Nell’Interiorità di Anima – “Dolore”

Dolore (1)

Non si guarisce dai sintomi per tornare come prima, ma mediante il percorso nel dolore, che necessariamente implica un aspetto creativo e finalistico, ci si trasforma, si acquisisce uno sguardo più umano e profondo che consente di contenere la sofferenza e di scorgerne il valore.

Carla Stroppa, Così lontano, così vicino, in AA.VV., Anima – Per nascosti sentieri, Moretti e Vitali, 2001, pag. 44

Dolore (2)

“Tutta la vita è dolorosa.” Ed è proprio così. Se tentiamo di correggere il dolore, riusciremo solo a spostarlo altrove. La vita è dolorosa. Come si fa a convivere col dolore? Dobbiamo scoprire l’eterno dentro di noi. Disimpegnarci, ma anche tornare a impegnarci. Dobbiamo – e questa è una splendida formula – “prendere parte con gioia al dolore del mondo”.

Joseph Campbell, Riflessioni sull’arte di vivere, Guanda, 1998, pag. 105

Dolore (3)

Noi non riceviamo [dolori] più di quanto possiamo affrontare, anche se questo significa la morte. La guarigione non implica necessariamente rimanere in vita, ma avvicinarsi alla totalità, talvolta attraverso la morte, la guarigione finale. Qualunque cosa ci venga data appartiene al nostro destino e siamo in grado di prendercene cura.

Albert Kreinheder, Il corpo e l’anima, Moretti e Vitali, 2001, pag. 45

 

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Nell’Interiorità di Anima – “Daimon”

Il daimon è quell’entità intermedia tra il piano divino e umano, quel compagno “unico e tipico nostro” affidatoci, secondo il mito platonico di Er, prima della nascita. È ciò che chiamiamo “vocazione”, “chiamata”, “carattere”. È il portatore del nostro destino. Nel venire al mondo dimentichiamo tutto questo: è così che il daimon interviene per ricordarci il contenuto della nostra “immagine” e ricondurci ad essa.

Daimon (1)

In ultima analisi, ogni vita è la realizzazione di un tutto, cioè di un Sé, ragion per cui tale realizzazione può essere chiamata “individuazione”. Tutta la vita è legata a portatori individuali che la realizzano ed è semplicemente inconcepibile senza di loro. Ma il portatore è anche soggetto ad un destino ed una destinazione individuali ed è soltanto la realizzazione di questo che dà un senso alla vita.

Carl Gustav Jung, citato in Joseph Campbell, Riflessioni sull’arte di vivere, Guanda, 1998, pag. 60

Daimon (2)

Jalal ‘uddin Rumi, il più grande poeta del suo secolo, e forse di tutti i tempi, fu altrettanto chiaro riguardo alla necessità cogente del daimon: “C’è una sola cosa al mondo che non dovete mai dimenticarvi di fare. Se dimenticate tutto il resto, ma non questo, non c’è da preoccuparsi; se invece ricordate tutto ma dimenticate questo, allora non avete fatto niente nella vostra vita. “È come se un re vi avesse mandato in qualche paese a eseguire un compito, e voi faceste mille altri servizi, ma non quello che vi ha mandato a compiere. Dunque gli esseri umani vengono al mondo per realizzare una particolare opera. Quell’opera è lo scopo, ciascuno specifico per ogni persona. Se non la compi è come se una spada indiana di valore incalcolabile venisse usata per affettare carne putrefatta”.

Noel Cobb, Maestri per l’anima, Moretti e Vitali, 1999, pagg. 20-21

Daimones

Jung fu sommerso da “un flusso incessante di fantasie”, una “molteplicità di contenuti psichici e di immagini”. Per far fronte a questa tempesta di emozioni annotò queste fantasie e lasciò che le tempeste si trasponessero in immagini […] Le figure che Jung incontrò per prime e che lo convinsero della realtà della loro essenza psichica […] derivano dal mondo ellenistico e dalla sua fede nei demoni. (Daimon è l’espressione greca originaria per queste figure, che in seguito divennero demoni, a causa della visione cristiana, e demoni in contraddizione positiva con tale visione) […] Conosci te stesso alla maniera di Jung significa divenire familiari con i demoni, dischiudersi ad essi e ascoltarli, cioè conoscerli e distinguerli.

