La depressione: un tentativo di trovare spiragli di luce nel male oscuro (Parte I)

Una premessa, qualche definizione e tre equivoci sulle sindromi depressive

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la depressione è la prima causa di disfunzionalità nei soggetti tra i 14 e i 44 anni di età. Sembra colpisca nel mondo circa 350 milioni di persone, deteriorandone (tra le altre cose) la capacità di lavoro e di relazione. Nella sua forma più grave può portare al suicidio e sarebbe responsabile di quasi un milione morti ogni anno.

Quello della depressione è un tema che negli ultimi anni è diventato assai popolare, ma sul quale esistono molta confusione e diversi equivoci; l’esperienza mi suggerisce che anche se non esistono affatto ipersoluzioni, un buon punto di partenza dovrebbe sempre essere la corretta definizione del problema o, se appropriato, un globale inquadramento diagnostico con l’aiuto di uno specialista. Vorrei dunque cominciare questa serie di brevi scritti descrivendo alcuni dei suddetti elementi confusivi.

Il primo equivoco consiste nel confondere la condizione clinica chiamata depressione con la tristezza normale o con la demoralizzazione. Secondo me sono ancora validissime le parole di Arieti, che nel 1978 diceva della tristezza e della demoralizzazione: “sono il comune dolore che coglie l’essere umano quando un avvenimento avverso colpisce la sua esistenza precaria, o quando la discrepanza tra la vita com’è e come potrebbe essere diventata il centro della sua fervida riflessione”, mentre “è meno comune, ma abbastanza frequente da costituire uno dei principali problemi psichiatrici, il dolore che non si attenua col passare del tempo, che sembra esagerato in rapporto al presunto evento precipitante, o inappropriato, o non collegato ad alcuna causa evidente”. Questa è la depressione, che a sua volta può essere graduata su un continuum di severità (di nuovo, compito che spetterebbe ad un professionista della salute mentale) e fa  parte dei disturbi dell’umore, insieme ad altre patologie come la mania e il disturbo bipolare. Essa può assumere la forma di un singolo episodio transitorio (si parlerà quindi di episodio depressivo) oppure di un vero e proprio disturbo (si parlerà quindi di disturbo depressivo). Quando i sintomi sono tali da compromettere l’adattamento sociale si parlerà di disturbo depressivo maggiore, in modo da distinguerlo da depressioni minori che non hanno gravi conseguenze e spesso sono normali reazioni ad eventi della vita.

Secondo la versione più recente del DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) l’episodio depressivo maggiore è caratterizzato da sintomi che durano almeno due settimane causando una compromissione significativa del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.

Fra i principali sintomi vengono elencati i seguenti:
– Umore depresso (es. tristezza, melanconia accentuate) per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno.
– Marcata diminuzione o perdita di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (anedonia o apatia).
– Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno.
– Affaticabilità, perdita o mancanza di energia o slancio vitale quasi ogni giorno (astenia).
– Disturbi d’ansia (es. attacchi di panico).
– Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno.
– Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi ogni giorno.
– Diminuzione o perdita di motivazioni personali, capacità di pensare, concentrarsi, risolvere problemi, prendere iniziative, decisioni, agire (inerzia, svogliatezza o abulia) e pianificare il proprio futuro quasi ogni giorno.
– Tendenza all’isolamento, alla solitudine e alla sedentarietà con diminuzione dei rapporti sociali e affettivi.
– Tendenza alla sfiducia e al pessimismo o negativismo marcato sulla realtà e i problemi di vita.
– Sentimenti di impotenza, autosvalutazione (es. diminuzione di autostima) fino a senso di sconforto o disperazione oppure sentimenti eccessivi o inappropriati di colpa, risentimento e rimurginazioni eccessive quasi ogni giorno (fino a casi limite di angoscia e deliri con distacco dalla realtà).
– Ricorrenti pensieri di morte, ricorrente ideazione suicida senza elaborazione di piani specifici, l’elaborazione di un piano specifico per commetterlo oppure un tentativo di metterlo in atto.

I sintomi non son necessariamente tutti presenti, ma per parlare di episodio depressivo maggiore è importante sottolineare che è necessaria la presenza contemporanea di almeno cinque dei sintomi sopra elencati.

Mario Maj recentemente ha scritto: “come mai la distinzione tra depressione e demoralizzazione non viene chiarita quando si parla alla gente? A volte per ignoranza. Altre volte per malafede, perché indubbiamente quanto più si rinforza il messaggio che la depressione è una condizione a cui tutti prima o poi andiamo incontro, tanto più ampia è l’audience di cui si richiama l’interesse. Le conseguenze di questa confusione tra depressione e demoralizzazione possono essere molto serie. Accade abbastanza frequentemente, ad esempio, che personaggi pubblici raccontino la loro storia alla televisione o su una rivista dichiarando di essere stati colpiti dalla depressione e di esserne usciti grazie alla propria forza di volontà o al calore dei familiari o degli amici, e invitando le persone depresse a diffidare dei farmaci e di qualsiasi altro intervento specialistico”.

Nella quasi totalità dei casi si tratta di persone che non hanno sofferto di una vera depressione, ma hanno soltanto attraversato un periodo di demoralizzazione, e il loro messaggio può essere dannoso per le persone veramente depresse e per i loro familiari, che possono essere indotti a non iniziare o a interrompere una terapia che sarebbe stata efficace.

Il secondo equivoco fondamentale nasce dal fatto che la depressione viene spesso considerata una condizione unitaria e omogenea, che si manifesta sempre allo stesso modo, che ha sempre la stessa origine e che si cura sempre allo stesso modo, mentre in realtà non esiste la depressione, ma esistono le depressioni, cioè una gamma di condizioni depressive che si manifestano in maniera differente, nella cui genesi i fattori biologici, psicologici e sociali intervengono in misura differente, e che si curano in modo differente.

Il terzo equivoco, che abbiamo forse tacitamente mutuato dalla belligerante cultura anglosassone è che la depressione sia “un male che si deve combattere”: attingendo all’arsenale farmacologico, con le tecniche di psicoterapia più alla moda (inclusa quella cognitivo-comportamentale) o con una combinazione di varie strategie. Di nuovo, non voglio agitare la bacchetta magica o ipersemplificare, ma se c’è una cosa che una persona realmente depressa dovrebbe fare, in un certo senso, è proprio il contrario: smettere di combattere, almeno per un po’. La depressione – diceva Jung -è una signora in nero, quando appare non bisogna scacciarla ma invitarla alla nostra tavola per ascoltarla.

Massimo Lanzaro

http://www.ilquorum.it/la-depressione-un-tentativo-di-trovare-spiragli-di-luce-nel-male-oscuro-parte/

 

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NEL MONDO LIQUIDO: AMORE E ALTRI DISTURBI

