L’individualismo debole che svuota le persone

La sterminata opera di Franco Ferrarotti offre all’analisi sociale molteplici spunti di riflessione. La condizione umana è dominata oggi da un egocentrismo e un individualismo solipsista mai emersi prima, un individualismo però debole in cui la persona si svuota della sua dimensione più umana, quella dei sentimenti, dell’esperienza e dell’incontro con l’altro.

Nel nostro tempo questo svuotamento è prodotto dall’eccesso di informazioni a cui siamo sottoposti ogni giorno, che produce un chiasso interiore privando la persona della sua sfera creativa, della capacità di progettare e in particolare dell’immaginazione. E così, le vecchie categorie di passato, presente e avvenire sono completamente saltate in nome di una eternizzazione insignificante dell’immediato.

A questo proposito Ferrarotti vede due logiche contrapposte nel nostro tempo e che si affrontano, forse anche inconsapevolmente, nello stesso individuo – a dire la verità, una di esse ha preso già il sopravvento. La prima è la logica della lettura, “una parola dopo l’altra, una riga dopo l’altra”, che induce al ragionamento e alla meditazione riflessiva; presume uno sforzo mentale e avviene nel momento in cui ci si raccoglie in se stessi, per citare sant’Agostino, in quella cittadella interiore che non dovremmo permettere mai a nessuno di espugnare, nemmeno in mezzo al chiasso della vita moderna.

La logica della lettura è una logica difficile perché disinteressata, contemplativa, inutile. E invece “la cultura occidentale ha bisogno di uno scopo, di un profitto, di una giustificazione. È utilitaria fin nel midollo”. Non può aspettare, vuole tutto e subito. Soprattutto i giovani le sono diventati estranei, pochi di loro conservano ancora un libro sul comodino – leggere costa fatica – e così si affidano, o meglio, si consegnano a internet e alla comunicazione di massa “elettronicamente assistita”.

“Non si scrive” afferma Franco Ferrarotti nel suo ultimo libro, La parola e l’immagine (ed. Solfanelli, 2014), “si assembla. Non si compone. Si clicca”. Oggi la gente sarebbe munita di una “quantità di aggeggi elettronici che informano e comunicano tutto a tutto in tempo reale, e su tutto il pianeta, senza però che abbiano più niente di importante da dire”. Sembra una nuova formulazione del motto cartesiano: io comunico, dunque sono. Io chatto, dunque esisto. Se non sono connesso, non sono nessuno.

È il trionfo dell’audiovisivo, la logica che ha conquistato il predominio del nostro tempo. Si tratta di una logica rapida, che colpisce con l’immagine e certamente più facile della lettura perché viene offerta all’individuo che non deve sforzarsi di comprenderla; ma siccome l’immagine è preconfezionata, si tratta di “un’offerta avvelenata, danaica”, perché priva l’uomo della capacità di costruire la sua immagine, svuotandolo della capacità artistica e dunque creativa – poiesis, dal greco, vuol dire creazione.

Questa privazione della capacità immaginativa ha portato Ferrarotti a teorizzare un vero e proprio cambiamento antropologico nella società attuale: dall’homo sapiens socratico staremmo passando all’homo sentiens e all’homo televisivus, “una sorta di sedentario nomade” che può fare il giro del mondo cambiando canale e sintonizzandosi sui network dei paesi esteri, senza abbandonare mai la poltrona di casa. È il delirio del solipsismo, che porta a una realtà dove non conta più il vissuto, ma tutto si vive nella falsa speranza indotta dai mezzi di comunicazione.

Anche David Riesman, negli anni 50’, aveva teorizzato l’uomo etero-diretto, una sorta di manichino manovrato, stimolato e orientato dall’esterno. Il sociologo americano osservava l’emergere di un nuovo tipo di individuo che rinuncia a ragionare secondo le categorie logiche tradizionali e che vive nell’immediatezza dell’informazione offerta.

L’homo sentiens di Ferrarotti è invece ancora più pericoloso, perché è colui che ha perduto la capacità di concentrarsi, di fissare l’attenzione sulle cose. Il suo interesse si modifica nella stessa maniera in cui cambia canale. Non legge, o legge poco, perché “seguire dei segni neri pagina per pagina lo fa sentire in prigione e gli sembra scandaloso”. Ma il deficit più alto di questo nuovo tipo umano, alla ribalta nella società della tecnica, è l’indebolimento della memoria.

Cos’è un uomo senza memoria? La fiducia di avere tutta la conoscenza dentro dei giganteschi server, su queste enciclopedie elettroniche via web, è solo un’illusione. La cultura si costruisce giorno per giorno, con volontà e fatica, non si richiama da uno schermo con un click del mouse. Arriverà il giorno in cui saremo così assuefatti a cercare le notizie sulla rete che la nostra memoria sarà talmente indebolita, e forse dimenticheremo che internet e le enciclopedie elettroniche esistono, e quindi, ahimè, tutta la conoscenza.

La tanto bistrattata memoria era tuttavia per gli antichi la facoltà che più avvicinava gli uomini al dio. Secondo l’orfismo, l’antica religione greca misterica, l’uomo viveva nell’oblio di sé, ma poteva recuperare la sua antica natura ricordando ciò che era al principio di tutte le ere; la più stretta alleata in questo viaggio verso il ritorno, verso il superamento delle illusioni molteplici, era Mnemosyne appunto, la memoria.

Tornando al presente, oggi ci troviamo di fronte al tramonto della lettura. Se inchiostro e calamaio appartengono a un’era passata e riportano in mente certe atmosfere di film come Barry Lindon, anche il tempo delle “moderne” penne a sfera si sta compiendo, con la tecnologia touch screen ormai capillarmente diffusa. La vecchia penna degli scrittori è diventata un mezzo anacronistico, quasi una stranezza per chi è assuefatto ai moderni dispositivi elettronici.

