Riconoscimento dell’alterità dell’altro

“Nella struttura della famiglia circola spesso un improprio aggettivo possessivo che fa dire all’uomo “mia moglie”, alla donna “mio marito”, a entrambi i genitori “mio figlio” o “mia figlia”, quando nella relazione tra individui che hanno deciso di condurre una vita insieme, e insieme di generare, di “mio” non dovrebbe esserci proprio nulla. Infatti l’unica condizione perché nel nucleo familiare possa circolare l’amore è il riconoscimento dell’alterità dell’altro, e non la sua percezione limitatamente a come io vorrei che fosse, con conseguente negazione della sua individualità, e sua riduzione a semplice soddisfazione dei miei desideri o delle mie aspettative. Questo principio vale innanzitutto per tutte le persone che un giorno hanno deciso di condividere la loro esistenza, perché ciascuno dei due aveva incontrato un “altro” che l’aveva affascinato per la semplice ragione che esprimeva ciò che mancava alla propria personalità. E solo rispettando questa alterità l’altro può continuare a incuriosirmi e affascinarmi, mentre se dell’altro vedo solo ciò che risponde alle mie esigenze  ripiombo nella solitudine della mia individualità.
La noia che connota molte relazioni di coppia è dovuta proprio a questa soppressione dell’alterità dell’altro, alla sua riduzione a qualcosa di “mio”, che più non mi consente di incuriosirmi dei pensieri, dei sentimenti, delle sensazioni, dei vissuti che non coincidono con i miei. La conseguenza è la svalutazione, la disattenzione, il disinteresse per tutto ciò che l’altro esprime di diverso di quel che penso e sento io, e il progressivo irrigidimento nelle proprie convinzioni che servono solo a erigere dei muri d’incomprensione.
[…]
Questa mancanza di rispetto dell’alterità dell’altro spesso si esercita anche nei confronti dei figli, a causa di un fraintendimento radicale del concetto di educazione, che non significa condurre i figli ad assecondare le nostre aspettative, ma accompagnarli nella scoperta della loro natura che, per il fatto che sono nati da noi, non significa che coincida con la nostra […]”.

Umberto Galimberti, D la Repubblica

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Orfeo: un mito senza tempo

Orfeo_tavolarotondaORFEO.UN MITO SENZA TEMPO.
Mercoledi 13 maggio ore 15
Universita degli Studi Roma Tre
Aula 18 via Ostiense 234

Prenderà il via il progetto Teatrale sul Mito ORFEO MILLENNIUM realizzato dal Festival dell’Eccellenza al Femminile, Schegge di Mediterraneo, in collaborazione con l’Università degli Studi RomaTre e il Teatro Palladium. I progetto nasce da un programma di ricerca Teatrale sul Mito realizzata anche in campo sociologico e filosofico, che dal 2012 a oggi nell’ambito del Festival dell’Eccellenza al Femminile di Genova, ha visto la partecipazione dei piu importanti studiosi e grecisti europei, come: Eva Cantarella, Claudio Magris, Caterina Barone, Margherita Rubino, Angelo Tonelli, Gabriele La Porta, Nicla Vassallo, coinvolgendo oltre trenta artisti in altrettanti spettacoli. Tra questi: Elisabetta Pozzi, Galatea Ranzi, Amanda Sandrelli, Lunetta Savino, Mariangela D’Abbraccio, Paolo Graziosi, Edoardo Siravo, Umberto Galimberti, Gianni Vattimo.
All’interno di questo programma, ogni anno viene presentata una rassegna teatrale, oltre a una serie di incontri e Tavole Rotonde sul tema: IL MASCHILE E IL FEMMINILE NEL MITO, finalizzati a indagare gli archetipi degli eroi e delle eroine dell’antichità, declinati dal Teatro Classico all’immaginario della Drammaturgia contemporanea.
Dopo lo studio delle grandi figure femminili dell’antichità: Medea, Antigone, Clitennestra, Cassandra, l’indagine ci ha portato a cercare nel Mito una risposta agli interrogativi sui
temi collegati al sentimento dell’Amore, nell’ottica della società contemporanea, approdando così alla riscrittura di: “FEDRA, DIRITTO ALL’AMORE” di Eva Cantarella, e alla messa in scena del testo con l’interpretazione di Galatea Ranzi. Attraverso lo spirito e gli strumenti della ricerca del Teatro Contemporaneo, il Mito è qui il pretesto per interrogarsi sulle contraddizioni dell’Amore nell’epoca moderna.
In questo contesto nasce il progetto teatrale ORFEO MILLENIUM, che prende spunto dai testi di Maricla Boggio, con il proposito di reinterpretare l’Amore attraverso i molteplici significati dell’archetipo di Orfeo, declinandoli nella realtà storica e sociale dei giovani del Terzo Millennio.

