vicende di quattro personaggi. “La divisione in capitoli – spiega il regista – evidenzia non solo come il nostro modo di attraversare la vita cambi col passare degli anni, ma anche come possa essere mutevole la nostra capacità di interpretazione di una realtà che è spesso contadittoria , e soggetta al gioco del fato”. L’architetto cinquantenne Andrea (Claudio Botasso), cercando acquirenti per la sua villa al mare,  conosce l’anestesista Rosanna, sposata con Riccardo, aspirante scrittore di dieci anni più giovane di lei. Durante la notte di Capodanno, Andrea si reca alla festa di un ristoratore tunisino al quale dovrebbe ristrutturare l’attico. L’uomo ha una sorella, Hikma,  che  aveva colpito l’architetto per la somiglianza con la moglie Sofia, morta quattro anni prima nella villa che ha messo in vendita. La ragazza non attrae solo lui, ma anche Riccardo che, avendo litigato con Rosanna, è andato alla festa con Andrea. I due ragazzi passano la notte insieme e lei resta incinta. Con grandi difficoltà decidono di stare insieme e Andrea vuole aiutarli. Aiuta Riccardo a trovare un lavoro, che nel frattempo ha perso quello da commesso e si è separato dalla moglie, e li invita a vivere con lui nella sua villa al mare per risparmiare sull’affitto. Ma ogni giorno che passa, Hikma gli ricorda sempre di più Sofia. In un crescendo di tensioni e di nostalgie mai sopite, Andrea, che si era rassegnato a vivere un’esistenza senza slanci, riscopre la bellezza di lasciarsi sorprendere dalla vita, entrando in una “Seconda primavera”. Il motore della trama del film è il “cuore in inverno” del protagonista che, colpito da depressione in seguito a lutti importanti, rimane nella sua controllata roitine, finché il bagliore di luce portato dalla presenza di Hikma e del suo bambino non lo porta a lasciare l’oscurità che era diventata la sua casa. Calogero compone attorno ad Andrea una fitta rete di personaggi e di luoghi (non a caso il mare simbolo di morte e di rinascita che, con il suo andamento calmo o tempestesoso, rende espliciti e cadenzati i moti dell’anima). Una rete nella quale lui si sente prima impigliato, ma, una volta liberato, diventa una persona nuova. E’ la storia di una trasformazione, non solo quella di Andrea ( bravo Claudio Botasso, attore ben calibrato nel suo ruolo), ma che coinvolge anche tutti gli altri.

Clara Martinelli

 

Omaggio a Raf Vallone, questa sera, con la proiezione di “Uno sguardo dal ponte” alla Casa del Cinema a Roma

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Questa sera, alle ore 21, in occasione del centenario della nascita di Raf Vallone, le figlie Eleonora e Arabella, in collaborazione con la Casa del Cinema di Roma, organizzano una serata dedicata all’attore. Al centro della manifestazione la proiezione del film Uno sguardo dal ponte, diretto nel 1962 da Sidney Lumet, per il quale Vallone vinse il Premio David di Donatello come migliore attore protagonista. Precederà la proiezione un frammento inedito di una recente intervista con Peter Brook, che diresse Vallone nella storica versione teatrale di Uno sguardo dal ponte (580 repliche solo al Théâtre Antoine di Parigi, 1958/60) .
Il film, tratto dal dramma teatrale di Arthur Miller “A view from the bridge”, conta tra gli interpreti, oltre a Vallone, Jean Sorel, Maureen Stapleton, Carol Lawrence e Raymond Pellegrin. E’ la storia di Eddie Carbone, emigrato italiano e portuale newyorchese, che vive a Brooklyn con la moglie Beatrice e la nipote diciottenne Catherine, di cui è morbosamente geloso. Quando ospita a casa sua Marco e Rodolfo, immigrati clandestinamente negli Stati Uniti, Eddie non riesce a sopportare che tra la nipote e Rodolfo nasca un reciproco interesse e si convince che il giovane stia cercando di farsi sposare per ottenere la cittadinanza americana. Dopo averlo più volte provocato, arriva addirittura a denunciarlo all’ufficio immigrazione e a farlo arrestare. La rivalità avrà esito tragico e sarà lo stesso Eddie a rimanere vittima del suo amore impossibile.
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Raf Vallone, nato a Tropea il 17 febbraio del 1916, plurilaureato (filosofia e legge), prima di intraprendere la carriera di attore è stato calciatore in serie A con il Torino, con cui vinse anche la Coppa Italia nel 1934 e in seguito capo redattore delle pagine culturali de L’Unità e critico cinematografico su La Stampa. Intellettuale rigoroso, attore internazionale in grado di recitare anche in inglese e francese, dal 1949, suo esordio cinematografico con “Riso amaro” di Giuseppe de Santis, Vallone ha interpretato come protagonista oltre un centinaio di film. Diretto in Italia da registi quali Pietro Germi, Vittorio De Sica, Alberto Lattuada, Dino Risi, Mario Soldati e all’estero da Marcel Carné, Jules Dassin, Henry Hathaway, Otto Preminger, Francis Ford Coppola, partner maschile di Silvana Mangano, Sofia Loren, Gina Lollobrigida, Anna Magnani, Lucia Bosè, Simone Signoret, Lea Massari, Sara Montiel, Elena Varzi (che poi è diventata sua moglie). E’ stato protagonista de “Il Cristo proibito”, unica esperienza dietro la macchina da presa dello scrittore Curzio Malaparte. Molto attivo anche in teatro, ha interpretato Ibsen, Pirandello, Brecht, O’Neill, Shakespeare, Miller, etc. Molto spesso è stato anche regista di se stesso, come nella versione teatrale italiana dello stesso Sguardo dal ponte, con Alida Valli. Vallone ha inoltre curato la regìa di alcune opere liriche in Italia e all’estero e ha partecipato a numerosi sceneggiati televisivi: indimenticato protagonista con Ilaria Occhini del Jane Eyre (1957) di Anton Giulio Maiano e con Giulia Lazzarini de Il mulino del Po (1963) di Sandro Bolchi. Tutta la vita fu legato a sua moglie, l’attrice Elena Varzi , da cui ebbe tre figli: Eleonora, Arabella e Saverio.

Botero, la sua “Via Crucis” in mostra a Roma al Palazzo delle Esposizioni fino al 1 maggio

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Dopo essere stata ospitata in diversi Paesi tra l’America e l’Europa, “La Via Crucis” di Fernando Botero è approdata anche a Roma nelle sale del Palazzo delle Esposizioni e vi resterà fino al primo maggio. La mostra, che racconta la Passione di Cristo, è composta da 63 opere, di cui 27 dipinti a olio e 34 opere su carta. Realizzate dall’artista colombiano tra il 2010 e il 2011, sono state donate da Botero stesso al Museo di Antioquia di Medellin nel 2012, in occasione del suo ottantesimo compleanno. Ispirati ai pittori del passato come Piero della Francesca, Paolo Uccello,Peter Paul Rubens, Diego Velázquez, Paul Cézanne e Pablo Picasso , ne “La Via Crucis”emerge la tematica presente in Botero sin dalla sua infanzia e gioventù, in Colombia, immersa nell’abbondanza d’immagini religiose, tanto nell’ambito pubblico che in quello privato.

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L’opera di Fernando Botero offre molteplici livelli di lettura. Botero ha costruito sempre mondi sensuali, popolati da esseri colmi di un piacere immenso e felice, attraverso quell’abbondanza tranquilla e suntuosa delle forme che trova la sua maturità verso la fine degli anni ‘70. C’è qui un crocevia nel quale i ricordi della sua città,  del suo Paese, vengono attraversati fortemente da pratiche religiose profondamente radicate nella propria cultura e iconografia. Le dolci sembianze, le idee e le forme che sembrano così stabili, vengono attraversate da quello sconvolgimento in cui dolore e tragedia si plasmano, impiegando il linguaggio figurativo che caratterizza l’artista colombiano senza abbandonare il suo particolare sguardo deformante.

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Si dovrebbe considerare queste opere, nelle quali il drammatico fa la propria incursione, come una nuova dimostrazione in cui si identificano trasformazioni interne che arricchiscono e amplificano il suo lavoro. Il tono ironico viene sostituito dal compassionevole per riflettere intorno alla poesia e al dramma, all’intensità e alla crudeltà della Passione di Cristo.

Oggi a Roma il pittore Angelo Colazingari inaugura “Sequenze” al Micro

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Libri segnalati: “La madre” di Orietta Cicchinelli

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“La Madre” è il libro d’esordio della giornalista Orietta Cicchinelli, responsabile Spettacoli-Roma del quotidiano Metro, edito dalla casa editrice NED. Dedicato a Vincenzo Cerami, con il quale la scrittrice era unita da un profondo legame affettivo, è un progetto che nasce dal racconto di un’esperienza personale colma di sensazioni ed emozioni legate alla figura materna, non solo quale genitrice, ma anche di ritorno alle origini, alla Madre Terra appunto. Distribuito in esclusiva a Roma da ARION, “La madre” è introdotto dallo psichiatra e neurologo Elio Sena, mentre la prefazione del libro è a cura dell’ attore Maurizio Battista. Pier Paolo Mocci, editore di NED, riserverà 1 euro a copia (prezzo di copertina 6 euro) per l’acquisto di prime necessità per le giovani madri in difficoltà ospitate nella casa-famiglia Protettorato di San Giuseppe a Roma. L’autrice, invece, cederà la totalità dei suoi diritti d’autore sempre in favore di beni per le ragazze-madri di Via Nomentana 341.“Ho scritto questo libro durante il primo Natale senza lei – spiega Orietta Cicchinelli – un evento che non poteva passare sotto silenzio. Mentre la vedevo ancora china a mettere nel camino il ciocco più grosso, la ricordavo sulla pagina, per “regalare” ai miei qualcosa di particolare. Ne è venuto fuori un racconto per me e spero per il lettore emozionale, di getto. Spero ora di trasferire un’emozione anche di chi lo avrà tra le mani”.

