Corrado Guzzanti imita Gabriele La Porta (da una segnalazione della nostra Map)

“Senza l’amore sarei solo un ciarlatano…”

L’ombra dell’anima mia

L’ombra dell’anima mia
fugge in un tramonto di alfabeti,
nebbia di libri
e di parole.

L’ombra dell’anima mia!

Sono giunto alla linea dove cessa
la nostalgia,
e la goccia di pianto si trasforma
in alabastro di spirito.

(L’ombra dell’anima mia!)

Il fiocco del dolore
finisce,
ma resta la ragione e la sostanza
del mio vecchio mezzogiorno di labbra,
del mio vecchio mezzogiorno
di sguardi.

Un torbido labirinto
di stelle affumicate
imprigiona le mie illusioni
quasi appassite.

L’ombra dell’anima mia!

E un’allucinazione
munge gli sguardi.
Vedo la parola amore
sgretolarsi.

Mio usignolo!
Usignolo!
Canti ancora?

Federico Garcia Lorca

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“A te che sei sostanza dei giorni miei…”

Mare mattutino

Fermarmi qui! Mirare anch’io questa natura un poco.
Del mare mattutino e del limpido cielo
smaglianti azzurri, e gialla riva: tutto
s’abbella nella grande luce effusa.
Fermati qui. Illuso di mirare ciò che vidi davvero l’attimo che ristetti,
e non le mie fantasie, anche qui,
le memorie, le forme del piacere.

Costantino Kavafis

Elegia del silenzio

Silenzio, dove porti
il tuo vetro appannato
di sorrisi, di parole
e di pianti dell’albero?
Come pulisci, silenzio,
la rugiada del canto
e le macchie sonore
che i mari lontani
lasciano sul bianco
sereno del tuo velo?
Chi chiude le tue ferite
quando sopra i campi
qualche vecchia noria
pianta il suo lento dardo
sul tuo vetro immenso?

Dove vai se al tramonto
ti feriscono le campane
e spezzano il tuo riposo
gli sciami delle strofe
e il gran rumore dorato
che cade sopra i monti
azzurri singhiozzando?

L’aria dell’inverno
spezza il tuo azzurro
e taglia le tue foreste
il lamento muto
di qualche fonte fredda.

Dove posi le mani,
la spina del riso
o il bruciante fendente
della passione trovi.

Se vai agli astri
il solenne concerto
degli uccelli azzurri
rompe il grande equilibrio
del tuo segreto pensiero.

Fuggendo il suono
sei anche tu suono,
spettro d’armonia,
fumo di grido e di canto.
Vieni a dirci
la parola infinita
nelle notti oscure
senza alito, senza labbra.

Trafitto da stelle
e maturo di musica,
dove porti, silenzio,
il tuo dolore extraumano,
dolor di esser prigioniero
nella ragnatela melodica,
cieco per sempre
il tuo sacro fonte?
Oggi le tue onde trascinano
con torbidi pensieri
la cenere sonora
e il dolore del passato.
Gli echi dei gridi
che svanirono per sempre.
Il tuono remoto
del mare, mummificato.

Se Geova dorme
sali al trono splendente,
spezzagli in fronte
una stella spenta
e lascia davvero
la musica eterna,
l’armonia sonora
di luce, e intanto
torna alla tua fonte,
dove nella notte eterna,
prima di Dio e del tempo
sgorgavi in pace.

Federico Garcia Lorca

Grazia antica

(Lawrence Alma-Tadema, Rivali inconscie, 1893)

Foglie bianche

Foglie bianche,
ornano il sentiero,
pallide come questi miei passi stanchi,
ricamano il mio passaggio,
quasi ad indicarmi la via.
Queste foglie di platani
che non hanno più la forza di svolazzare
sembrano esistenze vinte,
somigliano alla mia anima stanca,
avvilita,
sconfitta.
Tutta l’energia della primavera
è ormai lontana;
come la mia vita
rappresentano un passato energico,
vigoroso,
resistente.
Chi siamo adesso,
compagne occasionali di questa mia solitaria passeggiata?
Chi siamo più noi?
Neppure più la folata del vento ci accompagna,
il calore del sole sa di gelida carezza,
il frullo tra i rami è ormai voce morta,
il fischio dei merli melodia lontana,
il canto dei rosignoli
concerto ormai finito.
Ed io penso a te, voce mia spenta,
che non carezzi più neppure il mio cuore
con la tua voce lontana.