Interpretazioni dinamiche, provocatorie di Orfeo, che hanno dato origine allo spettacolo “LO SGUARDO DI ORFEO” che debutterà al Teatro Palladium di Roma il 13 Giugno. Gli episodi-quadri che compongono lo spettacolo sono ambientati nella realtà e nei luoghi simbolo dell’Amore: la coppia, la famiglia, la religione, la ritualità collettiva. Lo spettacolo è stato realizzato con un lungo percorso di lavoro laboratoriale, avvalendosi della regia di 4 diversi registi: Consuelo Barilari, Duccio Camerini, David Gallarello, Marco Avogadro, declinando Orfeo e il tema dell’impossibilita di amare e ricongiungersi con Euridice, in 6 episodi. Passando dal tragico al comico, da Pier Paolo Pasolini a Ovidio, da Euripide a Don Gallo, sino al varietà, 8 giovani attori di grande talento scelti con provini nazionali, si cimentano nella sfida.
La Tavola Rotonda: ORFEO, UN MITO SENZA TEMPO, dà inizio e introduce questa parte del progetto sul Mito dedicata ai giovani e all’Amore, analizzando la molteplicità di significati che la figura di Orfeo offre a una lettura contemporanea.

“Il mito di Orfeo e Euridice, presente nell’iconografia fin dal V secolo a.C., risulta assente nella letteratura greca e latina fino a Virgilio e a Ovidio, due trattazioni poetiche che hanno avuto una straordinaria fortuna nella cultura occidentale. Virgilio e Ovidio raccontano il mito per scene giustapposte, con una tecnica che può essere definita ecfrastica, concentrandosi sulle scene più frequenti nelle arti figurative. Il Medioevo, che conosce il mito attraverso Virgilio e Ovidio, riporta il racconto dalla poesia alle immagini: molti artisti si servono della tecnica della narrazione continua o di quella per scene giustapposte. In questo modo il mito di Orfeo e Euridice compie un percorso che dalle immagini conduce a testi poetici strutturati per scene e da questi di nuovo alle immagini” (Dall’intervento alla Tavola Rotonda del Prof. Roberto Nicolai).
Il Prof. Paolo D’Angelo, Direttore del Dipartimento Studi Filosofici UniRomaTre, il Prof. Roberto Nicolai, grecista dell’ Università La Sapienza, la Prof.ssa Adele Cozzoli, grecista di UniRomaTre, porteranno l’attenzione sulla figura e la vicenda di Orfeo, il suo valore simbolico, il mistero Orfico, il significato di Arte e Poesia nell’ iniziazione all’Amore, nel passaggio tra vita e morte, attraverso Ovidio, Virgilio, e le fonti storico-letterarie che hanno portato il Mito sino a noi.

Gabriele la Porta, filosofo e scrittore, parlerà dell’Orfismo come iniziazione del pensiero antico e moderno, alla ricerca della comprensione del mistero della morte e dell’Amore, che in Orfeo si esprime nell’impossibilità di amare e possedere per sempre Euridice.
Consuelo Barilari, regista e ideatrice del progetto introdurrà e spiegherà i temi dello spettacolo e la teatralizzazione del Mito nei sei mondi e nelle sei epoche diverse, esplorato con differenti allestimenti e stili teatrali.
L’attrice Isabel Russinova, leggerà brani dalle più significative interpretazioni contemporanee di Orfeo, tra queste quelle di Claudio Magris, Rocco Familiari, Carmelo Bene.

Il 27 ottobre 2014 con me a “LEZIONI DI ANIMA”

Carissimi viaggiatori,

lunedì 27 ottobre 2014, alle ore 21.00, al Teatro dell’Angelo di Roma, prenderò parte a LEZIONI DI ANIMA – VENDUTA AL DIAVOLO”, intervista impossibile con il dottor Faust di Idalberto Fei, con Mariano Rigillo e con la conduzione di Laura De Luca e la regia di Antonello Avallone.

