L’indisciplinata speciale

di Ornella Pennacchioni

Datemi solo un motivo perché debba restare affetta a regolamenti, nonostante la differenza. Mi sono insignita del mezzo di decostruzione da molto tempo. Così, andando obliqua incontro a pantomime provvisorie epurate dai danni della speranza, dalle ipocondrie del futuro, inzuppate nel vino Porto, ballando sotto la pioggia, a pensare come mi pare, finalmente io. Un po’ sbronza sono andata in scena doppiandomi all’infinito con meraviglie istantanee, mandando allo sbaraglio lo strato convalescente vicino alla ferita del fondo capovolto. E ho scritto. Niente corpo, solo parole. Ho scritto il tempo della vertigine, divenuta danno maggiore del capogiro, stordimento poi da prim’attrice in bilico fra cedimenti e fughe, ironia e dramma, guarigione e malattia. Nel mezzo, la deriva avanza in orizzontale e mi dice non ti fermare. E io intanto scrivo. E picchi verticali mi salvano. Seguita da un fruscio sulla premura dell’arrivo, arrivo anche io. E di parole, petali fioriti, baci indisciplinati sotto il tavolo degli innamorati se ne potrebbe riscrivere il respiro, tanto è vero. Sarebbe romanzare, e lo so fare. Linguaggio parlato, per un monologo dissennato. Un megafono impiantato nella cavità orale per eseguire il dettato di me che mi assento da me. Dissequestrata, coi piedi sozzi, ma libera. Avrò un’Orma nuova e una fede di latta. Ora, la voce come un neo edificio della parola. Ho pensato, sussurrato prove d’audio, tentando di non resistere al mio fascino da carillon. Voce per dire parole da recinto. Pause come cesoie per uscire dal testo stesso. E scambiare i dissensi in approvazioni. E magari. Per dare sostegno al gironzolare del tema privo d’ogni logica come sembra, minuziosamente scorticato come invece è, ormai dormo sulla tastiera dove faccio le veglie sulle voglie. Dovrei disdire i luoghi comuni per farmi ascoltare, dovrei azzoppare la vecchia morale? Restare dietro le cento porte come da maleficio per l’happy end finale? E’ tempo di favole senza morale. Me ne voglio andare. Quindi sarebbe il caso che tutti i personaggi responsabili d’abboccamenti infantili e terrorismo subito in età pediatrica di lupi fra ruvide lenzuola e mele al cianuro a basso costo, uscissero dalle pagine, dietro indicazioni degli autori finalmente sensate. Via tutti! Insieme fuori dalle righe, me compresa, che sembro una favola. Parole e voce per l’assenza colmata dall’evenienza posticipata. Niente più astanteria di desideri strampalati, ma pane, vino e commensali che nuotano nei boccali. Senza liturgia, senza peccato. L’amore è innocente, l’amore è pulito, si lava costantemente. Cento porte rosse, una a seguito dell’altra come tracce ematiche da seguire fino all’ultima porta. Non suonate. La porta si può baciare come i piedi logori della santa. Lei è andata fuori tema, e altrove, trema.

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Respirando sulle parole…

Respirando sulle parole, come fossero federe amiche, l’autore si denuda senza tener conto degli appendiabiti, dell’armadio e di chi sbircia sotto le lenzuola. Si scrive non per essere letti, ma guardati. Chi scrive ha bisogno di un pubblico di voyeur. E tutto si compie nel transfert fra autore e lettore, che spia, origlia, ruba. Un tragitto slacciato, una sorta di banchetto proibito dove l’immaginario sperpera i suoi crediti con figurine alternative alla realtà. Ed è in quel punto, dove le parole cadono senza ferirsi, per poi risalire ingovernabili, che si consuma la passione priva di misure cautelative.

da UN PENSANDO, Ornella Pennacchioni

La tua mente è infinito

La tua mente è l’infinito. La mia anima ci passa senza avanzi. L’immenso non ha fianchi stretti, ma l’oceano in conchiglia.
Ornella Pennacchioni

PARABOLA IN DESHABILLE’