Il termine borderline (BPD) deriva da un ampliamento della classificazione psicoanalitica classica dei disturbi mentali, raggruppati in nevrosi e psicosi, e significa letteralmente “linea di confine”. L’idea originaria era riferita a pazienti con personalità che funzionano “al limite” della psicosi pur non giungendo agli estremi delle vere psicosi (come ad esempio la schizofrenia). Questa definizione è oggi considerata più appropriata al concetto teorico di “Organizzazione Borderline”, che è comune ad altri disturbi di personalità, mentre il disturbo borderline è un quadro particolare. Le formulazioni del manuale DSM IV e le versioni successive, come pure le classificazioni più moderne internazionali (ICD-10) hanno ristretto la denominazione di disturbo borderline fino a indicare, più precisamente, quella patologia i cui sintomi sono la disregolazione emozionale e l’instabilità del soggetto. È stato proposto perciò anche un cambio di nome del disturbo. Il disturbo borderline di personalità è definito oggi come disturbo caratterizzato da vissuto emozionale eccessivo e variabile, e da instabilità riguardanti l’identità dell’individuo. Uno dei sintomi più tipici di questo disturbo è la paura dell’abbandono. I soggetti borderline tendono a soffrire di crolli della fiducia in se stessi e dell’umore, ed allora cadere in comportamenti autodistruttivi e distruttivi delle loro relazioni interpersonali. Alcuni soggetti possono soffrire di momenti depressivi acuti anche estremamente brevi, ad esempio pochissime ore, ed alternare comportamenti normali. Si osserva talvolta in questi pazienti la tendenza all’oscillazione del giudizio tra polarità opposte, un pensiero cioè in “bianco o nero”, oppure alla “separazione” cognitiva (“sentire” o credere che una cosa o una situazione si debba classificare solo tra possibilità opposte; ad esempio la classificazione “amico” o “nemico”, “amore” o “odio”, etc.). Questa separazione non è pensata bensì è immediatamente percepita da una struttura di personalità che mantiene e amplifica certi meccanismi primitivi di difesa. La caratteristica del disturbo borderline è, inoltre, una generale instabilità esistenziale, caratterizzata da relazioni affettive intense e turbolente che terminano bruscamente, provocando “crolli” nella vita lavorativa e di relazione dell’individuo. Il disturbo compare nell’adolescenza e concettualmente ha aspetti in comune con le comuni crisi di identità e di umore che caratterizzano il passaggio all’età adulta, ma avviene su una scala maggiore, estesa e prolungata determinando un funzionamento che interessa totalmente anche la personalità adulta dell’individuo. Diagnosi secondo il DSM IV-TR Il disturbo di personalità borderline è un disturbo delle aree affettivo, cognitivo e comportamentale. Le caratteristiche essenziali di questo disturbo sono una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi: 1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono; 2. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione; 3. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili; 4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (quali spendere oltre misura, sessualità promiscua, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate etc.); 5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante; 6. instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (es. episodica intensa disforia o irritabilità e ansia, che di solito durano poche ore e, soltanto più raramente più di pochi giorni); 7. sentimenti cronici di vuoto; 8. rabbia immotivata ed intensa o difficoltà a controllare la rabbia (es. frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici etc.); 9. ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress. Secondo alcuni autori i soggetti con un numero sufficiente di fattori di rischio che hanno sviluppato un BPD nella nostra cultura, avrebbero potuto avere uno sviluppo diverso se fossero stati educati in un differente ambiente socio-culturale, magari sviluppando altri e diversi quadri psicopatologici. In questo breve scritto tento di mostrare che alcuni dei fattori socio ambientali suddetti sono stati minuziosamente descritti nei suoi lavori dal sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, il quale ha inteso spiegare la postmodernità usando le metafore di modernità liquida e solida. “Lo smantellamento delle sicurezze caratterizza una vita liquida sempre più frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusa”. Sostanzialmente, Bauman ritiene che l’uomo di oggi non abbia più certezze né punti di riferimento stabili. È diventato tutto più fluido, liquido appunto. Nel nostro mondo fuggevole, fatto di cambiamenti imprevisti e talora insensati, quei sommi obiettivi dell’educazione tradizionale quali le consuetudini radicate e le scale stabili di valori diventano degli ostacoli. Quanto meno come tali vengono presentati dal mercato della conoscenza, per il quale lealtà, vincoli indistruttibili e impegni a lungo termine sono considerati (come ogni merce, in ogni mercato) anathema, e visti come altrettanti impedimenti da eliminare. Ci siamo spostati in un libero mercato in cui tutto può accadere in qualunque momento, e tuttavia nulla si può fare una volta per tutte. Il settore in cui è più evidente questa trasformazione è quello lavorativo: «In un’epoca in cui […] i luoghi di lavoro scompaiono con poco o punto preavviso e il corso della vita è suddiviso in una serie di progetti una tantum sempre più a breve termine, le prospettive di vita appaiono sempre più […] accidentali.» Ma la liquidità è riscontrabile anche nelle relazioni sentimentali, ed è proprio questo è il tema centrale del saggio Amore liquido. In particolare, le riflessioni in esso contenute riguardano l’uomo senza legami fissi. Insomma la cultura dominante ci esporrebbe ad una vulnerabilità nei rapporti interpersonali e nel lavoro e in generale ad una serie di esperienze negative con conseguenti possibili vissuti di paura, vergogna, solitudine e abbandono (Adler, 1985; Kohut, 1974), che in varia misura si riscontrano nella psicologia del BPD. Più di un autore quindi ha cominciato a domandarsi se questa cultura può seriamente contribuire se non allo sviluppo di un disturbo mentale conclamato, almeno a dei tratti di personalità disfunzionali, che causano sofferenza. E forse sarebbe anche lecito domandarsi se le neuroscienze sociali e le discipline che interfacciano sociologia, filosofia e psicopatologia dovrebbero in qualche modo cominciare ad occuparsi di questi temi (magari anche con approcci più originali e innovativi?).

DR. MASSIMO LANZARO

1. Zygmunt Bauman. Cose che abbiamo in commune. 44 Lettere dal mondo liquid. Laterza, 2010.
2. Zygmunt Bauman. Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi. Laterza, 2006.

I SINTOMI BORDERLINE DEL MONDO LIQUIDO

di Massimo Lanzaro

Il termine borderline deriva da un ampliamento della classificazione psicoanalitica classica dei disturbi mentali, raggruppati in nevrosi e psicosi, e significa letteralmente “linea di confine”. L’idea originaria era riferita a pazienti con personalità che funzionano “al limite” della psicosi pur non giungendo agli estremi delle vere psicosi (come ad esempio la schizofrenia). Questa definizione è oggi considerata più appropriata al concetto teorico di “Organizzazione Borderline“, che è comune ad altri disturbi di personalità, mentre il disturbo borderline è un quadro particolare.

Le formulazioni del manuale DSM IV e le versioni successive, come pure le classificazioni più moderne internazionali (ICD-10) hanno ristretto la denominazione di disturbo borderline fino a indicare, più precisamente, quella patologia i cui sintomi sono la disregolazione emozionale e l’instabilità del soggetto. È stato recentemente proposto perciò anche un cambio di nome del disturbo.

