L’immaginazione ermetica II

Eugenio Garin, filosofo e umanista a noi contemporaneo, è forse il primo studioso che abbia spiegato il senso dell’Umanesimo, quello profondo, con la divulgazione e la credenza nella magia. La sua opera è utilissima per comprendere il clima letterario e filosofico in cui nasce un netto mutamento di tendenza, così sintetizzabile: Platone subentra ad Aristotele.

In realtà l’autore dei dialoghi è inteso nel quindicesimo secolo come “opposto” ad Aristotele, come se i due pensatori fossero stati “nemici” anche in Grecia. Cosa del tutto falsa. Il contrasto è però necessario ai vari Ficino e Pico della Mirandola, perché l’avversione ad Aristotele nasconde un radicale risentimento intellettuale contro l’accademismo dell’epoca, la rigidità intellettuale, la scolastica nelle sue forme estreme. Erich Auerbach ha giustamente osservato: «Il Simposio di Platone fu una specie di bibbia per i libertini spirituali italiani, francesi e tedeschi». La citazione di tale opera quasi come testo sacro esemplifica perfettamente la vera motivazione del «successo» del dialogo: l’esaltazione dell’amore e del corpo. A noi contemporanei può sembrare una cosa normale, ma in quei secoli fu una vera rivoluzione. La rigidità degli accademici aveva per secoli indicato il corpo umano e la natura come nemici di ogni ascesi spirituale, in quanto strumenti e portatori del “sensus”, ovvero delle passioni.

La carne conduce al peccato, anzi, è essa stessa peccato, perché in essa è prigioniero lo spirito, che deve essere redento tramite mortificazioni, penitenze, purificazioni.

Immaginiamo l’effetto che devono aver prodotto negli studiosi le parole del Simposio. Figuriamoci per esempio Marsilio Ficino nel suo studio di Firenze, direttamente collegato agli appartamenti privati di Lorenzo il Magnifico. Davanti ha il testo greco del Simposio, e lo sta traducendo. Che cosa legge Marsilio? Di una totale accettazione del corpo, dei desideri, delle passioni. Di una comprensione indulgente verso quella parte dell’umano ritenuta sino ad allora spregevole e ripugnante.

Ficino non deve credere ai propri occhi mentre redige la versione in italiano, perché attraverso i secoli Platone gli sta dicendo cose incredibili. L’amore è sempre lecito, anche quello omosessuale, perché attraverso il desiderio dei corpi si può giungere, dopo successive sublimazioni, alla contemplazione del bello in sé, sino al bene assoluto e universale. Amore e brama divengono strumenti di conoscenza. E come se non bastasse, in questo dialogo la figura principale, la personificazione della sapienza stessa, è Diotima, una donna.

Il movimento poetico e filosofico provenzale e del Dolce stilnovo avevano già fatto della donna un oggetto di venerazione, specchio dell’anima maschile, ma giammai fonte di saggezza. Invece ecco Socrate domandare, chiedere lumi, invocare da lei spiegazioni, insegnamenti spirituali. Incredibile: Socrate, il maesrro del maestro Platone, è in atteggiamento di sottomissione intellettuale, pronto a recepire il senno, l’accortezza, il discernimento di Diotima, di una donna! Ad affermare queste cose non è un pagano, ma l’ispiratore di sant’Agostino, uno dei padri della filosofia greca, appunto Platone in persona («padre», come attributo di Platone è qui adoperato anche come ispiratore dei padri della Chiesa durante la fase detta appunto “patristica”).

Se riusciamo a decifrare le emozioni di una simile riscoperta, il sussulto psichico che avvenne in Marsilio, in Lorenzo, in Pico, negli artisti loro vicini, forse capiremo l’essenza dell’Umanesimo. Certamente l’autorità del filosofo greco serve alle menti più aperte come mezzo di riscatto da una oppressione moralistica, tendente a sminuire ogni creatività non direttamente rapportabile al solco aristotelico. Il Simposio diventa la fonte d’ispirazione non solo di filosofi, ma soprattutto di letterati e artisti. Lo scritto parla a quelle orecchie bisognose di nuovo e di creativo, in termini di eros e di bellezza.

Dell’opera è recepita l’equazione eros-creatività e a tale sorgente bevono Botticelli, Raffaello, Tiziano e scultori come Luca della Robbia (Edgard Wind, Misteri pagani nel Rinascimento, Adelphi, 1971, pagg. 101-119). Chiunque abbia visto anche una sola volta le celebri Cantorie del museo del duomo di Firenze ha avuto modo di constatare come un vitalismo erotico, permeato di classicismo, sia subentrato in quelle menti di artisti, divenendo ispirazione costante di ogni loro opera.

L’entusiasmo per i contenuti del Simposio si estende a tutti gli altri dialoghi e, in quel fervore, l’attenzione si accentra sul Timeo e sulla figura centrale del testo, il demiurgo. Inquietante semidio, capace di solcare lo spazio delle idee purissime e quindi di tornare alla materia per vivificarla con l’anima. A molti sembra una sembianza filosofica, precorritrice di quattro secoli del Cristo. Ricerche, confronti, paragoni conducono ad altre fonti, ai cosiddetti neoplatonici, a Plotino, a Porfirio, ai filosofi del periodo alessandrino. In questo modo si realizza una scoperta fondamentale, come quella dell’eros creativo del Simposio. I neoplatonici praticavano una disciplina definita scientia scientiarum, la somma supposta di tutte le saggezze, la magia.

Di nuovo stupore, incertezze, e anche paura. Perché la magia è da sempre condannata dal cristianesimo. Come è allora possibile, si chiedono gli umanisti, che i seguaci di Platone, dallo spirito puro, dedito soltanto alla conoscenza, esaltassero una disciplina esecrata in seguito per secoli?

Marsilio Ficino chiede, e ottiene, da Lorenzo il Magnifico di fondare l’Accademia platonica a Firenze. Qui convoglia tutti i testi, finora reperiti, dell’antichità. Si compiono traduzioni parallele, si confrontano capillarmente le fonti, si approfondisce ogni frase, ogni rigo dei filosofi “antiqui”, finché i dubbi vengono fugati. Platone, e successivamente i neoplatonici, studiavano davvero la magia, concepita come sapienza totale ed esclusiva, da tramandare per via orale. Infatti, secondo Ficino, l’allievo di Socrate aveva chiaramente scritto nelle sue lettere, soprattutto nella settima, come il suo autentico insegnamento non fosse quello racchiuso negli scritti, ma quello tramandato per via orale. Nel profondo della sua coscienza, Marsilio Ficino giunge alla conclusione finale: la magia non è scienza da esecrare, ma semmai da studiare e da tentare di rapportare al cristianesimo (F.A. Yates ha dedicato un intero capitolo a quei cristiani che consideravano la magia naturalis non pericolosa e non avversa alla propria religione: “L’ermetismo religioso nel sec. XVI”, pagg. 191-227 del volume Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza, 1981).