Salvatore Armando Santoro

Canzone d’autunno

Oggi sento nel cuore
un vago tremore di stelle,
ma il mio sentiero si perde
nell’anima della nebbia.
La luce mi spezza le ali
e il dolore della mia tristezza
bagna i ricordi
alla fonte dell’idea.
Tutte le rose sono bianche,
bianche come la mia pena,
e non sono le rose bianche,
perché ci ha nevicato sopra.
Prima ci fu l’arcobaleno.
Nevica anche sulla mia anima.
La neve dell’anima ha
fiocchi di baci e di scene
che sono affondate nell’ombra
o nella luce di chi le pensa.
La neve cade dalle rose,
ma quella dell’anima resta
e l’artiglio degli anni
ne fa un sudario.
Si scioglierà la neve
quando moriremo?
O ci sarà altra neve
e altre rose più perfette?
Scenderà la pace su di noi
come c’insegna Cristo?
O non sarà mai possibile
la soluzione del problema?
E se l’amore c’inganna?
Chi animerà la nostra vita
se il crepuscolo ci sprofonda
nella vera scienza
del Bene che forse non esiste
e del Male che batte vicino?
Se la speranza si spegne
e ricomincia Babele
che torcia illuminerà
le strade della Terra?
Se l’azzurro è un sogno,
che ne sarà dell’innocenza?
Che ne sarà del cuore
se l’Amore non ha frecce?
Se la morte è la morte,
che ne sarà dei poeti
e delle cose addormentate
che più nessuno ricorda?
O sole della speranza!
Acqua chiara! Luna nuova!
Cuori dei bambini!
Anime rudi delle pietre!
Oggi sento nel cuore
un vago tremore di stelle
e tutte le rose sono
bianche come la mia pena.

Federico Garcia Lorca

Torna

Ritorna ancora e prendimi,
amata sensazione, ritorna e prendimi,
quando si ridesta viva la memoria
del corpo, e l’antico desiderio di nuovo si versa nel sangue,
quando le labbra e la pelle ricordano, e la carne,
e le mani come se ancora toccassero.
Ritorna ancora e prendimi, la notte,
quando le labbra ricordano, e la carne…

Costantino Kavafis

La luna

Quando spunta la luna
tacciono le campane
e i sentieri sembrano
impenetrabili.

Quando spunta la luna
il mare copre la terra
e il cuore diventa
isola nell’infinito.

Federico Garcia Lorca

Antica bellezza

(John William Godward, Nerissa, 1906)

Il comune rustico

O che tra faggi e abeti erma su i campi
Smeraldini la fredda ombra si stampi
Al sole del mattin puro e leggero,
O che foscheggi immobile nel giorno
Morente su le sparse ville intorno
A la chiesa che prega o al cimitero
Che tace, o noci de la Carnia, addio!
Erra tra i vostri rami il pensier mio 
Sognando l’ombre d’un tempo che fu. 
Non paure di morti ed in congreghe
Diavoli goffi con bizzarre streghe,
Ma del comun la rustica virtú
Accampata a l’opaca ampia frescura
Veggo ne la stagion de la pastura
Dopo la messa il giorno de la festa. 
Il consol dice, e poste ha pria le mani
Sopra i santi segnacoli cristiani:
— Ecco, io parto fra voi quella foresta
D’abeti e pini ove al confin nereggia.
E voi trarrete la mugghiante greggia
E la belante a quelle cime là. 
E voi, se l’unno o se lo slavo invade,
Eccovi, o figli, l’aste, ecco le spade,
Morrete per la nostra libertà. — 
Un fremito d’orgoglio empieva i petti,
Ergea le bionde teste; e de gli eletti
In su le fronti il sol grande feriva.
Ma le donne piangenti sotto i veli 
Invocavan la madre alma de’ cieli. 
Con la man tesa il console seguiva:
— Questo, al nome di Cristo e di Maria, 
Ordino e voglio che nel popol sia. — 
A man levata il popol dicea, Sí. 
E le rosse giovenche di su ‘l prato 
Vedean passare il piccolo senato,
Brillando su gli abeti il mezzodí.  