 

Da oggi a Roma inizia il “Festival del Romanzo Storico”

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Oggi, a Roma, alle ore 18,30, con la presentazione del romanzo “L’ultima legione occulta” di Roberto Genovesi (edito da Newton Compton) avrà inizio una rassegna culturale dedicata al romanzo storico. L’evento, che si svolgerà presso la sala conferenze della FUIS in Piazza Augusto Imperatore 4, vedrà la partecipazione di alcuni maestri del genere come Luigi De Pascalis, Andrea Frediani, Fabrizio Cordoano. “Si tratta di un’occasione per riportare alla memoria storie di un mondo passato che possono offrire ancora grande testimonianza, perché una civiltà che perde il legame  con il proprio passato  è una civiltà che rischia di camminare sul nulla”, afferma Mario Sammarone, curatore della rassegna. Organizzate dall’Associazione Editori Abruzzesi, il ciclo di sei conferenze terminerà il 26 febbraio con la presentazione del libro “Le lacrime degli eroi” (Einaudi) di Matteo Nucci.

Oggi a Roma presentazione del volume “Storie in divenire: le donne nel cinema italiano” dei Quaderni del CSCI

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 Cari amici,

Oggi, alle 18,00 verrà presentato a Roma, presso la libreria “Altroquando  in via del Governo Vecchio 80, il volume “Storie in divenire: le donne nel cinema italiano”, a cura di Lucia Cardone, Cristina Jandelli e Chiara Tognolotti.

“Quella delle donne nel cinema italiano è una storia in divenire perché non è stata ancora scritta. Una storia che continua ad esser cominciata ed interrotta, ma che in molte desiderano conoscere e narrare. Certo dagli anni ’70 in poi, con l’ondata dei femminismi, anche in Italia l’esigenza di indagare le donne dello schermo è divenuta irrinunciabile, ma l’approccio è stato in qualche occasione rivendicativo ed ideologico, oppure, in alcuni studi di caso, meramente autoriale, nel pur giusto tentativo di riconoscere il talento e la qualità estetica di singole registe. Ciò che oggi ci sta a cuore è un racconto differente, capace di tenere insieme un panorama più ampio e mosso, in una certa misura collettivo, delle donne del cinema italiano colte nel loro insieme, dalle origini ai giorni nostri. E inoltre vogliamo parlare di loro e di noi, adottando il «partire da sé» come irrinunciabile pratica conoscitiva e prezioso strumento di indagine. L’idea è quella di mescolare le storie degli oggetti di studio con i soggetti che le narrano in un divenire storico, muovendo dalle varie professioni che hanno esercitato le donne nel cinema italiano – non soltanto registe e attrici ma anche sceneggiatrici, montatrici, costumiste e così via – per arrivare alle «donne di celluloide» ossia alle «personagge» che hanno abitato ed abitano gli schermi nostrani. La sfida consiste, dunque, nell’accogliere il numero più elevato possibile di voci femminili, quelle di chi ha fatto la storia del cinema italiano e quelle di coloro che oggi, per la prima volta in modo organico, desiderano raccontarla”.
«Quaderni del CSCI», n. 11, 2015, pp. 384 (@Daniela Aronica editora, Barcelona)

Mercoledì 23 settembre, Massimo Lanzaro parlerà della “sindrome del burnout” all’interno del X° Simposio Filomatico Internazionale

Al Mitreo-Arte Contemporanea di Roma, mercoledi 23 settembre, a partire dalle ore 16,30, si terrà il X° Simposio Filomatico Internazionale. Il tema del Simposio è “Etica, Impresa e Lavoro”. La relazione di Massimo Lanzaro si intitola “La sindrome del burnout: cause, sintomi e prevenzione”. Si parla di una Sindrome complessa a componente prevalentemente psichica, che si instaura come risposta a una condizione di stress lavorativo prolungato e che viene definita da tre dimensioni caratteristiche: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la mancata realizzazione personale. Si tratta di un processo derivante dallo stress, che può manifestarsi in qualsiasi organizzazione di lavoro; non è sufficientemente conosciuto e spesso sottovalutato, complici le lacune legislative o la loro applicazione approssimativa nei vari ambiti lavorativi. Venite per saperne di più!

FOTOGRAFIA E GIORNALISMO: LE IMMAGINI PREMIATE NEL 2014

  • Domani, 30 aprile,  alle ore 18.00, si inaugura a Roma, presso il Museo di Roma in Trastevere, la mostra World Press Photo 2014. L’esposizione rimarrà aperta al pubblico dal 2 al 23 maggio. La mostra è promossa da Roma Capitale Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Contrasto e la World Press Photo Foundation di Amsterdam. L’organizzazione e i servizi museali sono di Zètema Progetto Cultura.
    Il Premio World Press Photo è uno dei più importanti riconoscimenti nell’ambito del Fotogiornalismo. Ogni anno, da 57 anni, una giuria indipendente, formata da esperti internazionali, è chiamata a esprimersi su migliaia di domande di partecipazione provenienti da tutto il mondo, inviate alla World Press Photo Foundation di Amsterdam da fotogiornalisti, agenzie, quotidiani e riviste. Tutta la produzione internazionale viene esaminata e le foto premiate, che costituiscono la mostra, sono pubblicate nel libro che l’accompagna. Si tratta quindi di un’occasione per vedere le immagini più belle e rappresentative che, per un anno intero, hanno accompagnato, documentato e illustrato gli avvenimenti del nostro tempo sui giornali di tutto il mondo. Per questa edizione, le immagini sottoposte alla giuria del concorso World Press Photo sono state 98.671, inviate da 5.754 fotografi professionisti di 132 diverse nazionalità. Anche quest’anno la giuria ha diviso i lavori in nove diverse categorie: Spot News, Notizie Generali, Storie d’attualità, Vita quotidiana, Volti (Ritratti in presa diretta e Ritratti in posa), Natura, Sport in azione e Sport in primo piano. Sono stati premiati 53 fotografi di 25 diverse nazionalità: Argentina, Australia, Azerbaijan, Bangladesh, Bulgaria, Cina, Repubblica Ceca, El Salvador, Finlandia, Francia, Germania, Iran, Italia, Giordania, Messico, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Polonia, Russia, Serbia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti. La Foto dell’anno 2013 è dell’americano John Stanmeyer di VII Photo Agency. L’immagine mostra dei migranti africani con i cellulari sulla spiaggia di Gibuti nel tentativo di prendere un segnale telefonico gratuito dalla confinante Somalia, un collegamento con i parenti lontani. Gibuti è una tappa consueta per i migranti in transito da paesi come la Somalia, l’Etiopia e l’Eritrea, in cerca di una vita migliore in Europa e in Medio Oriente. La foto è anche vincitrice del Primo Premio nella categoria Storie di attualità ed è stata realizzata per il National Geographic. Jillian Edelstein, membro della giuria, ha così commentato l’immagine vincitrice: “È una foto collegata a tante altre storie – apre la discussione sui temi della tecnologia, della globalizzazione, dell’emigrazione, della povertà, della disperazione, dell’alienazione e dell’umanità. Si tratta un’immagine molto sofisticata, potentemente sfumata. È così sottilmente realizzata e in modo così poetico, sebbene sia piena di significato, da trasmettere questioni di grande gravità e preoccupazione nel mondo di oggi.” Quest’anno sono tre i fotografi italiani premiati: Bruno D’Amicis, Alessandro Penso e Gianluca Panella. La mostra World Press Photo non è soltanto una galleria di immagini sensazionali, ma è un documento storico che permette di rivivere gli eventi cruciali del nostro tempo. Il suo carattere internazionale, le centinaia di migliaia di persone che ogni anno nel mondo visitano la mostra, sono la dimostrazione della capacità che le immagini hanno di trascendere differenze culturali e linguistiche per raggiungere livelli altissimi e immediati di comunicazione.

    Massimo Lanzaro

A Roma, da domani all’11 marzo, si svolgerà il “Festival del libro di qualità”

Dal domani all’11 marzo si svolgerà una prestigiosa rassegna culturale, “Il Festival del libro di qualità – Alla scoperta dell’interiorità: tra letteratura e storia”, presso la sede della Federazione Unitaria Italiana Scrittori (piazza Augusto Imperatore, 4 a Roma). Otto presentazioni che vedranno la partecipazione di scrittori, giornalisti, editori e professori universitari che dibatteranno il grande tema della scoperta dell’inconscio attraverso la lettura critica di opere letterarie connesse con la Storia. Tra gli altri saranno presenti, Franco Ferrarotti, Laura De Luca, Oliviero Beha, Gianfranco De Turris, Luigi De Pascalis, Alessandro Orlandi, Dario Bonini (rettore Lumsa), Giovanni Salmeri (Università degli studi Tor Vergata), Francesco Pacifico, Eleonora Tiliacos, Danilo Campanella e Mario Sammarone, direttore editoriale del Festival. Avrebbe dovuto partecipare anche lo psichiatra e scrittore Filippo Di Forti, recentemente scomparso a Palermo, per presentare il suo ultimo libro “Che cos’è questa crisi” (ed. Solfanelli).
Questo il programma: domani, sabato 7 marzo, ore 17: presentazione del libro di Ray Bradbury “Siamo noi i marziani” (ed. Bietti) con Gianfranco de Turris, Riccardo Rosati e Mario Sammarone. ore 18:30 presentazione della rivista di narrativa Effe con Dario De Cristofaro, Cristiana Saporito e Francesco Vannutelli.

lunedì 9 marzo ore 11, presentazione della rivista Nova Historica con Dario Bonini (rettore Lumsa), Gaetano Sabatini (Università Roma tre), Giuseppe Parlato (Università internazionale di Roma) e Danilo Campanella. Ore 17 presentazione del libro “Class” di Francesco Pacifico (ed. Mondadori). Con Francesco Pacifico, Eleonora Tiliacos, Mario Sammarone. ore 18:30 Crescere e divenire, due romanzi, un unico tema: il percorso interiore. Con Danilo Campanella e Alain Ceresani. Presenta Andrea Menaglia. martedì 10, ore 11, presentazione del romanzo storico “Il mantello di porpora” di Luigi De Pascalis (ed. La Lepre). Con Luigi De Pascalis, Alessandro Orlandi (l’editore della Lepre, sarà presente), Giovanni Salmeri (Università di Roma Tor Vergata).

mercoledì 11 marzo, ore 16:30 presentazione del libro “Elogio del piromane appassionato” (ed. Dehoniane) di Franco Ferrarotti. Con Franco Ferrarotti, Laura De Luca, Mario Sammarone – autore del libro “Il mito della sociologia – intervista a Franco Ferrarotti” (ed. Solfanelli). ore 18:00 presentazione del libro “Cos’è questa crisi” di Filippo Di Forti (ed. Solfanelli). Con Filippo Di Forti, Oliviero Beha e il saluto di Franco Ferrarotti.
Direttore editoriale: Mario Sammarone. Coadiutori: Francesco Ciocci e Riccardo Narducci. Presidente Associazione Filomati: Danilo Campanella.

Oggi, a Roma, presentazione del libro “Un re chiamato Desiderio”

Carissimi, oggi a Roma, presso la Fuiss, in Piazza Augusto Imperatore 4, verrà presentato il libro “Un re chiamato Desiderio” di Danilo Campanella. Sarà presente l’autore, che verrà introdotto da Mario Sammarone. L’incontro avrà come relatore Massimo Lanzaro. Per l’occasione vi riproponiamo un articolo sul libro, scritto da Mario Sammarone, apparso qualche tempo fa su questo blog.

Gabriele

 

Un filosofo che voglia scrivere un racconto, non potrà che farlo in “maniera filosofica”. Ed è ciò che ha fatto Danilo Campanella nel suo ultimo lavoro, “Un re chiamato Desiderio” (Tabula Fati, 2014). Campanella, studioso di politica, si è sempre cimentato in saggi filosofici o storici, quale il suo ultimo lavoro su Aldo Moro presentato recentemente all’Istituto Luigi Sturzo.

In questo racconto, invece, pur con uno stile piano ed affabulatorio, a tratti quasi familiare, Campanella ci conduce a riflettere su quel re interiore che ci domina tutti: il desiderio. Un’entità che ha avuto il suo momento digloria negli anni passati, quando i suoi cantori lo hanno esaltato fino a farne un feticcio, con la rivoluzione desiderante di Deleuze e Guattari. Altro mondo è il nostro e la pretesa di poter indefinitamente avere tutto a disposizione si è scontrata con la presa di coscienza che dobbiamo porre limiti ai nostri sogni faustiani, per ragioni ecologiche, economiche, demografiche – recentemente Serge Latouche è stato in Abruzzo e ha parlato proprio di questo.

Eppure il desiderio ci domina tirannicamente, eterodiretti come siamo dal generale consumismo che ci alletta ogni momento e ci rende schiavi desideranti di cose, esperienze e oggetti al punto di non essere più capaci di sottrarci a queste allettanti sirene.

Il racconto parte da una situazione tipicamente familiare, dove Giovanni, il protagonista, un ragazzo figlio dei nostri tempi, arrogante nel suo fortino di certezze che gli arrivano dal posto sicuro che occupa nel mondo, con la sua vita prevedibile di studente universitario protetto dall’ambiente familiare, si trova a dover fronteggiare un inconveniente occorso a suo padre il quale, recatosi in Grecia per il suo lavoro di Ingegnere, dimentica a casa la valigetta con tutte le carte dei suoi progetti. Incarica così il figlio Giovanni di portargliela in Grecia e questi, sebbene a malincuore per dover affrontare un viaggio non previsto, si organizza per partire.

Tutta la famiglia è mobilitata: la madre in apprensione perché tutto si risolva, la sorella impegnata al computer per acquistare i biglietti, e Giovanni a prepararsi spiritualmente a qualcosa che deve eseguire suo malgrado.

Essendo necessario un compagno per avere uno sconto nel costo del viaggio, si rivolgono ad un cugino, Ernesto, che non vedono da anni. Questo ragazzo, che Giovanni ricorda dall’infanzia timido e impacciato, si rivelerà essere ben diverso da come il cugino si aspetta: la sua vita è fatta di scelte non scontate e, all’opposto di Giovanni che non desidera contaminarsi con la vita vera, Ernesto la ama in tutte le sue manifestazioni. Sarà un maestro per Giovanni, con una funzione quasi maieutica, e lo inviterà a riconsiderare tutte le sue ovvie certezze, fatte di pregiudizi e percorsi obbligati.

Nel corso del viaggio verso la Grecia, che sarà costellato di varie peripezie e contrattempi, vediamo Ernesto come l’uomo che riesce ad immettersi nella tragicità dell’esistenza vivendola però consapevolmente, in una dimensione interiore, mentre Giovanni è dentro schemi che lo proteggono forse, ma che lo limitano e che comunque non ha certamente scelto lui. Per cui Ernesto diviene nel viaggio una specie di Virgilio per il cugino, indicandogli la via per ridiscutere tutta la sua esistenza. Là dove per Giovanni c’è irritazione per un’esperienza che egli non aveva previsto, per Ernesto il viaggio verso la Grecia è una meravigliosa opportunità.

Le ore che trascorrono insieme sono impiegate a parlare e discutere, a filosofare quindi, e di volta in volta si uniscono loro anche altri personaggi che incontrano, compagni di viaggio con cui approfondiscono temi e discorsi che per Giovanni sono una porta socchiusa verso nuovi modi di pensare.

Per Ernesto il peggior nemico della libertà delle persone è il desiderio, che come dice il titolo è un re nella nostra vita, ci domina e condiziona in ogni campo, rendendoci sempre pronti a correre là dove esso chiama, come un possente tiranno che trasforma ogni aspetto della nostra esistenza in qualcosa da afferrare, rendendo così tutto materiale e facendoci divenire animali predatori verso il mondo. Questo desiderio tuttavia non è sogno, possibilità di ampliamento dell’essere, ma gabbia, cappio, limite, perché derivante da manipolazioni esterne e non da scelte consapevoli.

L’invito di Ernesto a Giovanni è di riemergere nella libertà, mai definita una volta per tutte ma sempre ridisegnata, faticosamente e volontariamente, in nuovi inizi sempre rinegoziati nella nostra interiorità, poiché, come dice Hannah Arendt, la libertà è un gesto augurale.

Apprendiamo, da inserti nel racconto circa la futura vita di Giovanni, che egli imparerà la lezione, e che quindi il viaggio compiuto dai due ragazzi è simbolo di un viaggio ben più profondo. L’epilogo fa ulteriormente riflettere, e tutto il racconto si può leggere quasi come un’”Operetta Morale”, o un “conte philosofique “ del Settecento, in cui idee e pensiero erano veicolati dalle opere letterarie: sarebbe necessario che si pubblicassero più libri di questo tipo, per i temi sviluppati che ci toccano da vicino, per noi che siamo in equilibrio precario tra un desiderio illimitato ed egoista e la necessità di trovare un limite, che la situazione storica stessa ci impone e verso il quale noi stessi aneliamo perché sentiamo che, paradossalmente, solo in quel limite ci potremo muovere più liberamente e ed essere più padroni di noi stessi, dato che il desiderio liberato da ogni morale è una prigione artificiale.

Non manca una vera e propria dichiarazione d’amore dell’autore alla sua città, Roma, con le sue contraddizioni e le sue offerte di piacevoli opportunità, oltre all’aria stessa che vi si respira, che è antichità classica e anche un po’ di cinica modernità mescolate per farne quello che è, una città irripetibile ed unica al mondo. Leggiamo quindi quest’opera di Campanella e anche noi, con lui, filosofiamo.

Mario Sammarone

 

Roma

L’Epifania è così mite qui
come se già fosse aprile, ma le nuvole
sono quelle dell’anno nuovo
che inumidiscono gli occhi,
a guardarle,
perché così simili a quelle
degli anni che non sono più.

Si muovono lente,
bianche o d’un grigio chiaro
sul cielo celeste tramutantesi in azzurro
volgendo l’ora al mezzogiorno
che ci chiama alla Messa.

Quando usciremo dall’incenso in fretta
verso la casa che ride nell’alto sole dell’una,
la città che non ci lascia ricordare
neve e sole sulla neve e brina
ci avrà abbracciati, dolce meretrice,
ci avrà vinti per sempre.

Attilio Bertolucci

I gabbiani

Non avevo mai visto gab­biani sulle rive del Tevere
can­gianti in que­sta fine d’inverno le penne e le acque.

Mi sono appog­giato al gra­nito come fanno quelli
che vegliano sulla pro­pria vita o morte usando

un’intenta pazienza ma i miei occhi distratti
segui­vano le pla­nate rapi­nose degli uccelli plumbeoargentei

sino a che furono sazi i ven­tri affu­so­lati i becchi
già risplen­dendo su altri flutti a un sole diverso

per il pro­ce­dere ine­vi­ta­bile del tempo le mie
pupille stan­che e ancora voraci ormai volte

sull’emporio mobile delle vie popo­lose di Roma
alla cerca dispe­rata nell’ora dell’ipoglicemia

d’un ali­mento improv­viso sol­tanto a me noto
in una rive­la­zione gio­iosa e ste­rile nell’ombra-luce

san­gui­gna da attici e cor­ni­cioni meridiani
fumi­gando sui colli i rami verdi della potatura

sino a ottenebrare il cielo pietoso del ritorno.

Attilio Bertolucci

Teatro: “Come restare vedove senza intaccare la fedina penale” di Luca Manzi

come

Carissimi,

voglio segnalarvi questo spettacolo che andrà in scena fino al 30 novembre  al Teatro Due a Roma, stabile d’essai. Diretto dallo sceneggiatore e scrittore Luca Manzi parla di quattro donne molto diverse tra loro, conosciutesi grazie a Facebook e accomunate dall’infelicita’ generata dai loro uomini, che si incontrano segretamente in un garage per organizzare una missione che le rendera’ finalmente appagate: uccidere ognuna l’uomo di un’altra. Tra incomprensioni, brindisi, litigi e complicita’, il quartetto procede nell’impresa con rocamboleschi risvolti ed esiti imprevisti. Si tratta di una storia veramente divertente, che affronta con leggerezza e ironia un argomento serio.

Gabriele

 

 

 

 

Presentazione della raccolta di poesie “Metamorfosi” di Agnese Monaco a Roma, giovedì 20 novembre

cartolinaMETAMORFOSI2-1Carissimi,

vi segnalo la presentazione della silloge “Metamorfosi” di Agnese Monaco, che si terrà a Roma il 20 Novembre  alle 17.30, presso la Biblioteca Borghesiana in Largo Monreale.

Metamorfosi è una raccolta di poesie, haiku, ossimori, paradossi ed aforismi. Con prefazioni di Norman Zoia, Michele La Porta, Alessandro D’Agostini, Sileno Lavorini, Stefano Piccirillo e Marlene De Pigalle.

Metamorfosi nasce dal mio rifacimento ad Ovidio. Nelle Metamorfosi vengono cantate in quindici libri più di duecentocinquanta miti rielaborati. Ogni episodio ha come origine una delle cinque forze motrici del Mondo Antico, ossia l’Amore, l’invidia, l’ira, la paura e la sete di conoscenza. Nella mia versione invece attraverso ossimori, aforismi, haiku, poesie e brevi pensieri racconterò l’origine dell’ego e le sue evoluzioni. Narrerò le mutazioni su un doppio livello, il primo derivante dall’età anagrafica, mentre il secondo ottenuto da influssi che circondano il quotidiano di ogni essere. A contorno di questi due, arriva in soccorso la molteplicità dei generi letterari usati che sottolinea ulteriormente l’evoluzione e la metamorfosi stessa. Di fondo le forze motrici del mondo antico non verranno intaccate, ma saranno enucleate anche in questa versione a base di tutti i testi inclusi.”

Agnese Monaco.

TeveRetrò: festival vintage a Roma

teveretròEleganti atmosfere degli anni ‘40 e ’50 all’ombra del Cupolone. Da oggi e fino al 6 settembre  presso il Lungotevere di Roma prende vita la prima edizione del TeveRetrò, Festival di Musica e Cultura vintage, organizzato da La Bottega degli Artisti e dall’Associazione Culturale Le Souffle. In programma tre serate gratuite con spettacoli imprendibili: ad aprire il festival, il contagioso rock&roll di Marco Liotti and Fifty Fifty. Domani sarà poi la volta del trio Ladyvette e del Burlesque. Sabato invece da ballare, con vinyl set e ritmi di una volta. Dall’orario dell’aperitivo fino all’inizio dello spettacolo serale inoltre si susseguiranno workshop di burlesque, make up e swing. La manifestazione si svolgerà interamente all’aperto e prevede un “campo base” presso gli spazi offerti dalla cooperativa sociale XIII, più tanti punti dislocati lungo le sponde del Tevere. Preludio al Festival sono stati tre spettacoli di Burlesque e varietà che hanno riscosso un notevolissimo successo di pubblico.

PERCHÉ TEVERETRÒ – “Organizzare un festival vintage è diventato di gran moda, ma ci sono due motivi che rendono il TeveRetrò un evento unico”, spiega Francesco Felli, regista cinematografico ed organizzatore dell’evento che nello scorcio d’estate regalerà sulle sponde del Tevere un assaggio della magia che d’inverno si respira a La Bottega degli Artisti (locale capitolino che dirige in Via degli Scipioni 163), uno dei principali ritrovi nazionali per chi voglia assistere a spettacoli di burlesque, varietà e serate di musica vintage. “Per prima cosa perché avere il Tevere per location è come fare un concerto a San Pietro o al Colosseo. Anzi di più. Perché il Tevere ha rappresentato per secoli un luogo d’incontro e di comunicazione, quindi palcoscenico ideale per far riunire arti e generi assolutamente distanti, sia tra loro che dall’epoca in cui viviamo. E poi perché TeveRetrò è il vintage Made in Italy. Quello che molti ignorano, preferendo l’esterofilia a tutti i costi. Eppure dallo swing al rock&roll, dall’avanspettacolo al Burlesque, non c’è nulla che la nostra tradizione non abbia saputo valorizzare. Per questo TeveRetrò sarà anche il racconto di un’Italia distante ed incantevole”.

 

Vi segnaliamo: “Chi resta nella palude” al Teatro Tordinona di Roma da oggi fino al 18 aprile

Un viaggio tra l’intricata trama dei canali di acqua e di memoria, ad aprire un sipario immaginario sulla storia della bonifica della palude pontina. Una tragicommedia raccontata da un pioniere di Littoria, prima che diventasse Littoria. Chi resiste nella palude, in scena al Teatro Tordinona di Roma dall’8 al 18 aprile, intreccia come in un coro polifonico, le voci lontane dei racconti dei vecchi che si mescolano alle vivide immagini della palude, rievocata attraverso giochi, leggende, fantasie, ricordi.
Partendo dalle suggestioni di alcune vecchie foto e dalle storie di famiglia, Francesco Lande, autentico one-man show, porta in scena un lavoro che non vuole essere un’opera storicistica o politica ma vuol far risuonare la voce di una generazione la cui storia, nella Storia, possa tracciare la parabola di un periodo che va dalla bonifica della palude pontina fino al dopoguerra. Sul palco, Lande, interpreta i differenti personaggi evocando un passato che, da racconto privato, si fa più universalmente racconto struggente, ma non privo di leggerezza ed ironia, di un’epoca, narrato con quel lessico familiare che si fa quasi eredità tramandata.
Lo spettacolo nasce nell’estate del 2009 da una serie di improvvisazioni sulla storia di famiglia dell’attore Francesco Lande. Coordinamento registico di Riccardo Mallus e coautrice del testo Giulia Tolllis.

Teatro Tordinona
Via degli Acquasparta, 16 – 00186 Roma
Tel. 067004932
http://www.teatrotordinona.it

Orari Spettacoli:
dal martedì al sabato • ore 21,00
domenica • ore 18,00

eleonora

 

Appuntamento con lo scrittore Mario Sammarone

Venerdì 10 Gennaio 2014, presso il caffè letterario “Mangiaparole” a Roma (via Manlio Capitolino n. 7, zona Furio Camillo), Mario Sammarone presenterà alcuni suoi scritti di narrativa. Il reading inizierà alle ore 21:00 e sarà un’occasione per conoscere il giovane scrittore abruzzese. Protagonisti della serata saranno Fabrizia Scopinaro, giovane attrice, che interpreterà i racconti, insieme a Sacha Marango ed Andrea Paolucci che accompagneranno con chitarre e percussioni, creando un gioco di atmosfere.
Mario Sammarone presenterà racconti già pubblicati e, trovandosi a Roma, la città dove è ambientato il suo romanzo ancora inedito, avrà modo di leggere agli amici e a tutti i presenti estratti del suo libro, un corposo romanzo storico ambientato nella Roma imperiale del III sec. d. C.
Mario Sammarone, giovane scrittore di Lanciano, vive a Roma e ha pubblicato “Purificazione” su Watt (Roma, 2013) e “L’uomo con il vestito violetto” sul nostro blog . Collabora con blog, riviste culturali e con la casa editrice Solfanelli-Tabula Fati. Ha scritto il saggio “Adriano Olivetti: L’Italia migliore” per Antarés (Bietti, Milano).

In mostra a Roma lo “sguardo” sul cinema di Natino Chirico

http://www.ilquorum.it/mostra-roma-lo-sguardo-sul-cinema-di-natino-chirico/

(Tratto dal quotidiano online Il Quorum)

Dall’8 al 15 novembre “Segno, Cinema e Colore”, 60 opere dedicate ai grandi della pellicola. Appuntamento da SET-Spazio Eventi Tirso

Evento ufficialmente inserito nelle Risonanze del Festival Internazionale del Film di Roma, patrocinato dal ministero dei Beni culturali, regione Lazio, provincia e comune di Roma, in collaborazione con l’Associazione Pediatrica Bambino Gesù.

Un omaggio ai grandi protagonisti del Cinema, da Charlie Chaplin a Marcello Mastroianni, da Federico Fellini ad Anna Magnani. Questo l’obiettivo di “Segno, Cinema e Colore”, la mostra dell’artista Natino Chirico che avrà luogo a Roma dall’8 al 15 novembre.

Un’esposizione strettamente collegata al Festival Internazionale del Film di Roma che si terrà proprio in quei giorni, tanto da essere inserita e consigliata nel palinsesto degli eventi collaterali della kermesse cinematografica. Ad ospitare l’evento sarà SET, Spazio Eventi Tirso, la location nel cuore di Roma, da mesi protagonista della vita culturale e artistica della Capitale.

Più di 60 opere tra dipinti, installazioni e sculture che ritraggono e raccontano il mondo di cellulosa ed i suoi protagonisti. La mostra, patrocinata dalla regione Lazio, ministero dei Beni culturali, provincia e comune di Roma, sarà anche l’occasione per fare del bene, visto l’impegno dell’artista a favore dell’Associazione Bambino Gesù Onlus, partner dell’iniziativa, che festeggia dieci anni della nascita e alla quale l’artista devolverà parte del suo ricavato.

Il Maestro ha avuto modo di realizzare con i bambini dell’Ospedale alcune opere che saranno battute all’asta per beneficenza in occasione di uno speciale charity gala. La settimana della mostra sarà un susseguirsi di eventi ed appuntamenti. Oltre al charity gala, ci saranno laboratori, collaborazioni con brand importanti, corsi di yoga ed interviste e anteprime con i protagonisti del cinema. Apertura il 7 novembre con un Vernissage che coinvolgerà personaggi del mondo politico, dello spettacolo, dello sport, dell’arte e della comunicazione.

Massimo Lanzaro

“Avrei voluto un amico come lui”, un omaggio a Rino Gaetano

rino ok

Carissimi, vi segnalo questo spettacolo che si terrà il 30 ottobre al Teatro delle muse di Roma. “Avrei voluto un amico come lui”, un omaggio al grande Rino Gaetano

La  pièce teatrale è un atto dovuto nei riguardi del cantautore romano di origini calabresi perché nessuno come il cantautore scomparso nel 1981, cantò le malvagità di questo paese. Morto o ammazzato?

