Immaginazione
… Per usare le parole di Gabriel García Márquez, la vita di una persona non è quello che è accaduto ma quello che ricorda e come lo ricorda… L’immaginazione non fugge in un altrove estraneo al mondo, al contrario penetra in esso, nelle sue piaghe segrete e ne svela la trama invisibile.
Carla Stroppa, Così lontano, così vicino, in AA.VV., Anima – Per nascosti sentieri, Moretti e Vitali, 2001, pag. 39
Immaginazione attiva
È soprattutto l’immaginazione attiva che ci permette di tradurre in un’immagine plastica e viva il messaggio irrigidito dal determinismo della materia, evitando ogni schematismo interpretativo. Ciò che dobbiamo domandarci è come la malattia viene vista dalla parte dell’anima e, se le immagini nascono dal paziente, egli le vivrà come un prodotto creativo della sua anima e le sentirà dense di significato. L’autore ci propone una tecnica, quella dei dialoghi scritti con i personaggi interiori di cui avvertiamo la presenza dietro alle nostre infermità, ma è importante trovare la forma più consona alla personalità del terapeuta e del singolo paziente.
Albert Kreinheder, Il corpo e l’anima, Moretti e Vitali, 2001, pag. 16
Immaginazione vera
Jung distinse vera e falsa immaginazione: la prima intesa a riconoscere la forma del diverso, l’altra a ridurre il diverso in forme subordinate e una prevaricante soggettività.
Francesco Donfrancesco, Tutto è pieno di dei, in AA.VV., Anima – Per nascosti sentieri, Moretti e Vitali, 2001, pag. 174
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Rispetto all’ultima citazione: io credo che -laddove ovviamente si coltivi la propria consapevolezza- possano essere utili all’individuo entrambi i linguaggi. Una cosa a mio avviso terribile è però la rincorsa ad una costruzione basata su stereotipi persino per il proprio soggettivo, ed è una cosa che è possibile constatare anche e soprattutto nei ragazzi più giovani. L’immaginazione non dovrebbe cercare di creare una trama di associazioni e di nuovi significati?
Mi sembra che prevalga una certa ostinata mania di discutere di se stessi autodefinendosi in base a parametri che erano tradizionalmente “esterni”, che costituivano un principio di prospettiva per confronto di ciò che partiva dall’interno, e non materiale di istruzione per costruirlo. Un po’ come se ad esempio la constatazione di vivere immersi in un cultura artisticamente millenaria e che ha “detto tutto” più recentemente persino nella sfera della psicologia, spingesse a cercare non tanto di mettere in discussione certe categorie, quanto di cercare una via di fuga, una categoria apparentemente “speciale” e più elastica delle altre. Un meccanismo paradossale in cui la soggettività stessa diventa vittima dell’esterno. Tanto per fare un esempio: c’è a mio avviso una degradazione ed un abuso spiacevole del termine “istinto” e si tende ad utilizzarlo per giustificare la mancanza del senso, più che l’ascolto e la manifestazione serena e consapevole del senso “proprio”. La mia sensazione è che ciò stia avvenendo proprio perchè sovraesposti come siamo alla possibilità di stimolarci e di guardarci riflessi dal prossimo, nel tentativo di condividere significato abbiamo iniziato a condividere via via linguaggi e ne siamo rimasti un po’ intrappolati.
Spero di non essere andato troppo fuori tema, ma ad esempio quello che ho sempre amato di Garcia Marquez è proprio la capacità di restituirci nei suoi racconti questo senso di dignità anche rispetto ad accostamenti a volte del tutto arbitrari, ma dove l’arbitrarietà è proprio l’elemento contenente il senso personale, il materiale esperienziale, e non una via di fuga dal rivolgere uno sguardo “vero” e disincantato al reale.
C’è nel finale del monologo “Novecento” di Baricco proprio l’uso del termine “incantare” a parziale spiegazione della rinuncia del personaggio: forse in quel caso l’intento è negativo, ma a me sembra possa avere anche intenzionalità costruttive e sane nella direzione di una crescita personale.
Caro Gabriele, penso che uno dei miei difetti è la troppa immaginazione, perché mi porta a pensare e immaginare sempre quello che vorrei (dal punto di vista morale, umano e affettivo) e che non c’è nella realtà (in cui non sopporto il materialismo).
Al tempo stesso l’immaginazione mi ha aiutato molto durante la mia crescita, usando tecniche e modi di immaginare e sentire. Una cosa di cui ero fiera e nel eleiminare in me i pregiudizi. Quando avevo 20 anni circa (pur avendo già vissuto esperienze brutte e umane nella sofferenza, con chi soffriva,ecc.) osservavo che nella società c’erano molti pregiudizi verso quelle categorie di persone più fragili o diverse dai canoni sociali. Io allora sperimentai in me attraverso l’immaginazione, mi immaginavo e sentivo attraverso l’anima e il pensiero come dovevano sentirsi gli altri in tutte le identità di esseri possibili . Così dopo un lungo processo cappi anche se ne ero consapevole, di “sentire” gli altri per quello che sono, e non “vederli” diversi da noi.
Il fatto è che vivendo in mezzo alla società quotidiana, si corre sempre il rischio di vedere attraverso i canoni sociali.
L’immaginazione è per me il sussulto delle tenebre di una luce vagante inaccessibile nello stesso momento in cui l’anima la percorre….consapevolmente inconsapevole.
Ps.Gabriele mi dia del tu..io le do del lei pur chiamandola per nome per un senso di voluto avvicinamento a lei che reputo così lontanamente alto per me che manco mi pare vero poterci parlare.
Seguo da sempre le sue trasmissioni che chiamarle così mi sembra riduttivo..e le discussioni che ne vengon fuori sono cibo per l’anima..grazie.
Carissima Maria, quella che tu chiami immaginazione è in realtà Fantasia. la vera immaginazione è quella del MAestro Sufi a cui bastava pensare la guarigione di una malattia di un discepolo per risanarlo istantaneamente. Non abbiamo attualmente maestri a questo livello. Siamo stati confusi e fuorviati dallo scientismo. Non credo nella reincarnazione, ma in qualcosa che somiglia alla Metempsicosi (quest’ultima non prevede il ricordo di vite precedenti).
Il teso che ti consiglio, caro Seralf, per capire che cosa sia l’immaginazione è “L’immaginazione creatrice” di Enry Corbin edito da Laterza. Purtroppo, noi occidentali, non ne sappiamo assolutamente nulla e la scambiamo per fastasticheria. Aquesto riguardo un altro testo illuminante è di Elemire Zolla “Storia del fantasticare” ed. Bompiani (reperibile solo in biblioteca). Su di noi pesa l’eredità dell’ottusità tipica del Positivismo. ciao g.
La ringrazio moltissimo dei suggerimenti graditissimi, e mi scusi le divagazioni, tendo un po’ troppo al volo pindarico 🙂
Alfredo