Un tempo esistevano gli icònoclasti, che ripudiavano ogni forma di rappresentazione visiva, oggi invece siamo giunti alla società degli “iconoduli”, gli schiavi dell’immagine che hanno dimenticato il vero potere della parola: il suo significato. Nella società veloce, il pensiero involontario viene completamente bandito, estromesso dalla casa dell’uomo. Già Hedegger teorizzava, oltre mezzo secolo fa, il trionfo del pensiero calcolante, il pensiero che tutto misura e assimila alle logiche dell’utile, a dispetto del più contemplativo pensiero meditante.

La società iper-tecnologica è diventata dunque una società in cui la parola tace e l’immagine vince. Il nostro è il mondo delle tonnellate di foto sparse nei server elettronici o postate su face book, delle miriadi di figure che ci passano davanti in tv e nei cartelloni pubblicitari sparsi per le città; è la società delle figure spente, opache, al più visivamente policrome, che appaiono davanti ai nostri occhi e un attimo dopo scompaiono, lasciandosi dietro il nulla da cui sono state e-vocate.

Mario Sammarone (tratto da Prospettive)

Listener

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L’amore per la lettura

Non ho mai avuto tempo di leggere, eppure nulla, mai, ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva. La lettura non ha niente a che fare con l’organizzazione del tempo sociale. La lettura è, come l’amore, un modo di essere…”

Daniel Pennac

Porto via

Cerco nei libri la lettera, anche solo la frase che è stata scritta per me e che perciò sottolineo, ricopio, estraggo e porto via. Non mi basta che il libro sia avvincente, celebrato, né che sia un classico: se non sono anch’io un pezzo dell’idiota di Dostoevskij, la mia lettura è vana. Perché il libro, anche il sacro, appartiene a chi lo legge e non per il diritto ottenuto con l’acquisto. Perché ogni lettore pretende che in un rotolo di libro ci sia qualcosa scritto su di lui…

Erri de Luca

Libri

Tutti i libri del mondo
non ti danno la felicità,
però in segreto
ti rinviano a te stesso.
Lì c’è tutto ciò di cui hai bisogno,
sole stelle luna.
Perché la luce che cercavi
vive dentro di te.
La saggezza che hai cercato
a lungo in biblioteca
ora brilla in ogni foglio,
perché adesso è tua.

Hermann Hesse

Leggo…

Leggo lentamente. Una decina di pagine alla volta. Matita alla mano, sottolineo. Studio, incamero. Mi ricongiungo in ogni parola, le rendo parti di me perché, da sempre, “leggo per far l’Amore con l’Universo”, nel quale cerco disperatamente di specchiarmi, ritrovarmi, lanciarmi e sentirvi vivo.

Lettura

La lettura rende un uomo completo un uomo completo, la conversazione lo rende agile di spirito e la scrittura lo rende esatto.

Francis Bacon

Incoraggiamo Teresa a finirlo…

L’incipit per me segna il destino della lettura di un libro. E’ dall’incipit che nasce in me l’entusiasmo della lettura di un romanzo.
Caro Prof. riporto di seguito l’incipit di un romanzo che non ho mai finito di scrivere dal titolo – ancora non definitivo – “HO SALVATO NASSIRYA”.
Dopo averlo letto mi farebbe piacere sapere se dall’incipit lei avrebbe proseguito nella lettura o meno.
Un immenso abbraccio.

“Pioveva ormai da tre giorni. Come acqua di torrente in piena, l’aria si dissetava di quella pioggia e rimaneva sporca di terra; l’odore intenso di fango e l’umido vento gelido tenevano fermo il respiro nei polmoni che si gonfiavano e l’anima finiva per trasformarsi in una mongolfiera che intrappolata in una nuvola di tempesta non riusciva ad allontanarsi da quel pezzo di cielo senza Dio.
Rashid giocava con la pioggia e sotto la pioggia rideva; presto al mattino si lasciava scorrere sul viso macchiato, quelle salate lacrime di cielo; con quelle gocce dissetava il cuore; le ingoiava quelle gocce come pane, con le altre si bagnava i capelli crespi e folti. I suoi occhi erano scuri come la notte senza luna e senza stelle, ma abbagliava più del sole di Agosto la loro luce; anche quella via scura senza lampioni calpestata mille volte dai piedi scuri e curvi di Rashid si accendeva di vita al passar della sua voce, dei suoi sguardi e dei suoi sorrisi.”…

La scelta

Cari amici, cosa vi spinge nella scelta di un libro? Vi “guida” l’immagine della copertina? L’incipit? L’argomento? L’autore o il titolo? Quali sono le letture che vi hanno “folgorato”? Nei romanzi, ad esempio, quanto trovate determimante l’incipit? Io, spesso, è dopo la sua lettura che decido se proseguire o abbandonarlo.

Alcuni esempi…

IL PROCESSO
Qualcuno doveva aver calunniato Joseph K. perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato.

IL CASTELLO
Era tarda sera quando K. arrivò. Il paese era affondato nella neve. La collina non si vedeva, nebbia e tenebre la nascondevano, e non il più fioco raggio di luce indicava il grande Castello. K. si fermò a lungo sul ponte di legno che conduceva dalla strada maestra al villaggio, e guardò su nel vuoto apparente.

CENT’ANNI DI SOLITUDINE

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio

IL DESERTO DEI TARTARI

Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione.
Si fece svegliare ch’era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa da tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò allo specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c’era un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo.
Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita.