Non è amore

Non è amore. Ma in che misura è mia
colpa il non fare dei miei affetti
Amore? Molta colpa, sia
pure, se potrei d’una pazza purezza,
d’una cieca pietà vivere giorno
per giorno… Dare scandalo di mitezza.
Ma la violenza in cui mi frastorno,
dei sensi, dell’intelletto, da anni,
era la sola strada. Intorno a me
alle origini c’era, degli inganni
istituiti, delle dovute illusioni,
solo la Lingua: che i primi affanni
di un bambino, le preumane passioni,
già impure, non esprimeva. E poi
quando adolescente nella nazione
conobbi altro che non fosse la gioia
del vivere infantile – in una patria
provinciale, ma per me assoluta, eroica
fu l’anarchia. Nella nuova e già grama
borghesia d’una provincia senza purezza,
il primo apparire dell’Europa
fu per me apprendistato all’uso più
puro dell’espressione, che la scarsezza
della fede d’una classe morente
risarcisse con la follia ed i tòpoi
dell’eleganza: fosse l’indecente
chiarezza d’una lingua che evidenzia
la volontà a non essere, incosciente,
e la cosciente volontà a sussistere
nel privilegio e nella libertà
che per Grazia appartengono allo stile.

Pier Paolo Pasolini

Pubblicità

“Ognuno si educa da solo”

Essere buoni o cattivi è una scelta cosciente di ognuno di noi. Si dice che chi ha subito la violenza durante l’infanzia diventa cattivo. Non è vero.
Ognuno si educa da solo, ogni giorno, e centomila volte durante la propria vita”.

Herta Muller dall’intervista a D – la Repubblica

Tiranni e mascalzoni

Ad ogni sistema autocratico fondato sulla violenza fa sempre seguito la decadenza, perché la violenza attrae inevitabilmente. Il tempo ha dimostrato che a dei tiranni illustri succedono sempre dei mascalzoni.

Albert Einstein

Violenza e ignoranza

“La violenza nasce sempre dall’ignoranza. Si crea quando gli uomini non riflettono sulle conseguenze delle loro azioni. Un esempio estremo: lei uccide il suo avversario. Ha vinto, ma deve rispondere del suo gesto davanti a un tribunale. Anche lei quindi proverà della sofferenza. Pur avendo trionfato, subirà la conseguenza negativa del suo atto. Nei nostri presunti nemici si trova sempre una parte di noi stessi. Nuocere ai nostri nemici equivale a nuocere a noi stessi”.

Dalai Lama

Il saggio

Un uomo non è giusto perché si occupa di una questione con violenza, ma quel saggio che discrimina fra le due cose: ciò che è reale e ciò che è irreale.

Buddha

Diniego (2)

I membri della famiglia hanno una capacità sorprendente di ignorare o fingere di ignorare che cosa accade davanti ai loro occhi, sia esso abuso sessuale, violenza,  alcolismo, follia o semplice infelicità. Esiste un livello sotterraneo dove tutti sanno quello che sta succedendo, ma in superficie si mantiene un atteggiamento di assoluta normalità, quasi una regola di gruppo che impegna tutti a negare ciò che esiste e si vede. Qui il diniego è il primo adattamento della famiglia alla devastazione causata da un membro, sia esso alcolista, o drogato, o pedofilo, o violento, o folle, o dedito a traffici illeciti. La sua presenza  deve essere negata, ignorata, sfuggita o spiegata come qualcos’altro, altrimenti si rischia di tradire la famiglia.

Umberto Galimberti

FRANÇOIS VILLON, IL POETA DELL’ENIGMA ovvero DELL’IDENTITÀ NASCOSTA E DELLA PAURA DELL’ERESIA

Un Ebreo con un’oca è praticamente un uomo morto. Bene che gli vada, ed è raro, gli tagliano la mano destra, altrimenti lo inchiodano «come Gesù Cristo» a espiazione dei peccati e il pennuto è subito preparato per il fuoco e arrostito, ovviamente «per la gloria di nostro Signore». I delitti denunciati sono oltre centomila all’anno, quindi la stima è irrisoria rispetto alla realtà.

È la Parigi della seconda metà del Quattrocento, dove i criminali si nascondono ovunque e la violenza è pane quotidiano. Gli omicidi e gli stupri sono cosi ordinari che non vengono neppure citati nei rendiconti della «sicurezza», a meno che non riguardino personaggi altolocati e il clero.

