O labbra, labbra disunite e bianche

O labbra, labbra disunite e bianche
nel valore del pianto penitente,
labbra disunite dentro il bacio
in tenera protesta di follia,
o labbra senza tempo
che avete amato un uomo,
labbra senza perdono
ponete la protesta fuori da una finestra.
O labbra della Vergine divina
che cantan l’Angelo che ormai si avvicina,
è pronto il gran segreto,
vengo meno a un divieto.

Alda Merini

 

 

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Forse un mattino andando in un’aria di vetro

Carissimi,

vi invito a commentare questa poesia.

Gabriele

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
Alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Eugenio Montale

 

Il segreto dell’esistenza

Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive.
IL GRANDE INQUISITORE, da “I fratelli Karamazov” di F. Dostoevskij

Non nascondere il segreto del tuo cuore

Non nascondere
il segreto del tuo cuore,
amico mio!
Dillo a me, solo a me,
in confidenza.
Tu che sorridi così gentilmente,
dimmelo piano,
il mio cuore lo ascolterà,
non le mie orecchie.
La notte è profonda,
la casa silenziosa,
i nidi degli uccelli
tacciono nel sonno.
Rivelami tra le lacrime esitanti,
tra sorrisi tremanti,
tra dolore e dolce vergogna,
il segreto del tuo cuore.

Rabindranath Tagore

Ero solo nel mondo

Ero solo nel mondo, o il mondo aveva
un segreto per me? Di primavera
mi svegliavo a un monotono accordo
e il canto di un amore mi pareva.
Il canto di un amore che premeva
con gli occhi di quel cielo puro e fermo.

Sandro Penna

Sogni e visioni

 

“Coloro che sognano di giorno sono consapevoli di molte cose che sfuggono a coloro che sognano solo di notte. Nelle loro visioni grigie captano sprazzi d’eternità e tremano, svegliandosi, nello scoprire di essere giunti al limite del grande segreto. In un attimo, apprendono qualcosa del discernimento del bene e qualcosa più che la pura e semplice conoscenza del male.”

Edgar Allan Poe

Forse un mattino andando in un’aria di vetro

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
Alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto
.

Eugenio Montale

Il porto sepolto

 Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde

Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto.

Giuseppe Ungaretti

Il viaggio di Hirrâli

Sopra: Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, “Amicizia”, 1907 (particolare)

Cari amici, iniziamo questa discesa con il grande poeta persiano Hirrâli:

Dopo esserci allontanati da te, quell’anno, siamo discesi verso
un mare, e la riva di quel mare è una dimora.
E un sole al di sopra di quella dimora si levava all’orizzonte. Il
tramonto di quel sole è in noi, ed è da noi che sorgeva la
sua aurora.
Le nostre mani hanno toccato le sue gemme da cui le nostre
anime son nate, e in quell’istante siamo divenuti gemme.
Dicci, cos’è dunque questo sole, quale il suo senso e il suo
segreto, e quale è questa perla del mare?
Siamo discesi in un universo il cui nome per noi è il vuoto,
troppo stretto per contenerci, ma che a noi è dato
contenere.
Abbiamo lasciato dietro noi mari tumultuosi. Come fare a
sapere verso chi siamo diretti?

I poeti di Ungaretti

Sull’Anima

“Quando l’anima, ripiegando in sé, dapprima con se stessa indugia, poi, nel segreto della propria interiorità, incontra il dio, da sola a solo, non impedita da nessuno”.

Giuliano detto l’Apostata

Goccia di rugiada

Ho scoperto il segreto del mare meditando su una goccia di rugiada.

Kahlil Gibran

L’arena dell’amore

Prima che il tempo iniziasse io bruciai e divenni cenere,
Mi tuffai nel fuoco e divenni una rosa,
Con nostalgia chiamai il Suo Nome e divenni un cuore,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Strappa il velo da me, lasciami nudo,
Lasciami volare sulle ali dell’amore,
Lasciami scorgere la Sua bellezza ancora una volta,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Ho abbandonato desiderio, onore, modestia,
Ho lasciato dietro di me una vuota ricchezza,
A che servo io per gli amici o gli stranieri?
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Sono venuto a conoscere il mio segreto, che è sempre dentro,
All’interno di questo corpo c’è Conoscenza e Verità,
Tutti gli amanti desiderano ciò che è in Te,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

O Ashki, sorgi, svegliati dalla dimenticanza!
Lasciamoli dire voi siete pazzi quando ascoltano le nostre invocazioni,
Arresi all’Amore e raggiunta l’unione,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.