James Hillman, Le storie che curano. Freud, Jung, Adler, Raffaello Cortina Editore, 1984, pagg. 67-69

 

Nel nome del figlio

Tre film, attualmente nelle sale, parlano delle scelte che l’attesa o la nascita di un figlio costringe a fare sia individualmente che nella coppia. Il primo è “Ho ucciso Napoleone”, diretto e scritto da Giorgia Farina con Federica Pontremoli, ha come protagonista Anita (Micaela Ramazzotti), donna in carriera, licenziata perché rimasta incinta del suo capo (Adriano Giannini). Razionale, fredda, completamente dedita al suo lavoro, in un primo momento pensa di rinunciare al bambino. Poi, per calcolo, decide di tenerlo. Ma, andando avanti con la gravidanza, e, con l’aiuto di figure femminili che le faranno scoprire la solidarietà tra donne, Anita acquisirà una nuova consapevolezza, facendo venire fuori la parte più morbida e materna di se stessa, tessendo un nuovo modo di vivere. In questo caso, la nascita è servita alla madre a svelarle i lati più reconditi del suo essere e ad accettarli.

Il secondo film che prendiamo in considerazione è “Second Chance” di Susanne Bier. In questa storia i neonati presenti sono due, figli di coppie totalmente diverse tra loro. Una sembra serena come una famiglia borghese può essere. Marito poliziotto e padre amorevole, moglie benestante e accudente. Altra coppia, altro scenario. Lui manesco e spacciatore, lei prostituta. Entrambi tossicodipendenti. La casa dove vivono è piccola, sporca e fatiscente, il loro bimbo di pochi mesi sopravvive abbandonato a se stesso, mentre i suoi genitori si fanno di eroina. Il poliziotto, amico d’infanzia del padre, irrompe nella loro vita a causa della segnalazione da parte di un vicino, esasperato dalle grida. Nel sopralluogo, l’uomo trova il bambino coperto di feci e chiuso in un armadio. Pensa a suo figlio, amato e protetto, e chiede che il neonato venga sottratto ai genitori. Ma la legge non lo consente, perché il bimbo è sano, non denutrito. Tutto cambia quando, qualche giorno dopo, la brava moglie borghese trova il figlioletto morto nella culla e la follia prende il sopravvento in quella che, all’apparenza, sembrava una coppia equilibrata. Anche in questo caso, la nascita, anzi le nascite di due bambini cambieranno le carte in tavola ad un destino già delineato, facendogli prendere una piega diversa.

Il terzo film, infine, è “La scelta”, scritto e diretto da Michele Placido, liberamente ispirato al testo teatrale “L’innesto” di Luigi Pirandello. Laura, interpretata da Ambra Angiolini, e Giorgio, impersonato da Raoul Bova, non riescono ad avere figli. Anche qui, l’ambiente è quello borghese, lui proprietario di un ristorante, lei insegnante di musica. Una vita fatta di serate con parenti e amici, tutto filerebbe liscio se non fosse per il mancato annuncio di una gravidanza. Ma ecco che l’imprevedibile è in agguato. Una sera, tornando a casa, Laura subisce uno stupro e rimane incinta. Il bimbo tanto cercato è arrivato in modo non convenzionale. Cosa fare? Per Giorgio è difficile accettare un figlio non suo, concepito con una violenza. Per Laura, dopo un primo momento di smarrimento, sente che la vita che si sta formando dentro di lei le appartiene e decide che vuole tenerlo. Un’altra attesa, un’altra nascita che costringe ad un cambiamento, una metamorfosi, a superare i propri egoismi e ad accettare i propri limiti. E anche a prendere coscienza che si diventa altro quando una nuova vita irrompe nella nostra ordinata e predisposta esistenza.

Clara Martinelli

Pietra filosofale

“Quasi tutti coloro che hanno sentito parlare della pietra filosofale e del suo potere, chiedono dove si possa trovare. Il filosofo dà sempre una duplice risposta. Prima dice che Adamo ha preso la pietra filosofale dal Paradiso e che è ora presente dentro di te, dentro di me e dentro tutti, e che gli uccelli di terre lontane la hanno portata con loro. Poi il filosofo risponde che si può trovare nella terra, nelle montagne, nell’aria e nel fiume. Allora in che modo bisogna cercare? Per me, in entrambi i modi, ma ogni modo ha il suo modo”.

(Michael Maier, 1617)

Per gli amici che utilizzano facebook, vi suggerisco questa pagina:
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Jung, Leonardo e le immagini dell’inconscio

 

di Massimo Lanzaro

Leonardo suggeriva agli artisti del suo tempo di guardare le macchie sui muri, le venature dei marmi, le nuvole, la cenere, per scorgervi paesaggi ed animali, cose inusitate e mostruose, com’era solito fare lui stesso, abbandonandosi alla potenza evocatrice delle “cose confuse”, perché “nelle cose confuse l’ingegno si desta a nuove invenzioni”. Nel tedesco corrente gelassenheit significa “calma”, “tranquillità”. La pregnanza storica del termine ha le sue origini nella tradizione mistica (da Meister Eckhart, il mistico domenicano vissuto tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo), in cui indicava il sich lassen, la dedizione e il completo abbandono a Dio. L’esistenzialismo ricondusse il verbo alla radice di lassen, “lasciare”, “lasciar essere”, alludendo ad un rapporto con le cose che le rispetta nel loro disvelarsi. Jung arrivò ad intendere tale abbandono come l’attingere del singolo alla forza o volontà “superiore” che è possibile scoprire attraverso la funzione trascendente. Nella weltanshaung junghiana infatti, l’abbandono insito nel geshehenlassen (“lasciar accadere”) assume una valenza-chiave: lasciare che tutto avvenga e tuttavia conservare intatta una vigilanza etica ed intellettuale sono le condizioni dell’individuazione, di una prova totale di se stessi. Da note biografiche apprendiamo che Jung maturò personalmente tale concetto in seguito ad un momento che molti conoscono: l’assenza di riferimenti. Al termine di un periodo di enorme sofferenza (1912-1919) ci rende partecipi della sua estenuante esperienza personale: “Mi sentivo letteralmente sospeso. Temevo di perdere il controllo di me stesso e di divenire preda dell’inconscio, e quale psichiatra sapevo fin troppo bene che cosa ciò volesse dire. Le tempeste si susseguivano, e, che potessi sopportarle, era solo questione di forza bruta”. Invece di riagganciarsi a idee o ad una situazione sociale, Jung decise di “lasciar accadere”, di abbandonarsi (dal francese à ban donner: mettere a disposizione di chiunque), di mettersi a disposizione delle immagini interiori che l’inconscio gli forniva. Possiamo supporre che in un simile contesto non basti scartare le resistenze e lasciar accadere, e che sia necessario un doppio ancoraggio. Da una parte la cura del corpo, la regolarità dell’attività professionale, dall’altra lo sforzo costante per obbligare le emozioni a prendere forma. “Perché altrimenti – scrive – correvo il rischio che fossero esse ad impadronirsi di me. Vivevo in uno stato di continua tensione, e spesso mi sentivo come se mi cadessero addosso enormi macigni. Dopo sei anni al limite della dissociazione, cominciarono a presentarsi forme nuove”. Jung le dipinse senza sapere che cosa fossero. Notò che l’oscurità interiore si dissipava e che si stabiliva da sé una solidità: “Quando cominciai a disegnare i mandala vidi che tutto, tutte le strade che avevo seguito, tutti i passi intrapresi, riportavano ad un solo punto, cioè nel mezzo. Mi fu sempre più chiaro che il mandala è il centro (…). Cominciai a capire che lo scopo dello sviluppo psichico è il Sé”. E nel passaggio dalla pittura all’idea si creò lo spazio che gli consentì l’elaborazione. Jung considerò il simbolismo del mandala come una fenomenologia del Sè e definirà l’archetipo del Sè come la totalità della psiche, l’integrazione compiuta tra conscio e inconscio, quello stato psichico che scaturisce dal superamento della dissociazione, dei poli conflittuali, il centro. Quindi, alcuni anni dopo chiamò funzione trascendente la cooperazione tra dati consci e dati inconsci, di immagini ed idee, al fine dell’integrazione di contenuti precedentemente non noti. Probabilmente anche basandosi sulle esperienze personali descritte postulò che le strade per conoscere l’inconscio fossero sostanzialmente due: una procede nella direzione della raffigurazione (la cui manifestazione più immediata è l’attività onirica e quelle più “mediate”, se così si può dire, sono, nella psicologia analitica, l’immaginazione attiva e la sandplay), l’altra della comprensione. Ed affermò: “Le due strade sembrano essere l’una il principio regolatore dell’altra, entrambe sono legate da un rapporto di compensazione. La raffigurazione estetica ha bisogno della comprensione del significato, e la comprensione ha bisogno della figurazione estetica”. Le due tendenze s’integrano in quella che appunto denominò funzione trascendente. Piace a questo punto ricordare l’esortazione di Hillman sul “fare anima”, cioè: “fare anima attraverso l’immaginazione delle parole”. Bisogna notare che la capacità di abbandonarsi consapevolmente alle proprie immagini interiori, in una condizione di sospensione della quotidianità, non è solo foriera di insight rispetto agli strati profondi della psiche. Tale stato di liminalità è, infatti, anche fonte di intuizioni ed ispirazioni che consentono di allentare la struttura normativa personale e sociale, di affrontare gli ostacoli incontrati dalla mente conscia, e talora di superarli col sorgere di modelli e simboli nuovi. Riflettendoci, è strano che le origini oniriche del pensiero moderno non siano altro che una nota in calce alla storia: mentre le idee più utili di Cartesio furono accolte a braccia aperte, la reazione alla loro origine fu violentemente negativa. Cartesio stesso fece notare la profonda importanza sia delle sue immagini oniriche, sia dei suoi calcoli e operazioni logiche per costruire il suo metodo. Ma pochi dei suoi contemporanei vollero accettare l’anomalia della conoscenza fondata sul sogno e, di conseguenza, sulle immagini. La conoscenza degli archetipi della mente (i mandala dipinti da Jung e quelli della tradizione alchemica ed orientale raffigurano l’archetipo del Sé) è in effetti difficile a chi crede nella sola forza denotativa delle parole: una definizione solitamente indica il punto di intersezione di una tassonomia, mentre un archetipo è ciò che proietta la tassonomia stessa. Il logos dell’anima predilige il linguaggio immaginale dell’intuizione e dell’evocazione, così come si manifesta nella durata di una psicoterapia analitica. L’individuazione degli archetipi è più agevole quando una parte della psiche si traspone in simboli e, in definitiva, in immagini, come avviene normalmente in sogno. Di tale trasposizione è inoltre capace il poeta, il pittore, lo scultore, un mimo sacro, o il danzatore che traccia spirali attorno al cuore, mostrando la vita che ne procede come un filo dal gomitolo…

Dr Max Lanzaro is an Italian Psychiatrist currently based in London, Verona and Naples;  he has worked as a Consultant in Italy (Naples, Milan) and in the UK (London, Exeter)

Bibliografia

C.G. Jung. La vita simbolica. Biblioteca Bollati Boringhieri, 1993.
E.G. Humbert. L’uomo alle prese con l’inconscio. La Biblioteca di Vivarium, 1998.
Reale B. Le macchie di Leonardo. Moretti & Vitali, 1998.

Lavorare stanca

Traversare una strada per scappare di casa
lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo
e non scappa di casa.

Ci sono d’estate
pomeriggi che fino le piazze son vuote, distese
sotto il sole che sta per calare, e quest’uomo, che giunge
per un viale d’inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. È per questo che a volte
c’è lo sbronzo notturno che attacca discorsi
e racconta i progetti di tutta la vita.

Non è certo attendendo nella piazza deserta
che s’incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c’è quella donna e varrebbe la pena.
Nella notte la piazza ritorna deserta
e quest’uomo, che passa, non vede le case
tra le inutili luci, non leva più gli occhi:
sente solo il selciato, che han fatto altri uomini
dalle mani indurite, come sono le sue.
Non è giusto restare sulla piazza deserta.
Ci sarà certamente quella donna per strada
che, pregata, vorrebbe dar mano alla casa.

Cesare Pavese

L’ascolto

Non occore che tu esca di casa. Siedi al tuo tavolo e ascolta”.

Franz Kafka

Il “popolo di sogni”

Sopra: Jacopo Tintoretto, “L’origine della Via Lattea”, 1575-80.

Per Pitagora le anime sono «popolo di sogni» che, egli dice, si riuniscono nella Via Lattea, cosi chiamata dalle anime che, quando cadono nella generazione, si nutrono di latte. Per questo chi evoca le anime offre loro libagioni di miele mescolato a latte: perche attratte dal piacere esse giungono alla generazione, e il latte compare naturalmente insieme al loro concepimento.

Da L’antro delle Ninfe di Porfirio

La sofferenza

La profonda sofferenza rende nobili… e talvolta la follia stessa è la maschera per un sapere infelice troppo certo

Friedrich Nietzsche, “Al di là del bene e del male”, 270

Se è il dolore che abita il mondo

Se è il dolore che abita il mondo, se è la sofferenza, come possiamo immaginare il nostro procedere oltre in vista di un cambiamento, di un miglioramento, senza assumere questo peso sino a farcene compagni, senza volgerci a noi stessi?

Se non mentissimo a noi stessi, potremmo accorgerci che è proprio la conoscenza di sé ad accompagnarci di momento in momento nel corso della nostra vita, di compito in compito, chiedendoci ogni volta di andare oltre, sino a divenire sempre più indispensabile per la continuazione di questa stessa vita nella vecchiaia.

Carl Gustav Jung, “Opere”, vol. 8

Stravaganza per eremiti e solitari…

Lo sforzo introspettivo rimane, dunque, una impresa impopolare anche in quanto viene giudicata come una sorta di rifiuto irritante della strada maestra, una inutile eccentricità che non giova in alcun modo ai nostri legami, una stravaganza per eremiti e solitari.

Osservare se stessi, occuparsi di sé, diviene un’eventualità giudicata con grande sfavore. Ben altro ci chiede il mondo a cui apparteniamo: esso assorbe tutta la nostra attenzione, ci chiama a compiacere e ad assecondare e da ciò otteniamo sostegno e protezione: la nostra persona prospera a prezzo di noi stessi.

…proprio questa avversione così profondamente radicata a saperne di più di sé che, a mio avviso, rende ragione del fatto che, di contro a tutto il progresso esteriore, non si sia verificato nei nostri tempi un corrispondente sviluppo e miglioramento interiore.

Ora, mi domando, come è possibile che qualcuno veda chiaro quando non vede nemmeno se stesso, né quelle ombre che egli stesso proietta in ogni sua azione?

Carl Gustav Jung, “Opere”, vol. 8

Minaccia interiore?

L’esperienza interiore, o forse dovremmo dire l’avventura dello spirito, è estranea a molti di noi, quasi fosse associata a un pericolo o a una minaccia. A questa minaccia è peraltro assai difficile dare un volto preciso.

Carl Gustav Jung, “Opere”, vol. 8

Fuga da Psiche

…sono convinto, ogni giorno di più, che quando si tratti di esperienza interiore, cioè di tutto ciò che riguarda il nucleo della nostra propria personalità, molti sono coloro che si sentono assaliti da un inspiegabile timore e altrettanti che si volgono indietro e ne fuggono via.

Carl Gustav Jung, “Opere”, vol. 8

I piaceri del pensiero

“Chi ho avuto come insegnante? Parigi o Dublino! Sono  convinto, veramente, assolutamente, che ciascuno di noi sia plasmato dai luoghi, dalla cultura, dalle atmosfere, dall’Anima del Mondo  in cui mangia e dorme, dalle conversazioni, dagli amori: tutti sono collocati, appartengono a un luogo. Parigi nel 1947-48, Dublino nel 1949-50. Grandi insegnanti. Quando ripenso a quel periodo dopo la guerra e a quelle città e a quelle persone sono portato a credere che sia stato allora che per la prima volta ho sentito i piaceri del pensiero. Nelle scuole e nelle università in cui ero stato prima, c’era apprendimento, ma non c’era molto piacere e non c’era neppure pensiero”.

James Hillman

Pregare

 Il pregare è nella religione ciò che il pensiero è nella filosofia. Il senso religioso prega come l’organo del pensiero pensa “.

Novalis

(Michelangelo Merisi da Caravaggio, Maria Maddalena in estasi, 1606)

Amen per la domenica in Albis

 Non m’hai tradito, Signore:
d’ogni dolore
son fatto primo nato.

Salvatore Quasimodo

Natura per meditare

(Alexandre Hyacinthe Dunouy, Rousseau medita nel parco di La Rochecordon vicino a Lione, 1770)

Il passero solitario


D’in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
Sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli
Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio, 
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch’omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell’aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all’altrui core,
E lor fia vóto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest’anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirornmi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.

Giacomo Leopardi

L’aculeo della vita

“L’uomo può sopportare le disgrazie, esse sono accidentali e vengono dal di fuori: ma soffrire per le proprie colpe, ecco l’aculeo della vita”.

Oscar Wilde

Psicologia e Alchimia

Ho studiato testi alchemici per quindici anni, senza mai farne parola ad alcuno, perché non volevo suggestionare i miei pazienti o influenzare i miei colleghi. Ma dopo quindici anni di ricerche e di osservazioni, certe conclusioni mi si imposero ineludibilmente. Le operazioni alchemiche erano reali, solo che la loro realtà non era fisica, bensì psicologica. L’alchimia rappresenta la proiezione in laboratorio di un dramma insieme cosmico e psicologico.

C. G. Jung

Bene

Se qualcuno compie il bene, lo faccia di nuovo e di nuovo in esso si diletti. La Felicità è cumulo di bene.

Buddha

Ciò che è dentro di te

Se riesci a mostrare ciò che è dentro di te, ciò che è dentro di te ti salverà. Se non riesci a mostrare ciò che è dentro di te, ciò che è dentro di te ti distruggerà.

Gesù

Giorgione – La tempesta, 1506

Il lampo che squarcia il cielo sembra essere il punto focale del dipinto. E’ l’irruzione del divino nella dimensione terrera, il contatto tra Cielo e Terra. Il momento dell’avvento divino. Sulla destra c’è una donna che allatta un bambino. Ma, ad osservarla bene, ha un solo seno. E’ il Centro del suo petto. Simbolicamente, quell’unica mammella, è il centrato, l’equilibrato. A sinistra, sempre per chi osserva, c’è un uomo con una verga. Già Maurizio Calvesi lo ha identificato come l’Hermes ed il suo caduceo. Tutto il quadro è denso di significati simbolici a caratterizzazione ermetico-magica. Ma non è tutto. Perché il punto più importante è quasi nascosto. E’ sopra il tetto della costruzione, alla destra del ponte. A ben guardare, Giorgione, vi ha dipinto un uccello. E’ un Ibis, animale sacro alla Dea Iside, alla Grande Madre. La presenza della divinità egiziana muta il cuore del dipinto. L’irruzione del divino nel mondo degli umani (il lampo nel cielo) è possibile sotto la guida del pastore Hermes, dell’amore femminile (la donna che allatta). Ma, tutti e due, sono guidati dalla Dea protettrice per antonomasia, Iside, signora del perdono e dei riti magici.