Le prostitute sono quattromila, i lenoni, i malversatori, gli aguzzini, gli strozzini e i frequentatori abituali delle carceri sono oltre ventimila. E questo su una popolazione globale di trecentomila anime.

Tre persone su dieci hanno dunque a che vedere con la giustizia e non si tiene conto dei tagliagole al servizio dei nobili. Sotto la protezione di un conte o di un marchese si gode infatti una quasi totale impunità. La notte è abitata da questi sgherri con licenza di offendere, ferire, colpire, rubare, torturare. Dopo il tramonto, ogni donna sorpresa per strada è un bottino offerto al primo smargiasso, e un «giudeo» può essere colpito con sassi, con mazze o addirittura trafitto da spada o pugnale anche di fronte ai pur temuti e odiati sbirri. Un incubo. Non basta essere forti o valenti con le armi. Se non si è in gruppo, si ha la certezza di essere aggrediti e sventrati anche solo per sadico divertimento. Per questo si esce in compagnia. Ognuno si aggrega agli uomini del nobile o dell’alto prelato a cui fa riferimento. Come piccole schiere vandaliche si cammina, si insulta, si cerca il capro da sacrificare.

Capita sempre qualcuno che, per necessità, è dovuto uscire. Allora comincia la festa. Se è un vecchio, gli si incendiano le vesti per il gusto di vederlo correre; se è una donna anziana, le si aizzano contro i cani; se è giovane, la si violenta tutti insieme e poi la si sgozza; se è un villano, gli si conficcano a forza nello sfintere gli ortaggi; se è un bambi­no gli si mozzano le orecchie o il naso; se è una fanciullina, la si sequestra per venderla ai mezzosangue che commerciano con i mori.

È in questo inferno che vive François Villon, uno dei massimi poeti di tutti i tempi. Una vera e propria leggenda.

Perché? Pierre Champion ha scritto su di lui la prima biografia romanzata della storia della letteratura. Poi ne sono seguite almeno una ventina. Tutte più o meno credibili e tutte affascinanti. Il personaggio è un vero e proprio mistero. Anzi, un rebus che lo stesso poeta, nelle sue opere maggiori, Lascito e Testamento, ha voluto contribuire a costruire. Infatti nei suoi versi immortali dà precisi riferimenti.

È uno studente così povero che di più non si può, nero come una mora e magro come una chimera. Uno «scolaro» del quartiere latino che studia senza profitto e frequenta cattive compagnie. Da qui ubriacature, furti e prigione. Lui stesso dice che è entrato e uscito da quella terribile di Meung. Insomma un vero e proprio poeta maledetto, anzi, il primo in assoluto. Da qui il mito. Di più, una malia che ha attratto ammiratori-letterati di ogni tempo, tutti a cercare di scoprire la sua vera identità. E sì, perché in realtà su di lui, malgrado le «tracce» lasciate a bella posta nei suoi versi, non si sa un bel niente: sparisce dopo aver creato quel capolavoro del Testamento.

La scomparsa in sé non dovrebbe troppo meravigliare. È un delinquente, di genio, ma sempre delinquente e per di più recidivo. Non ce l’ha fatta a scappare una volta di più e la giustizia l’ha appeso. Non è forse lui che ha scritto che diversi suoi amici sono stati condannati a morte? Inoltre, si ha notizia di un «François des Loges autrement dit Villon» in una lettera di remissione, firmata da Carlo VII, nella quale lo si scagiona da un fosco delitto in cui è stato ucciso un prete. In un’altra lettera, sempre firmata da Car­lo VII, è citato un François de Montcorbier, maître des arts, che viene sollevato da responsabilità sempre per lo scannamento di un prelato. Quindi c’è da scegliere. O questo o quello, o «des Loges» e «de Montcorbier», sempre di lui si tratta. Di quel poeta secco, nero, povero, studente, coinvolto in un giro losco di denari e pugnalate.

E allora? Cosa c’è da sapere di più? Molto, moltissimo.