Il disturbo di personalità borderline è un disturbo delle aree affettivo, cognitivo e comportamentale. Le caratteristiche essenziali di questo disturbo sono una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:

1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;

2. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione;

3. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;

4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (quali spendere oltre misura, sessualità promiscua, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate etc.);

5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante;

6. instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (es. episodica intensa disforia o irritabilità e ansia, che di solito durano poche ore e, soltanto più raramente più di pochigiorni);

7. sentimenti cronici di vuoto;

8. rabbia immotivata ed intensa o difficoltà a controllare la rabbia (es. frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici etc.);

9. ideazione paranoide o gravi sintomidissociativi transitori, legati allo stress.

Zygmunt Bauman è un sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche. Le sue più recenti pubblicazioni si sono concentrate sul passaggio dalla modernità alla post-modernità, e le questioni etiche relative. Con una espressione divenuta proverbiale Bauman ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società.

Sostanzialmente, Bauman ritiene che l’uomo di oggi non abbia più certezze né punti di riferimento stabili. È diventato tutto più fluido, liquido appunto. Che sia in un certo senso questo un parziale fattore predisponente al dipanarsi e alla strutturazione dei comportamenti e delle disregolazioni emozionali descritte in questo cluster di persone?

Nel nostro mondo fuggevole, fatto di cambiamenti imprevisti e talora insensate, quei sommi obiettivi dell’educazione tradizionale quali le consuetudini radicate e le scale stabili di valori diventano degli ostacoli. Quanto meno come tali vengono presentati dal mercato della conoscenza, per il quale lealtà, vincoli indistruttibili e impegni a lungo termine sono considerati (come ogni merce, in ogni mercato) “anatema”, e visti come altrettanti impedimenti da eliminare. Ci siamo spostati in un libero mercato in cui tutto può accadere in qualunque momento, e tuttavia nulla si può fare una volta per tutte (1)

Il settore in cui è più evidente questa trasformazione è quello lavorativo: «In un’epoca in cui […] i luoghi di lavoro scompaiono con poco o punto preavviso e il corso della vita è suddiviso in una serie di progetti una tantum sempre più a breve termine, le prospettive di vita appaiono sempre più […] accidentali.»

Ma la liquidità è riscontrabile anche nelle relazioni sentimentali, ed è proprio questo è il tema centrale del suo saggio Amore liquido. In particolare, le riflessioni in esso contenute riguardano l’uomo senza legami fissi, ovvero l’abitante della società liquido-moderna.

Mentre fino a poco tempo fa le relazioni a lungo termine erano considerate “istinti naturali”, oggi vengono percepite come oppressive:«L’impegno verso un’altra persona […] in particolare un impegno incondizionato e di certo un tipo di impegno “finché morte non ci separi”,nella buona e nella cattiva sorte, in ricchezza e in povertà, assomiglia sempre più a una trappola da scansare a ogni costo.»

Anche l’acting out non è “visto di buon occhio”dalla psicoanalisi e dalla psichiatria, tuttavia pochi hanno riflettuto sull’attrazione esercitata dalla sua capacità di spingere l’intera personalità ad agire all’unisono. In questa “falsa totalità” non c’è divisione fra pensieri, sentimenti e azioni, che diventano tutt’uno, e l’azione fluisce. Il che somiglia drammaticamente allo scopo perseguito da molte pratiche spirituali, che attraverso molti anni di duro e disciplinato allenamento aspirano a raggiungere dei momenti, o uno stato dell’essere, in cui l’azione fluisce e le divisioni interne sono abolite. Con questo non si vuol dire che la meditazione Zen e gli atti impulsive (sovente di distruttività) siano la stessa cosa, ma è necessario rendersi conto che presentano alcune sorprendenti analogie (2).

Massimo Lanzaro,
Psichiatra e Psicoterapeuta

BIBLIOGRAFIA

1. Zygmunt Bauman. Cose che abbiamo in commune. 44 Lettere dal mondo liquid. Laterza, 2010.

2. AA.VV. Un oscuro impulse interiore. Moretti & Vitali, 1994

3. Zygmunt Bauman. Amore liquido, Laterza 2011.

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libera economia in libera morte

Dalla caduta del Muro a Berlino la mortalità è aumentata del 13%. L’aumento di decessi è dovuto allo stress da libero mercato.
La notizia è della rivista LANCET ed è stata riportata ieri, 23 gennaio, a pagina 15 del Corriere della Sera.
Una sola considerazione. L’occidente, dal dopoguerra ad oggi, ha forzatamente sposato il capitalismo, perchè il modello sovietico era anche peggio.
Piccola riflessione. E se la strada fosse quel socialismo utopista di HUGO, così ben tratteggiato ne “I Miserabili” ? (ma in cuor mio penso sempre al Matriarcato)