“SCIENTIA SCIENTIARUM”

Cari amici, percepiamo oggi i fondali “segreti” della “SCIENTIA SCIENTIARUM”. Ecco a voi le parole di Heinrich Cornelius Agrippa (1486-1535) e di Eugène Canseliet (1899-1982):

La magia è una facoltà che ha un grande potere pieno di altissimi misteri e che racchiude una profonda conoscenza delle cose le più segrete, della loro natura e del loro potere… È la vera scienza, la filosofia, la più alta e la più misteriosa, in una parola, è la perfezione. La fisica, la matematica, la teologia, compongono la filosofia, la magia sola contiene tutte queste tre scienze tanto capaci di prodigi! Gli antichi avevano dunque ragione di considerarla la più sublime e la più degna di venerazione.
(Heinrich Cornelius Agrippa)

La magia è prima di tutto l’Arte divina che consiste nel prendere contatto con l’Anima universale e a suo mezzo dominare le forze spirituali invisibili nello spazio come nella materia.
(Eugène Canseliet)

Aspetto le vostre percezioni, un abbraccio!

Aldilà

Vi propongo oggi una riflessione sull’aldilà dell’immenso Carl Gustav Jung. Come sempre attendo i vostri pensieri. A presto!

Se nell’aldilà tutto fosse piacevole e buono, certamente vi sarebbe un’amichevole relazione tra noi e gli spiriti beati, e la bontà e la bellezza si effonderebbero su di noi fin dallo stato prenatale. Ma non capita nulla di simile. Perché vi è questa insormontabile barriera tra i vivi e i morti? Almeno la metà dei racconti di incontri con i defunti narra di terrificanti esperienze con spiriti oscuri; e di regola il regno dei morti osserva un silenzio gelido, non turbato dal dolore dei familiari dei defunti. Per seguire il pensiero che involontariamente mi viene: il mondo, così mi pare, è troppo unitario perché possa esservi un aldilà nel quale la natura degli opposti sia del tutto assente. Anche di là vi è la «natura», che a suo modo è di Dio. Il mondo nel quale entreremo dopo la morte sarà un mondo grandioso e terribile, come Dio e come tutta la natura che conosciamo; e non credo che la sofferenza possa cessare del tutto. […] Ritengo probabile che anche nell’aldilà esistano certe limitazioni, ma che le anime dei morti solo per gradi scoprano dove siano i limiti del loro stato di libertà.

La doppia nascita

Da qualche parte «di là» deve esserci un elemento determinante, una necessità che condiziona il mondo, che cerca di porre una fine alla condizione ultraterrena. Questa costrizione creativa deciderà – così immagino – quali anime si immergeranno di nuovo nella nascita. Alcune anime forse ritengono lo stato dell’esistenza tridimensionale più beato di quello «eterno»; ma forse questo dipende dalla misura di compiutezza o di incompiutezza della loro vita terrena che hanno portato con sé. È possibile che la continuazione della vita tridimensionale non abbia più alcun senso una volta che l’anima abbia raggiunto un certo stadio di comprensione; e che allora non debba più tornare indietro, perché quella più piena comprensione avrebbe reso impossibile il desiderio di reincarnarsi. In tal caso l’anima si dileguerebbe dal mondo tridimensionale, e aggiungerebbe ciò che i buddisti chiamano il Nirvana. Ma se ancora rimane un karma disponibile, allora l’anima è ripresa da desideri e ritorna ancora una volta alla vita, forse anche perché resta ancora qualcosa da compiere.

Carl Gustav Jung, Ricordi Sogni Riflessioni, citato in Gabriele La Porta, Dizionario dell’Inconscio e della Magia, Sperling & Kupfer, 2008.

Abiura d’Amore

Carissimi, una modesta riflessione sul Rispetto.

Vedete, se guardiamo nella  nostra epoca troviamo un’incredibile tendenza, sempre più accentuata con il passare degli anni: la mancanza di educazione che si è trasformata in assenza, pressochè totale, di Rispetto.

Da sempre non rispettiamo la natura e gli animali.

E che dire dei bambini e delle donne? Degli Ammalati? Degli Anziani? Dei Diversamente Abili? E ancora, scendendo sempre più nella protervia, cosa argomentare sull’intolleranza verso chi ha la pelle di “un’altra” pgmentazione?

E degli Umili? Dei Profughi?

E ancora, sempre più sprofondando in una sorta di delirio di esclusione, cosa sostenere innanzi al dileggio sistematico verso gli esclusi dal lavoro? E il sarcasmo verso chi “non ce la fa”?

A ben guardare questa nostra “civiltà” non tollera la Poesia. Sì, ci sono parole di corcostanza, ma l’Archetipo della Poesia è rinnegato.