Shaikh Muzaffer Ozak al Jerrahi

Il “Maestro” Giuseppe Ungaretti – Il segreto della poesia e l’impotenza della parola

Segreti e misteri

Cari Amici, vi lascio una lettera di Stefano e la mia risposta.

E’ il principio su cui credo lavori il cosiddetto “Segreto”, codificato da decenni ma che sta divenendo di tendenza di questi tempi. Pare ci siano anche moderni studi di fisica quantistica a suffragio di queste teorie. Il New age è più un fenomeno culturale, anch’esso ritornato in auge attraverso gli scaffali di librerie esoteriche e di qualche supermercato, ma risalente se non vado errato agli anni ‘50-’60. Cosa pensa del Segreto, Direttore?

Caro Stefano, i segreti non sono tali perché qualcuno non vuole comunicarli, ma perché “ermeticamente chiusi” ovvero incomunicabili. Ma… Ma… poi improvvisamente diventano limpidi. Quando si è compiuta la strada.

Viaggio mistico

Cari amici, proseguiamo il nostro percorso nella Sophia orientale con il grande poeta persiano Hirrâli:

Dopo esserci allontanati da te, quell’anno, siamo discesi verso
un mare, e la riva di quel mare è una dimora.
E un sole al di sopra di quella dimora si levava all’orizzonte. Il
tramonto di quel sole è in noi, ed è da noi che sorgeva la
sua aurora.
Le nostre mani hanno toccato le sue gemme da cui le nostre
anime son nate, e in quell’istante siamo divenuti gemme.
Dicci, cos’è dunque questo sole, quale il suo senso e il suo
segreto, e quale è questa perla del mare?
Siamo discesi in un universo il cui nome per noi è il vuoto,
troppo stretto per contenerci, ma che a noi è dato
contenere.
Abbiamo lasciato dietro noi mari tumultuosi. Come fare a
sapere verso chi siamo diretti?

Per Ginevra, per Lancillotto e per Artù, per Mordred e per un altro santo, Galgano – Parte IV

I due amanti sono trovati addormentati di notte da Artù, che mette tra loro la sua spada. Da quel momento l’arma si chiamerà Excalibur, ovvero «mezzo per raggiungere il divino». Lancillotto e Ginevra sono dunque aiutati da Artù per giungere, nella loro fusione di maschile e femminile, alla dimensione eterna. E poiché la spada rappresenta l’anima, ecco che il re dona loro l’anima per arrivare a Dio.

Questo è il vero significato dell’episodio, il mistero celato dietro un’apparente storia di tradimento.

Lasciati i due amanti, il re torna a Camelot, ma poiché non può vivere senza l’amico e senza Ginevra, cade gravemente ammalato. Solo il Santo Graal, la coppa da cui sgorga una bevanda magica che dona «ogni sapienza», potrà salvarlo. I Cavalieri della Tavola Rotonda partono quindi alla ricerca.

Approfittando dello stato di confusione di Artù, la sua sorellastra Morgana, la strega, assume le sembianze di Ginevra e riesce a fare l’amore con il re, il quale nel delirio è convinto di abbracciare la moglie perduta.

Morgana concepisce da lui un figlio, Mordred, erede del regno. Ormai Artù sembra avere i giorni contati. Infatti i cavalieri non riescono a trovare il Graal e, nella ricerca, cadono tutti vittime di orchi, streghe, negromanti.

Solo un cavaliere puro e padrone di sé, capace di guidare i suoi istinti, può reperire il sacro vaso contenente la bevanda miracolosa. Perfino Parsifal, «è colui che ha mondato il cuore», è caduto vittima degli intrighi di Morgana e Mordred, il figlio dell’incesto. I due l’hanno catturato e appeso a un albero, con la testa in giù.

