La Puglia ha un fascino “obliquo”, come l’Apollo illustrato da Giorgio Colli ne La nascita della filosofia. Per Colli il dio è il signore della razionalità, che però coltiva al suo interno insospettabili ambiti di violenza e di irrazionalità legati alla sfera della conoscenza. Così, questa regione piena di sole sembra tutta manifesta e logica. Invece nutre segmenti sotterranei impensabili, da cui la dimensione magica irrompe improvvisa, scardinando le coordinate dell’ovvio. Basti pensare a Castel del Monte di Federico II. Una costruzione che non serve alla guerra, alla caccia e di fatto neppure per essere abitata. Hanno scritto innumerevoli libri su questo castello, ma a mio parere, l’unico ad averne capito il senso è stato Antonio Thiery in una pubblicazione universitaria scarsamente divulgata. Questo edificio ottagonale sarebbe un simbolo del celebre “inganno” ermetico della “quadratura del cerchio” , ovvero un’idea impossibile a realizzarsi e pure a concepirsi. Invece Thiery, partendo dall’ottagono e dilatandolo all’infinito, un ottagono dentro un altro ottagono, e così via, fa coincidere in una proiezione illimitata proprio il quadrato, di cui l’ottagono è una espressione, con il cerchio.
Ma non c’è soltanto Castel del Monte; che dire infatti di Monte Sant’Angelo, dove è apparso l’arcangelo Michele che scaccia i demoni maligni? Basti riflettere che per salire su questo monte i crociati deviavano di centinaia di chilometri dai propri itinerari. Ma non voglio dilungarmi troppo, voglio soltanto aggiungere che il primo racconto gotico di tutti i tempi è Il castello di Otranto, ambientato appunto da Walpole nel Salento.
Nulla avviene “per caso”: dobbiamo abbandonare questa logica riduzionista per cui nell’universo e in noi, ovvero nel microcosmo, non possono che accadere eventi casuali. Tutto è uno e quindi tutto è necessariamente collegato. Purtroppo abbiamo perso la facoltà, tipica del Femminile, di collegare gli eventi tra di loro e di decifrare i “segni” che la tela della nostra vita ci pone davanti. Occorre riappropriarsi del potere di leggere attraverso i fatti e quindi di cogliere i fili dell’imperscrutabile tessuto che compone l’esistenza nel suo apparente “farsi”. Aguzzare i sensi e guardare i particolari apparentemente insignificanti è una delle tecniche di Don Juan, lo sciamano guida di Carlos Castaneda; questo scrittore inizia il suo personale percorso di conoscenza proprio imparando a osservare “i filamenti” di collegamento.
Non ero mai stato in Puglia per “vederla” davvero fino al 1984, quando vi feci un lungo viaggio partendo da Bari, passando dal Gargano, da Monte Sant’Angelo, da Castel del Monte, fino al Salento, dove mi è accaduto l’episodio che desidero raccontarvi. Fa parte di quei segmenti della mia vita che hanno a che vedere con la brillantanza. Per carità, nulla di eccezionale, ma egualmente significativo per iniziare a sviluppare quella particolare strategia dell’attenzione indispensabile a chi desideri realizzare in sé un sentiero che conduca all’ermetismo pratico.
Ero con due amici dei tempi del liceo, Pino e Giovanna Marango. Lei è una sensitiva inespressa che non ha mai sfruttato le proprie potenzialità. Semplicemente non vi ha dedicato sufficiente attenzione, come purtroppo capita a moltissime donne che non sanno di essere le eredi di una cultura “altra”, quella che un tempo, secondo alcuni, dominava il mondo, e che tanto ha spaventato e spaventa gli uomini da quando hanno preso il potere nella notte dei tempi. Avremo modo di parlarne ancora in seguito; la lotta è aperta e dichiarata da sempre. La violenza del patriarcato, delle sue istituzioni, delle sue religioni ha distrutto la cultura del matriarcato, delle sciamane e dei suoi maghi-guerrieri, ma la notte stellata ha protetto i ricordi e nei labirinti, nelle selve, nei boschi, nelle valli rigurgitanti alberi, fiumi, e ctonie atmosfere ha continuato a propagarsi l’estasi del Femminile con la sua immaginazione rutilante. Basta andare con i sensi aperti in una qualsiasi foresta all’alba o al tramonto per avvertire la presenza del mondo “diverso”. Non è tempo però di nostalgie: si annuncia il nuovo-antico mondo. La brutalità del patriarcato si sta rivolgendo contro se stessa e la legge dell’esclusione e dell’eliminazione del più debole ha messo in moto l’infinita spirale dell’annientamento progressivo. Si dilanieranno a vicenda. Bisogna soltanto stare attenti al mutamento proteiforme che il patriarcato può mettere in atto.
Giovanna è dunque una delle tante donne che hanno realizzato un centesimo della brillantanza che si annida nel loro cuore. Ma di tanto in tanto ecco che traspare il senso riposto. Come accadde a Patù, nell’entroterra tra Otranto e Gallipoli. Eravamo andati a cena da Mamma Rosa, uno di quei posti dove la tradizione della terra si riversa immacolata sulla tavola per restituire sapori persi con l’industrializzazione. Sarà forse anche per questo che si aprì l’ingresso dell’oscura dimensione. A Patù si trovano vestigia considerate preistoriche. Basse costruzioni che affondano nei millenni. Dopo cena le visitammo facendoci luce soltanto con fiammiferi. Cominciai qui ad avvertirmi diverso. È raro che percepisca i mutamenti che avvengono nei sotterranei del mio essere; lì mi capitò. Un senso indecifrabile che mi permette di cogliere i “segni”. Dopo il giro negli edifici protosacrali uscimmo nella notte. Davanti a essi notammo un edificio di cui non ci eravamo accorti prima. La notte senza luna ricopriva tutto con il suo manto. Era una chiesa sconsacrata. Entrai con Giovanna; Pino decise di rimanere all’esterno.
Aprimmo a fatica il pesante battente. Ci aspettava la pece dell’oscurità totale. Il tempo di abituare gli occhi e in alto, davanti a noi, brillava di nero il rosone del tempio. Nel senso che sembrava ancora più scuro del resto. Un buio assoluto che risaltava rispetto al resto. Tenebre che si evidenziano rispetto ad altre meno intense. Qui ci fu il battito d’ali. Qualcosa volteggiava intorno a noi e non si trattava di pipistrelli, di cui tra l’altro non ho paura. Come tutti quelli che sono vissuti in campagna so riconoscerne il fruscio. Quelli erano invece piccoli volatili. Decisi di accendere un fiammifero e in quel preciso istante lo vedemmo. Un uomo gigantesco con una lunga barba si affacciava bonario da una parete. Un disegno che si ergeva su un muro al nostro fianco. E la mia fiamma corrispondeva esattamente al centro di una lampada che lui protendeva davanti a sé, proprio all’altezza delle nostre teste. La mia fiamma sembrava collocarsi proprio nel cuore del suo lume. Presi la mano di Giovanna e, mentre il fiammifero si spegneva, pronunciai parole gentili.
«Siamo venuti in pace con l’anima aperta» dissi a voce alta. Come l’eco della mia voce si spense, ci fu la risposta. Uno schiocco potente proveniente da “dentro” le mura e le assi. Un rumore viscerale del luogo che si propagò potente in un riverbero sotterraneo fino ad aprire le gallerie celate del nostro petto. Sentimmo entrambi la continuità tra i nostri corpi e ciò che ci circondava.
Per pochi secondi i fremiti d’ali vibrarono armoniosamente nel nostro tempio interiore mettendolo in contatto con l’insieme esterno. Quanto tempo durò la “comunicazione”? Il necessario per farci sentire quel senso di comunione. Lo schianto interno alle cose aveva aperto il varco. Un solo istante, ma fu sufficiente. Credo che esista davvero il passaggio comunicante con la natura nella sua totalità. C’è la via di accesso, ma non sappiamo più aprire soavemente il cancello d’ingresso al giardino incantato dell’unità. Purtroppo dobbiamo aspettare circostanze eccezionali. Ecco ciò che abbiamo perso. Il contatto con le stelle e quel cielo che si riverbera identico nella nostra psiche.
Un tempo le donne e gli uomini vivevano in un’armonia interattiva? Chi può dirlo? Forse la magia non è altro che il tentativo di riaprire i circuiti di comunicazione? Forse la Melancholia di Dürer è l’impossibilità di rientrare nell’hortus conclusus della totalità? Forse l’architettura dei giardini rinascimentali, come quello voluto da Federico V nel Palatinato, non è altro che l’imitazione dell’immenso bosco cosmico? Non c’è risposta se non quella che ciascuno può dare nel sé interno.
Con Giovanna non abbiamo mai parlato di quello che ci accadde “dentro”. Non era necessario. Questa è la prima volta che ne parlo. E sarà anche l’ultima.
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