Oggi, sabato 21 settembre dalle 10,00 alle 13,00 presso il botteghino del teatro delle muse di via forlì a Roma gli autori David Gramiccioli, Paolo Franceschetti e il regista Bruno Bucciarelli, vi aspettano per la prevendita

Il costo del biglietto, 12,50, è un prezzo volutamente popolare con il quale la produzione intende esclusivamente coprire le spese.

La mia nuova veste…

https://www.youtube.com/watch?v=6rWElCiMIUk

La Grande Madre — Giordano Bruno, il mago irascibile, il filosofo dell’immaginazione

Un post del 2009 
Un tornare indietro, nel progredire ancora….

«Un’unica forza, l’Amore, unisce infiniti mondi e li rende vivi»

Giordano Bruno (1548-1600)

Non sono stato io a incontrare Giordano Bruno, ma fu lui a venirmi incontro. È successo per caso, quando ero ancora un ragazzo. Mi chiesero: «Che filosofo preferisce?» e io per darmi un contegno e per non citare sempre gli stessi, i notissimi, feci il suo nome. Non avevo letto neppure un rigo e nel programma liceale ancora non l’avevamo toccato. Al buio.

Da allora mi è rimasto dentro. È impossibile toccarlo senza che lui ti avvolga, definitivamente. Un po’ come i miti secondo Hillman, «Non toccarli se non vuoi che ti ritocchino». Grande verità. Basta farne l’esperienza per comprendere come tutto questo sia reale. Lo dissi anche un giorno, credo fosse il 1991, a Michele Ciliberto, notissimo studioso bruniano e autore di un fondamentale testo sulla sua filosofia. Dunque ero con il professore per preparare un’arringa di difesa del filosofo e letterato nolano. Qualche giorno prima uno studioso inglese aveva accusato Bruno di essere stato una spia della regina Elisabetta. Allora la città di Nola organizzò un dibattito pubblico ma me e quel “pensatore” anglosassone. Ciliberto faceva parte della giuria. Ebbi la meglio sul povero pseudo storico: lo misi subito all’angolo in quanto tutte le sue prove consistevano in alcune lettere che Bruno avrebbe segretamente mandato a Elisabetta I relative a movimenti e trame dei cattolici. Ebbene, non aveva compiuto la perizia calligrafica. Le lettere insomma non erano neppure di Bruno. Una cantonata imbarazzante. La stampa diede qualche attimo di celebrità al “ricercatore”, ma credo che ormai nessuno si ricordi di lui. È la classica fine di chi cerca notorietà infangando il nome dei grandi. Tornando a Ciliberto, fu in quell’occasione che mi chiese, in una splendida mattinata di sole davanti a un ristorante sopra la città di Nola, come mai amassi tanto Bruno. Gli risposi che l’avevo toccato per caso e che non mi aveva più abbandonato. «È successo così anche a me» mi rispose.

Giordano Bruno è il più grande mago rinascimentale. Anche Giorgio Galli ha affermato che i filosofi ermetici del 1500 sono stati gli unici alleati del pensiero Femminile; Bruno quindi, a sua volta, sarebbe un sostenitore di questa cultura alternativa, che si esprime soprattutto mediante la magia.
Siamo di fronte a un pensiero vastissimo la cui somma importanza è però essenzialmente ascrivibile all’ambito ermetico-esoterico, come ha evidenziato, appunto, Frances Yates, mentre in Italia questa componente è stata quasi del tutto trascurata.
La vita di Giordano Bruno é essa stessa “esemplare” in relazione al nostro discorso. È un racconto vero che serve a portare alla luce lo scrigno occultato del Femminile arcano. Per questo è utile ripercorrerla. È un viaggio straordinario da compiere tutti insieme. Una profonda malinconia e una grande gioia di vivere. Giordano Bruno vive tra questi due opposti stati d’animo. Cerca continuamente il dialogo, ma trova solo i volti arcigni del bigottismo. Calvinisti, protestanti, riformati, anglicani e cattolici sono tutti della stessa pasta fondamentalista, alla fine del Cinquecento.
Il Rinascimento purtroppo appare lontano. Ha messo le gemme con Pico della Mirandola, con Marsilio Ficino e il grande Lorenzo. Poi è germogliato sotto la forte influenza del Simposio di Platone e del suo inno all’amore e alla vita. Ed è infine ripiegato, dopo un breve periodo di assestamento, grazie agli odi di religione. E il manto nero che ricopre la mente dei bigotti a intristire Bruno, lui che è un mago e tale ha voluto essere per tutta la vita. Con ciò che ne consegue. Quindi la chiesa l’ha aborrito in quanto eretico e una componente del pensiero marxista l”ha sottovalutato perché da sempre diffida di chiunque si occupi di filosofia ermetica e di occultismo, giudicate tendenze di destra. Personalmente mi rifiuto di avallare questa visione, che ha portato una certa sinistra a bandire personaggi come Giordano Bruno e scrittori come Tolkien.

Bruno comunque è un mago. È utile ripeterlo perché tutta la sua vita è immersa in un’aura di mistero e di fascino. E in buona parte deve essere ancora interpretata. I continui viaggi, le lezioni, i dialoghi con i grandi del tempo sono forse più significativi degli scritti, almeno di quelli in chiave “essoterica”. Cerchiamo perciò di andare al di là della coltre gettata dagli ignoranti – veri o finti – e vediamo nella tela di questo scampolo di Rinascimento la storia di un uomo vivo, allegro, coltissimo, amante del vino, dell’amicizia, della creatività e, come ovvio coronamento, di Eros, il padre di tutti gli dèi. Senza dimenticare che ci troviamo di fronte a una persona coraggiosa fino all’inverosimile e capace di ogni sacrificio pur di mantenersi coerente.

Nel 1572 Bruno ha ventiquattro anni ed è ordinato sacerdote. Proviene da una famiglia della piccola nobiltà di Nola. Sua madre, Fraulissa Fravolino, è dotata di un ingegno vispo, curioso e duttile. A quindici anni ha preso l’abito domenicano e a diciannove ha già iniziato a criticare la curia vaticana. Dal 1572 al 1575 Bruno, il cui nome di battesimo è Filippo mentre Giordano è quello assunto da frate, passa i migliori anni della sua burrascosa vita. Studia la teologia e l’arte della memoria, di cui, da sempre, i domenicani, quelli del suo ordine, sono i principali esperti in Europa. Si tratta di un’antichissima disciplina che aiuta ad associare immagini e concetti. Della sua efficacia testimoniano Pico della Mirandola e lo stesso Bruno che da questi studi ricava il massimo profitto. Sembra accertato che ricordasse tutto in modo indelebile. Gli bastava consultare un libro per non dimenticarlo mai più. Quindi la sua cultura, con gli anni, diventò sterminata. Pensate ai vantaggi, anche per una persona qualunque, di poter rammentare dalla A alla Z tutto quanto si è letto durante la vita.

La felicità di Bruno ha corso breve. Nel 1576 viene raggiunto dalla prima accusa di eresia. Non è una voce o un rimprovero, ma una vera ingiunzione. A quell’epoca significava subire un interrogatorio iniziale della durata di uno o due giorni e poi, in caso di resistenza alle accuse, essere trasportato nella sala delle “domande” dove giungeva un signore vestito di nero accompagnato da un aiutante. Contemporaneamente facevano il loro ingresso frusta, tenaglie opportunamente infuocate, cavadenti, magli e altri strumenti per spaccare le ossa.
Bruno conosce la “procedura” e fugge immediatamente.
Iniziano così i suoi pellegrinaggi.

È solo, è giovane, ha indosso soltanto il saio che deve necessariamente abbandonare. E ormai spretato, condizione assai pericolosa perché chiunque può denunciarlo per ricevere una congrua ricompensa.
La sua prima tappa è Roma, dove una diceria lo vuole partecipe dell’assassinio di un prete. Un perfetto esempio di falso perpetuato nel tempo. Nessuno sa chi fosse quel prete, di cui non è stato tramandato il nome in alcun atto o documento. Non sono noti neppure la data dell’omicidio e il luogo dove sarebbe avvenuto. Non si conoscono nomi di testimoni, di accusatori e neanche dei giudici. Ciò nonostante su molti libri si continua a leggere di questa ignominia. Una vera diceria da untore sopravvissuta nei secoli.
Comunque sia, a maggior ragione, Bruno deve proseguire nella sua fuga. Ecco Genova, Nola, Savona, Torino, Ginevra, Parigi, Londra, Württemberg. Poi ancora Praga, Helmstad, Francoforte e infine Venezia, nel 1590.
Sono quattordici anni di peregrinazioni incessanti. Sempre povero e solo. Sempre spretato ed eretico, sempre studioso e insegnante di filosofia nelle università delle città dove si sofferma, che poi sono le migliori del mondo. Sempre accolto a corte. A Parigi, a Londra, a Praga.
Un sapiente itinerante che cerca ospitalità e rifugio. Scrive, pubblica finché l’Inquisizione lo ghermisce a Venezia per il tradimento dell’infido Mocenigo.
Questo è, in sintesi, tutto ciò che si sa di lui.
Eppure, qualcosa sfugge.