Ma in questa posizione Parsifal comprende il segreto per raggiungere il Graal.

Qui è nascosto un altro insegnamento velato: il guerriero giunge all’intuizione dal momento in cui «è appeso», quando ha assunto la posizione dell’omonima carta dei Tarocchi. La saggezza arriva capovolgendo i termini del ragionare ordinario, modificando completamente la cultura, la mo­rale, i luoghi comuni.

Parsifal riesce a slegarsi dall’albero, si getta in un torrente, raggiunge un castello sotto le acque, apre le porte con la chiave nascosta «nel suo cuore» e prende il Graal. Immediatamente corre a Camelot e arriva giusto in tempo: Artù sta per morire. Ma appena beve un solo goccio della preziosa bevanda, il re «conosce il bene, il male e tutto come è sempre stato» e guarisce.

Finalmente il signore della Britannia può marciare contro i Sassoni, guidati da Morgana e Mordred. In una battaglia epica Artù li sconfigge. Mordred è il ricettacolo di ogni male: lussuria, invidia, odio, arroganza, ira bestiale si annidano dentro di lui.

Il re sguaina Excalibur e si avventa contro Mordred, che a sua volta ha sfoderato Rubilacxe, la sua lama.

I due si colpiscono contemporaneamente e si uccidono in un abbraccio selvaggio, affondando fino all’elsa le rispettive armi l’uno nel corpo dell’altro. A terra, le loro teste si appoggiano l’una accanto all’altra.

In realtà, osservando i significati della storia al di sopra del senso letterale, Artù e Mordred sono complementari: tutta bontà l’uno e tutta malvagità l’altro, tant’è vero che persino la spada Rubilacxe è il nome di Excalibur rovesciato. Insomma, Mordred è Artù allo specchio. Per questo «devono» fondersi: non esiste vera saggezza se la parte spirituale dell’uomo non si armonizza con quella brutale e selvaggia.

Questa simbologia è davvero rivoluzionaria: anche il peccato, vedi Lancillotto e Ginevra, anche Mordred con le sue mostruosità, sono utili al mantenimento dell’armonia primitiva, quella racchiusa nei disegni arcani.

Nella filosofia ermetica non è possibile perciò dare un significato univoco a un personaggio, a un simbolo o a un avvenimento. Tutto rientra in un disegno complessivo. Occorre rifarsi a sensi più alti, a conoscenze più vaste, circolari, complete. Uomini, leggende, gesta, spade, santi, simboli rientrano tutti in questo immane mosaico della Conoscenza Femminile nascosta.

Appunto un’altra storia, parallela a quella ufficiale dei libri di testo. Occhi nuovi per vedere le cose vecchie e anche queste diventano improvvisamente nuove.

Ricordate? È stata questa una delle esortazioni con cui è iniziato il viaggio. Ora però occorre fare un altro sforzo sulla rotta del «disvelamento» e capire uno del momenti fondamentali della scienza di cui abbiamo parlato sovente, di quella magia di cui in fondo nessuno parla volentieri, a meno che non si tratti di un iniziato. Una scienza spesso travisata nelle sue valenze originarie.

Per entrare nel suo cuore, è necessario comprendere la ritualità dei gesti, dei movimenti, dei canti, delle formule. Bisogna insomma procedere sulla rotta che conduce al rito.

In effetti, tutta la magia comporta una ritualità. Ecco allora delle storie che servono come mezzo esplicativo. Sono esempi, racconti emblematici necessari per quella via di scioglimento delle tenebre che ha ricoperto l’altra storia della civiltà, quella segreta, quella dell’antica sapienza del Femminile.

Un grande amore, il tempo e la giovinezza. Due scomparse misteriose.

UN GRANDE AMORE, IL TEMPO E LA GIOVINEZZA.

