I molti, immani, sparsi, grigi sassi
Frementi ancora alle segrete fionde
Di originarie fiamme soffocate
Od ai terrori di fiumane vergini
Ruinanti in implacabili carezze,
– Sopra l’abbaglio della sabbia rigidi
In un vuoto orizzonte, non rammenti?
E la recline, che s’apriva all’unico
Raccogliersi dell’ombra nella valle,
Araucaria, anelando ingigantita,
Volta nell’ardua selce d’erme fibre
Più delle altre dannate refrattaria,
Fresca la bocca di farfalle e d’erbe
Dove le radici si tagliava,
– Non la rammenti delirante muta
Sopra tre palmi d’un rotondo ciottolo
In un perfetto bilico
Magicamente apparsa?
Di ramo in ramo fiorrancino lieve,
Ebbri di meraviglia gli avidi occhi
Ne conquistavi la screziata cima,
Temerario, musico bimbo,
Solo per rivedere all’ilmo lucido
D’un fondo e quieto baratro di mare
Favolose testuggini
Ridestarsi fra le alghe.
Della natura estrema la tensione
E le subacquee pompe,
Funebri moniti.
2.
Alzavi le braccia come ali
E ridavi nascita al vento
Correndo nel peso dell’aria immota.
Nessuno mai vide posare
Il tuo lieve piede di danza.
3.
Grazia, felice,
Non avresti potuto non spezzarti
In una cecità tanto indurita
Tu semplice soffio e cristallo,
Troppo umano lampo per l’empio,
Selvoso, accanito, ronzante
Ruggito d’un sole d’ignudo.
Giuseppe Ungaretti
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Dal libretto di Stefano Landi “La morte di Orfeo” , Atto IV, Scena IV: Fileno a Calliope… ( http://www.librettidopera.it/morteorfeo/morteorfeo.html )
[…]
“Fato crudel, ben m’hai riposto al fondo
d’un pelago di lagrime, infelice!”
Volea pur dir, ma ruppe il canto e ‘l duolo
un confuso ulular d’armato stuolo.
Volge Orfeo gli occhi lagrimosi e vede
venir contro di sé con tirsi ignudi
l’infuriate Menadi, e ben crede
poter placar di donne i petti crudi.
Prende la cetra abbandonata e fiede
le fila d’oro, che piegar gl’incudi;
ma invan corre la man, suona la cetra,
che infuriate donne han cuor di pietra.
Dunque, mentre la man dolce sonava,
ahi, dispietato e più che crudo affetto!
Mentre col suono il canto gareggiava,
e ne prendean le selve e il ciel diletto,
giunse il Furore dove Amor si stava
tra molli piume dell’eburneo petto:
quivi con mille colpi, empie, il feriro,
onde l’anima e il canto insieme usciro. […]
Buon pomeriggio, Gabriele. Oggi sono impegnata nel rientro.
Ci sentiamo più tardi, allora. Baci baci
“Il ruggito di un sole ignudo” è l’immagine di un sole pieno di rabbia che non è riuscito nel suo intento……..Noi dobbiamo provare a realizzarci: la nostra anima deve evolversi in modo costruttivo.