Orribile notte

Orribile notte d’insonnia!
– senza la presenza benedetta
del tuo caro corpo accanto a me,
senza la tua bocca tanto baciata
anche se troppo scaltra
e sempre in malafede,

senza la tua bocca tutta menzogne,
ma così franca quando ci penso
e che sa consolarmi
sotto l’aspetto e la specie
di una fragola – e, buona commedia! –
di un plausibilissimo parlare,

e soprattutto il pentacolo
dei tuoi sensi e il miracolo
multiplo e uno, fiore e frutto,
dei tuoi duri occhi di strega,
duri e dolci a modo tuo…
Buon Dio! che terribile notte!

 Paul Verlaine

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Una Risposta

  1. Pedalando di notte. In montagna. Pink Floyd a tutto volume, così che non senti se arriva da dietro un’ auto e ti investe.
    Lo capiresti dai fari. Troppo tardi, magari. Al tornante mezza luna s’affaccia tra le fronde, ti ride in faccia e un pugno di stelle ammicca. ‘Va tutto bene’. Vai, ‘tutto bene’, incontro all’ alba: speri forse di schiantarti col sole, farti un istante luce, inconsapevole di tutta la merda che illumini. Puoi farlo. Non c’è nessuno a casa che t’aspetta. Nessuno, domani, da riabbracciare. Puoi vivere di questa salvifica follia. E tutta l’ anima la sbuffi via dalla bocca, la sputi sulla salita più dura. Tutto l’ amore lo butti sui pedali, ancora, ancora, finché crederai di non averne più.
    E’ la terza notte che passo così, è la terza alba che accolgo con il sorriso, nonostante tutto. Mi chiedo per quanto ancora sia capace di restare sveglio.
    Guardo giù e penso alle persone che dormono, che sognano e che sognando promettono. E ancora tradiscono.
    Penso a quelli che ogni giorno corrono sulla lungomare, a quelli che non sanno che, per quanto forte si vada, nessuno può correre via da se stesso. Penso all’ angolo di paradiso su cui lei ha cagato, per l’ ennesima svilente infatuazione, per l’ ennesima faccia ‘carina’. Non riesco a pensare però a tutto quello che lei mi sta costringendo ad accantonare, cestinare, sprecare: è troppo, troppo ben di Dio, troppo Amore, sarebbe come pretendere di sciorinare tutto il pi greco. Mi scoppia la testa. E’ stato un viaggio dalla morte alla vita. 42 mesi di un’ intensità sovraumana, quando ogni banalissimo atto quotidiano si è vestito di magia, sempre dove nulla e nessuno potrà farci male finché tu mi tieni per mano. Questo mi dilania: essere costretto a dimenticare tutto in fretta ( ma è UMANO? possibile? ), per assecondare il suo irreversibile autolesionismo e per non diventarne parte e concausa. Non posso far altro. Che schifo.
    “Si cresce”, ha detto A**** ieri sera, sbagliando di brutto. Perché crescere vuol dire maturare. Invece non si matura. Si diventa solo più cinici o più imbecilli. Nella migliore delle ipotesi torniamo ( tutti, prima o poi ) al punto di partenza, soli e a mani vuote. Siamo meno di cani che girano, girano in tondo per mordersi la coda. Sono stanco, DEFINITIVAMENTE stanco delle parole, scritte o vomitate che siano. Non ho bisogno di qualcuno che ascolti le mie ciance. Ho bisogno di tacere accanto a una persona che sappia tacere, abbracciare e lasciarsi abbracciare. Tutti ne abbiamo bisogno, in pochissimi ci riescono, in troppi cercano altro e rovinano una o più vite. Ne ho tanto bisogno, ma non mi è dato farlo. Devo in qualche modo alleviare questa necessità. Come?
    Domani mi licenzio e vado al mare, laddove tutto è iniziato, con un angolo di paradiso riposto lì, in valigia, a marcire.
    So già che non troverò chi voglio, ciò che voglio, ma sarà bello riascoltare la voce di quel mare che non promette, che non mente, ma che forse mi dirà dove andare. Vorrei fare un coast to coast in bici, tutta l’ Italia…o mi accontenterò di pedalare, finché tornerà finalmente il sonno. Vorrei telefonarle e gridarle: ridammi, anzi ridacci quel 25 aprile 2009. Ma non sarebbe più capace di farlo. Vorrei scuoterla, sbatterla fino a tirarle fuori tutta quell’ idiozia. Ma non posso farlo.

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