Rivediamo un momento questa cronaca “ufficiale” della sua vita. Bruno, dunque, è un perseguitato, eretico e squattrinato, che vaga per l’Europa. Fin qui nulla di strano, ce ne sono stati tanti altri e molti ancora ne verranno dopo di lui. Ma appunto costoro “vagano”, non hanno un itinerario né una meta. Cercano asilo e quando lo trovano non guardano tanto per il sottile. Trangugiano angherie in cambio di un tetto e di una mensa. Ben contenti di non essere riconosciuti – sono eretici, non dimentichiamolo – e del tutto lieti di non finire in una segreta o in mano al torturatore. Bruno invece ovunque vada viene accolto con tutti gli onori e gli si affidano le cattedre più prestigiose. A uno spretato si assegnano quindi le materie di maggior prestigio culturale e politico.
E un assurdo che contravviene a qualsiasi logica.
Non solo, a Parigi e a Londra frequenta assiduamente la ristrettissima cerchia dei reali.
Bruno riesce sempre, ovunque si trovi, a pubblicare le sue opere di filosofia e di magia. E questo, nonostante che la filosofia ermetica sia perseguitata da tutte le religioni e confessioni.
Dovremmo forse iniziare a chiederci da chi sia continuamente “accolto”.
Nel 1576, all’inizio delle peregrinazioni, è un perfetto sconosciuto. Perché dunque le autorità dei vari paesi, in cui si sofferma, avrebbero dovuto dargli incarichi importantissimi?
È evidente che si muove come su un circuito preordinato. Si reca dove sa di poter andare. Il mago, definiamolo così perché è l’unico modo davvero corretto per identificarlo, percorre rotte sicure. Deve esistere una confraternita, un gruppo, un’associazione, chiamiamola come vogliamo, che gli tesse una tela su cui possa muoversi senza timori. Che riconosce in lui il rappresentante di un sapere alternativo e giusto, gli apre perciò tutte le porte.
La coerenza del nolano, la forza con cui afferma le proprie idee, che poi sono quelle magico-ermetiche, unitamente a un’assoluta incapacità di ipocrisia, gli rendono ostili i bigotti e le autorità religiose. Ma questo avviene “dopo” l’accoglienza.
È un’ipotesi che potrebbe costringerci a rivedere tutta la storia culturale di questo periodo. Dobbiamo necessariamente ipotizzare che sia esistita una segreta associazione di menti aperte e antifondamentaliste, che gli consentiva i movimenti e che lo proteggeva in ogni situazione.
Prima abbiamo detto che Bruno, al momento della sua fuga iniziale, non era un personaggio noto, almeno non a tutti. Ma sicuramente doveva essere conosciuto ai membri di questo “gruppo” di cui finora la storia ufficiale non si è mai occupata. Perché costoro sapessero chi era, Giordano Bruno doveva essere in contatto con loro da molto tempo prima dei cosiddetti “vagabondaggi”. Era stato affiliato dalle persone che professavano la luce del bene e della conoscenza?
È certo che dovunque Bruno giunga lascia come un “segno”. Tanto è vero che in ogni città da lui toccata sorgono congreghe che possiamo paragonare a logge massoniche. Forse quella misteriosa associazione confidava nelle sue capacità di entusiasmare gli animi e organizzare la gente intorno a sé. Qualcosa di simile è accaduto, molto tempo dopo, anche a Casanova, e a Cagliostro.
Comunque i suoi spostamenti e l’ospitalità “innaturale” che riceve richiamano alla memoria i nove Cavalieri Templari e la quanto meno generosa accoglienza riservata loro da re Baldovino di Gerusalemme.
Dobbiamo ipotizzare, finalmente, l’esistenza di una sorta di cerchia di eletti da sempre “nascosta”, che tenta di scongiurare le persecuzioni dei fanatici religiosi, che propugna la libertà di espressione e di ricerca? Forse un gruppo, che oggi definiremmo “di scienziati”, all’esplorazione di campi del sapere a quell’epoca vietati e del tutto ignoti alle masse. Una congrega “coperta”, perché in quei secoli di oltranzismo non è davvero possibile dichiarare simili intenti alla luce del sole.
Affronta inoltre campi che le moltitudini devono ignorare, e questo è forse il più fitto di tutti i misteri. Perché al sapere-potere non possono accedere quelle persone che non si sono purificata l’anima, per usare un’immagine del Dolce stilnovo.
È una questione fondamentale, uno dei massimi arcani della nostra storia. Per questo è utile continuare il racconto di Giordano Bruno e cercare di vederne la “trama”.

Giordano Bruno e la magia… la notte romana

Carissimi amici, ringraziando la gentilezza di Stefano M. Pantano, ecco il video della serata romana. C’è qualche testa disturbatrice ma l’audio è perfetto ed è quello che conta…
Grazie ancora  Stefano

cliccate qui:
watch?v=sjFK3rdm_rU&feature=youtube_gdata_player

Insolito

Palazzo Zuccari, Roma

“Giordano Bruno e la Magia”, questa sera a Roma

Carissimi,
vi informo che questa sera, alle ore 21, a Roma, presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13, terrò la conferenza su “Giordano Bruno e la Magia”. L’evento si svolge nell’ambito della manifestazione “Notte nei Musei a Roma”. Per informazioni telefonare a: 366 2227696 – 329 4287192. Vi aspetto!

Gabriele

Mostre da vedere

Carissimi, avete tempo fino al 22 gennaio 2012 per vedere la mostra “Gli Orientalisti. Incanti e scoperte nella pittura dell’Ottocento italiano”, in corso a Roma presso il Chiostro del Bramante. Assolutamente da non perdere!

Gabriele

(Augusto Valli, Semiramide morente sulla tomba di Nino, 1893)

Mostre da non perdere

Filippino Lippi e Sandro Botticelli nella Firenze del ‘400
5 ottobre 2011 – 15 gennaio 2012
Scuderie del Quirinale, Via XXIV Maggio 16, Roma
 
(Filippo Lippi, Madonna col Bambino e Storie della vita di sant’Anna, 1452-1453)

Mostre da vedere

Fino al 12 giugno, per chi non lo avesse ancora fatto, si potrà  visitare la mostra “Il mito dell’Italia nell’Inghilterra vittoriana” presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma. Per informazioni chiamare: 0632298221.

(Dante Gabriel Rossetti, Venus Verticordia, 1866) 

Misteri a Roma: incontro

Carissimi, questa sera, alle ore 20, presso il Museo Barraco (Corso Vittorio Emanuele, Roma), parlerò del tema “Misteri a Roma”. Vi aspetto! Un abbraccio.

Gabriele

Cranach a Roma

DAL 15 OTTOBRE 2010 AL 13 FEBBRAIO 2011

Galleria Borghese
Piazzale Museo Borghese (Parco di Villa Borghese) 00197 – Roma
Informazioni e prenotazioni biglietti

CHIUSO LUNEDI, 25 DICEMBRE, 1 GENNAIO

Per la prima volta in Italia, alla Galleria Borghese le opere del grande pittore tedesco Lucas Cranach il Vecchio.

Dal 15 ottobre 2010 fino al 13 febbraio 2011 la Galleria Borghese propone per la prima volta al pubblico italiano la figura e l opere di Lucas Cranach il Vecchio, massimo esponente, assieme a Albrecht Durer, della rinnovata pittura tedesca del 1500. La mostra intende dare un’immagine complessiva della produzione artistica del pittore rinascimentale, artista di corte e innovatore, legato alle tradizioni fiamminghe ma contaminato anche dalle novità figurative italiane.

“Lucas Cranach. L’altro Rinascimento” è curata dal Prof. Bernard Aikema, storico dell’arte tra i massimi studiosi dell’artista tedesco, e da Anna Coliva, Direttrice della Galleria Borghese, promossa dalla Soprintendenza Speciale PSAE per il Polo Museale della Città di Roma e organizzata da MondoMostre.

Nella storia dell’arte, Cranach è forse maggiormente noto come amico e partigiano di Lutero, con il quale ha gettato le basi di un’ iconologia protestante. Ma Cranach, a capo di un grande ed attivissimo atelier nella città di Wittenberg, introduceva nella pittura tedesca anche altri soggetti, soprattutto una nuova imagerie del nudo, dell’erotico, nonché dei temi umanistici ed una ritrattistica particolarmente incisiva ed innovativa. Cranach esponente di un “altro Rinascimento”, diverso dal classicismo teorizzato e praticato dal suo grande contemporaneo e concorrente Albrecht Durer, diverso anche dal Rinascimento italiano. Artista di corte ma in modo innovativo in grado di definire un linguaggio formale del tutto nuovo e visivamente molto attraent. Nella mostra verranno presentate circa 45 opere pittori che fra le più significative di Cranach, provvenienti dalle massime collezioni pubbliche e private, europee e statunitensi – alcune praticamente per la prima volta fuori della loro sede. Circa dieci xilografie dimostrano la incredibile virtuosità e inventività del Cranach nel medium grafico.

Un Temenos intorno a Giordano Bruno

Carissimi amici e confidenti di questo blog, ieri in occasione della commemorazione della morte di Giordano Bruno, mi sono ritrovato con alcuni di voi a Campo de’ Fiori. Ebbene, ci tengo a dire a tutti voi che è stato un incontro che assomigliava ad un incanto. Nel Cuore siamo stati e abbiamo sentito vicini anche a chi purtroppo non è potuto intervenire (ma ci sarà presto una nuova occasione).
Sono sempre più convinto che questo è uno spazio di resistenti (alla barbarie).

Grazie a tutti!

Appuntamento a Campo de’ Fiori

Carissimi,
l’appuntamento per mercoledì 17 Febbraio alle 17 a Campo de’ Fiori è confermato (sotto la statua di Giordano Bruno).
Mi raccomando non mancate!
Vi aspetto numerosi…confidando nel bel tempo…

Un invito

Nicola ci segnala un appuntamento davvero interessante. Penso sia utile proporvelo. (Per chi voglia)

Vi prego di visitare il sito di Archiati (http://www.liberaconoscenza.it/index.html)

Mi piacerebbe infinitamente incontrare il prof. La Porta e gli amici tutti, alla prossima conferenza che terrà a Roma il sig. Archiati, dal tema “La forza dell’amore” che si terrà a Roma il 23, 24 e 25 aprile.(http://www.liberaconoscenza.it/index.html)
Sarebbe bello questo movimento di coscienze.
C’è un filo invisibile che lega Platone, Jung, Hillman, Giordano Bruno e Steiner…
Non immaginate l’entusiasmo con cui vi scrivo. Sarebbe bello conoscere insieme Steiner e attraverso le Parole di Archiati. Un po’ come leggere Jung attraverso gli occhi di Hilmann.

17 febbraio alle ore 17 a Campo de’ Fiori

Rosario ha avuto una bella idea. Ci vediamo?