Giosué Carducci

Eterno “Teorema”

I piaceri del pensiero

“Chi ho avuto come insegnante? Parigi o Dublino! Sono  convinto, veramente, assolutamente, che ciascuno di noi sia plasmato dai luoghi, dalla cultura, dalle atmosfere, dall’Anima del Mondo  in cui mangia e dorme, dalle conversazioni, dagli amori: tutti sono collocati, appartengono a un luogo. Parigi nel 1947-48, Dublino nel 1949-50. Grandi insegnanti. Quando ripenso a quel periodo dopo la guerra e a quelle città e a quelle persone sono portato a credere che sia stato allora che per la prima volta ho sentito i piaceri del pensiero. Nelle scuole e nelle università in cui ero stato prima, c’era apprendimento, ma non c’era molto piacere e non c’era neppure pensiero”.

James Hillman

Per sempre

Non t’odio. Ma l’eco sommessa 
di quella infinita promessa
vien meco, e mi batte nel cuore
col palpito trito dell’ore;
mi strilla nel cuore col grido
d’implume caduto dal nido: 
PER SEMPRE!

Non t’amo. Io guardai, col sorriso,
nel fiore del molle tuo letto.
Ha tutti i tuoi occhi, ma il viso 
non tuo. E baciai quel visetto 
straniero, senz’urto alle vene.
Le dissi: «E a me, mi vuoi bene?»
«Sì, tanto!» E i tuoi occhi in me fisse.
«Per sempre?» le dissi. Mi disse:
PER SEMPRE!

Risposi: «Sei bimba e non sai
Per sempre che voglia dir mai!»
Rispose: «Non so che vuol dire?»
Per sempre vuol dire Morire. . .
sì: addormentarsi la sera: 
restare così come s’era,
PER SEMPRE !

Giovanni Pascoli

Senza fine

Allegria di naufragi

E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.

Giuseppe Ungaretti

Che cosa c’è? E’ che mi sono innamorato di te…

La chimera

 Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina O Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfii rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera. 

Dino Campana

Temporale

È mezzodì. Rintomba.
Tacciono le cicale
nelle stridule seccie.
E chiaro un tuon rimbomba
dopo uno stanco, uguale, 
rotolare di breccie.
Rondini ad ali aperte
fanno echeggiar la loggia
de’ lor piccoli scoppi.
Già, dopo l’afa inerte, 
fanno rumor di pioggia
le fogline dei pioppi.
Un tuon sgretola l’aria.
Sembra venuto sera.
Picchia ogni anta su l’anta. 
Serrano. Solitaria
s’ode una capinera,
là, che canta . . . che canta . . .
E l’acqua cade, a grosse
goccie, poi giù a torrenti, 
sopra i fumidi campi.
S’è sfatto il cielo: a scosse
v’entrano urlando i venti
e vi sbisciano i lampi.
Cresce in un gran sussulto 
l’acqua, dopo ogni rotto
schianto ch’aspro diroccia;
mentre, col suo singulto
trepido, passa sotto
l’acquazzone una chioccia. 
Appena tace il tuono,
che quando al fin già pare,
fa tremare ogni vetro,
tra il vento e l’acqua, buono,
s’ode quel croccolare 
co’ suoi pigolìi dietro.

Giovanni Pascoli

(Giovanni Fattori, La libecciata, 1880)

Niente è come sembra

Il tramonto della luna

Quale in notte solinga,
Sovra campagne inargentate ed acque, 
Là ‘ve zefiro aleggia, 
E mille vaghi aspetti 
E ingannevoli obbietti 
Fingon l’ombre lontane
Infra l’onde tranquille 
E rami e siepi e collinette e ville;
Giunta al confin del cielo, 
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell’infinito seno 
Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon l’ombre, ed una 
Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta, 
E cantando, con mesta melodia, 
L’estremo albor della fuggente luce, 
Che dianzi gli fu duce,
Saluta il carrettier dalla sua via; 
Tal si dilegua, e tale
Lascia l’età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l’ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze,
Ove s’appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Cerca il confuso viatore invano
Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; e vede
Che a se l’umana sede,
Esso a lei veramente è fatto estrano.
Troppo felice e lieta
Nostra misera sorte
Parve lassù, se il giovanile stato,
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
Quel che sentenzia ogni animale a morte,
S’anco mezza la via
Lor non si desse in pria
Della terribil morte assai più dura.
D’intelletti immortali
Degno trovato, estremo
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta,
Secche le fonti del piacer, le pene
Maggiori sempre, e non più dato il bene.
Voi, collinette e piagge,
Caduto lo splendor che all’occidente
Inargentava della notte il velo,
Orfane ancor gran tempo
Non resterete; che dall’altra parte
Tosto vedrete il cielo
Imbiancar novamente, e sorger l’alba:
Alla qual poscia seguitando il sole,
E folgorando intorno
Con sue fiamme possenti,
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la vita mortal, poi che la bella
Giovinezza spari, non si colora
D’altra luce giammai, nè d’altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che l’altre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.

Giacomo Leopardi

Le sacre sinfonie del tempo

Gazzella dell’amore imprevisto

 Nessuno capiva il profumo
Dell’oscura magnolia del tuo ventre.
Nessuno sapeva che martirizzavi
Un colibrì d’amore fra i tuoi denti.

Mille cavallini persiani dormivano
Sulla piazza con la luna della tua fronte,
Mentre per quattro notti io stringevo
La tua vita, nemica della neve.

Fra i gessi e i gelsomini, il tuo sguardo
Era un pallido ramo di sementi.
Cercai, per darti, nel mio cuore
Le lettere d’avorio che dicono sempre

Sempre, sempre: giardino della mia agonia,
Il tuo corpo fuggitivo per sempre,
Il sangue delle tue vene nella mia bocca.
La tua bocca senza luce per la mia morte.

Federico Garcia Lorca

Notte bianca

 La mia lunga romanza in mi minore
va per la calma de la notte bianca:
io son già fioco, la chitarra è stanca;
ma voi non ascoltate, e il canto muore.
Vi traggono, Madonna, i sogni a ‘l fiume
che rispecchia ne l’acque alte i roseti,
ove dileguan sotto il mite lume
le coppie de le amanti e de i poeti?
“O voi su ‘l letto morbido supina
mentre sorgono i fiori a pispigliar
su da li antichi vasi de la China,
voi sommerge la fresca onda lunar?”
La mia lunga romanza in mi minore
va per la calma della notte bianca:
io son già fioco, la chitarra è stanca;
ma voi non ascoltate, e il canto muore.
O Madonna, la luna impallidisce
ne ‘l ciel come una lampa d’alabastro;
e s’accendono già le prime strisce
di arancio e ora sovra il ciel verdastro.
E voi non vi destate? O su da ‘l letto
a l’ultimo incantesimo lunar,
sorgete alfine ignuda a mezzo il petto,
candida e palpitante, ad ascoltar?
Aprite, aprite; de le chiome l’onda
porgetemi: d’amor li incanti io so;
lieve per la vivente scala bionda
a ‘l ciel de’ vostri baci io salirò.

Gabriele D’Annunzio

Corpo e anima

“Non separare violentemente l’anima dal corpo, affinché non se ne vada così; essa se ne libererà quando avrà ciò che è necessario per andarsene: e andarsene vuol dire passare ad altro luogo. Piuttosto attenderà che il corpo si stacchi tutto da lei, finché essa non abbisogni più di cambiar luogo, essendo ormai tutta fuori di esso”.

Plotino

Il silenzio

 Ascolta, figlio, il silenzio.
È un silenzio ondulato,
un silenzio,
dove scivolano valli ed echi
e che piega le fronti
al suolo.

Federico Garcia Lorca

(Salvator Dalì, Faccia)

L’emozione non ha voce

Stringiti a me

 Stringiti a me,
abbandonati a me,
sicura.
Io non ti mancherò
e tu non mi mancherai.
Troveremo,
troveremo la verità segreta
su cui il nostro amore
potrà riposare per sempre,
immutabile.
Non ti chiudere a me,
non soffrire sola,
non nascondermi il tuo tormento!
Parlami,
quando il cuore
ti si gonfia di pena.
Lasciami sperare
che io potrei consolarti.
Nulla sia taciuto fra noi
e nulla sia celato.
Oso ricordarti un patto
che tu medesima hai posto.
Parlami
e ti risponderò
sempre senza mentire.
Lascia che io ti aiuti,
poiché da te
mi viene tanto bene!