DUE SCOMPARSE MISTERIOSE

(Parte V)

 

II conte ne ha visti tanti di volti come quello. Inizialmente tracotanti e progressivamente impauriti, fino al terrore. Con il moltiplicarsi delle stoccate l’angoscia si impadronisce del morituro. Perché si tratta proprio di questo. Della presa di coscienza della morte. E sì che il conte non vorrebbe. Ma gli eventi lo spingono sempre nella stessa direzione. Per proteggere il suo segreto è costretto a uccidere. Anche ora quel Veniero comincia a terrorizzarsi. La sua spada è più lenta. II braccio meno fermo. Lo avrebbe potuto ucci­dere da molto. E ha sempre fatto così. Per abbreviare le pene dei suoi rivali, normalmente affonda deciso e la vita è subito spenta. Dalla lama. Qualcosa però lo trattiene. Non è per proseguire l’agonia dell’avversario. II conte non ha queste meschinità nell’animo. Diversi pensieri imprigionano la sua mente. Gli anni sono passati setacciando i sentimenti mini­mi, le meschinità, le tracotanze e hanno lasciato una visione ampia, riposata e tragica. Un destino apparentemente ineluttabile lo imprigiona. Ora come sempre. Da quando ha compiuto quegli studi di alchimia con un maestro imperscrutabile.

Accadde allora. In una Praga senza tempo si fermò ogni cosa. Si ricorda ancora la faccia stupita del grande mago. Per meravigliarsi lui! Il conte aveva trovato la soluzione a una formula impossibile. Un segreto che doveva evidentemente rimanere tale. Averlo svelato gli procurò immediatamente una forza straordinaria e con essa una camicia di Nesso da cui tuttora gli è impossibile liberarsi. Pensare che al momento gli sembrò una benedizione. II sapiente praghese capì invece subito tutto.

«Hai studiato tanti anni,» disse, «e ora che sei giunto alla maturità hai fatto questa scoperta che arresterà tutto. Che la divina armonia ti assista!»

Nello studio il silenzio era totale. La verità è che il conte non capì subito le conseguenze del disvelamento del «grande mistero». In seguito però soffrì come una bestia. Città, amici, amori, affetti, case, carriere. Quante volte ha avuto tutto ciò per essere poi costretto ad abbandonarle? Cinque, dieci? Troppe.

II Veniero crede per un attimo, dato che il conte è assorto nella spirale dei ricordi, di potercela fare e decide di affondare, di osare il tutto per tutto.

Raccoglie ogni stilla di energia, tutti gli empiti dei muscoli e dei tendini.

Gira un attimo a destra come se stesse per perdere l’equilibrio e invita il conte ad affondare. È un trucco. Come l’altro tirerà la stoccata, lui si riprenderà e colpirà diritto sotto il cuore. Inevitabilmente l’altro obbedirà all’istinto e tenterà di chinarsi in avanti di poco, quel tanto che gli farà penetrare il ferro al centro del cuore. Un colpo fatale. Il corpo del Veniero è pronto.

In quell’istante il cielo si apre. La nebbia è spazzata via e Donata dal mare vede lo spasmo del giovane. Intuisce che sta per accadere qualcosa di spaventoso. II torace del suo uomo le appare totalmente scoperto, indifeso, vulnerabile. Intuisce l’irreparabile. La sua bocca vorrebbe gridare, avvertire il pericolo, ma la lingua si rifiuta di obbedire. II suo fisico sta per cedere. E cosi le barriere psicologiche che l’avevano protetta si abbattono e torna alla coscienza quel particolare rimosso della sera precedente, quella dell’offesa.

Quando il Veniero lo ha insultato, il conte ha detto tra le labbra una parola. Ecco, i ricordi si affacciano. Visivamente la scena si ripropone. Come al rallentatore. Dilatata nel tempo. La bocca del suo bene sta pronunciando un nome. Ma quale? Sì, sono poche sillabe.

«Pepo»: ha sussurrato questo nomignolo.

Il cuore sembra fermarsi nel petto ansante di Donata. Un ghiaccio tormentoso l’avviluppa. Quel «Pepo» è il nomignolo del Veniero da piccino. Lei giocava con lui, per questo lo sa. Ma come lo conosceva il conte?