Stralci di traduzioni dal greco circolano nelle mani anche di chi non è né letterato, né filosofo, creando quello che oggi può essere definito un movimento di opinione. In questa situazione di rinnovamento, di scoperta, di stupore, si affermano gli studi sulla magia naturalis, intesa anche nei sui aspetti pratici, rituali.

Questa atmosfera è fedelmente resa da Garin: «L’unità di una vita universale, che fluisce dovunque e anima tutto, giustifica speculativamente la simpatia universale e le molteplici operazioni che l’uomo, immagine abbreviata del cosmo, viene a compiere. Che poi il nesso fra la totalità, oggetto dell’intuizione metafisica, e la molteplicità delle cose e degli eventi, in cui opera la magia, si presenti come qualcosa di arbitrario e fantastico, è logica conseguenza di quella visione metafisica e teologica. Il rapporto tra metafisica neoplatonica e pratica magica indica una precisa simmetria: la magia degli incantamenti è il momento scientifico adeguato alla teologia platonica. Come questa è in realtà una visione “poetica” del cosmo, sono spiriti quelli che muovono i pianeti… In un universo animato e consenziente, connesso e cospirante, in una simpatia onnicomprensiva, si parla con gli astri, con le pietre: si pregano, si comandano, si costringono, facendo intervenire, mediante preghiere e discorsi adatti, spiriti più potenti» (Eugenio Garin, Lo zodiaco della vita, Laterza, 1982, pag. 60).

 

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Felicità

 

Ho una sola passione, quella della luce in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità.

Émile Zola

 

dopo la passione soddisfatta…

“Ogni volta dopo la passione soddisfatta e l’amore , ci addormentiamo vicini vicini senza che ci importi dove inizi l’uno e dove finisca l’altro, nè di chi sono queste mani o questi piedi, in una complicità così perfetta che ci incontriamo nei sogni e il giorno dopo non sappiamo chi ha sognato chi.. e quando uno si muove tra le lenzuola, l’altro si accomoda negli angoli e nelle curve.. e quando uno sospira, sospira l’altro, e quando uno si sveglia, si sveglia anche l’altro”
(Isabelle Allende )

Potessero le mie mani sfogliare

Potessero le mie mani sfogliare
Pronunzio il tuo nome
nelle notti scure,
quando sorgono gli astri
per bere dalla luna
e dormono le frasche
delle macchie occulte.
E mi sento vuoto
di musica e passione.
Orologio pazzo che suona
antiche ore morte.

Pronunzio il tuo nome
in questa notte scura,
e il tuo nome risuona
più lontano che mai.
Più lontano di tutte le stelle
e più dolente della dolce pioggia.

T’amerò come allora
qualche volta? Che colpa
ha mai questo mio cuore?
Se la nebbia svanisce,
quale nuova passione mi attende?
Sarà tranquilla e pura?
Potessero le mie mani
sfogliare la luna!

 
Federico Garcia Lorca

Amici?

Carissimi, secondo voi, si può restare amici dopo una grande passione?

Gabriele.

…sultano nella mia anima

Mentre l’occhio del sole governa la mia vista,
L’amore siede come un sultano nella mia anima.
Il suo esercito si è accampato nel mio cuore-
Passione e struggimento, afflizione e pena.
Quando il suo accampamento prese possesso di me
Gridai come se la fiamma del desiderio
Ardesse nelle mie viscere.
L’amore mi ha rubato il sonno, l’amore mi ha confuso,
L’amore mi uccide ingiustamente, e io sono inerme.
L’amore mi ha gravato di un peso superiore alle mie forze
Tanto che gli consegno un’anima senza corpo.

Ibn al-‘Arabi, citato in “Ti amo di due amori. Le più belle poesie della tradizione araba, persiana, turca ed ebraica”, scelte e introdotte da Bernard Lewis, Donzelli Editore, 2003.

Dal “De Amore”

(René Magritte, Gli amanti)
 
 “L’amore è una passione innata che procede per visione e per incessante pensiero di persona d’altro sesso,
per cui si desidera soprattutto godere l’amplesso dell’altro,
e nell’amplesso realizza concordemente tutti i precetti d’amore.
Che l’amore sia passione,
si vede facilmente.
Infatti, prima che l’amore sbocci da tutte e due le parti,
non esiste angoscia maggiore,
perchè l’amante teme sempre che l’amore non ottenga l’effetto desiderato
 e che siano inutili le sue fatiche […]”.
 
Andrea Cappellano

Un poeta alla donna amata

 

Ti porto con mani religiose
i libri dei miei sogni innumerevoli,
o bianca donna che la passione ha consumato
come la spiaggia bigia consuma la marea,
e con cuore più vecchio del corno
colmato dal pallido fuoco del tempo:
o bianca donna dei sogni innumerevoli,
ti porto le mie rime di passione.
 
William Butler Yeats

 

L’arte

L’arte ha bisogno o di solitudine, o di miseria, o di passione. È un fiore di roccia che richiede il vento aspro e il terreno rude.

Alexandre Dumas padre

Il bello

Il bello è relativo a noi uomini che lo contempliamo: allora la passione che esso suscita è attività e questo atto è movimento.

Plotino

Il desiderio

Vivendo il desiderio, compromettendosi, divenendone complice, fino a lasciarsi perdere, sommergere e paralizzare, il corpo è travolto da quella passione che non attende solo la visione del corpo dell’altro, ma anche e soprattutto la rivelazione di sé come corpo desiderato da altri. Nel desiderio dell’altro è infatti segretamente custodita la possibilità per il mio corpo di trascendersi.

Umberto Galimberti

Passione

Di fronte alla passione, la ragione è impotente e, con la ragione, la volontà.

Umberto Galimberti

L'”uomo della passione”

L'”uomo della passione”, come potremmo chiamare l’uomo del nostro tempo, attende dall’amore qualche rivelazione su se stesso o sulla vita in generale, ultimo sentore della mistica primitiva, pallida reviviscenza dell’amore romantico con il suo corredo di imprevisti, di rischi eccitanti, di gioie languide e violente. E’ tutto l’orizzonte del possibile che si spalanca, un destino che si arrende al desiderio con le illusioni di libertà e di pienezza.