Teatro dell’Angelo
Via Simone de Saint Bon n. 19, Roma – tel. 06/37513571- 06/37514258
Direttore artistico: Antonello Avallone – Presidente onorario: Manlio Santanelli
http://www.teatrodellangelo.itinfo@teatrodellangelo.it

LEZIONI DI ANIMA

Da un’idea di Laura De Luca e Donatella Caramia
Direzione artistica Antonello Avallone

Crisi di valori, smarrimento di idee e di ideali, alienazione, virtualizzazione dei rapporti, incomunicabilità, egoismo… Se abbiamo perso l’anima, cioè la connessione con essa, il teatro accetta di offrire il suo contributo e il suo patrimonio per tentare un’inversione di tendenza. Recuperando la sua originaria vocazione “sacra”, ovvero la sua missione di aggregazione e di risveglio delle coscienze attraverso il rispecchiamento. Le Lezioni di Anima sono leggere performances a metà fra spettacolo e conversazione aperta. Un personaggio, un’idea, un’arte, un tema. Danza, prosa, poesia, musica, pittura si alternano in scena attraverso la genialità e la competenza di artisti e professionisti diversi: i primi incontrano pubblico e specialisti dopo la loro esibizione, in un teatro-forum provocante e il più possibile sensibile al dinamismo delle emozioni, che prolunga in direzione imprevedibile lo spettacolo, sotto la guida alternata dalla giornalista e dalla neuropsichiatra ideatrici del progetto.

Uno spunto per riattivare il pensiero simbolico. Per ridestarci, tutti insieme, e ascoltare l’anima.

Con la partecipazione di:

Ennio Morricone, Umberto Galimberti, Paolo Portoghesi, Valeria Valeri, Ernesto G. Laura, Giuseppe Manfridi, Gianni Guardigli, Adriano Mazzoletti, Italo Moscati, Enzo Garinei, Stefano Massimo, Idalberto Fei, Lorena Fiorini, Raffaele Vincenti, Gina Lollobrigida, Rino Caputo, Franco Cardini, Ennio Cavalli, Elio Pecora, Mariano Rigillo, Maria Rosaria Omaggio, Gianpiero Gamaleri, Mario Morcellini, Pippo Franco, Raffaele Vincenti, Stefano Onofri, Annamaria Barbato Ricci, AnnaPaola Tantucci, Gino Manfredi, Raffaella Castelli, Lina Sergi, Gabriele La Porta, AnnaMaria Barbato Ricci, Arnoldo Mosca Mondadori, Cinzia Carrea, Elio Sena, Alessandro Orlandi, Enrica Bonaccorti, Maria Romana De Gasperi e molti altri….

 

“In questo mondo c’è bisogno di più anima” cantava qualche tempo fa Pino Daniele.

E in un’altra stracitata canzone, Riccardo Cocciante se la prendeva con una spietata amante, “bella senz’anima”.

“Animula, vagula, blandula”, la rimpiangeva quasi venti secoli fa l’imperatore Adriano, commiserandola per il suo smarrimento.

Platone nel Fedone si sentiva obbligato a dimostrarne l’esistenza, segno che la schiera degli scettici era corposa già ai suoi tempi. Eros si innamorava di lei, Agostino la considerava un nocchiero del corpo, Plotino ne dimostrava l’immortalità, Faust era pronto a perderla …

L’anima: quel soffio di vento leggero che non si vede di cui maggiormente si è parlato su questa terra.

.Chi è che ci confeziona i sogni? Esistono i neuroni dell’anima?

Anima, vocazione, talento, DNA: qual è il nesso?

E noi?

Sentiamo di avere un’anima oppure non ne sospettiamo minimamente l’esistenza? Sappiamo identificarla, collocarla in un punto preciso del nostro corpo, sovrapporla al respiro dell’universo o la deleghiamo solo al confessore, confinandola tra superstizioni bigotte?

Dialoghiamo ogni tanto con essa oppure ne facciamo spensieratamente a meno?

E siamo sicuri che questa assenza non ci pesi?

Il dramma dell’uomo contemporaneo non è tanto l’assenza di Dio, quanto il non accorgersi di provarne nostalgia, affermava papa Benedetto XVI …

Eppure ciascuno di noi sperimenta giorno per giorno smarrimento, erosione di speranze, desolazione di progetti, mancanza di idee, logorio di slanci ed esaurimento di entusiasmi… E quante volte ci siamo sentiti dire che la devastante crisi economica di inizio millennio è stata originata da una ben più grave crisi di valori, ovvero da una crisi di anima?

