Oggi, a Roma, presentazione del libro “Un re chiamato Desiderio”

Carissimi, oggi a Roma, presso la Fuiss, in Piazza Augusto Imperatore 4, verrà presentato il libro “Un re chiamato Desiderio” di Danilo Campanella. Sarà presente l’autore, che verrà introdotto da Mario Sammarone. L’incontro avrà come relatore Massimo Lanzaro. Per l’occasione vi riproponiamo un articolo sul libro, scritto da Mario Sammarone, apparso qualche tempo fa su questo blog.

Gabriele

 

Un filosofo che voglia scrivere un racconto, non potrà che farlo in “maniera filosofica”. Ed è ciò che ha fatto Danilo Campanella nel suo ultimo lavoro, “Un re chiamato Desiderio” (Tabula Fati, 2014). Campanella, studioso di politica, si è sempre cimentato in saggi filosofici o storici, quale il suo ultimo lavoro su Aldo Moro presentato recentemente all’Istituto Luigi Sturzo.

In questo racconto, invece, pur con uno stile piano ed affabulatorio, a tratti quasi familiare, Campanella ci conduce a riflettere su quel re interiore che ci domina tutti: il desiderio. Un’entità che ha avuto il suo momento digloria negli anni passati, quando i suoi cantori lo hanno esaltato fino a farne un feticcio, con la rivoluzione desiderante di Deleuze e Guattari. Altro mondo è il nostro e la pretesa di poter indefinitamente avere tutto a disposizione si è scontrata con la presa di coscienza che dobbiamo porre limiti ai nostri sogni faustiani, per ragioni ecologiche, economiche, demografiche – recentemente Serge Latouche è stato in Abruzzo e ha parlato proprio di questo.

Eppure il desiderio ci domina tirannicamente, eterodiretti come siamo dal generale consumismo che ci alletta ogni momento e ci rende schiavi desideranti di cose, esperienze e oggetti al punto di non essere più capaci di sottrarci a queste allettanti sirene.

Il racconto parte da una situazione tipicamente familiare, dove Giovanni, il protagonista, un ragazzo figlio dei nostri tempi, arrogante nel suo fortino di certezze che gli arrivano dal posto sicuro che occupa nel mondo, con la sua vita prevedibile di studente universitario protetto dall’ambiente familiare, si trova a dover fronteggiare un inconveniente occorso a suo padre il quale, recatosi in Grecia per il suo lavoro di Ingegnere, dimentica a casa la valigetta con tutte le carte dei suoi progetti. Incarica così il figlio Giovanni di portargliela in Grecia e questi, sebbene a malincuore per dover affrontare un viaggio non previsto, si organizza per partire.

Tutta la famiglia è mobilitata: la madre in apprensione perché tutto si risolva, la sorella impegnata al computer per acquistare i biglietti, e Giovanni a prepararsi spiritualmente a qualcosa che deve eseguire suo malgrado.

Essendo necessario un compagno per avere uno sconto nel costo del viaggio, si rivolgono ad un cugino, Ernesto, che non vedono da anni. Questo ragazzo, che Giovanni ricorda dall’infanzia timido e impacciato, si rivelerà essere ben diverso da come il cugino si aspetta: la sua vita è fatta di scelte non scontate e, all’opposto di Giovanni che non desidera contaminarsi con la vita vera, Ernesto la ama in tutte le sue manifestazioni. Sarà un maestro per Giovanni, con una funzione quasi maieutica, e lo inviterà a riconsiderare tutte le sue ovvie certezze, fatte di pregiudizi e percorsi obbligati.

Nel corso del viaggio verso la Grecia, che sarà costellato di varie peripezie e contrattempi, vediamo Ernesto come l’uomo che riesce ad immettersi nella tragicità dell’esistenza vivendola però consapevolmente, in una dimensione interiore, mentre Giovanni è dentro schemi che lo proteggono forse, ma che lo limitano e che comunque non ha certamente scelto lui. Per cui Ernesto diviene nel viaggio una specie di Virgilio per il cugino, indicandogli la via per ridiscutere tutta la sua esistenza. Là dove per Giovanni c’è irritazione per un’esperienza che egli non aveva previsto, per Ernesto il viaggio verso la Grecia è una meravigliosa opportunità.

Le ore che trascorrono insieme sono impiegate a parlare e discutere, a filosofare quindi, e di volta in volta si uniscono loro anche altri personaggi che incontrano, compagni di viaggio con cui approfondiscono temi e discorsi che per Giovanni sono una porta socchiusa verso nuovi modi di pensare.

Per Ernesto il peggior nemico della libertà delle persone è il desiderio, che come dice il titolo è un re nella nostra vita, ci domina e condiziona in ogni campo, rendendoci sempre pronti a correre là dove esso chiama, come un possente tiranno che trasforma ogni aspetto della nostra esistenza in qualcosa da afferrare, rendendo così tutto materiale e facendoci divenire animali predatori verso il mondo. Questo desiderio tuttavia non è sogno, possibilità di ampliamento dell’essere, ma gabbia, cappio, limite, perché derivante da manipolazioni esterne e non da scelte consapevoli.

L’invito di Ernesto a Giovanni è di riemergere nella libertà, mai definita una volta per tutte ma sempre ridisegnata, faticosamente e volontariamente, in nuovi inizi sempre rinegoziati nella nostra interiorità, poiché, come dice Hannah Arendt, la libertà è un gesto augurale.