Umberto Galimberti

Passioni e sesso

Non conosciamo più la passione perché l’abbiamo affogata nel sesso che, nel corpo a corpo, annulla la distanza di cui la passione si alimenta. Finché la generazione non si stancherà del sesso sarà difficile reperire passioni in quella forma eroica e sublime che l’età romantica conobbe e seppe distinguere dall’amore.

Umberto Galimberti

Passione smisurata

Durante la notte di nozze Rebeca fu punta al piede da uno scorpione che si era infilato nella sua pantofola. Le si addormentò la lingua, ma questo non impedì che passassero un aluna di miele scandalosa. I vicini si spaventavano per gli urli che svegliavano tutto il rione fino a otto volte per notte, e fino a tre volte nella siesta, e pregavano che una passione così smisurata non avesse a turbare la pace dei morti.

Gabriel Garcia Márquez

Dalle “Memorie di Adriano”

Tutta la vita, ero vissuto d’amore e d’accordo col mio corpo; avevo implicitamente contato sulla sua docilità, sulla sua forza. Quest’intima alleanza cominciava ad allentarsi; il mio corpo cessava d’operare d’accordo con la mia volontà, col mio spirito, con quella che bisogna  pure ch’io chiami, goffamente la mia anima; il compagno intelligente d’un tempo, ormai non era più che uno schiavo riluttante alla fatica. Il mio corpo aveva paura di me: sentivo continuamente nel petto la presenza oscura della paura, una morsa che non era ancora dolore, ma il primo passo in quel senso.

Marguerite Yourcenar

La passione

Essere capace di una passione e non provarla vuol dire rendersi incompleto e distratto.

Oscar Wilde

Una rarità…

La donna che corrisponderà nel modo più perfetto ad un determinato uomo.
La vera passione d’amore è tanto rara quanto il caso che quei due s’incontrino.

Arthur Schopenhauer

Io pronuncio il tuo nome

Io pronuncio il tuo nome
nelle notti oscure,
quando giungono gli astri
a bere nella luna,
e dormono i rami
delle fronde occulte.
Ed io mi sento vuoto
di passione e di musica.
Folle orologio che canta
antiche ore defunte

Io pronuncio il tuo nome
in questa notte oscura,
e il tuo nome mi suona
più lontano che mai.
Più lontano di tutte le stelle
e più dolente della mite pioggia.

Ti amerò come allora
qualche volta? Che colpa
ha commesso il mio cuore?
Se la nebbia si scioglie
quale nuova passione mi aspetta?
Sarà tranquilla e pura?
Se potessi sfogliare
con le dita la luna!!

Federico García Lorca

Vivi!

Ho perdonato gli errori quasi imperdonabili,
ho provato a sostituire persone insostituibili.
E dimenticato persone indimenticabili.
Ho agito per impulso, sono stato deluso dalle persone che non pensavo lo potessero fare, ma anch’io ho deluso.
Ho tenuto qualcuno tra le mie braccia per proteggerlo; mi sono fatto amici per l’eternità.
Ho riso quando non era necessario, ho amato e sono stato riamato, ma sono stato anche respinto.
Sono stato amato e non ho saputo ricambiare.
Ho gridato e saltato per tante gioie, tante. Ho vissuto d’amore e fatto promesse di eternità, ma mi sono bruciato il cuore tante volte!
Ho pianto ascoltando la musica o guardando le foto.
Ho telefonato solo per ascoltare una voce.
Io sono di nuovo innamorato di un sorriso.
Ho di nuovo creduto di morire di nostalgia e… ho avuto paura di perdere qualcuno molto speciale (che ho finito per perdere)… ma sono sopravvissuto!
E vivo ancora! E la vita, non mi stanca… E anche tu non dovrai stancartene. Vivi!
È veramente buono battersi con persuasione, abbracciare la vita e vivere con passione, perdere con classe e vincere osando, perchè il mondo appartiene a chi osa! La vita è troppo bella per essere insignificante!

Charles Chaplin

Un omaggio di Valeria

“Ti amo di due amori, uno di passione, uno a Te dovuto.
Nell’amore di passione chiamo costantemente il Tuo nome e nessun altro.
Nell’amore a Te dovuto Ti togli il velo e lasci ch’io Ti veda.
Non merito lode per nessuno di questi amori
Tu solo meriti lode per entrambi.”

Di Rabi‘a al-‘Adawiyya

Giuseppe e poi Beatrice

PADRI SENZA FIGLI…
Cercare, l’odore in un lembo
di sabbia marina.
Come un cane, annusare –
ricercare la tua essenza.
La tua polvere di pelle
Lasciata sui ciottoli- in questa
estate! riversarmi su di essa, come
elefante in una pozza d’acqua-fango.
Rotolarmi, come magnete, attrarre tutta la tua
polvere di pelle.
Rivestirmi, della tua, della nostra!
Addormentandomi su quei ciottoli colmi –
abbracciandoli. Fiore estirpatomi –
campo io, senza più linfa.

Giuseppe Maiorana

…Vorrei dedicare a tutti una delle più belle poesie di Martha Medeiros, che a mio giudizio è in tema con la riflesisone proposta:

“Lentamente Muore”

“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità”.

Con affetto, Bea

Inconscio e Magia – Psiche: “Folle di passione”

Carissimi, domani 21 marzo su Rai 2 alle ore 6:15 circa, andrà in onda una seconda puntata speciale di Inconscio e Magia – Psiche, del ciclo dedicato alla gelosia. Entriamo nei “suoi vortici” con Catullo (87-54 a.C.):

La mia donna dice di non voler fare l’amore con altri,
se non con me, neppure con Giove, se la corteggiasse.
Dice così; ma quel che la donna dice all’amante folle di passione
bisogna scriverlo sul vento, sull’acqua che scorre veloce.

Per Ginevra, per Lancillotto e per Artù, per Mordred e per un altro santo, Galgano – Parte III

Riuniti tutti i regni, Artù riesce a scacciare i Sassoni, ma per evitare nuove invasioni e per unificare per sempre tutti i Bretoni, crea un castello con trentatré sale quadrate e una sola circolare, il cui nome, Camelot, passerà poi a indicare l’intera fortezza.

Al centro della sala è una tavola rotonda con dodici posti, ciascuno dei quali corrisponde a un segno dello Zodiaco. Lì trovano posto undici armati, compreso Artù. Manca un cavaliere che dovrà essere il migliore, il più forte e il più puro, se vorrà occupare il dodicesimo posto.