I pochi maestri di humanitas, se ancora ne esistono, vagano inascoltati o avvizziscono sepolti in inattuali nascondigli. Così come il patrimonio di bellezza di cui il genere umano è stato capace nei secoli giace a impolverarsi in biblioteche e musei deserti.

Alziamo la voce solo per gridare al nulla. I nostri occhi sono fissi su schermi luminosi. Ondate di rumore ci sommergono, sempre più diventiamo incapaci di solidarietà e di ascolto e perdiamo il meglio.

 

Esiste però nel nostro cervello un sistema che determina di identificarci in chi abbiamo di fronte come se ci trovassimo dinanzi a uno specchio. E’ un meccanismo presente nel nostro codice genetico e sta alla base della nostra capacità di apprendimento e sviluppo. I neuroni a specchio sono cellule che si attivano nel momento in cui osserviamo e inconsciamente mimiamo ciò che vediamo, come se a compiere l’azione osservata fossimo noi stessi. Questo sistema varrebbe anche per le emozioni e sarebbe alla base dell’empatia: “io sento quello che provi tu.”

E’ il motivo per cui abbiamo scelto il teatro per chiedere aiuto… Un luogo dove riconoscere un modello su cui riorganizzare il nostro caos.

Fenomeno originario della rappresentazione, capace di intercettare la dimensione mimetica dell’anima come specchio delle nostre azioni e intenzioni, il teatro ingaggia lo spettatore in una sorta di simulazione incarnata. Spazio archetipico d’incontro fra terra e cielo, diventa il luogo ideale, dove piacevolmente ascoltare e riflettere empaticamente.

Chiediamo dunque al teatro e al suo immenso patrimonio di idee e di ingegni, di mettere in moto molecole di emozione con lezioni di anima. E cerchiamo maestri di anima intonati alle verità perenni e alla vita e alle scoperte di oggi. Li porteremo in scena: saranno poeti, musicisti, attori, filosofi, pittori, scienziati, personaggi molto popolari oppure totalmente sconosciuti. Uno per volta, una volta al mese. Insceneranno ciò che sanno fare e ciò che è stato scritto per loro. Racconteranno storie e si racconteranno. Attraverso brevi performances, concerti estemporanei, interviste spettacolo, lievi coreografie, mix di prosa, proiezioni, musica, letture…. Uno spettacolo ogni volta diverso coniugato a un dibattito.

Il teatro scuola d’anima e il palcoscenico come cattedra luminosa: autori, artisti e personaggi come insoliti professori, la platea come aula senza banchi, gli spettatori come allievi curiosi e anticonformisti.

 

Una richiesta di “Anima” come direbbe Jung, ma anche l’esperimento di un teatro nuovo, sinaptico, galvanico, leggero e insieme denso, che torni ad aggregare persone in nome di un’idea comune: la condivisione di un bisogno sempre più inascoltato e di un richiamo eterno, quello della ricerca dell’uomo e per l’uomo.

 

(DC e LDL)

 

Informazioni e prenotazioni:

 

info@teatrodellangelo.it; segreteria@teatrodellangelo.it

 

 

Biglietto unico: € 11,00

Orario botteghino:

dal lunedì al sabato ore 10.00-13.30 / 15.00-20.00
domenica ore 12.00-13.30 / 15.00-17.00

Con la collaborazione di: 
Sapienza Università di Roma-Coris, Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale 
Università degli Studi Tor Vergata, Dipartimento di Scienze e Tecnologia della Formazione 
Radio Vaticana 
Fidapa, sezione Roma 
Ecole Instrument de Paix-Italia 
Uninettuno 

Con il patrocinio 
dell’Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica del Comune di Roma

I doni dell’amore: cosa ne pensate?

Carissimi,

cosa ne pensate?

