Carissimi, non è la prima volta ma continuo a suggerirvelo:
Albert Kreinheder, Il corpo e l’anima, Moretti & Vitali
Recensione di ILENIA DI LORENZO
Prefazione
Nel testo, dove si affrontano esperienze di cambiamento attraverso la sofferenza, è necessario abbandonare il linguaggio psicologico, mettere sullo sfondo le tanto rassicuranti conoscenze date dai libri, le interpretazioni che continuano ad imprigionarci, per lasciarci toccare nei punti più sensibili del nostro essere e visitare le zone dolenti della nostra psiche, le parti vulnerabili abitate dai sintomi più gravi ma anche, ad un livello più profondo, dalle immagini archetipiche, espressioni del potere divino. Si parla di anima con un linguaggio che diventa semplice, colloquiale e, al tempo stesso, poetico perché, tali esperienze, non si descrivono bene a parole, ma con la concretezza delle sensazioni somatiche.
Il rapporto tra psiche e corpo, fondamentale nel testo, viene ricondotto dall’Autore alle radici della riflessione junghiana; infatti, Kreinheder, afferma, attraverso la descrizione di casi clinici, che psiche e corpo sono una coppia di contrari e, come tali, sono l’espressione di un essere la cui natura non è conoscibile, né mediante l’apparenza materiale, né mediante l’immediata percezione interiore. Fin dall’antichità c’è stata una netta separazione tra psiche e corpo, dove il corpo viveva subordinato alla psiche. Ma non è possibile affermare che la mente sia una funzione del Sé senza ammettere che lo sia anche il corpo, che è una concretizzazione o una funzione di quella cosa sconosciuta che produce sia la psiche che il corpo; la psiche è un corpo vivente come il corpo è psiche vivente.
Il concetto di fondo che ispira il libro è che la malattia somatica, il corpo malato, rispecchiano una sofferenza dell’anima, ma sono anche dimora di una divinità: le malattie potenzialmente mortali hanno sempre una divinità o un archetipo nascoste dietro di loro. Abbiamo cercato di escluderli dalla nostra vita, ma loro cercano di rientrarvi: più siamo chiusi e imprigionati nel nostro piccolo mondo egoico, più il loro apparire sarà scioccante, misterioso e stupefacente.
Ogni malattia è parte di una storia personale ed è una delle espressioni con cui si manifesta un processo di evoluzione e crescita, che talvolta, quando le difese sono più forti e più rigide, deve scardinare le porte per poter farsi strada nella vita.
La malattia, nel libro, è un elemento centrale e viene considerata come un momento di iniziazione: un periodo di sospensione tra ciò che si è stati e ci viene chiesto di abbandonare e ciò che saremo e non siamo ancora. Vista in quest’ottica, la malattia può rappresentare un momento di morte e di rinascita: l’individuo malato viene riportato alle radici del proprio esistere, spogliato di tutto ciò che il nostro Io orgoglioso ha costruito, fino a sperimentare una totale impotenza e assoluta dipendenza che ci riportano al rapporto primario con la madre.
Ogni iniziazione presuppone un cambiamento, l’accesso ad una nuova condizione.
I sintomi che vengono a rompere le nostre corazze, le nostre vecchie certezze, ci chiamano ad una conversione che comporta il riconoscimento di un livello di realtà altrettanto o forse più reale di quello in cui scorre la nostra vita quotidiana, quello in cui si svolgono i drammi che trovano espressioni nelle nostre infermità.
Per accedere ai poteri divini che la malattia al tempo stesso esprime ed imprigiona, è necessario riconoscere le nostre parti oscure, rifiutate ed inaccettabili, e, spesso, è il corpo che serve per impersonare la nostra Ombra.
Kreinheder racconta:
“..cominciamo ad esaminare il contenuto psicologico celato e al tempo stesso rivelato dalla malattia, incontrò prima i suoi conflitti personali, ma dietro a questi, molto rapidamente, si manifestarono gli eventi archetipici più profondi… basta schiacciare un bottone e le lacrime sgorgano… il complesso è come un punto vulnerabile della nostra corazza, attraverso il quale possono entrare sia i poteri terapeutici che i mostri del profondo.”
Kreinheder sottolinea l’aspetto relazionale della malattia che può essere un messaggio verso l’ambiente circostante, un modo per controllare e tenere legate persone significative e, spesso, rappresenta una richiesta d’aiuto. Possiamo vedere il sintomo somatico come un’immagine che si incarna nel corpo; in questo movimento essa perde ricchezza di sfumature e plasticità e si irrigidisce nella ripetitività delle leggi biologiche.
Nella prospettiva del testo, i sintomi sono anche simboli. Il sintomo somatico è un’espressione profondamente inconscia dei simboli e della loro formazione. E’ soprattutto l’immaginazione attiva che ci permette di tradurre in un’immagine plastica e viva il messaggio irrigidito dal determinismo della materia, evitando ogni schematismo interpretativo.
L’autore ci propone una tecnica, quella dei dialoghi scritti con i personaggi interiori di cui avvertiamo la presenza dietro alle nostre infermità: all’interno dei dialoghi, il “dio del dolore”, viene percepito come una presenza, un’intelligenza, un’entità, un demone molto potente, strettamente legato alla persona, che la faceva ancora soffrire, ma era come un compagno, e, benché la correggesse punendola, l’amava profondamente.
In questa situazione, dobbiamo saper aspettare che il guaritore interno si faccia presente.
Il processo di guarigione è l’individuazione, che possiamo paragonare ad un ritorno a casa, una sorta di rinascita in un Sé autentico e completo.
Le infermità del corpo non derivano in un rapporto di causa effetto dai nostri complessi ma appartengono alla nostra storia, al nostro destino, ci indicano che qualcosa chiede di essere ascoltato e, alla stessa stregua delle nostre ansie e depressione, possono rappresentare un momento di profondo cambiamento.
L’atteggiamento che scaturisce dai dialoghi che l’Autore intrattiene con il dolore che paralizzava le sue articolazioni, è profondamente religioso e implica il riconoscimento di “forze superiori” di fronte alle quali possiamo soltanto inchinarci. E’ proprio questa esperienza di umiliazione che ci permette, attraverso le nostre infermità, di venire in contatto con il divino che è in noi.
Leggendo il testo, appare chiaro che ogni malattia è un attacco alle nostre rigidità consolidate; infatti diventiamo così estranei alla totalità della vita che di tanto in tanto è necessaria una scossa violenta, che scalfisca la nostra durezza e apra una breccia attraverso la quale lo spirito vitale possa fluire dentro di noi. La malattia è dunque una forza di invasione che cerca di infrangere la nostra corazza per renderci più completi e permetterci di tornare parte attiva nella nostra vita: da spettatori passivi ad attori.
Il toccare con mano la nostra piccolezza ci rende umili, pazienti e sottomessi e ci permette di diventare consapevoli della presenza di Dio ovunque intorno a noi.
Alla fine del testo, appare chiaro che la condizione dell’anima ha una grande influenza sulla salute del corpo. Il corpo riflette la psiche e se l’anima ed il Sé sono integri e ricchi di simboli risanatori, la salute dell’anima si riflette nel corpo.
Ogni malattia presenta un aspetto mentale o spirituale ad essa collegato: non è tutto nella mente, ma la mente è sempre in qualche modo implicata nella malattia perché, se abbiamo la pazienza di guardare e cercare, è sempre possibile trovare un’ immagine, una fantasia, una storia che si associa al sintomo.
In ogni caso, l’anima ed il Sé comprendono tutto: corpo, mente, sintomi, paura, amore, ferite, attese, sogni e fantasie. Il caos mente-corpo si produce quando tutte le nostre molteplici sfaccettature non sono armoniosamente articolate.
Vivere il nostro destino è fonte di una assoluta felicità e, benché sia difficile per molti immaginarlo, quando scopriremo che il potere divino è con noi, morire non sarà il peggiore dei mali:
“….lascio questo mondo nudo come vi entrai.
Protetto tuttavia da un invisibile involucro
che, io spero, prenderà il posto di un altro.”
Ed allora… restare prigionieri della malattia e dei nostri schemi fissi o scegliere di avere la possibilità di raggiungere una maggiore integrità?
Il testo di Kreinheder può essere una buona risposta per questa domanda.
E’, prima di tutto, una testimonianza personale, una sorta di racconto autobiografico che, a poco a poco, si espande fino ad assumere una valenza universale, cioè l’interrogarsi dell’uomo di fronte ad una delle domande fondamentali dell’esistenza umana: l’apparente insensatezza della malattia e della morte.
Nel percorso descritto da Kreinheder, l’io di chi scrive e si racconta, diventa un noi che si confronta con l’Altro, il sacro, il divino, il mondo degli archetipi, per giungere alla parte più nascosta che scorre sotto la superficie del nostro agire quotidiano, ciò che viene definito ombra.