Per cominciare, Villon scrive in jargon, una sorta di gergo di malaffare, ma ogni rigo trasuda una cultura letteraria eccezionale. Molto al di sopra di quella di uno studente o anche di un maître des arts. Da qui l’ipotesi recentissima che si tratti di un personaggio, forse di grande prestigio sociale ed economico, che si nasconde dietro una sorta di maschera saturnina molto in voga nell’Umanesimo. Insomma, una specie di travestimento con cui si mostra ai contemporanei e soprattutto ai posteri per farli impazzire.

Una trovata teatrale straordinaria. Un uomo potente e coltissimo che si rappresenta come un vero e proprio attore da palcoscenico: una falsa identità, una falsa professione, una falsa povertà, una falsa fedina penale e una falsa galera.

Solo i versi eterni sono veri.

Per generazioni, i critici sono caduti nella trappola, ma adesso alcuni hanno scoperto l’inganno e finalmente hanno svelato la doppia identità del poeta. Tutto chiaro, finalmente. È un grande doppiogiochista. Ha teso un tranello in cui tutti sono rimasti impigliati per anni e anni. Ma ora tutto sembrerebbe svelato grazie a un lavoro di revisione filologica dei testi e delle fonti,

E invece no.

Ecco perché l’Hermes è approdato in questa Parigi plumbea rigurgitante di ombre. Il mistero di Villon rimane immutato. Almeno fino a ora. E merita di essere scoperto. Una volta per tutte. Ma occorrono i soliti occhi privi di pregiudizi e remore e soprattutto il solito grimaldello che i marinai curiosi si portano dietro sin dall’inizio di questo itinerario. Per aprire versi ermeticamente chiusi, occorre infatti la chiave giusta, quella ermetica.

A ben vedere, nel disvelamento della vera identità di Vil­lon potente, ricco e istruito, manca la motivazione della ma­schera.

Perché un uomo altolocato, di cospicui mezzi e cultura, avrebbe messo su una simile messinscena? Per puro godimento, rispondono i critici più avveduti, e per un gusto tipicamente d’epoca: la rappresentazione fine a se stessa, il ludus della maschera saturnina, l’uomo nero e magro e povero e sfortunato che, nella seconda meta del Quattrocento, era molto in voga in Francia e in Italia.

In verità è un movente veramente debole.

Ma come? Un poeta perfettamente conscio del proprio valore, che deride i suoi contemporanei che si cimentano con i versi, si condanna all’oblio eterno soltanto per un divertimento alla moda? Se così fosse, un suo contemporaneo avrebbe lasciato un appunto, una lettera, uno schizzo, un motto, un sonetto sulla vera identità di quel geniale dissacratore.

Invece nulla. Solo le lettere di remissione di Carlo VII.

Evidentemente, nell’artista che si nasconde sotto lo pseudonimo di François, ovvero «il francese», Villon, ovvero «l’arguto», è necessario l’anonimato assoluto per cause ben più forti e gravi del semplice divertimento letterario.

Lui sapeva che nei suoi versi c’era qualcosa di terribile agli occhi dei suoi contemporanei. Di qui il travestimento e la falsa pista dello studente impelagato con la legge. Oggi non si riesce più a cogliere l’autentica valenza misteriosa delle sue composizioni. Nel Quattrocento, invece, non era così.

L’uomo celato sotto i panni di Villon sapeva perfettamente che alcuni suoi concittadini avrebbero letto nel giusto senso i suoi scritti. Alcuni ne avrebbero tratto giovamento, ma altri vi avrebbero visto eresia e componenti demoniache. Perché è di questo che si tratta.

I versi sono un capolavoro poetico, ma sono anche un bando, un manifesto ermetico diffuso nei secoli. Un paradigma magico proposto agli uomini delle generazioni a venire.

È per sciogiere questo enigma che il nostro battello approda a Parigi.

Amore e tracotanza

Secondo la leggenda, Leonida, ai Persiani che l’interrogavano su quale fosse l’opposto della paura, rispose: “AMORE”.

E fino a qui tutto chiaro.

Ma Aristotele ammoniva che è compito delle persone rette, opporsi alla tracotanza altrui.

Quindi, come ci si deve comportare di fronte ad un arrogante che aggredisce una persona inerme?

Se avessimo assistito all’aggressione dell’Indiano bruciato vivo da alcuni violenti, come avremmo dovuto agire?

Con l’energia dell’amore, oppure adoperando la forza?