[…] Ma per accedere ai doni dell’amore dobbiamo in qualche modo mettere da parte il nostro io e la nostra abituale visione del mondo, perché l’altra parte di noi stessi possa emergere, sorprenderci e sconvolgerci. Amore infatti non è una cosa tranquilla, delicata, gentile, comprensiva, rispettosa, e tanto meno suggello di fede eterna, che è un desiderio troppo rassicurante per il lavoro che amore compie quando, bruscamente, ci sveglia dalla consuetudine monotona della nostra esistenza, dall’immagine ben strutturata della nostra identità, dai nostri desideri che cercavano appagamento quando invece amore è sconvolgimento. Solo se comprendiamo queste cose ci portiamo all’altezza dell’amore che una cosa sola vuole: che la nostra vita non prosegua più sul binario stanco sul quale le nostre difese, e allo stesso modo, le nostre attese lo avevano incanalato, sotto il regime del nostro io che si difendeva dall’altra parte di noi stessi che pure invocava di vivere”.

Umberto Galimberti da D la Repubblica.

Siete d’accordo? Fatemi sapere le vostre opinioni.

Gabriele

 

 

Da “D la Repubblica”: i giovani oggi

“[…]  Oggi che l’unico valore egemone nella nostra società è il denaro che tutto può comprare, persino il sesso e il potere, cosa si pensa che possano acquisire e volere i giovani, se non “le belle cose”, come scrive Platone, che sfilano davanti alla caverna dove sono incatenati gli schiavi? E però, come nel mito della caverna, uno schiavo si libera dalle catene, esce dall’antro e prende a guardare e ad ammirare le “cose vere”. E’ un percorso difficile, che avviene in solitudine, accompagnato dal riso e dal disprezzo di quanti dalla caverna non sono usciti, rassicurati dalla loro prigionia. Una prigionia, che, al pari degli schiavi di cui parla Platone, i giovani di oggi non avvertono come schiavitù, perché le catene sono dorate e luccicanti. E perciò pensano di essere, più degli altri, all’altezza dei tempi, perché hanno lasciato alle spalle libri e cultura, impegno e rispetto. Valori d’altri tempi, anche se verrà il giorno in cui avvertiranno il vuoto che li circonda e il nulla in cui orientarsi. Ma resta pur sempre il divertimento con cui distrarsi, il vivere il presente in presa diretta 24 ore su 24, anche se nel frattempo la loro vita, vissuta da virtuosi dell’irresponsabilità, si srotola in un esperimento dall’esito incerto”.

Umberto Galimberti

Il corpo

“Oggi il corpo è diventato semplicemente un manichino, qualcosa di completamente separato da noi. La gente lo tratta come se fosse un oggetto che si allestisce, che si costruisce, esattamente come se fosse una vetrina. E’ quindi diventato il luogo della nostra falsificazione. Chi siamo, probabilmente, non lo sappiamo più neanche noi. Quindi, in cambio di quel niente che è diventata la nostra faccia, esponiamo un corpo su cui lavora quasi esclusivamente il sistema della moda. Un corpo confezionato che non coincide più con noi. Rispetto agli anni ottanta, il corpo di oggi è molto abbellito, ma è falsificato, perché non ci riproduce.
(…) tempi della comunicazione si sono ridotti, la velocità temporale fà sì che un soggetto abbia solamente pochi istanti per relazionarsi all’altro e quindi non c’è possibilità di farsi conoscere, di farsi notare, se non offrendo un corpo allestito, un corpo che colpisca”.

Umberto Galimberti

Sulla famiglia

Se poi passiamo dai grandi scenari a quel piccolo scenario costituito dalla famiglia, che resta il nucleo essenziale per la nascita, la crescita e il sostentamento dei figli, assistiamo, rispetto agli anni precedenti, a un maggior desiderio di generare figli, dovuto al fatto che tendenzialmente, i maschi hanno dismesso quello stile padre-padrone che aveva caratterizzato il comportamento maschile delle generazioni precedenti, e acquisito quel tratto di accudimento, un tempo riservato alle donne, nella cura dei loro figli. Questi ultimi, a loro volta, come tendenza generale, non sono più oggetto di trascuratezza o di violenza come un tempo, anche se al limite corrono l’eccesso opposto di essere un po’ troppo viziati da genitori che, per farsi perdonare la mancanza di tempo a loro disposizione da trascorrere con i loro figli, tendono a riempirli di regali e ad accondiscendere ai loro desideri, rendendo così più difficile il loro passaggio dal principio di piacere al principio di realtà.

Umberto Galimberti

Il desiderio

Vivendo il desiderio, compromettendosi, divenendone complice, fino a lasciarsi perdere, sommergere e paralizzare, il corpo è travolto da quella passione che non attende solo la visione del corpo dell’altro, ma anche e soprattutto la rivelazione di sé come corpo desiderato da altri. Nel desiderio dell’altro è infatti segretamente custodita la possibilità per il mio corpo di trascendersi.