……quel mondo che sta fuori da questa casa da dove ti scrivo,è pieno di ansia,di tormenti,di conflitti atrocità terrificanti,tutto questo mi fa paura. Caro Gabriele la mia straordinaria convinzione che mi sto facendo da anni, che da quando sono venuto al mondo non avevo grandi idee e non ero cosciente di averne una, nel proseguo degli anni ho scoperto che quella idea è l’amore. Stamane in tv si è parlato di Bruno. Maestro dell’amore, se oggi ci siamo cacciati in un modo che persone come “noi” riteniamo che non ci appartiene e perche i Dogmi i cannoni del poter hanno fatto che il pensiero di Bruno non fosse divulgato e capito. Come ti ho scritto in un altro post ho definito l’amore è paziente,non si vanta,non cerca il proprio interesse ,non sia adira , tutto sopporta tutto perdona. La stragrande maggioranza degli uomini non comprende e non sa cose l’amore ci hanno regalato un mondo grigio inquinato, smarrito, frustato, nevrotico.  Anime perse, basti pensare le invenzioni che l’uomo ha messo in atto per aver il dominio sull’altro. Pensi al debito pubblico che diavoleria finanziaria per opprimere e rendere le persone infelici tormentati dal dio denaro che è il vero senso della vita……per loro. Cosa possiamo aspettarci quando le persone si tuffano nella materia di concretizzare tutto di rifugiarsi nel consolidamento della ricchezza come se fosse la salvazione della loro personalità. Caro Gabriele propongo a tutti noi, il 17 febbraio di ritrovarci tutti a Campo dei Fiori, per chi ha la possibilità io ci sarò per commemorare Giordano Bruno e dare un segno tangibile alla speranza…. Allora tutti a Roma il 17 Febbraio
Naddeo Rosario

Caro Rosario, accetto l’invito. Il 17 febbraio alle 17:00?

“Più libri più liberi”

Carissimi, martedì 8 dicembre in occasione della VIII Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria “Più libri più liberi” presenterò, alle ore 18 nella Sala Corallo del Palazzo dei Congressi (Roma-Eur),  il libro di Angelo Tonelli, “Sulle tracce della Sapienza”, edito da Moretti & Vitali.

Un abbraccio a tutti!

L’immaginazione ermetica VIII

Inizia per Giordano Bruno a partire dal 1576 un periodo di vagabondaggio (vedi articolo precedente) che lo porta a Genova, a Noli, dove impartisce lezioni private, a Savona, a Torino, a Venezia. Qui pubblica un’opera, De’ segni de’ tempi, andata perduta. Poi nuovamente ricomincia la peregrinazione, da Padova a Bergamo, dove rimette l’abito. (Tale fatto testimonia quanto Bruno fosse legato, nel suo profondo, all’ordine dei Domenicani. In effetti a Bergamo si rimette il saio non per convenienza, ma dopo una lunga notte di riflessione.) Chambery, poi Ginevra. Qui conosce i calvinisti da vicino, la loro “purezza di comportamento” lo colpisce profondamente e lo porta a aderire a tale confessione. È un terribile abbaglio. Perché la rigidità calvinista è lontanissima dalla grandezza e dalle aperture culturali di Bruno. Il mito della obbedienza, così proprio soprattutto dei cittadini ginevrini, è agli antipodi con l’irruenza del domenicano. Fra’ Giordano è un passionale, e questa caratteristica lo accompagnerà per tutta la vita. Sempre propenso allo scontro dialettico in nome della verità e della tolleranza. Curiosamente Giordano aggredisce costantemente gli accademici, accusandoli di “intolleranza”, con modi violenti sia nel linguaggio sia nei gesti. In lui i sentimenti si esprimono con foga. Forse è la certezza di dover insegnare la possibilità di un’esistenza migliore a spingerlo a compiere gesti estremi, là dove il proprio personale tornaconto avrebbe dovuto suggerirgli atteggiamenti più prudenti.

A Ginevra, in pochi mesi, si è guadagnato la fiducia universale, e la massima stima per la sua profonda cultura. Non c’è nessuno che possa competere con lui nella conoscenza delle Sacre Scritture, di Platone, di Aristotele, di Averroè. Un pizzico di savoir faire e avrebbe ottenuto un importante incarico nella università della città. Purtroppo, mentre il lettore dell’Accademia De La Faye sta leggendo, Bruno rileva ad alta voce venti errori dell’oratore. A Napoli, come a Roma, come in qualsiasi città cattolica, si sarebbe giunti a una disputa accesa. Non così a Ginevra, dove imperversano gli oltranzisti riformati. L’italiano viene strattonato e malmenato, issato a viva forza sulle teste degli studenti e scaraventato in strada; quindi è arrestato e costretto a ritrattare. Bruno è intimamente convinto di essere portatore di una rinnovata visione del mondo, basata sulla sperimentazione e sulla possibilità di dilatare la memoria e l’intelligenza dell’uomo. In sintonia, quindi, con le teorizzazioni ermetiche. Egli aggiungeva una carica umana, tutta particolare, nell’affermare tale idealizzazione, a discapito della sua stessa incolumità fisica. Anche a Londra riuscì a stento a sottrarsi alla “furia” di alcuni docenti, da lui paragonati alle lucertole, ovvero capaci di nutrirsi solo di insetti psichici.

Ginevra, la città che ospitava la “lungimiranza religiosa” e la “pazienza evangelica”, lo allontana. Costretto a ripartire, Bruno giunse a Tolosa in quello stesso 1579. Qui in pochi mesi diventa pubblico lettore di filosofia, un incarico che ricoprirà anche a Parigi e a Londra. È la cattedra più importante a cui un accademico possa aspirare ed è assolutamente sconcertante che venga affidata a uno straniero, per di più appena giunto in città. La stessa cosa si ripeterà appunto in Francia e Inghilterra. L’ingegno straordinario di Bruno non basta a giustificare l’acquisizione continua di ruoli così importanti, soprattutto se si tiene conto del livello sociale a cui Giordano ormai appartiene, ovvero infimo. È un ex frate, per di più accusato di eresia, senza mezzi, contatti, potere. Non è ragionevole credere che, solo grazie a una “intelligenza superiore”, possa aver acquisito tale mandato. È lecito supporre una sua personale rete di amicizie di cui nulla è stato tramandato, e alcune sue “dimostrazioni” di capacità intellettuali (F.A. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza, 1981, pag. 167; I. Guerrini Angrisani, Introduzione al Candelaio, Rizzoli, pag. 28). Passano pochi mesi e, a causa di un’inspiegabile irrequietezza, Bruno riprende a viaggiare, e nell’estate del 1581 è a Parigi. (L’irrequietezza bruniana è un classico falso del radicalismo romantico a sfondo anticlericale. Si vuole vedere in questo filosofo un antesignano del “tormento” del poeta-vate-sapiente: si vedano i rari scritti in proposito di Carducci. Sono davvero risibili, si fa del nolano un propugnatore della libertà politica del XIX secolo, quando invece era un tenace sostenitore e divulgatore della “prisca teologia”, di un ritorno a concezioni e idee, in campo politico, ispirate alla Repubblica di Platone, ovvero assolutamente e rigidamente classiste.) Qui la sua “fama” si consolida; ottiene un posto di lettore “straordinario e provvisionato” allo Studio parigino. Si crea amicizie e dà un saggio di memoria innanzi a Enrico III, che gode della sua ammirazione quale principe colto e liberale, generoso e pacifista. Pare che il Bruno frequentasse gli ambienti di corte, facesse parte cioè di quel circolo di moderati politiques attorno ai Valois che, pur essendo cattolici, nutrivano simpatie per i protestanti, dati gli eccessi locali della Lega diretta dai Guisa appoggiati dalla Spagna. (Il duca di Guisa è in effetti un fanatico religioso, oltre che un tenace uomo d’arme. Il suo vero obbiettivo non è la corona, come alcuni storici hanno affermato, ma l’annientamento dei protestanti. Quando nel 1584 si farà propugnatore della Lega Santa, unitamente al cardinale di Lorena, per “estirpare l’eresia” arriverà ad accusare, con il Manifesto Peronne, il suo stesso re di essere un miscredente. Invettiva che costerà a entrambi la vita. Nel 1588, infatti, il re li farà assassinare da alcuni seguaci, a loro volta fanatici ugonotti.) Insomma fra’ Giordano si unisce a un gruppo di nobili colti, che condividono con lui l’ideologia della universalità.

Appena sette mesi prima, nel gennaio del 1581, lo stesso Enrico ha fatto suonare delle melodie a corte, presenti sia i cattolici, sia i protestanti, in particolar modo gli ugonotti. Le musiche sono anonime, al di là di ogni supposizione, e si basano su suoni di flauti di canna, di arpa e di voci esclusivamente femminili, ed è la prima volta, in assoluto, che delle donne cantano in pubblico. Tali elementi sono per noi importantissimi, perché ci permettono di inquadrare il senso della rappresentazione in direzione delle concezioni ermetiche. Infatti gli strumenti sono quelli di Dioniso e di Apollo, e il Neoplatonismo alessandrino ha sempre voluto riunire le sfere cultuali delle due divinità in una visione unificante, detta appunto ermetica. Anche il canto femminile si inserisce nel contesto della ideologia di Ermete Trismegisto. Il filosofo di Nola si introduce perciò tra persone che conoscono le filosofie a cui lui stesso si ispira. Non solo, tutti credono che simili princìpi possano modificare gli animi degli uomini, e addirittura sanare le guerre di religione che avvelenano la Francia (F.A. Yates, Astrea, Einaudi, pag.201 e segg. Stando alle ricerche di questa studiosa, la cerimonia ebbe anche efficacia, perché per un brevissimo periodo di tempo gli ugonotti e i cattolici sembrarono trovare alcuni momenti di intesa, basati su teorie della musicalità nella antica Grecia. Si arrivò persino a creare una commissione di studi per reperire quale fosse il vero timbro musicale presso gli ateniesi del VI secolo avanti Cristo. Poi gli eventi spazzarono via ogni cosa.)

