Media e politica: riflessioni preliminari su paradossi e contraddizioni

Viviamo in uno stato di cose imbevuto di indecidibilità, stallo e interminabili oscillazioni che finiscono per bloccare la possibilità di direzionarsi e comprendere

Il doppio legame (in originale: double bind) è un concetto psicologico elaborato dall’antropologo e pensatore G. Bateson e utilizzato in seguito da altri membri della cosiddetta Scuola sistemico-relazionale di Palo Alto. L’ingiunzione: “sii spontaneo” è il prototipo del messaggio paradossale. Chiunque riceva questa ingiunzione si trova in una situazione insostenibile, perché per accondiscendervi dovrebbe essere spontaneo entro uno schema di condiscendenza e non di spontaneità, spiegò Watzlawick.

Gli elementi essenziali di un doppio legame sono:

a) una forte relazione complementare (autorità-subordinato);
b) un’ingiunzione che deve essere disubbidita per essere ubbidita;
c) l’impossibilità di uscire dal sistema di relazione, cioè di metacomunicare sulla comunicazione, perché sarebbe un atto grave di insubordinazione.

Bateson ipotizzò come possibile causa della schizofrenia  (teoria che ha subito diverse critiche in verità) l’esposizione cronica a situazioni di doppio legame in ambito familiare.

Il termine schizofrenia, detto per inciso, fu coniato dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler nel 1908 e deriva dal greco σχίζω (schizo, diviso) e φρεν (phren, cervello), ‘mente divisa’.

Consideriamo ora un ulteriore esempio di relazione paradossale, innescata, ad esempio, dall’ingiunzione : “Non essere così ubbidiente!”.

Ancora il destinatario è preso in un doppio vincolo, poiché la frase dev’essere disobbedita per essere obbedita e viceversa; non si può reagire ad essa in modo adeguato.

Ho introdotto i concetti di paradosso e doppio legame per metterli in relazione a comunicazioni più o meno normative e messaggi che ci arrivano ogni giorno da situazioni socio-politiche italiane. Siamo infatti pronti ad aprire un quotidiano recente e leggere, a mò di esempio:

– Le colonnine arancioni finiscono fuorilegge, sono efficaci per scoraggiare chi corre in macchina, ma non sono omologate. Vengono adottate sempre di più dalle polizie municipali, ma per il Codice della Strada non esistono.
– Caos (appunto) Stamina: il Tar boccia la bocciatura.
– Sembra che abbiamo un Parlamento incostituzionale.

In un conflitto la scelta è una soluzione, ma l’ingiunzione paradossale fa fallire qualsiasi scelta o presa di posizione (perché devo accettare le leggi di un parlamento incostituzionale? e se qualcuno boccia una bocciatura cosa ne desumo?).

Qualcuno ha detto che la attuale classe di giornalisti è nettamente figlia della classe politica. Entrambe sembrano contribuire, per restare in tema di paradossi, al cortocircuito.

Se sorvolassimo sul fatto che da un po’ di tempo a questa parte, come dice qualcuno, in Italia “la parola di un fuorilegge è legge”, che destra e sinistra governano assieme, o sul dato di fatto che il precariato è la norma tragica di “una repubblica fondata sul lavoro”, continuare il discorso dei paradossi sarebbe un mero divertissement.

Ma nella realtà quello che leggiamo e che ci viene detto riflette uno stato di cose sempre più imbevuto di indecidibilità, stallo e interminabili oscillazioni che finiscono per bloccare la possibilità di direzionarsi e comprendere. E ciò che emerge dai media forse è l’epifenomeno rivelatore di una patologia politica, sociale e antropologica di fondo. Nessuno è più libero di non essere parte di questo sistema invischiato dell’estrema fittizia libertà.

Nelle contraddizioni autoperpetuantesi la scelta non è possibile e molti giovani sono costretti ad emigrare. Leggere questo fenomeno in base alla teoria delle comunicazioni paradossali secondo cui può verificarsi un cambiamento soltanto uscendo fuori dal modello (fuggire, appunto) è quantomeno suggestivo. Mi fa pensare (un po’ pessimisticamente) alla nostra nazione come una enorme famiglia patogena.

Cui prodest? Non so se questa domanda è lecita. Non sono un esperto di dietrologia e non so in fondo neppure se queste riflessioni siano troppo frammentarie (di certo sono eterogenee ed un po’ ipersemplificate). Però ho sempre amato la teoria della pragmatica della comunicazione. E so che in una famiglia  sarei molto perplesso se un genitore comprasse due cappotti, uno verde e uno rosso, e poi si lamentasse che se indosso quello rosso è perché non mi piace quello verde che mi ha regalato. E viceversa.

Massimo Lanzaro

http://www.ilquorum.it/aspetti-paradossali-della-comunicazione-e-altre-assurdita/

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NEL MONDO LIQUIDO: AMORE E ALTRI DISTURBI

Il termine borderline (BPD) deriva da un ampliamento della classificazione psicoanalitica classica dei disturbi mentali, raggruppati in nevrosi e psicosi, e significa letteralmente “linea di confine”. L’idea originaria era riferita a pazienti con personalità che funzionano “al limite” della psicosi pur non giungendo agli estremi delle vere psicosi (come ad esempio la schizofrenia). Questa definizione è oggi considerata più appropriata al concetto teorico di “Organizzazione Borderline”, che è comune ad altri disturbi di personalità, mentre il disturbo borderline è un quadro particolare. Le formulazioni del manuale DSM IV e le versioni successive, come pure le classificazioni più moderne internazionali (ICD-10) hanno ristretto la denominazione di disturbo borderline fino a indicare, più precisamente, quella patologia i cui sintomi sono la disregolazione emozionale e l’instabilità del soggetto. È stato proposto perciò anche un cambio di nome del disturbo. Il disturbo borderline di personalità è definito oggi come disturbo caratterizzato da vissuto emozionale eccessivo e variabile, e da instabilità riguardanti l’identità dell’individuo. Uno dei sintomi più tipici di questo disturbo è la paura dell’abbandono. I soggetti borderline tendono a soffrire di crolli della fiducia in se stessi e dell’umore, ed allora cadere in comportamenti autodistruttivi e distruttivi delle loro relazioni interpersonali. Alcuni soggetti possono soffrire di momenti depressivi acuti anche estremamente brevi, ad esempio pochissime ore, ed alternare comportamenti normali. Si osserva talvolta in questi pazienti la tendenza all’oscillazione del giudizio tra polarità opposte, un pensiero cioè in “bianco o nero”, oppure alla “separazione” cognitiva (“sentire” o credere che una cosa o una situazione si debba classificare solo tra possibilità opposte; ad esempio la classificazione “amico” o “nemico”, “amore” o “odio”, etc.). Questa separazione non è pensata bensì è immediatamente percepita da una struttura di personalità che mantiene e amplifica certi meccanismi primitivi di difesa. La caratteristica del disturbo borderline è, inoltre, una generale instabilità esistenziale, caratterizzata da relazioni affettive intense e turbolente che terminano bruscamente, provocando “crolli” nella vita lavorativa e di relazione dell’individuo. Il disturbo compare nell’adolescenza e concettualmente ha aspetti in comune con le comuni crisi di identità e di umore che caratterizzano il passaggio all’età adulta, ma avviene su una scala maggiore, estesa e prolungata determinando un funzionamento che interessa totalmente anche la personalità adulta dell’individuo. Diagnosi secondo il DSM IV-TR Il disturbo di personalità borderline è un disturbo delle aree affettivo, cognitivo e comportamentale. Le caratteristiche essenziali di questo disturbo sono una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi: 1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono; 2. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione; 3. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili; 4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (quali spendere oltre misura, sessualità promiscua, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate etc.); 5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante; 6. instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (es. episodica intensa disforia o irritabilità e ansia, che di solito durano poche ore e, soltanto più raramente più di pochi giorni); 7. sentimenti cronici di vuoto; 8. rabbia immotivata ed intensa o difficoltà a controllare la rabbia (es. frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici etc.); 9. ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress. Secondo alcuni autori i soggetti con un numero sufficiente di fattori di rischio che hanno sviluppato un BPD nella nostra cultura, avrebbero potuto avere uno sviluppo diverso se fossero stati educati in un differente ambiente socio-culturale, magari sviluppando altri e diversi quadri psicopatologici. In questo breve scritto tento di mostrare che alcuni dei fattori socio ambientali suddetti sono stati minuziosamente descritti nei suoi lavori dal sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, il quale ha inteso spiegare la postmodernità usando le metafore di modernità liquida e solida. “Lo smantellamento delle sicurezze caratterizza una vita liquida sempre più frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusa”. Sostanzialmente, Bauman ritiene che l’uomo di oggi non abbia più certezze né punti di riferimento stabili. È diventato tutto più fluido, liquido appunto. Nel nostro mondo fuggevole, fatto di cambiamenti imprevisti e talora insensati, quei sommi obiettivi dell’educazione tradizionale quali le consuetudini radicate e le scale stabili di valori diventano degli ostacoli. Quanto meno come tali vengono presentati dal mercato della conoscenza, per il quale lealtà, vincoli indistruttibili e impegni a lungo termine sono considerati (come ogni merce, in ogni mercato) anathema, e visti come altrettanti impedimenti da eliminare. Ci siamo spostati in un libero mercato in cui tutto può accadere in qualunque momento, e tuttavia nulla si può fare una volta per tutte. Il settore in cui è più evidente questa trasformazione è quello lavorativo: «In un’epoca in cui […] i luoghi di lavoro scompaiono con poco o punto preavviso e il corso della vita è suddiviso in una serie di progetti una tantum sempre più a breve termine, le prospettive di vita appaiono sempre più […] accidentali.» Ma la liquidità è riscontrabile anche nelle relazioni sentimentali, ed è proprio questo è il tema centrale del saggio Amore liquido. In particolare, le riflessioni in esso contenute riguardano l’uomo senza legami fissi. Insomma la cultura dominante ci esporrebbe ad una vulnerabilità nei rapporti interpersonali e nel lavoro e in generale ad una serie di esperienze negative con conseguenti possibili vissuti di paura, vergogna, solitudine e abbandono (Adler, 1985; Kohut, 1974), che in varia misura si riscontrano nella psicologia del BPD. Più di un autore quindi ha cominciato a domandarsi se questa cultura può seriamente contribuire se non allo sviluppo di un disturbo mentale conclamato, almeno a dei tratti di personalità disfunzionali, che causano sofferenza. E forse sarebbe anche lecito domandarsi se le neuroscienze sociali e le discipline che interfacciano sociologia, filosofia e psicopatologia dovrebbero in qualche modo cominciare ad occuparsi di questi temi (magari anche con approcci più originali e innovativi?).