Umberto Galimberti

Sul conformismo

Al potere, come ci ricorda Nietzsche, interessa una società conformista, più facile da governare di una società  che, per effetto della cultura, pensa, e spesso è critica. La storia del Novecento, con i suoi fascismi, nazismi e comunismi, ha offerto truci e tragici esempi di società conformiste perché conformate col terrore. Società che poi sono crollate perché alcuni individui che le componevano intravidero anche altre forme di vita possibili, rispetto a quella dai regimi imposta, da conquistare anche al prezzo della vita. Oggi il conformismo non ha bisogno di quei mezzi truci e violenti per imporsi. Perché altre figure come l’egemonia della tecnica e l’egemonia del mercato impongono regole che non possono essere trasgredite, pena l’emarginazione economica quando non addirittura sociale. Questo conformismo, che neppure ha bisogno della violenza per imporsi, prende il nobile nome di “sano realismo”, per cui è “realistico” accettare senza esitazione qualsiasi lavoro precario, anche di breve durata, perché questo è quanto offre il mercato, divenuto il generatore simbolico di tutti i valori (non solo economici).

Umberto Galimberti

Sull’accidia, la noia, la malinconia

Queste malattie sono nell’uomo occidentale il riflesso spirituale della sua cultura e che Costantin Noica, filosofe romeno, amico di Mircea Eliade, Emile Cioran, Eugène Ionesco chiama “malattia dello spirito contemporaneo”, che ha perso non tanto Dio di cui molti lamentano inutilmente lo smarrimento, quando l’incanto del mondo che la nostra razionalità ha reso disincantato, e la nostra tecnica ha ridotto a pura materia da utilizzare, incapace, nella sua opacità, di rinviare a quel che potrebbe chiamarsi un riflesso dell’anima.

Umberto Galimberti

L’educazione sessuale

Quando la Chiesa si libererà dall’ossessione sessuale avrà più tempo per parlare di Dio e più capacità di persuadere che Dio è amore. Non nell’accezione protettiva e consolatoria secondo la quale Dio ama gli uomini che ha creato e redento, ma nel senso che senza uno sprazzo di trascendenza, di cui Dio è la metafora, la sessualità perde la sua densità, la sua forza, il suo senso, la sua potenza. Questo bisogna insegnare ai giovani. E in questo deve consistere l’educazione sessuale affinché i ragazzi non si limitino alla pura meccanica dei corpi, ma sappiano al di là del possesso, e della loro appropriazione, leggere l’accadere di un mondo quale appare guardato con gli occhi dell’eros.

Umberto Galimberti

La freddezza razionale

Ha luogo quando il cuore , un tempo tumultuoso e invocante, si fa piatto, non reattivo, pronto a declinare ora nella depressione ora nella noia. E quando la tempesta emotiva si abbatte sul cuore, ormai arido perché mai irrigato, si comprime tutto con le difese impenetrabili approntate dalla buona educazione, dalle buone maniere, dal buon allenamento nella palestra gelida della razionalità.

Umberto Galimberti

Educazione emotiva

Oggi l’educazione emotiva è lasciata al caso e tutte le statistiche concordano nel segnalare la tendenza, nell’attuale generazione, ad avere un maggior numero di problemi emozionali rispetto a quelle precedenti. E questo perché oggi i giovanissimi sono più soli e più depressi, più rabbiosi e ribelli, più nervosi e impulsivi, più aggressivi e quindi impreparati alla vita, perché privi di quegli strumenti emotivi indispensabili per dare avvio a quei comportamenti quali l’autoconsapevolezza, l’autocontrollo, l’empatia, senza i quali saremo sì capaci di parlare, ma non di ascoltare, di risolvere i conflitti, di cooperare.

Umberto Galimberti

Passione

Di fronte alla passione, la ragione è impotente e, con la ragione, la volontà.

Umberto Galimberti

Distorsione dell’amore

Nel tentativo disperato di non essere un estraneo all’altro, chi ama cerca di essere come presume l’amato lo voglia. E così si allontana da sé fino a rinunciare a se stesso, per diventare, rispetto all’amato, il suo doppio, il suo specchio, la sua conferma.  Quel che si crea in questa distorsione dell’amore è da un lato la solitudine narcisistica della persona amata, che trova nell’amante null’altro che la conferma di sé, e dall’altro la dipendenza totale dell’amante dall’amato che, in questo modo, si allontana da sé, per prodursi solo come riflesso dell’amato.