Non è questo interrogativo a martoriarla. È un altro ricordo a straziarla. Rivede una scena di molti anni prima. Ritrova se stessa bimbetta che rincorre per il suo palazzo romano il «Pepo», appena giunto da Venezia. Lo insegue per androni e stanze, perché le ha rapito una bambola alla quale sta strappando i capelli. Lei piange, si dispera, lo supplica di restituirle il suo tesoro. Lui niente, la deride, si ferma e, come sta per essere raggiunto, scatta in avanti. Crudele già allora. L’inseguimento si protrae e a nulla valgono le sue suppliche di bimba. Finché il ragazzino va a sbattere contro le gambe di un uomo che è appena sopraggiunto.

«Non farla soffrire,» dice il nuovo venuto.

Dio, quella voce. Una sofferenza indicibile entra nella testa di Donata. Ora sa tutto. In piedi sulla gondola è diventata come una statua di dolore. Rivede tutto. Eccola in quel corridoio. Si sente protetta. Qualcuno è intervenuto finalmente in sua difesa contro quel suo perfido compagno di giochi. Alza la testa riconoscente verso quel signore pietoso. Così la bimba vede il volto bellissimo che da allora ha sempre rimosso. Ora lo riconosce. È lui, il conte. Identico a come è adesso. E sono passati più di vent’anni.

La Stati si porta le mani al petto davanti all’isola di Torcello. Sa tutto. Quello che il Veniero ha detto è vero. II suo uomo non invecchia. È eterno. II suo nobiluomo è il conte di Saint-Germain, ed è immortale.

Sempre in quel preciso momento l’uomo che non può invecchiare e che odia se stesso da quando ha scoperto il segreto di Faust vede avanzare la lama del Veniero e decide di non voler più fuggire. Non sopporta di vincere anche questo confronto, né di tornare dalla sua amata e di vederla, anno dopo anno, invecchiare inesorabilmente mentre lui rimane immutato. Giorno dopo giorno fino all’immancabile funerale. Ha visto morire mogli, figli. Ora basta. Implora con tutta la violenza, in completa sincerità di essere sciolto da quella gabbia in cui la sua vanità e la sua arroganza l’hanno rinchiuso da secoli.

Una preghiera sottile, abbandonata, gentile, vera, assoluta sale nello spazio, valica i tempi e raggiunge l’armonia sottesa a tutte le cose. È una supplica sublime che non ha bisogno di parole, per questo è accettata.

La lama del Veniero raggiunge il petto di Saint-Germain. Si apre un varco terribile. Offende la carne e lascia in eredità la morte. La preghiera ha raggiunto le orecchie giuste.

II conte si porta la mani al petto, il sangue sgorga copioso. Indietreggia verso l’attracco delle barche. Si volta a cercare ancora una volta il viso della sua Donata. Lo trova. È sempre bellissimo. È l’ultima cosa che vede prima di cadere in acqua.

Ora sì che la voce può uscire dalla bocca della Stati. È un urlo. Un lamento gridato con tutte le energie. È uno spasmo vocale che attira l’attenzione e la pietà di tutti. Dei padrini, del gondoliere, dello stesso Veniero. Ogni essere si ferma per osservare quello strazio.

Donata vede il suo uomo sprofondare. Lo cerca con lo sguardo sotto i flutti. Un’intelligenza segreta le ha fatto intuire tutto. È la fine. Non resiste più. Un’occulta misericordia la fa svenire e l’accompagna fuori dell’imbarcazione. Nel mare. E la fa sparire.

A nulla valgono le ricerche sia dell’uno che dell’altra. Si dragano le acque per tutto il giorno e la notte. Poi anche durante quelli successivi. Inutilmente.

Gli amanti non saranno più trovati. Qui finisce la leggenda del conte di Saint-Germain che per amore ha sacrificato l’immortalità e della sua compagna Donata Stati, detta «colei che dona».