Infatti tutto questo ha un solo nome: Abiura d’Amore.

Tutti insieme

Stavo riflettendo, questa mattina, sulla differenza fondamentale tra donna e uomo.

La prima dona la vita, la crea, la porta in sé e poi, con atto di dolore, come suprema dedizione, la rende al mondo.

L’uomo, invece, con la sua RATIO prorompente ed ostentata, escogita ogni forma di tecnologia per le guerre, quindi toglie la vita.

Esattamente come dice Euripide, come più volte ho ricordato, nell’Alcesti. Questo umile pensiero mi ha permesso di capire anche che cosa desiderino tutti quei movimenti politici mascherati da religiosi con il loro desiderio sfrenato di sottomettere le donne.

Queste ultime impedirebbero loro di distruggere ogni cosa e di annientare ogni essere vivente, in nome di un fraintendimento sul DIVINO. Rimango sempre più convinto e certo che l’unica salvezza che abbiamo è di un ritorno  al Matriarcato.

Se non sarà possibile attuarlo in questa dimensione, lo faremo in un’altra.

Tutti insieme.

Un aspetto della fede

Carissimi, nel suo intervento dell’8 settembre dentro il nostro Temenos, Marco ha usato parole avviluppanti.

E’ giusto che le leggiamo tutti. Soprattutto, fate attenzione  alle ultime due righe.

Sono speranza pura:

“Un aspetto della Fede forse è proprio quello di sentirsi amati a prescindere dagli eventi dolorosi della vita…ci vorrebbe un nuovo sguardo con cui amare ciò che è vecchio….il tuo, gabriele, è uno sguardo di amico sempre pronto a soccorrere chi ti è vicino…ciò è meraviglioso…

Arriverà spero un girotondo per l’amore , dove non ci siano vanità, giudizi, ma solo sguardi sorridenti di amanti persi nel sogno di una nuova comune sensibilità per la magia del donarsi la vita…..”

Ai bordi dell’aurora

Ecco a voi un nuovo amico. E’ Don Felice Riva. E’ un prete. E’ un uomo sulla via di Francesco…

“Siediti ai bordi dell’aurora,
per te si leverà il sole.
Siediti ai bordi della notte,
per te scintilleranno le stelle.
Siediti ai bordi del torrente,
per te canterà l’usignolo.
Siediti ai bordi del silenzio,
Dio ti parlerà (Vivekanada)”

ciao

Don Felice

Cosa ci resta

Edgar Morin recentemente ha affermato che “all’umanità non resta che amarsi“.

Altrimenti, purtroppo, andremo incontro a “disdetta psichica”.

Che ne pensate voi, amci del Cuore?

In Anima per migliorare

E’ ricominiata la stagione.

Sul piano di Anima sembra promettere cose belle e buone. Ho trascorso l’estate a presentare il mio libro e a fare conferenze e ho visto persone sempre più numerose che cercano la via d’accesso alla profondità psichica.

Amici miei carissimi, penso che il viaggio in Anima sia l’unico antitodo ad un mondo di speculatori senza remore.

Sono le creature come noi che devono fare la Resistenza. Naturalmente, è un’azione assolutamente non-violenta, ma vi ricordo che simbolicamente la “Vergine ha partorito, la Luce si diffonde”.

Nell’Interiorità di Anima — “Bellezza psichica”

La bellezza dell’anima, che sola supera il fascino di Afrodite, si rivelerà un’immaginazione estetica della psiche e nell’ammaliante potere delle sue immagini. Si rivelerà nei modi in cui la psiche dà forma ai propri contenuti – ad esempio, nella maniera in cui l’anima contiene l’erotico. Ma, soprattutto, la bellezza della psiche si riferisce al significato del bello in rapporto agli eventi psicologici. Quando siamo toccati, mossi, e aperti dalle esperienze dell’anima, scopriamo che ciò che vive in essa non soltanto è interessante e significativo, necessario e accettabile, ma è anche attraente, amabile e bello.

James Hillman, Il mito dell’analisi, citato in Gabriele La Porta, S come Seduzione. Dizionario dell’Eros e della sensualità, Marco Tropea Editore, 2004.

Nell’Interiorità di Anima — “Fantasia e anima”

La fantasia è la forza primordiale dell’anima che tende a riportare ogni cosa nella sua concezione primaria…

James Hillman, Sul linguaggio psicologico, citato in Gabriele La Porta, Dizionario dell’Inconscio e della Magia, Sperling & Kupfer, 2008.

Nell’Interiorità di Anima — “Andare in se stessi”

Si è andati all’esterno in tutte le direzioni,
invece di andare in se stessi
dove c’è soluzione a ogni enigma.

Arthur Schopenhauer, Manoscritti 1804-1818, 154, 1814, citato in Gabriele La Porta, Dizionario dell’Inconscio e della Magia, Sperling & Kupfer, 2008.