 

di Ornella Pennacchioni

Non ho mai pensato al riposo d’un angelo. Mi sono immaginata la sua veglia ininterrotta per obblighi professionali. Le piume allineate con cura maniacale, senza un controvento, senza minacci…a d’umana stanchezza in quanto angelo. E’ custode, mi dicevo, e deve stare in campana, in qualunque campana, compare del sacrestano bravo a incentivarne la credibilità a furia di rintocchi da terra. Con le orbite volte all’insù mai un cedimento delle palpebre, mai un boccolo sfatto, mai una ruga sulla fronte, mai un’insofferenza a incupire lo sguardo d’impeccabile dispensatore di grazie. E’ il suo lavoro, lo sanno tutti, anche i blasfemi che in quanto tali ne avranno uno personalizzato Master-munito.
Ora, a seguito d’una piuma senza rotta atterrata sull’ incredulità, mi domando se dorme, e come e in quale dove serra le armi divine. Lo voglio vedere. Devo restituire quella piuma. E mi lascio portare dal frullo senza ali in una miniatura di volo. Che lei piuma ne sappia oltre il vento, oltre la bussola, oltre i tuoi occhi di cielo che segnano i sogni per riconoscerli nell’angelo da riporto, lo so da sempre. E’ il viaggio del caso, l’approdo del sorteggio. Piumando su di me, noncurante del solletico, non ho riso. Ho seguito quella piuma del battibaleno che t’incastra in una parabola di salvataggio, e senza che te ne accorga sei preda di certezze delegate a poteri celesti. Ho fiutato un itinerario che fosse più sbigottito che bigotto. Per non perdermi nella nenia del rosario, ho scelto lo stupore più acuto. Non mollare l’idea da spiumare era il mio pensiero fisso. Se l’infinito mi apre quella porta, pensai, forse vedrò il dormitorio degli angeli, di quelli che hanno finito il turno. O vengono indotti ad insonnia cronica? La piuma conosceva la combinazione. Entrai e vidi una donna in un sonno umano coi capelli del dopo l’amore, le gambe a nicchia, le spalle volte all’addio. Le piume sparse ovunque, che mille dovevano essere per dotazione. La piuma guida si unì alle altre e come in un cartoon si ricomposero le ali dell’angelo di terra.

Buio Nero

Nero, per tornaconto di una necessità. Come in un accordo ministeriale, mi accomodo. Persino la bugia che nega il mentire è uguale a due giri di vipera sul collo. E mi mantiene mezza asfissiata, mezza viva. In pratica moribonda, affetta da verità presunta. Quella che arreda col pensiero perché incorporea, che esonera il tatto in assenza di materia, che inventa le tue mani nel buio delle consolazioni. E lì, che nel corpo di sciantosa, rotule costrette dal proibizionismo, ghirigori della mente allo specchio, le mani come acquasantiere gemelle, segno di pace nel fragore della mia guerra, mi accomodo nello scomodo. Siamo alle solite, in questo bilico perenne dove una aspetta di liberare l’altra, per smetterla una buona volta. M’inzuppo di estratti fioriti robusti e acri. Un esiguo lago sotto i piedi scalzi come una prova di miracolo. Batto il tempo a tempo. Non me ne vado. L’olfatto predilige inganni a zig zag e inspiro me tenendomi presente. Venerabile, deprecabile, insostituibile perché eccessiva, io. Il buio aiuta le cose negate a vivere di prelibatezze mentali solubili in differita, lusso per pochi, senza sottotitoli. Faccio come mi pare. potrei inspirare anche voi. Non è già successo?