Questa è la storia che sull’Hermes abbiamo sentito raccontare. Ma soltanto ai naviganti del vascello senza tempo è possibile ascoltare una confidenza di un pescatore di un isolotto perso nel mare. Lontanissimo da Torcello. Narra per la prima volta di vicende senza senso. Di un uomo ferito e di una donna bellissima raccolti dalle acque dove miracolosamente galleggiavano e di come siano rimasti con lui per anni, occupandosi di cose umili, ma in letizia. Felici come nessuna coppia.

E dice ancora di come siano morti nello stesso giorno e del loro riposo in pace nello stesso letto.

Appunto una storia semplice e priva d’interesse. Per tut­ti. Tranne che per i viaggiatori del veliero che solca i mari dei secoli.

Un grande amore, il tempo e la giovinezza. Due scomparse misteriose.

UN GRANDE AMORE, IL TEMPO E LA GIOVINEZZA.

DUE SCOMPARSE MISTERIOSE

(Parte IV)

 

Una gondola porta i due amanti verso l’isola di Torcello. Sono entrambi dei vincitori. Hanno rimosso le loro paure per amore. L’avvenire è per loro apparentemente terribile.

Ma ugualmente si lasciano trasportare. II conte ha arginato i ricordi di lutti e la piccola Stati ha accettato di vedere la morte del suo uomo. La soccorre la speranza che il suo seme germogli in lei. Si attacca con tutte le forze a questa luce interna. Sola.

Una nebbia fitta avvolge i due amanti. Muto il gondoliere procede verso un appuntamento comunque definitivo. È il sangue che deciderà.

Pensieri veloci solcano le menti nell’attesa. Con la testa di Donata rannicchiata quasi sotto l’ascella il conte lancia il suo sguardo contro il manto bianco che si alza dall’acqua, Figure si delineano dal sudario di vapore. Ancora lutti atroci. Persone che diventano vecchie con il trascorrere degli anni, come fatale. Ma tutte con lo stesso interrogativo negli oc­chi. E lui immancabilmente senza parole. A sperare nell’impossibile.

«Fossi io per una volta ad andare per il viaggio terminale»: quante volte ha supplicato l’Eterno inutilmente?

La ragazza ha un lieve sussulto. Forse sta trattenendo le lacrime. Certo, è ancora giovane. Ma il nobile sa che non sopporterebbe più un altro abbandono definitivo. II dolore lo farebbe impazzire. Ma è totalmente impotente. Le forze che l’hanno messo in questo stato sono divenute sorde. Han­no decretato l’attuale sua condizione e non vogliono più sentire nulla. Per sempre. Tanto vale rassegnarsi.

Crudele e impassibile l’ovatta d’acqua osserva immota l’imbarcazione che conduce i dolenti all’isola di Torcello. Hanno superato le proprie paure, ma non il dolore. II suo morso ora attanaglia il ventre di entrambi e non lascia la presa.

Finalmente appare la sagoma della basilica. Vicinissima è sbucata dal nulla.

«Fatemi scendere e poi porterete leggermente più al lar­go la signora,» ordina il cavaliere al servo.

Quindi si alza in piedi e con la massima tenerezza si libera dall’abbraccio: «Sta’ tranquilla, torno».