Gabriele D’Annunzio

La Maddalena

“Ed, ecco, una donna in città, che era una peccatrice, quando lei seppe che Gesù sedeva nella casa dei Farisei, portò una scatola di unguento, e si levò in piedi ai suoi piedi dietro lui piangendo, e iniziò a lavare i suoi piedi, e li pulì con i capelli della sua testa, e baciò i suoi piedi, e li unse con l’unguento. 

Luca

(Francesco Hayez, La Maddalena penitente, 1825)

Agonia

Morire come le allodole assetate
sul miraggio 

O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia  

Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato.

Giuseppe Ungaretti

Dalla nostra amica Gina Tota ricordando la Georgia

“Ho ancora l’ampio respiro
dei monti georgiani sulla
mia pelle,
le mucche al pascolo,
per nulla intimorite
delle nostre bugie tecnologiche
che sfrecciano quasi sfiorandole
MA loro, con UN possente muggito
rispondono alla nostra strombazzante metafora
quasi simile allo sberleffo alla nostra presunzione
malata di vanita’”.
ciao direttore ciao a tutti.

Gina Tota

Mostre da vedere

Carissimi, avete tempo fino al 22 gennaio 2012 per vedere la mostra “Gli Orientalisti. Incanti e scoperte nella pittura dell’Ottocento italiano”, in corso a Roma presso il Chiostro del Bramante. Assolutamente da non perdere!

Gabriele

(Augusto Valli, Semiramide morente sulla tomba di Nino, 1893)

Bandiera bianca

Le parole

Le parole
se si ridestano
rifiutano la sede
più propizia, la carta
di Fabriano, l’inchiostro
di china, la cartella
di cuoio o di velluto
che le tenga in segreto;
le parole
quando si svegliano
si adagiano sul retro
delle fatture, sui margini
dei bollettini del lotto,
sulle partecipazioni
matrimoniali o di lutto;
le parole
non chiedono di meglio
che l’imbroglio dei tasti
nell’Olivetti portatile,
che il buio dei taschini
del panciotto, che il fondo
del cestino, ridottevi
in pallottole;
le parole
non sono affatto felici
di essere buttate fuori
come zambrocche e accolte
con furore di plausi e
disonore;
le parole
preferiscono il sonno
nella bottiglia al ludibrio
di essere lette, vendute,
imbalsamate, ibernate;
le parole
sono di tutti e invano
si celano nei dizionari
perché c’è sempre il marrano
che dissotterra i tartufi
più puzzolenti e più rari;
le parole
dopo un’eterna attesa
rinunziano alla speranza
di essere pronunziate
una volta per tutte
e poi morire
con chi le ha possedute.

Eugenio Montale

Il brivido

Mi scosse, e mi corse
le vene il ribrezzo.
Passata m’è forse
rasente, col rezzo
dell’ombra sua nera,
la morte. . .
Com’era ?
Veduta vanita,
com’ombra di mosca:
ma ombra infinita,
di nuvola fosca 
che tutto fa sera:
la morte. . .
Com’era ?
Tremenda e veloce
come un uragano
che senza una voce 
dilegua via vano:
silenzio e bufera:
la morte. . .
Com’era ?
Chi vede lei, serra
nè apre più gli occhi. 
Lo metton sotterra
che niuno lo tocchi,
gli chieda—Com’era?
rispondi . . .
com’era ?—

Giovanni Pascoli

Pregare

 Il pregare è nella religione ciò che il pensiero è nella filosofia. Il senso religioso prega come l’organo del pensiero pensa “.

Novalis

(Michelangelo Merisi da Caravaggio, Maria Maddalena in estasi, 1606)

Amen per la domenica in Albis

 Non m’hai tradito, Signore:
d’ogni dolore
son fatto primo nato.

Salvatore Quasimodo

Esperienza

“Esperienza è il nome che tutti danno ai propri errori”.

Oscar Wilde