Ornella Pennacchioni

L’assurdità, in questo tempo. Una SCRITTRICE di tale maestria, non ha un editore degno di questo nome

Gabriele

 

Luce di mare

Capo riverso
bocca semiaperta
e senti e sai
sei passato a scambiare suoni
a risciacquare il mare
che d’amore canta sul mare tuo
braccio alto sul capo
pugno stretto d’un odore sfamato
chioma impennata sul cuscino mosso
io resto.
Talloni in moto e a tempo
all’oceano vagamente torno
poiché bocca semiaperta e sai
sei passato a scambiare suoni
a risciacquare il mare
sai che
anfibia sono
e
non annego mai se non d’amore

Ornella Pennacchioni

 

Il bacio

Tento di non identificare azioni rintracciabili in luoghi comuni che rassicurino come una tabellina per principianti e neofiti, come sempre. Comprendo di voler appartenere alla guglia più alta. Quella satura d’ossigeno, che mi permetta di vaneggiare indisturbata. Non fosse che la voce narrante ora, proprio ora, mi ricorda la logica amorosa del bacio e dell’intenzione che abbisogna di due.
Sarebbe inverosimile scantonare in stereotipi che diano consenso ai romantici ameni condizionati da batticuore di gruppo, a me non interessa. Se bacio quindi è perché la mia bocca ha deciso baciando di baciarsi sentendosi baciata, rientrando così nella linea del disordine singolare che m’appartiene. Vorrei un alibi e subito a questa formula unilaterale che dissacra il bacio abitudinario. Qualcuno mi difenda con molte menzogne. Mi consoli senza contraddire come si fa con gl’intrattabili.
tratto da IL BACIO
di Ornella Pennacchioni.

Il dispiacere solitario

di Costanza Bondi

IL DISPIACERE SOLITARIO è un piacere immaginario che racconta tante storie in una storia, in cui l’opulenza descrittiva e sensorialmente goduriosa – servita in gustose tazze di cioccolata calda – è interrotta, a tratti, da sapienti coltellate a freddo narrative. Mai scontate. Tanto meno assennate. Ornellissimamente ornellante, la tragica e tenera storia di Viola ci viene disfilata sotto gli occhi dalla protagonista Gilda D. che ce la offre pagina per pagina, tanto delicatamente quanto il gesto lento di chi si stesse togliendo i guanti davanti a noi lettori… dito per dito… mano per mano… Guanti come custodia erotica o guanti come nascondiglio di velluto. Guanti che coccolano mani, le curano e le scaldano. Ma soprattutto guanti che nascondono le mani che amano e scrivono e perciò parlano e quindi trasudano tutto l’amore e l’odio che possono raccontare. Guanti e mani, allora, che carezzano l’intimità nel romanzo di Ornella Pennacchioni, in un dispiacere solitario che squarcia l’anima e l’animo ricuce, in cui la protagonista si traveste, di volta in volta, per recitare sempre e solo la parte di se stessa.

NOTA BIOGRAFICA

Ornella Pennacchioni nasce ad Agugliano, un paese delle Marche. Laureatasi in scenografia teatrale presso l’Accademia delle Belle Arti di Macerata, dopo svariate partecipazioni in qualità di scenografa, è stata invitata a partecipare operativamente al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Dotata di temperamento artistico poliedrico, si è lungamente dedicata alla pittura, all’arredamento per interni, a creazioni di monili, alla moda, di cui ha conseguito il diploma di stilista. Infine, nel mezzo neofita della scrittura, s’è presa la briga di dare vita ad un nuovo itinerario in prosa. Per non smemorare nell’oblio, nel tratto che divide la realtà dallo spettacolo, un attimo prima del debutto. Questo ha detto a se stessa: “Sono Ornella Pennacchioni, nessuno mi conosce e sto per essere letta. Non avrei mai creduto di poter scrivere oltre il pensare.”

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Una grande professionista della letteratura moderna che non ha scelto di solcare le strade consumate dagli altri scrittori ma quelle che nessuno fin ora aveva osato solcare. Nel suo immaginario, attraverso le musa nate dall’eleganza della sua scrittura, l’autrice Ornella Pennacchioni ci regala con “Il dispiacere solitario” un’oasi di lettura straordinariamente bella e affascinante, che tiene il lettore “ammagaratu” (incantato) in una dimensione nella quale chi legge non sa bene se anch’egli è protagonista o solo spettatore. Un opera eccezionale nella quale c’è stato posto anche per me avendo scritto la Prefazione.

Alessio Patti