Un giorno, gli undici sono a caccia nel bosco, quando avanza un cavaliere tutto bianco, in sella a un destriero anch’esso bianco. È splendido, e un raggio di sole sembra accompagnarlo nel bosco, facendolo brillare tra le fronde.

Artù è preso da invidia e lo sfida a duello. Lottano con accanimento, senza riuscire ad abbattersi l’un l’altro, quando il re di Britannia, indietreggiando di alcuni metri, si accorge che il suo contendente è vestito esattamente al contrario di lui. Infatti quel giorno Artù ha corazza, elmo e cavallo neri.

Contemporaneamente anche l’altro si rende conto di avere di fronte la sua immagine rovesciata. Allora i due cessano di combattere e si abbracciano. Quel cavaliere è Lancillotto, che andrà a occupare il dodicesimo posto.

Il significato del duello è chiaro: il vero eroe deve poter armonizzare le sue due parti, quella oscura e quella luminosa, ovvero i sensi e la ragione, senza sacrificare gli uni all’altra e viceversa. Solo così sarà un vero eroe.

Altre imprese prodigiose aspettano i cavalieri, ma un’insidia minaccia proprio Lancillotto, il più puro.

Ginevra, moglie di Artù, si è follemente innamorata di lui, che pure ne ricambia il sentimento.

Entrambi tentano di opporsi alla passione per rispetto al re, ma un giorno, nella foresta, si trovano per caso soli. Una grande quercia li avviluppa con i rami, spingendoli vicini, finché sono costretti a guardarsi negli occhi.

In quell’attimo Lancillotto comprende di non essere più lo stesso. Non è un guerriero, un combattente, un uomo d’arme. Non è più nulla se non Ginevra stessa: egli è diventato la regina stessa, è tutt’uno con la donna amata. E la donna, per un processo identico, è divenuta Lancillotto.

Così, attraverso lo sguardo, si appartengono e «conoscono tutto quello che occorre avere, la sapienza».

Dunque per amare davvero occorre compenetrarsi totalmente, diventare l’altro e solo mediante tale partecipazione, tale totalità, si raggiunge la vera conoscenza. Un segreto magico è racchiuso in questo momento d’amore: l’atto di Ginevra e Lancillotto, che pure sembra un tradimento, è invece indispensabile per arrivare alla sapienza, come conferma il seguito della storia.

L’immaginazione ermetica II

Eugenio Garin, filosofo e umanista a noi contemporaneo, è forse il primo studioso che abbia spiegato il senso dell’Umanesimo, quello profondo, con la divulgazione e la credenza nella magia. La sua opera è utilissima per comprendere il clima letterario e filosofico in cui nasce un netto mutamento di tendenza, così sintetizzabile: Platone subentra ad Aristotele.

In realtà l’autore dei dialoghi è inteso nel quindicesimo secolo come “opposto” ad Aristotele, come se i due pensatori fossero stati “nemici” anche in Grecia. Cosa del tutto falsa. Il contrasto è però necessario ai vari Ficino e Pico della Mirandola, perché l’avversione ad Aristotele nasconde un radicale risentimento intellettuale contro l’accademismo dell’epoca, la rigidità intellettuale, la scolastica nelle sue forme estreme. Erich Auerbach ha giustamente osservato: «Il Simposio di Platone fu una specie di bibbia per i libertini spirituali italiani, francesi e tedeschi». La citazione di tale opera quasi come testo sacro esemplifica perfettamente la vera motivazione del «successo» del dialogo: l’esaltazione dell’amore e del corpo. A noi contemporanei può sembrare una cosa normale, ma in quei secoli fu una vera rivoluzione. La rigidità degli accademici aveva per secoli indicato il corpo umano e la natura come nemici di ogni ascesi spirituale, in quanto strumenti e portatori del “sensus”, ovvero delle passioni.

La carne conduce al peccato, anzi, è essa stessa peccato, perché in essa è prigioniero lo spirito, che deve essere redento tramite mortificazioni, penitenze, purificazioni.

Immaginiamo l’effetto che devono aver prodotto negli studiosi le parole del Simposio. Figuriamoci per esempio Marsilio Ficino nel suo studio di Firenze, direttamente collegato agli appartamenti privati di Lorenzo il Magnifico. Davanti ha il testo greco del Simposio, e lo sta traducendo. Che cosa legge Marsilio? Di una totale accettazione del corpo, dei desideri, delle passioni. Di una comprensione indulgente verso quella parte dell’umano ritenuta sino ad allora spregevole e ripugnante.

Ficino non deve credere ai propri occhi mentre redige la versione in italiano, perché attraverso i secoli Platone gli sta dicendo cose incredibili. L’amore è sempre lecito, anche quello omosessuale, perché attraverso il desiderio dei corpi si può giungere, dopo successive sublimazioni, alla contemplazione del bello in sé, sino al bene assoluto e universale. Amore e brama divengono strumenti di conoscenza. E come se non bastasse, in questo dialogo la figura principale, la personificazione della sapienza stessa, è Diotima, una donna.

Il movimento poetico e filosofico provenzale e del Dolce stilnovo avevano già fatto della donna un oggetto di venerazione, specchio dell’anima maschile, ma giammai fonte di saggezza. Invece ecco Socrate domandare, chiedere lumi, invocare da lei spiegazioni, insegnamenti spirituali. Incredibile: Socrate, il maesrro del maestro Platone, è in atteggiamento di sottomissione intellettuale, pronto a recepire il senno, l’accortezza, il discernimento di Diotima, di una donna! Ad affermare queste cose non è un pagano, ma l’ispiratore di sant’Agostino, uno dei padri della filosofia greca, appunto Platone in persona («padre», come attributo di Platone è qui adoperato anche come ispiratore dei padri della Chiesa durante la fase detta appunto “patristica”).

Se riusciamo a decifrare le emozioni di una simile riscoperta, il sussulto psichico che avvenne in Marsilio, in Lorenzo, in Pico, negli artisti loro vicini, forse capiremo l’essenza dell’Umanesimo. Certamente l’autorità del filosofo greco serve alle menti più aperte come mezzo di riscatto da una oppressione moralistica, tendente a sminuire ogni creatività non direttamente rapportabile al solco aristotelico. Il Simposio diventa la fonte d’ispirazione non solo di filosofi, ma soprattutto di letterati e artisti. Lo scritto parla a quelle orecchie bisognose di nuovo e di creativo, in termini di eros e di bellezza.