Nell’Interiorità di Anima — “Bellezza”

Queste sono le emozioni che devono sorgere al contatto di ciò che è il bello sensibile: lo stupore, la meraviglia gioiosa, il desiderio, l’amore, e lo spavento accompagnato da piacere. Ma è possibile provare queste emozioni – e l’anima infatti le prova – anche riguardo alle cose invisibili; ogni anima, per così dire, le prova, ma specialmente quella che ne è innamorata.

Plotino, Enneadi, I 6, 4, citato in Gabriele La Porta, Dizionario dell’Inconscio e della Magia, Sperling & Kupfer, 2008.

Nell’Interiorità di Anima — “Sogno”

Il sogno è una piccola porta nascosta negli angoli più profondi e più segreti della psiche. Essa si apre su quella notte cosmica che era già psiche molto prima che apparisse la benché minima coscienza di sé e che resterà psiche qualunque sia l’estensione che prenderà la coscienza… Ogni coscienza è separazione; ma nei sogni ritroviamo l’uomo più universale, più vero, più eterno, l’uomo che abita le tenebre della notte primitiva.
Là, l’uomo è ancora totale, e tutto è in lui, inseparabile dalla natura e spoglio da qualsiasi individualità. Anche quando è infantile, grottesco o immorale, il sogno sale da queste profondità.

Carl Gustav Jung, Ricordi Sogni Riflessioni, citato in Gabriele La Porta, Dizionario dell’Inconscio e della Magia, Sperling & Kupfer, 2008.

Nell’Interiorità di Anima — “Inconscio”

In realtà, giorno per giorno noi viviamo ben oltre i confini della nostra coscienza; la vita dell’inconscio procede con noi, senza che ne siamo consapevoli. Quanto più domina la ragione critica, tanto più la vita si impoverisce; ma quanto più dell’inconscio e del mito siamo capaci di portare alla coscienza, tanto più rendiamo completa la nostra vita.

Carl Gustav Jung, Ricordi Sogni Riflessioni, citato in Gabriele La Porta, Dizionario dell’Inconscio e della Magia, Sperling & Kupfer, 2008.

Nell’Interiorità di Anima — “Anime umide”…

Un passo ancora verso Anima… Porfirio è uno dei più illustri rappresentanti della scuola neoplatonica. Nella sua opera confluiscono i grandi temi della filosofia magico-occultistica di derivazione orientale. Esploriamone insieme alcune folgori da quel compendio di saggezza interiore che è “L’antro delle Ninfe”.

 

Anime umide

Con Ninfe Naiadi indichiamo in senso specifico le potenze che presiedono alle acque, ma i teologi designavano tutte le anime in generale che discendono nella generazione. Essi, infatti, ritenevano che tutte le anime si posassero sull’acqua che, come dice Numenio, è divinamente ispirata; egli afferma che proprio per questo motivo anche il profeta disse: «il soffio divino si muoveva nell’acqua». Per questo – dice – gli Egiziani collocano gli esseri divini non sulla terraferma, ma tutti su una barca, sia il Sole sia, in generale, tutti: bisogna sapere che questi sono le anime che, planando sull’acqua, discendono nella generazione. Di qui il detto di Eraclito:  «per le anime è piacere, non morte, divenire umide», cioè è un piacere cadere nella generazione, e altrove egli dice: «noi viviamo la morte di quelle, e quelle vivono la nostra morte». Perciò, per Numenio, il poeta chiama «umidi» coloro che sono nella generazione, avendo anime umide. Esse, infatti, amano il sangue e il seme umido, e le anime delle piante si nutrono di acqua.

(Porfirio, L’antro delle Ninfe, Gli Adelphi, 2006, pag. 51)

 

 Armonia e tensione di contrari

Poiché la natura ha origine dalla diversità, ovunque l’entrata a due porte ne è simbolo. Il cammino, infatti, può avvenire o attraverso l’intellegibile o attraverso il sensibile, e quello attraverso il sensibile o attraverso la sfera delle stelle fisse o attraverso i pianeti, e ancora, o attraverso un cammino immortale o mortale. C’è un centro sopra la terra e uno sotto terra, uno a oriente e uno a occidente, la sinistra e la destra, la notte e il giorno; e per questo è «armonia e tensione dei contrari» e scocca dardi dal suo arco per l’esistenza dei contrari. Platone parla di due imboccature: attraverso una si risale al cielo, dall’altra si scende sulla terra, e i teologi fecero del sole e della Luna le porte delle anime che risalgono per la porta del Sole e discendono per quella della Luna; e in Omero ci sono due orci:

dei doni che concede, l’uno dei cattivi, dei buoni l’altro.

(Porfirio, L’antro delle Ninfe, Gli Adelphi, 2006, pag. 77)