Apprendiamo, da inserti nel racconto circa la futura vita di Giovanni, che egli imparerà la lezione, e che quindi il viaggio compiuto dai due ragazzi è simbolo di un viaggio ben più profondo. L’epilogo fa ulteriormente riflettere, e tutto il racconto si può leggere quasi come un’”Operetta Morale”, o un “conte philosofique “ del Settecento, in cui idee e pensiero erano veicolati dalle opere letterarie: sarebbe necessario che si pubblicassero più libri di questo tipo, per i temi sviluppati che ci toccano da vicino, per noi che siamo in equilibrio precario tra un desiderio illimitato ed egoista e la necessità di trovare un limite, che la situazione storica stessa ci impone e verso il quale noi stessi aneliamo perché sentiamo che, paradossalmente, solo in quel limite ci potremo muovere più liberamente e ed essere più padroni di noi stessi, dato che il desiderio liberato da ogni morale è una prigione artificiale.

Non manca una vera e propria dichiarazione d’amore dell’autore alla sua città, Roma, con le sue contraddizioni e le sue offerte di piacevoli opportunità, oltre all’aria stessa che vi si respira, che è antichità classica e anche un po’ di cinica modernità mescolate per farne quello che è, una città irripetibile ed unica al mondo. Leggiamo quindi quest’opera di Campanella e anche noi, con lui, filosofiamo.

Mario Sammarone

 

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“I diamanti di Kesserling”

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Quando si parla di Storia, si può argomentare, teorizzare, fantasticare, persino romanzare, aggiungere fatti immaginari a un substrato di fatti oggettivi. Si può anche, però, fare la Storia Immaginaria, valutando come sarebbero andate le cose se fossero cambiati alcuni presupposti: si tratta della cosiddetta Ucronia, la Storia Virtuale, non un tabù o una semplice esercitazione del pensiero, ma una vera e propria disciplina, che talvolta diviene strumento per capire ed interpretare il nostro presente. Il bel libro di Enzo Natta, “I diamanti di Kesserling” (ed. Tabula Fati, 2013) parte da questo spunto per costruire una storia su un pezzo di Storia: siamo in Liguria, terra dello scrittore, e precisamente nel Ponente, tra il mare della costa dei fiori e la catena montuosa delle Alpi Marittime. L’antefatto è un episodio del 1944, in piena Resistenza, quando si cercò di corrompere il feldmaresciallo Kesserling per la resa dei tedeschi in Italia. La contropartita, un immenso tesoro di diamanti portato dagli inglesi, e poi sparito, ad opera di un partigiano, Nemo; questi porta il tesoro con se per avvantaggiare la sua parte politica (Trotzkisca), ma viene intercettato ed ucciso, non prima però di avere trasmesso ad un sacerdote, come il messaggio lasciato nella bottiglia, l’informazione del nascondiglio dei diamanti. Passa il tempo e a distanza di sessanta anni, una miriade di personaggi loschi è alla ricerca del tesoro di Kesserling. Protagonisti sono due liguri autentici, il commissario Roberto Pollini e il cronista Giovanni Rosaspina, che entrano in gioco dopo la morte sospetta di un vecchio partigiano, a cui faranno seguito altri omicidi. Coinvolti saranno ogni sorta di avventurieri, dai piduisti ai mafiosi, dai servizi segreti al Mossad, ognuno viole raggiungere il tesoro dei diamanti per accaparrarselo, ma falliscono uno alla volta. Ciò che affascina del romanzo sono gli intrecci non solo del presente raccontato, ma anche del presente con il passato, e del passato con il passato. Artifizio della Ucronia. Il presente, il passato, quello che si svolse o che avrebbe potuto svolgersi; e così la Storia può prendere in qualsiasi momento vie innumerevoli, per farci rendere conto che quella effettivamente accaduta forse non è stata la migliore possibile, che il risultato non è stato nessun Sole dell’Avvenire – se ha prodotto, cronaca di tutti i giorni, una situazione così destabilizzata e corrotta. I due protagonisti, Roberto e Giovanni, sono troppo liguri, e quindi troppo disincantati e anche un po’ “chesternoniani”, per attardarsi su speculazioni sul bene e sul male. Portano avanti le indagini sempre un po’ sottotono,  con mille colpi di scena, con mafiosi ridicoli che sembrano abbellirsi e darsi un tono per sembrare più raffinati, senza riuscirci, e figuri senza scrupoli, cinici e avidi. Sullo sfondo la Liguria, dove “i suoi abitanti tra gli ulivi” stanno davvero come in una cattedrale, e i cimiteri “aperti ai venti e all’onde” compaiono come teatro di ricerca dei diamanti, poiché si suppone di trovarli in una ignota e non ben localizzata tomba di Nemo. Le citazioni di film sono numerose e corrono parallele alla storia, dandole un’impronta “cinematografica” – si vede  la grande conoscenza di cinema da parte dell’autore. Encomiabile è la difesa del fumo contro il “pensiero unico” del proibizionismo, condotta dal protagonista Giovanni e probabilmente propria anche dell’autore. Un libro insomma che si legge d’ un fiato, con mille spunti di riflessione portati avanti da una scrittura semplice e briosa. Con un finale a sorpresa che prelude però a nuove prossime imprese. Noi le aspettiamo.

Mario Sammarone

“I diamanti di Kesserling”, un romanzo di Enzo Natta (ed. Tabula Fati)