Dell’opera è recepita l’equazione eros-creatività e a tale sorgente bevono Botticelli, Raffaello, Tiziano e scultori come Luca della Robbia (Edgard Wind, Misteri pagani nel Rinascimento, Adelphi, 1971, pagg. 101-119). Chiunque abbia visto anche una sola volta le celebri Cantorie del museo del duomo di Firenze ha avuto modo di constatare come un vitalismo erotico, permeato di classicismo, sia subentrato in quelle menti di artisti, divenendo ispirazione costante di ogni loro opera.

L’entusiasmo per i contenuti del Simposio si estende a tutti gli altri dialoghi e, in quel fervore, l’attenzione si accentra sul Timeo e sulla figura centrale del testo, il demiurgo. Inquietante semidio, capace di solcare lo spazio delle idee purissime e quindi di tornare alla materia per vivificarla con l’anima. A molti sembra una sembianza filosofica, precorritrice di quattro secoli del Cristo. Ricerche, confronti, paragoni conducono ad altre fonti, ai cosiddetti neoplatonici, a Plotino, a Porfirio, ai filosofi del periodo alessandrino. In questo modo si realizza una scoperta fondamentale, come quella dell’eros creativo del Simposio. I neoplatonici praticavano una disciplina definita scientia scientiarum, la somma supposta di tutte le saggezze, la magia.

Di nuovo stupore, incertezze, e anche paura. Perché la magia è da sempre condannata dal cristianesimo. Come è allora possibile, si chiedono gli umanisti, che i seguaci di Platone, dallo spirito puro, dedito soltanto alla conoscenza, esaltassero una disciplina esecrata in seguito per secoli?

Marsilio Ficino chiede, e ottiene, da Lorenzo il Magnifico di fondare l’Accademia platonica a Firenze. Qui convoglia tutti i testi, finora reperiti, dell’antichità. Si compiono traduzioni parallele, si confrontano capillarmente le fonti, si approfondisce ogni frase, ogni rigo dei filosofi “antiqui”, finché i dubbi vengono fugati. Platone, e successivamente i neoplatonici, studiavano davvero la magia, concepita come sapienza totale ed esclusiva, da tramandare per via orale. Infatti, secondo Ficino, l’allievo di Socrate aveva chiaramente scritto nelle sue lettere, soprattutto nella settima, come il suo autentico insegnamento non fosse quello racchiuso negli scritti, ma quello tramandato per via orale. Nel profondo della sua coscienza, Marsilio Ficino giunge alla conclusione finale: la magia non è scienza da esecrare, ma semmai da studiare e da tentare di rapportare al cristianesimo (F.A. Yates ha dedicato un intero capitolo a quei cristiani che consideravano la magia naturalis non pericolosa e non avversa alla propria religione: “L’ermetismo religioso nel sec. XVI”, pagg. 191-227 del volume Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza, 1981).

Stralci di traduzioni dal greco circolano nelle mani anche di chi non è né letterato, né filosofo, creando quello che oggi può essere definito un movimento di opinione. In questa situazione di rinnovamento, di scoperta, di stupore, si affermano gli studi sulla magia naturalis, intesa anche nei sui aspetti pratici, rituali.

Questa atmosfera è fedelmente resa da Garin: «L’unità di una vita universale, che fluisce dovunque e anima tutto, giustifica speculativamente la simpatia universale e le molteplici operazioni che l’uomo, immagine abbreviata del cosmo, viene a compiere. Che poi il nesso fra la totalità, oggetto dell’intuizione metafisica, e la molteplicità delle cose e degli eventi, in cui opera la magia, si presenti come qualcosa di arbitrario e fantastico, è logica conseguenza di quella visione metafisica e teologica. Il rapporto tra metafisica neoplatonica e pratica magica indica una precisa simmetria: la magia degli incantamenti è il momento scientifico adeguato alla teologia platonica. Come questa è in realtà una visione “poetica” del cosmo, sono spiriti quelli che muovono i pianeti… In un universo animato e consenziente, connesso e cospirante, in una simpatia onnicomprensiva, si parla con gli astri, con le pietre: si pregano, si comandano, si costringono, facendo intervenire, mediante preghiere e discorsi adatti, spiriti più potenti» (Eugenio Garin, Lo zodiaco della vita, Laterza, 1982, pag. 60).

La persona, le personalità: Didone, per esempio…

Didone, quando si innamora di Enea, non lo fa per sua scelta. E’ spinta da Afrodite. E’ posseduta da Afrodite.

Quando Enea va via, la sua passione non le lascia tregua; la spinge a fare e a dire cose terribili. Se ella non si fosse uccisa, quella passione si sarebbe, con il tempo, affievolita (anche perchè di lei, ad Afrodite, non interessava nulla).

Ma a Didone sarebbe rimasta una cicatrice dolorosa. Quasta lacerazione avrebbe creato una Didone dentro Didone stessa. Un’altra personalità che avrebbe voluto ed imposto la sua legge alla Didone primigenia.

Didone avrebbe continuato a vivere con, dentro di se’ la sua altra personalità e alla sua morte naturale (é questa l’ipotesi più importante di Jung) la sua seconda  identità avrebbe potuto insersi, attraverso la psiche collettiva, nella psiche singola di un nuovo o una nuova creatura. E’ questo il vero significato dell’EREDITA’ PSICHICA.

La seconda Didone avrebbe imposto con il tempo, lentamente ma inesorabilmente, la sua legge di sofferenza e vendetta. La nuova persona, che avesse ereditato la psiche ferita di Didone,  improvvisamente, quindi, un giorno si sarebbe trovata a pensare concetti e umori e scardinanti passioni non sue.

Un grande amore, il tempo e la giovinezza. Due scomparse misteriose.

UN GRANDE AMORE, IL TEMPO E LA GIOVINEZZA.

DUE SCOMPARSE MISTERIOSE

(Parte III)

 

La luna adesso è ancora più vicina, sembra abbracciare i due amanti che quasi si compenetrano in uno slancio di puro reciproco abbandono. Ugualmente il tempo lascia cadere i suoi attimi gli uni dentro gli altri per formare il lento giro delle ore, fino alla luce lontana che annuncia il nuovo giorno.

«Dio, non mi hai ascoltata!» pensa Donata tremante. Ades­so i singhiozzi scuotono il suo bel seno rigoglioso a suscitare commozione nel nobiluomo. Ma per ben altri motivi. Ancora terribili addii si muovono spaventosi nei ricordi. Incancellabili come soltanto le cerimonie funebri possono esserlo. Una, due, cinque, venti. Quanti cortei di morte ha visto? Innumerevoli. Cambiano le città, le persone, i vestiti. Rimangono solo quelle processioni ammantate di dolore. Perciò si era imposto di non amare più. E aveva mantenuto la parola per molto tempo. Fino a lei. A quell’esserino tutto abbandono e sensualità che l’ha imprigionato in una storia senza fine. O meglio, dal finale obbligato, purtroppo.

