Elegia del silenzio

Silenzio, dove porti
il tuo vetro appannato
di sorrisi, di parole
e di pianti dell’albero?
Come pulisci, silenzio,
la rugiada del canto
e le macchie sonore
che i mari lontani
lasciano sul bianco
sereno del tuo velo?
Chi chiude le tue ferite
quando sopra i campi
qualche vecchia noria
pianta il suo lento dardo
sul tuo vetro immenso?

Dove vai se al tramonto
ti feriscono le campane
e spezzano il tuo riposo
gli sciami delle strofe
e il gran rumore dorato
che cade sopra i monti
azzurri singhiozzando?

L’aria dell’inverno
spezza il tuo azzurro
e taglia le tue foreste
il lamento muto
di qualche fonte fredda.

Dove posi le mani,
la spina del riso
o il bruciante fendente
della passione trovi.

Se vai agli astri
il solenne concerto
degli uccelli azzurri
rompe il grande equilibrio
del tuo segreto pensiero.

Fuggendo il suono
sei anche tu suono,
spettro d’armonia,
fumo di grido e di canto.
Vieni a dirci
la parola infinita
nelle notti oscure
senza alito, senza labbra.

Trafitto da stelle
e maturo di musica,
dove porti, silenzio,
il tuo dolore extraumano,
dolor di esser prigioniero
nella ragnatela melodica,
cieco per sempre
il tuo sacro fonte?
Oggi le tue onde trascinano
con torbidi pensieri
la cenere sonora
e il dolore del passato.
Gli echi dei gridi
che svanirono per sempre.
Il tuono remoto
del mare, mummificato.

Se Geova dorme
sali al trono splendente,
spezzagli in fronte
una stella spenta
e lascia davvero
la musica eterna,
l’armonia sonora
di luce, e intanto
torna alla tua fonte,
dove nella notte eterna,
prima di Dio e del tempo
sgorgavi in pace.

Federico Garcia Lorca

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Forse un mattino andando in un’aria di vetro

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
Alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto
.

Eugenio Montale

Elegia del silenzio

Silenzio, dove porti
il tuo vetro appannato
di sorrisi, di parole
e di pianti dell’albero?
Come pulisci, silenzio,
la rugiada del canto
e le macchie sonore
che i mari lontani
lasciano sul bianco
sereno del tuo velo?
Chi chiude le tue ferite
quando sopra i campi
qualche vecchia noria
pianta il suo lento dardo
sul tuo vetro immenso?

Dove vai se al tramonto
ti feriscono le campane
e spezzano il tuo riposo
gli sciami delle strofe
e il gran rumore dorato
che cade sopra i monti
azzurri singhiozzando?

L’aria dell’inverno
spezza il tuo azzurro
e taglia le tue foreste
il lamento muto
di qualche fonte fredda.

Dove posi le mani,
la spina del riso
o il bruciante fendente
della passione trovi.

Se vai agli astri
il solenne concerto
degli uccelli azzurri
rompe il grande equilibrio
del tuo segreto pensiero.

Fuggendo il suono
sei anche tu suono,
spettro d’armonia,
fumo di grido e di canto.
Vieni a dirci
la parola infinita
nelle notti oscure
senza alito, senza labbra.

Trafitto da stelle
e maturo di musica,
dove porti, silenzio,
il tuo dolore extraumano,
dolor di esser prigioniero
nella ragnatela melodica,
cieco per sempre
il tuo sacro fonte?
Oggi le tue onde trascinano
con torbidi pensieri
la cenere sonora
e il dolore del passato.
Gli echi dei gridi
che svanirono per sempre.
Il tuono remoto
del mare, mummificato.

Se Geova dorme
sali al trono splendente,
spezzagli in fronte
una stella spenta
e lascia davvero
la musica eterna,
l’armonia sonora
di luce, e intanto
torna alla tua fonte,
dove nella notte eterna,
prima di Dio e del tempo
sgorgavi in pace.

Federico Garcia Lorca

L’uccellino del freddo


I
Viene il freddo. Giri per dirlo
tu, sgricciolo, intorno le siepi;
e sentire fai nel tuo zirlo
lo strido di gelo che crepi.
Il tuo trillo sembra la brina 
che sgrigiola, il vetro che incrina. . .
trr trr trr terit tirit

II
Viene il verno. Nella tua voce
c’è il verno tutt’arido e tecco.
Tu somigli un guscio di noce, 
che ruzzola con rumor secco.
T’ha insegnato il breve tuo trillo
con l’elitre tremule il grillo . . .
trr trr trr terit tirit. . .

III
Nel tuo verso suona scrio scrio,
con piccoli crepiti e stiocchi,
il segreto scricchiolettio
di quella catasta di ciocchi.
Uno scricchiolettio ti parve
d’udirvi cercando le larve. . . 
trr trr trr terit tirit. . .

IV
Tutto, intorno, screpola rotto.
Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
Così rompere odi lì sotto,
così screpolare lì dietro. 
Oh! lì dentro vedi una vecchia
che fiacca la stipa e la grecchia. . .
trr trr trr terit tirit. . .

V
Vedi il lume, vedi la vampa.
Tu frulli dal vetro alla fratta. 
Ecco un tizzo soffia, una stiampa
già croscia, una scorza già scatta.
Ecco nella grigia casetta
l’allegra fiammata scoppietta. . .
trr trr trr terit tirit. . . 

VI
Fuori, in terra, frusciano foglie
cadute. Nell’Alpe lontana
ce n’è un mucchio grande che accoglie
la verde tua palla di lana.
Nido verde tra foglie morte, 
che fanno, ad un soffio più forte. . .
trr trr trr terit tirit.

Giovanni Pascoli