Tornando alla rappresentazione sonora, si trovano in essa momenti spettacolari in apparenza, che invece nascondono profondi significati, e tutti correlati a Bruno, che in quel momento è ancora a Tolosa. Infatti, mentre i musici deliziavano gli animi, dietro, sullo sfondo dell’improvvisato palcoscenico, sfilavano alcuni dipinti sorretti da servi. Rappresentano simboli zodiacali, e fin qui non c’è nulla di particolarmente straordinario, per quanto sia insolito che alla corte di Caterina de’ Medici, la cattolicissima, vengano mostrate al pubblico nobiliare e d’arme composizioni pittoriche legate all’astrologia. Ma in realtà non si tratta “solo” di quadri rappresentanti i segni dell’arte divinatoria, ma di precise riproduzioni di immagini della memoria, ovvero di simboli che dovrebbero modificare, per una forza loro innata, la mente di chi li osserva, mutando in mansueti saggi, protesi al bene dell’umanità, gli individui avvelenati dalla intolleranza religiosa. Per di più i disegni voluti da Enrico III ricalcano fedelmente almeno dodici “figure della memoria” descritte dal filosofo campano nel suo De umbris idearum, opera da lui composta addirittura un anno dopo la celebre musicata.

Le figure bruniane sono assolutamente originali, anche se suggerite dalla tradizione ermetica e in particolar modo da Cornelio Agrippa e da Teucro Babilonese (F.A. Yates, op. cit., pag. 160 e segg. In effetti Bruno si considera un seguace del grande Cornelio Agrippa e alcune delle sue immagini della memoria sono direttamente ispirate a figure descritte nel De occulta philosophia unitamente ad altre attribuite a Teucro Babilonese, sempre riportate dallo stesso Agrippa. In ogni caso il filosofo campano opera sempre in grande autonomia e i suoi simboli, legati ai segni dello zodiaco, possono essere considerati rispettosi della tradizione, in una piena autonomia creativa). Non ci sono dubbi, l’ispiratore è proprio il nolano. Come poteva l’anonimo pittore conoscere immagini che l’italiano doveva, in teoria, ancora scrivere? Probabilmente appunti manoscritti già circolavano a Parigi prima della venuta dell’ex frate, e questo comproverebbe l’ipotesi di contatti tra Bruno e alcuni studiosi vicini al re di Francia. Inoltre, se si accetta questa teoria, ecco spiegata la facilità del filosofo ad accedere a cattedre importantissime, come quella di Tolosa, città piena di uomini fedelissimi al Guisa, nemico giurato di Enrico III. Forse Bruno avrebbe dovuto placare gli animi dei riottosi e ricondurli alla ragione. Missione che avrebbe tentato di assolvere per diciotto mesi, per poi, una volta ultimato il compito, giungere alla sua vera destinazione, appunto Parigi. Ventiquattro mesi nella capitale francese e quindi una nuova partenza, questa volta per Londra, sempre seguendo i voleri di Enrico di Francia. Solo che riguardo alla missione londinese esistono testimonianze scritte; infatti Bruno è accompagnato addirittura dall’ambasciatore Castelnau, e grazie all’intervento del principe Laski tiene delle lezioni a Oxford sullo stesso tema di quelle di Tolosa e di Parigi: l’arte della memoria. Questo è l’elemento unificante dei vagabondaggi del filosofo, non una presunta inquietudine psichica. Il nolano sta diffondendo una precisa visione del mondo, quella ermetica, mediante appunto l’arte della memoria. Infatti, ovunque si rechi, pubblica opere al riguardo.

Un discorso a parte meriterebbe anche la facilità con cui trova subito degli editori, in un’epoca in cui la stampa costava una fortuna. Dunque è la mnemotecnica l’obiettivo vero: la sua diffusione. Perché l’ars memoriae del filosofo è del tutto pretestuosa, infatti non vuole potenziare la capacità di ricordare, come facevano gli antichi rètori, ma divulgare i princìpi dell’ermetismo, l’utopia della unità degli uomini al di là delle divisioni politiche e religiose. In seguito verranno approfondite le figure mnemoniche e la teorizzazione a monte; per ora è importante comprendere, come già detto, che non si tratta “solo” di strumenti per ampliare le facoltà del ricordo, ma di mezzi per rivoluzionare l’umanità, rendendola in qualche modo migliore. Questo è il sogno dell’ex domenicano e dei suoi amici, tutti seguaci della cosiddetta “tradizione ermetica” (tale sogno-bisogno è perfettamente evidenziato sia dalla Yates, soprattutto nell’Illuminismo dei Rosacroce, Einaudi, pag.74 e segg.; sia da Luciano Pirrotta, quando si sofferma sui desideri del marchese di Palombara Sabina, La porta ermetica, Atanòr, cap. III-IV; sia da Maurizio Calvesi nel suo studio sul Sogno di Polifilo Prenestino, Officina Edizioni, pag. 100 e segg.).

Porto XVII

Esistono tre stanze «segrete» nel cinquecentesco palazzo dei Corgna a Castiglione del Lago, sul Trasimeno. Sembra che a ispirarne gli affreschi sia stata la bizzarra personalità di Cesare Caporali, membro dell’Accademia degli Insensati di Perugia con il nome di Stemperato.

Caporali, ricordato da Miguel de Cervantes nel poema Viaje del Parnaso pubblicato nel 1614, aveva servito il cardinale Giulio Acquaviva a Roma. Nello stesso periodo e nelle medesime stanze lavorava il genio del Don Quijote che, a sua volta, aveva combattuto al fianco di Ascanio Corgna nella battaglia di Lepanto, nel 1571.

Questo collegamento fra spiriti eccentrici spiegherebbe le singolari stanze «segrete» di Castiglione, abitate da uno straordinario susseguirsi di rebus iconografici.

Vi è rappresentato un Mundus inversus che accosta mito, fiaba, storia e metafore nella raffigurazione di tre temi principali: gli «incauti trasgressori», i «grandi puniti» e il «mondo alla rovescia» nella prima sala nella quale si fronteggiano Tizio, Prometeo, Ganimede, Narciso e Callisto; le Muse nella seconda stanza e le Metamorfosi nella terza.

Adibite probabilmente a salotto letterario tra i più esclusivi, le sale costituivano forse una sorta di rifugio dell’anima, quello che oggi diremmo un luogo di decompressione dalle nevrosi.

E all’anima esse restituivano giustizia e serenità rappresentando un mondo nel quale i topi seviziano i gatti e altre vittime del mondo animate trionfano contro i loro abituali carnefici.

Gli elementi di questo universo irriverente concorrono a testimoniare l’intima intesa tra pittore, poeta e committente e a esaltare il mito di Apollo nei suoi molti travestimenti: Apollo Targello, o il calore che matura i frutti, Apollo Sminteo, o il distruttore dei topi, Apollo Parnopio, o il mangiatore di cavallette, Apollo-tartaruga, o serpente che seduce la ninfa Driope.

Ma altre chiavi soccorrono il visitatore della prima stanza, la più inquietante: la parete della fatica in cui Tizio si contrappone a Prometeo (al centro della parete dirimpettaia), e la vanità di Narciso che controbilancia l’affanno di Ganimede, secondo le leggi intime di un seducente quadrilatero. Sulla volta splende la celeste violazione di Callisto, immortalato nella Costellazione dell’Orsa, detta dai romani septem triones, cioè «sette buoi».

Porto XIX

Roma non fu mai propizia a Giacomo Casanova. Durante il suo primo soggiorno nella Città Eterna, nel 1748, abitò a Palazzo di Spagna, sotto la protezione del cardinale Acquaviva, ambasciatore di Spagna e di Napoli.

Qui si rifugiò una notte Barbaruccia Delacqua, una ragazza di cui Casanova era invaghito. Travestita da prete, la giovane era appena sfuggita agli sbirri che l’avevano sorpresa in compagnia di un coetaneo.

La generosità di Casanova salvò Barbaruccia, accolta sotto la protezione del cardinale Acquaviva, ma costò cara al povero Giacomo, che, sospettato pretestuosamente di aver irretito la giovane, fu espulso dalla città dei papi che in realtà lo temeva.

Agguato teso a bella posta o casualità?

Il Vaticano certo mal tollerava il Maestro capace di evadere dall’inespugnabile prigione dei Piombi e nel suo vero o presunto libertinaggio trovava occasione favorevole per un provvidenziale allontanamento.

Dodici anni dopo Casanova tornò a Roma e nuovamente una donna gli fu fatale.

Si trattava di Teresa Rolland, figlia del proprietario dell’albergo Ville de Paris, in piazza di Spagna.

Ma questa volta fu Giovanni Casanova, fratello di Giacomo, a impalmare la bella Teresa, dopo averla sedotta.

La presenza dell’intraprendente fratello autorizza in parte un’audace fantasia sull’esistenza di due Casanova, intenzionalmente sovrapposti nelle vicende narrate da Giacomo nella sua autobiografia, a vantaggio di una maggiore libertà e segretezza in campo magico.

Porto XVIII

Roma. Palazzo Riario, ora Palazzo Corsini. Il luogo è legato a donna dai misteriosi destini di donne. Vi abitò Caterina Sforza, figlia del signore di Milano e moglie di un Riario. Lasciata Roma, la malcapitata vi tornò prigioniera di Cesare Borgia, che l’aveva incatenata a Forlì, roccqforte del Riario, e la trascinò come preda di guerra in Vaticano. Ma la leggenda narra che il Valentino scelse per lei catene d’oro.

Stesso luogo, altra storia. Quella dell’infelice Cristina di Svezia, fondatrice dell’Accademia da cui doveva nascere l’Arcadia. A Palazzo Riario le morirono misteriosamente due amanti, il Monaldeschi e il cantante fiorentino Alessandro Cecconi, e fu drammaticamente aggredita la sua amica Giorgina (forse Angela Maddalena Voglia). Si dice che l’artefice di tali misfatti fosse l’abate Vaini. Ma quando Cristina accorse alle grida della ragazza, a capo delle guardie, il misterioso aggressore sparì nel nulla.

Nel 1736, i nuovi proprietari dell’augusto edificio, nipoti di papa Clemente XII, acquisirono, insieme all’immobile, i sotterranei abitati da cataste di ossa umane, monito e memoria dei molti delitti consumati in quel luogo nei secoli precedenti.