La Stati alza il volto per imprimersi nella mente gli occhi celesti di lui come gemme incastonate nella collana dei pensieri. Da ora, per sempre.

Poi si scuote: «Occorre andare,» sussurra, «non puoi far tardi rispetto a quel… quel…».

Non trova le parole, ma altre lacrime.

«Non ti preoccupare,» le sussurra il conte. «C’è qualcun altro che deve rammaricarsi e non lo sa, purtroppo per lui.»

Ancora una volta una scossa nella testa di Donata. Quel momento perduto riaffiora. Un decimo di attimo. Poi più nulla. La protezione inconscia ha funzionato ancora.

II chiarore si fa strada nella notte sconfiggendo negli angoli più riposti il manto del buio. II nobile si è vestito. Con cura. Poi finalmente ha preso la spada. Se l’è cinta con mossa rapida di chi è abituato alle armi. Quindi si volta nella stanza. Sta per salutare la sua diletta, ma la trova vestita: «Ti prego, non mi lasciare. Ne morirei».

Sente che è vero. Quel soffice grumo di passioni potreb­be davvero spezzarsi. E sarebbe così inutile. Così assurdo. Ma non può spiegarle quanto e come sia sciocco stare in pensiero. Quindi non può fare a meno di acconsentire. Contrariamente a tutte le regole, la conduce al duello.

«È inteso,» le spiega, «che non potrai muoverti dalla gondola. Osserverai dal mare. Anche perché il mio incontro, chiamiamolo così avverrà davanti alla basilica, di fronte all’imbarcadero. E ti supplico: non stare in pensiero.»

La osserva, ascolta dalla sua pelle, dalle sue fibre, dalle pupille travagliate, quanto lo ami. È felice, perché adora quella sincerità animale. Vera più di mille parole. Nel contempo una tenebra cupa torna a gettare panico nel suo sentimento più riposto.

«Non ti abbandonare,» sussurra una parte di lui, «all’amore che avvampa. Non ricordi? Quanto vuoi soffrire an­cora? Lasciala, lasciala, lasciala.»

Si ritrae con un passo indietro. La osserva in tutta la figura. Tenue, malgrado il corpo bello e forte. Sottile nel sentimento di totalità che gli porta. Così un fortissimo rifiuto si fa strada nel suo io più lontano. Un «no» imperioso che abbatte tutte le difese. Accetta quella tenerezza. La ricambia. Ne è invaso. Non vuole rinunciare.

Donata sente un calore avvampante che emana dal corpo di lui. Gli occhi celesti sembrano fiaccole del tempo. C’è un vortice in quelle pupille. Forse qualcosa di pericoloso si annida negli abissi oculari. Ma non importa. Non capisce bene. Anche intuendo una minaccia, si lascia trasportare. Si allaccia a lui. Vuole averlo un’ultima volta. Forse una lama tra poco gli strapperà la vita, ma ora le spire dei palpiti sono più forti e quella stessa vita reclama, scalpita, urla il suo diritto all’amore.

«Vorrei stare insieme.» Così gli dice con gli occhi chiusi. Che si arresti dunque il tempo.

Così è. II conte prende quel groviglio di attese e speranze vicino alla finestra. Vestito. Come nei giochi d’amore che mille e mille volte hanno fatto.

«Mi piace che sei serio,» gli ha sussurrato in centinaia di rapporti. «Mi eccita che sei vestito con la giacca mentre mi prendi di spalle.»

Anche ora avviene quel dolce struggimento. Poi è il momento di terminare l’incanto. Ma questa volta il nobile non si tira indietro. Per la prima volta in due anni accetta di fluire in lei. Donata avverte la vita scorrerle nel profondo del cor­po. Intuisce che quell’uomo è suo. Totalmente. Sì, il leggendario nobiluomo, vincitore su legioni di cuori, è in suo possesso. Finalmente. Una gioia senza pari la inonda. Poi un lampo crudele le schianta la mente. Un guerriero bestiale le è balzato nell’immaginazione. È il marchese Veniero con il suo fioretto. Lo vede con gli occhi della mente e lancia un grido. Ora ha tutto. Tra breve, nulla.

Si sente mancare. Trova ugualmente nel suo essere energie impensabili. Si distacca. Osserva l’uomo che è tutta la sua vita e mormora flebilmente come una piuma: «Andiamo».

il prossimo appuntamento

A Mestre,  presso la Libreria Feltrinelli, Centro Commerciale LE BARCHE – Piazza 27 Ottobre n. 1

il 16 gennaio, ore 17.30 – 19.00

presenterò il mio ultimo libro “Inconscio e Magia” ed. Sperling&Kupfer

(nessuno si senta minimamente obbligato a comprarlo)

Nell’Interiorità di Anima – “Corazza”…

Corazza

Non osiamo arrenderci alla divina follia dell’amore, perché il nostro Io si sente troppo insicuro all’idea di perdere il controllo. Questo controllo, la nostra preventiva difesa da possibili ferite, si ottiene tendendo i muscoli, specialmente i muscoli del petto vicino al cuore. Tale “corazza”, come l’ha chiamata Reich, ci estrania dal mondo e limita la profondità delle nostre interazioni.

Alexander Lowen, Amore, sesso e cuore, Astrolabio-Ubaldini, 1989, pagg. 33-34

Corpo caldo

Ogni cosa attorno a noi si scompone, si sfalda, e il corpo caldo sotto il velluto caldo mi vuole, mi reclama, è uno strazio.

Henry Miller, Tropico del Cancro, Mondadori, 1996, pag. 24

Corpo sognante

Io non la toccavo, neanche la sfioravo, eppure il mio sangue e la mia anima si compenetravano in lei, come se la tenessi stretta tra le braccia. Un vento leggero accarezzava il suo corpo sognante. Il Tempo e la Morte sembravano ignorare lei dormiente, mentre da un angolo remoto della mia intimità, essi mi gridavano maligni che tutto sarebbe finito. Poi, nella luce incerta del primo mattino, Marianne si svegliò, sospirando mormorò il mio nome.

Michele Lauria, L’amante assente, Fazi, 2001, pag. 95

Credimi…

Credimi non si deve / affrettare il piacere d’amore / ma stimolarlo a poco a poco con gli indugi.