E dalle viscere si leva un guizzo di sentimento e tremore. Un nodo di emozione gli attanaglia il cuore e lo assedia, infondendogli una malinconia senza fine. Fissa i suoi occhi nelle pupille di lei e le trova annegate nello struggimento. Si ferma un attimo. Un presentimento oscuro: ecco cosa si è impadronito della sua mente partendo dalle tenebre più riposte delle angosce, signore dei tremori. Non deve cedere. Cosa sarà mai un duello? Ne ha affrontati mille e questo non cambierà nulla, anche perché il suo avversario non può vincere. Qualsiasi colpo tiri, qualunque sia la sua bravura, non potrà mai e poi mai prevalere. Per lui Torcello sarà la fine. Ma non c’è sapore di vendetta o di rivincita nel conte e meno che mai soddisfazione per l’umiliazione che andrà a infliggere a quell’arrogante. Ne ha viste troppe. Ricchi, guerrieri, sacerdoti, prostitute, infami, bugiardi, prodighi, generosi. Ondate di uomini che hanno sperato, pregato, riso, angariato, torturato, figliato. Maree di corpi giovani, forti, decrepiti, deboli, sfatti. Un magma dove è impossibile distinguere il bene dall’errore. Un flusso continuo e privo di luce. Tutti annichiliti dal bisogno e dalla volontà di un poco di luce. Negata. Così il tempo stritola senza distinzione. Una morte in più e dunque nulla. Anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno. Ha dovuto reagire e proporre il duello unicamente perché non poteva permettersi che qualcuno scoprisse il suo tremendo segreto. Perché di questo si tratta. Un terribile mistero è sepolto nel cuore del nobile. E non deve essere svelato. Mai, per nessuna ragione. La pena sarebbe troppo spaventosa. Anche peggiore di tutti gli spasimi che ha dovuto affrontare finora. II guanto di sfida l’ha lanciato per coprire il suo pozzo nero.

Donata lo vede appena con gli occhi velati. La saluta. Si volta. Scende a terra. Due uomini lo stanno aspettando, i suoi padrini. Non c’è voce in lei. Tutto si è fermato. L’angoscia ha lasciato il posto al vuoto, all’abisso. La gondola si sposta, compie pochi metri e si ferma. L’isola davanti è di nuovo inghiottita. La giovane non vede nulla. Sente soltanto i passi che si allontanano. Poi si fermano. Rapidi saluti. Sono gli altri.

Ecco la voce arrogante del Veniero: «Benvenuto, conte, all’ultimo appuntamento,» grida con un empito da infame.

Un odio senza sapore e colore la riempie. Un secondo.

Quindi svanisce. Non ha tempo per quel tracotante violento. È tutta tesa ad ascoltare.

II suo uomo non ha proferito una sola sillaba.

«Dove sei, amore? Dove ti celi in quella chiara oscurità? Stai attento. Ti prego, sappiti preservare. Non posso vivere senza di te, lo sai. Mi è impossibile.»

«A voi, signori!» una voce sconosciuta ha dato il via al terremoto che le scardina il cuore. Un gelido rumore si spande dall’isola. È un sordido digrigno di denti. È il cozzo dei ferri. Stanno duellando. Chi le ha messo un serpente nel corsetto? La sta mordendo sul seno, peggio, le sta scavando tra le costole. La strazia più del boia con le sue tenaglie roventi. I secondi non passano mai e il rumore delle spade prosegue incessante. Che non si fermi più, perché il suo arresto vorrebbe dire che la morte è entrata a Torcello. Ma può proseguire un duello all’infinito? Sì, se Dio vuole.

«Ma che sto pensando? Sto impazzendo.»

Con le mani rattrappite sul petto, in piedi sulla gondola, i capelli sciolti, gli occhi persi, Donata attende. E persino il battelliere avverte un sentimento di pietà, lui che odia i nobili. Ma quella ragazza è troppo tenera. Eppure nulla può aiutarla. E il perfido impatto delle lame prosegue. Almeno non ci fosse la nebbia! La giovane cerca di forare gli spettri che le si parano davanti. Porge l’ennesima supplica. Alme­no per poter guardare il suo uomo e illudersi di proteggerlo con le pupille. Così un’ombra si delinea, poi un’altra e quindi vaghe figure si stagliano, ridisegnandosi attraverso la gabbia fumosa dell’alba: quattro immobili e due in movimento. Sono loro. La nebbia si sta illanguidendo. Come la sicumera del Veniero.

Ha tirato almeno dieci colpi mortali, sempre convinto di aver raggiunto il segno. Il sorriso già delineato sulle labbra ha dovuto raggrinzirsi per lasciare il posto allo stupore. Ma come fa questo maledetto a schivare tutto? Con veemenza ha insistito. Nulla da fare. Una voce comincia a serpeggiargli dentro. Finora il conte non ha sferrato attacchi, ha solo evitato di essere colpito. Cosa accadrà quando si farà sotto? Non è ancora paura, ma qualcosa di simile.