Umberto Galimberti

L'”uomo della passione”

L'”uomo della passione”, come potremmo chiamare l’uomo del nostro tempo, attende dall’amore qualche rivelazione su se stesso o sulla vita in generale, ultimo sentore della mistica primitiva, pallida reviviscenza dell’amore romantico con il suo corredo di imprevisti, di rischi eccitanti, di gioie languide e violente. E’ tutto l’orizzonte del possibile che si spalanca, un destino che si arrende al desiderio con le illusioni di libertà e di pienezza.

Umberto Galimberti

L’azione creativa dell’amore

Amore non è una condizione passiva, ma una costruzione attiva che trasforma una realtà per sé insignificante in una fascinazione, grazie a quell’idealizzazione che l’amore vuole realizzare. Perché amore è innanzitutto attiva creazione creazione e non passiva soddisfazione. Capaci d’amore non sono mai coloro che stanno in attesa dell’incontro della loro vita, ma coloro che lo creano trasformando il reale secondo il proprio ideale.

Umberto Galimberti

Gola

Perché è così difficile darsi una misura nell’assunzione del cibo? Perché gusto e olfatto sono i sensi più arcaici che mettono in moto le zone più primitive del nostro cervello, quelle su cui i nostri ragionamenti, i nostri propositi, la nostra buona volontà hanno una scarsissima incidenza. Per questo la gola, più che un vizio capitale, è un richiamo alla nostra animalità, il retaggio della nostra antica condizione.

Umberto Galimberti

Accidia

E chi mai l’avrebbe detto che tra i vizi capitali avremmo trovato la noia che i medievali chiamavano “accidia” e che Pascal descrive come: “La risultante degli umori in presenza di deprecabili azioni morali tipiche di chi, avendo abusato del piacere, si trova nell’impossibilità di desiderare?”. A leggerla bene questa definizione sembra riprodurre la condizione che caratterizza molti giovani del nostro tempo, afflitti da assenza di interessi, monotonia delle impressioni, sensazioni di immobilità, vuoto interiore, rallentamento del corso del tempo e quindi accidia, riconducibile alla presenza di energie non impiegate e perciò affogate in un divertimento che risuona senza eco, perché, nel vuoto intriso di nulla che lo attraversa, non c’è nemmeno quel tanto che possa rendere avvertibile una risonanza.

Umberto Galimberti

Invidia

A differenza della lussuria, della superbia, della gola, l’invidia è forse l’unico vizio che non dà piacere. Eppure è molto diffuso e ciascuno di noi ne ha fatto esperienza per aver invidiato o essere stato invidiato. Evidentemente le sue radici nascoste affondano in quel nucleo profondo dove si raccoglie la nostra identità che, per costituirsi e crescere, ha bisogno del riconoscimento. Quando questo manca, la nostra identità si fa più incerta, sbiadisce, si atrofizza, e allora subentra l’invidia che vorrebbe concedere, a chi è incapace di valorizzare se stesso, una salvaguardia di sé nella demolizione dell’altro.

Umberto Galimberti

Superbia

Tra invidia e superbia c’è una sottile parentela dovuta al fatto che il superbo, se da un lato tende a superare gli altri, quando a sua volta viene superato non si rassegna, e l’effetto di questa non rassegnazione è l’invidia.

Umberto Galimberti

Avarizia

L’avarizia è il più stupido dei vizi capitali perché gode di una possibilità, o se si preferisce di un potere, che non si realizza mai. Il denaro accumulato dall’avaro, infatti, ha in sé il potere di acquistare tutte le cose, ma questo potere non deve essere esercitato, perché altrimenti non si ha più il denaro e quindi il potere a esso connesso. Questa contraddizione così evidente è dovuta al fatto che l’avaro capovolge il rapporto mezzo-fine, e invece di considerare il denaro un “mezzo” per il raggiungimento di quei “fini” che sono l’acquisizione dei beni e la soddisfazione dei bisogni, considera il denaro un fine,  per il possesso del quale si deve sacrificare l’acquisizione dei beni e la soddisfazione  dei desideri.

Umberto Galimberti

Diventa ciò che sei