Ovidio, L’arte amatoria, Orsa Maggiore Editrice, 1996, pag. 136

Nell’Interiorità di Anima — “Bocca”…

Bocca (1)

Teneva ancora gli occhi chiusi, ma era chiaro che non dormiva. La baciai, stupefatto dalla mia audacia, mentre in realtà era lei che, mentre io mi avvicinavo al suo viso, aveva attirato la mia testa contro la sua.

Raymond Radiguet, Il diavolo in corpo, Peruzzo, 1985, pag. 68

Bocca (2)

Léa gli spazzolò i capelli sopra le orecchie, rettificò la scriminatura sottile dai riflessi azzurri, gli passò sulle tempie un tocco di profumo, posò un rapido bacio, non potendo trattenersi, su quella bocca tentatrice che respirava così vicina a lei…

Simonie-Gabrielle Colette, Chéri, Newton & Compton, 1995, pag. 25

Braccia al collo

Sono stato almeno cento volte sul punto di buttarle le braccia al collo! Lo sa Dio che cosa significa vedersi passare e ripassare davanti tanta grazia e non poterla afferrare…

Johann Wolfgang von Goethe, I dolori del giovane Werther, Demetra, 1996, pag. 137

Poesia in “Notturna” – Regina di cuori

Vorrei condividere con tutti voi una straordinaria e struggente poesia.

Cara Sarah, mi aspettavo un tuo giudizio e lo attendevo come l’hai espresso.
Con soavità.
Allora ecco che riporto una tua lirica:

Regina di cuori

Benvenuto nel Club!
Guardala ed innamoratene,
altro non puoi fare.
È il suo nascosto potere:
non ti abbaglia con la bellezza,
ma col suo silenzioso sguardo.
Sentirai il cuore palpitare per lei,
l’amerai,
perché è il suo solo modo di essere.
Ti accompagnerà
in alto a passeggio tra le stelle
e ti mostrerà
un nuovo mondo fantastico.
Ti eleverà
al di sopra dei mortali,
perché è nata per questo.
Tu abbandonerai
il tuo mondo al sole
e lei ti darà
la luce della luna.
Sospirerai per lei,
il desiderio ti brucerà
e possederla sarà tutto.
Lei si lascerà avere,
senza riserve solo per te,
dolce come il miele degli Dei.
Sarai un Dio.
Un giorno, poi, ti sveglierai
e l’incantesimo sarà finito.
Ti ritroverai senza cuore,
segnato per la vita dal suo amore.

Pregherai di impazzire del tutto,
per non sentire più.
Ti avrà rubato anche l’aria,
ma lei – puff!
come una bolla di sapone,
svanita.
Cose che capitano, ti dirà,
il per sempre dell’amore dura un istante.

(Sarah Maschietto)

La trama nascosta del mito – Eros

L’aspetto fondamentale da capire è che Eros non è solamente ciò che noi intendiamo per “erotico”. Eros è quello che permette, a noi esseri umani, di stabilire relazioni, di stabilire amicizia e affetto tra di noi; tutto questo è Eros. Eros è tutto ciò che lega, è il mastice che ci consente di avere rapporti. Eros si porta agganciato a sé il mito di Afrodite, che in una parte del mito è la madre, mentre in un’altra parte è figlio di Poros e Penia (vedi, a proposito, Simposio di Platone), tutto e nulla, la grande ricchezza e il vuoto; di questo non bisogna meravigliarsi perché i miti hanno varie sfaccettature. La sessualità, appunto, è sempre guidata da Eros, ma da un’altra aggettivazione di Eros: la parte di Eros che è più vicina a sua madre Afrodite, perché la dea delle sessualità e della sensualità è proprio Afrodite. Eros è  tutt’altro: è come il lavoro della merlettaia che unisce vari ambiti di tessuto e li lega insieme. Questo è Eros. Mi rendo conto che Eros spaventa tutti perché Eros è la passione, e quando ti colpisce con la sua freccia dalla punta d’oro nessuno può resistergli. Ecco perché le persone, a volte, si possono innamorare di altre o di altri completamente “strampalati” rispetto a loro. Ecco perché, in “L’Angelo azzurro“, il professore di greco finisce per fare “chicchirichì”, perché è stato colpito dalla freccia di Eros. Tutto questo può sembrare allora un grande male. E non è così. Il vero grande male è non essere colpiti da quella freccia, perché allora significa essere presi di mira sempre da Eros, ma dalla sua freccia con la punta di ferro: quella che non fa mai più innamorare. E non avere pene d’amore, anche secondo Shakespeare, che prende appunto spunto da questo mito, è il peggiore di tutti i mali. Perché si diventa uomini o donne di potere. E quelli che sono uomini o donne di potere si dedicano a ciò che secondo Platone era esecrando: la politica.

Libri consigliati:

Giovanni Reale, Eros demone mediatore, Bompiani, 2005.

Ginette Paris, La rinascita di Afrodite, Moretti & Vitali, 1997.

Thomas Moore, Lo spirito del sesso, Sonzogno, 1998.

Vedi inoltre:

Nell’Interiorità di Anima – Eros (1)

Nell’Interiorità di Anima – Eros (2)

Nell’Interiorità di Anima – “Amore”

Amore (9)

E dunque da tempo così remoto è innato negli esseri umani l’amore degli uni per gli altri, anzi esso è restauratore dell’antica natura in quanto cerca di curare e restituire all’unità, di doppia che è divenuta, l’umana natura.

Platone, Simposio, Rizzoli, 2001, pag. 145

Amore (10)

… per la maggior parte dei sistemi mitologici ed esoterici (Kabbalah, Tantrismo ed Alchimia in particolare) all’inizio era la donna, l’armonia fattasi visibile, colei che dona la vita, l’estasi e la saggezza. In altre parole, all’inizio, era l’amore e il desiderio che, come ricorda Spinoza, è “l’essenza stessa dell’individuo” (Etica III, De affectionibus, par. 3 e par. 9)… Leone Ebreo specificava che lo scopo dell’amore non è il possesso ma “la dilettatione de l’amante nell’acquistata bellezza de l’amato” (Abravanel 1535, Dialogo 3, ed. 1919, pag. 3)

Arturo Schwarz, L’immaginazione alchemica, ancora, Moretti e Vitali, 2000, pag. 11

Amore (11)

Così non è casuale che sapienza sia un termine femminile sia in italiano che in greco, sia in ebraico – e che amore e sapienza siano indissolubilmente legati è un mitologema altrettanto frequentemente diffuso. Yehudà Abravanel, riprendendo un’idea kabbalisticamente e ampiamente generalizzata, sosteneva che l’amore si celava all’apice della sapienza e che è l’amore a sostenere tutte le parti del cosmo, dalla sfera più esterna fino alla roccia che è dentro la terra: “E siccome niuna cosa non fa unire l’universo con tutte le sue diverse cose se non l’amore, seguita che esso amore è la causa de l’essere del mondo e di tutte le sue cose. (Abravanel 1535, Dialogo 2, ed. 1919, pag. 165)

Arturo Schwarz, L’immaginazione alchemica, ancora, Moretti e Vitali, 2000, pag. 12

Amore (12)

L’amore dipende dal consenso che l’anima superiore dà alla passione dell’anima inferiore… Quaggiù l’amore non conosce limiti, né li conosce l’oggetto amato, ma infinito è l’amore del Bene, poiché la sua bellezza è di un’altra specie ed è bellezza superiore a qualsiasi altra bellezza.