DR. MASSIMO LANZARO

1. Zygmunt Bauman. Cose che abbiamo in commune. 44 Lettere dal mondo liquid. Laterza, 2010.
2. Zygmunt Bauman. Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi. Laterza, 2006.

I SINTOMI BORDERLINE DEL MONDO LIQUIDO

di Massimo Lanzaro

Il termine borderline deriva da un ampliamento della classificazione psicoanalitica classica dei disturbi mentali, raggruppati in nevrosi e psicosi, e significa letteralmente “linea di confine”. L’idea originaria era riferita a pazienti con personalità che funzionano “al limite” della psicosi pur non giungendo agli estremi delle vere psicosi (come ad esempio la schizofrenia). Questa definizione è oggi considerata più appropriata al concetto teorico di “Organizzazione Borderline“, che è comune ad altri disturbi di personalità, mentre il disturbo borderline è un quadro particolare.

Le formulazioni del manuale DSM IV e le versioni successive, come pure le classificazioni più moderne internazionali (ICD-10) hanno ristretto la denominazione di disturbo borderline fino a indicare, più precisamente, quella patologia i cui sintomi sono la disregolazione emozionale e l’instabilità del soggetto. È stato recentemente proposto perciò anche un cambio di nome del disturbo.

Il disturbo di personalità borderline è un disturbo delle aree affettivo, cognitivo e comportamentale. Le caratteristiche essenziali di questo disturbo sono una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:

1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;

2. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione;

3. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;

4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (quali spendere oltre misura, sessualità promiscua, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate etc.);

5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante;

6. instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (es. episodica intensa disforia o irritabilità e ansia, che di solito durano poche ore e, soltanto più raramente più di pochigiorni);

7. sentimenti cronici di vuoto;

8. rabbia immotivata ed intensa o difficoltà a controllare la rabbia (es. frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici etc.);

9. ideazione paranoide o gravi sintomidissociativi transitori, legati allo stress.

Zygmunt Bauman è un sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche. Le sue più recenti pubblicazioni si sono concentrate sul passaggio dalla modernità alla post-modernità, e le questioni etiche relative. Con una espressione divenuta proverbiale Bauman ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società.

Sostanzialmente, Bauman ritiene che l’uomo di oggi non abbia più certezze né punti di riferimento stabili. È diventato tutto più fluido, liquido appunto. Che sia in un certo senso questo un parziale fattore predisponente al dipanarsi e alla strutturazione dei comportamenti e delle disregolazioni emozionali descritte in questo cluster di persone?

Nel nostro mondo fuggevole, fatto di cambiamenti imprevisti e talora insensate, quei sommi obiettivi dell’educazione tradizionale quali le consuetudini radicate e le scale stabili di valori diventano degli ostacoli. Quanto meno come tali vengono presentati dal mercato della conoscenza, per il quale lealtà, vincoli indistruttibili e impegni a lungo termine sono considerati (come ogni merce, in ogni mercato) “anatema”, e visti come altrettanti impedimenti da eliminare. Ci siamo spostati in un libero mercato in cui tutto può accadere in qualunque momento, e tuttavia nulla si può fare una volta per tutte (1)

Il settore in cui è più evidente questa trasformazione è quello lavorativo: «In un’epoca in cui […] i luoghi di lavoro scompaiono con poco o punto preavviso e il corso della vita è suddiviso in una serie di progetti una tantum sempre più a breve termine, le prospettive di vita appaiono sempre più […] accidentali.»

Ma la liquidità è riscontrabile anche nelle relazioni sentimentali, ed è proprio questo è il tema centrale del suo saggio Amore liquido. In particolare, le riflessioni in esso contenute riguardano l’uomo senza legami fissi, ovvero l’abitante della società liquido-moderna.

Mentre fino a poco tempo fa le relazioni a lungo termine erano considerate “istinti naturali”, oggi vengono percepite come oppressive:«L’impegno verso un’altra persona […] in particolare un impegno incondizionato e di certo un tipo di impegno “finché morte non ci separi”,nella buona e nella cattiva sorte, in ricchezza e in povertà, assomiglia sempre più a una trappola da scansare a ogni costo.»

Anche l’acting out non è “visto di buon occhio”dalla psicoanalisi e dalla psichiatria, tuttavia pochi hanno riflettuto sull’attrazione esercitata dalla sua capacità di spingere l’intera personalità ad agire all’unisono. In questa “falsa totalità” non c’è divisione fra pensieri, sentimenti e azioni, che diventano tutt’uno, e l’azione fluisce. Il che somiglia drammaticamente allo scopo perseguito da molte pratiche spirituali, che attraverso molti anni di duro e disciplinato allenamento aspirano a raggiungere dei momenti, o uno stato dell’essere, in cui l’azione fluisce e le divisioni interne sono abolite. Con questo non si vuol dire che la meditazione Zen e gli atti impulsive (sovente di distruttività) siano la stessa cosa, ma è necessario rendersi conto che presentano alcune sorprendenti analogie (2).

Massimo Lanzaro,
Psichiatra e Psicoterapeuta

BIBLIOGRAFIA

1. Zygmunt Bauman. Cose che abbiamo in commune. 44 Lettere dal mondo liquid. Laterza, 2010.

2. AA.VV. Un oscuro impulse interiore. Moretti & Vitali, 1994

3. Zygmunt Bauman. Amore liquido, Laterza 2011.

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