Plotino, Breviario di Plotino, Rusconi, 1997, pagg. 73-74

Amore (13)

Il trasformatore di ogni essere è l’amore per il proprio simile… strumento di civiltà è l’amore… la “gentilezza” del cor, intesa nel valore anagogico occulto, bisogna intenderla alla latina, gentile per tendente verso le genti, altruista… non c’è altruismo che non significhi il sacrificio di parte del nostro io, se non tutto, alla felicità altrui.

Giuliano Kremmerz, Angeli e Demoni dell’Amore, Rebis-Viareggio, 2000, pagg. 4-9

Amore (14)

Quello che deve guidare gli uomini per tutta la vita, affinché possano vivere nel senso della Bellezza, non deve essere né la parentela, né gli onori, né le ricchezze, né nessuna altra cosa se non l’Amore.

Platone, Simposio, 178 c-d a, in Breviario di Platone, Rusconi, 1995

Amore (15)

Quando amiamo, facciamo l’esperienza di un decentramento: veniamo sradicati dal nostro modo di essere precedente e catapultati nel vuoto, e sebbene si speri di approdare a un nuovo mondo, a una nuova forma di esistenza, non vi è mai certezza di arrivarvi. Tutto ci appare diverso e può accadere che niente torni più ad apparirci come prima. Il mondo viene annichilito e nessuno ci garantisce che in seguito esso verrà ricostruito. Noi perdiamo il nostro centro, ma senza la certezza di ritrovarlo.

Rollo May, L’amore e la volontà, Astrolabio, 1971, pag. 100

Amore (16)

L’amore pone ogni volta una sfida all’umano nella sua globalità ed esige un atteggiamento incondizionato chiedendo completa dedizione.

Giovanni Gocci, Conferenza sulla psicologia dell’amore, Verona, novembre 2004

Amore (17)

Attraverso il potere trasfigurante dell’amore, l’oggetto si svela e rivela la sua trascendenza simbolica (la sua anima): l’oggetto diviene trasparente, sicché gli occhi dell’amato trasfigurano in stelle lucenti o in profondità del mare. Ogni cosa si anima, e nel bene e nel male diviene simbolo vivente. È questo il salto, il passaggio acrobatico dall’altra parte, che consente al cuore di approdare alla sua meta: la visione interiore, l’amore, l’umana pietà, la condivisione del pathos di vivere.

Carla Stroppa, L’acrobata nel vuoto, XII seminario di Anima, Sant’Andrea in Percussiva, 21 aprile 2002, pag. 13

Nell’interiorità di Anima – “Amore”

Proseguiamo la nostra discesa in Anima e attraversiamo “Amore”…

Amore (1)

L’amore non è soltanto un’esperienza di vita, è anche un’esperienza mistica. Nell’amore cortese, la pena d’amore, l’impossibilità dell’appagamento, era considerata l’essenza della vita.

Joseph Campbell, Riflessioni sull’arte di vivere, Guanda, 1998, pag. 23

Amore (2)

Giustamente la psicoanalisi ha messo in evidenza l’ambivalenza latente in ogni situazione passionale: il sottile gioco di “odio” e “amore”, che sempre in qualche modo si concatenano, secondo la sublime intuizione già espressa da Platone nel Simposio, in cui l’amore è descritto come sintesi di elementi contrari, che conservano tra loro una feconda ma tormentosa tensione.

Giorgio Straniero, Psicologia, Aiace, 1972, pag. 134

Amore (3)

Ascoltate ehi Amici, l’amore somiglia a un sole, il cuore che non ha amore somiglia ad una nera pietra.

Yunus Emre, Divan, Semar, 2001, pag. XXIII

Amore (4)

L’amore è ciò che penetra dall’esterno; ed è una “corrente” che non appartiene a chi la possiede, ma è entrata dal di fuori attraverso gli occhi.

Platone, Cratilo, 420 a-b, in Breviario di Platone, Rusconi, 1995, pag. 217

Amore (5)

L’atto d’amore è un parto nella bellezza, sia secondo il corpo sia secondo l’anima.

Platone, Simposio, 206 a, in Breviario di Platone, Rusconi, 1995, pag. 223

Amore (6)

Il grande amore fa paura perché ci mette in una situazione di pericolo, perché si diventa vulnerabili, si perde la corazza che abbiamo nei confronti del mondo. Perché in amore si dà tutto, ci si dà completamente e si può perdere.

Fanny Ardant, citata in Laura Bolgeri, Le donne hanno detto, Rizzoli, 1990, pag. 34

Amore (7)

Spesso, durante la mia esperienza medica come nella mia vita, mi sono trovato faccia a faccia con il mistero dell’amore e non sono stato mai capace di spiegare cosa fosse… L’amore è nello stesso tempo quanto vi è di più grande e di più piccolo, di più lontano e di più vicino, di più alto e di più basso; e non possiamo discutere di un suo aspetto senza parlare anche dell’altro. Nessun linguaggio può esprimere questo paradosso. Qualunque sia il nostro linguaggio le parole non esprimono mai il tutto. Parlare unicamente di uno dei suoi aspetti è troppo o troppo poco, poiché soltanto il tutto ha un significato. L’amore “porta ogni cosa” (1 Cor. 13, 7). Queste parole dicono tutto quello che si può dire; non c’è nulla da aggiungerci.

Carl Gustav Jung, in Pianeta, n. 3, 1964, pag. 42

Amore (8)

Celebro me stesso
e ciò che dico vale per voi
perché ogni atomo mio è anche vostro.

Walt Whitman, in Pianeta, n. 3, 1964, pag. 92