Nell’Interiorità di Anima – “Dolore”

Dolore (1)

Non si guarisce dai sintomi per tornare come prima, ma mediante il percorso nel dolore, che necessariamente implica un aspetto creativo e finalistico, ci si trasforma, si acquisisce uno sguardo più umano e profondo che consente di contenere la sofferenza e di scorgerne il valore.

Carla Stroppa, Così lontano, così vicino, in AA.VV., Anima – Per nascosti sentieri, Moretti e Vitali, 2001, pag. 44

Dolore (2)

“Tutta la vita è dolorosa.” Ed è proprio così. Se tentiamo di correggere il dolore, riusciremo solo a spostarlo altrove. La vita è dolorosa. Come si fa a convivere col dolore? Dobbiamo scoprire l’eterno dentro di noi. Disimpegnarci, ma anche tornare a impegnarci. Dobbiamo – e questa è una splendida formula – “prendere parte con gioia al dolore del mondo”.

Joseph Campbell, Riflessioni sull’arte di vivere, Guanda, 1998, pag. 105

Dolore (3)

Noi non riceviamo [dolori] più di quanto possiamo affrontare, anche se questo significa la morte. La guarigione non implica necessariamente rimanere in vita, ma avvicinarsi alla totalità, talvolta attraverso la morte, la guarigione finale. Qualunque cosa ci venga data appartiene al nostro destino e siamo in grado di prendercene cura.

Albert Kreinheder, Il corpo e l’anima, Moretti e Vitali, 2001, pag. 45

 

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Nell’Interiorità di Anima – “Daimon”

Il daimon è quell’entità intermedia tra il piano divino e umano, quel compagno “unico e tipico nostro” affidatoci, secondo il mito platonico di Er, prima della nascita. È ciò che chiamiamo “vocazione”, “chiamata”, “carattere”. È il portatore del nostro destino. Nel venire al mondo dimentichiamo tutto questo: è così che il daimon interviene per ricordarci il contenuto della nostra “immagine” e ricondurci ad essa.

Daimon (1)

In ultima analisi, ogni vita è la realizzazione di un tutto, cioè di un Sé, ragion per cui tale realizzazione può essere chiamata “individuazione”. Tutta la vita è legata a portatori individuali che la realizzano ed è semplicemente inconcepibile senza di loro. Ma il portatore è anche soggetto ad un destino ed una destinazione individuali ed è soltanto la realizzazione di questo che dà un senso alla vita.

Carl Gustav Jung, citato in Joseph Campbell, Riflessioni sull’arte di vivere, Guanda, 1998, pag. 60

Daimon (2)

Jalal ‘uddin Rumi, il più grande poeta del suo secolo, e forse di tutti i tempi, fu altrettanto chiaro riguardo alla necessità cogente del daimon: “C’è una sola cosa al mondo che non dovete mai dimenticarvi di fare. Se dimenticate tutto il resto, ma non questo, non c’è da preoccuparsi; se invece ricordate tutto ma dimenticate questo, allora non avete fatto niente nella vostra vita. “È come se un re vi avesse mandato in qualche paese a eseguire un compito, e voi faceste mille altri servizi, ma non quello che vi ha mandato a compiere. Dunque gli esseri umani vengono al mondo per realizzare una particolare opera. Quell’opera è lo scopo, ciascuno specifico per ogni persona. Se non la compi è come se una spada indiana di valore incalcolabile venisse usata per affettare carne putrefatta”.

Noel Cobb, Maestri per l’anima, Moretti e Vitali, 1999, pagg. 20-21

Daimones

Jung fu sommerso da “un flusso incessante di fantasie”, una “molteplicità di contenuti psichici e di immagini”. Per far fronte a questa tempesta di emozioni annotò queste fantasie e lasciò che le tempeste si trasponessero in immagini […] Le figure che Jung incontrò per prime e che lo convinsero della realtà della loro essenza psichica […] derivano dal mondo ellenistico e dalla sua fede nei demoni. (Daimon è l’espressione greca originaria per queste figure, che in seguito divennero demoni, a causa della visione cristiana, e demoni in contraddizione positiva con tale visione) […] Conosci te stesso alla maniera di Jung significa divenire familiari con i demoni, dischiudersi ad essi e ascoltarli, cioè conoscerli e distinguerli.

James Hillman, Le storie che curano. Freud, Jung, Adler, Raffaello Cortina Editore, 1984, pagg. 67-69

 

Anima mundi(2)

La meta della vita

è fare in modo che il battito del cuore

sia in sintonia col battito dell’universo,

perché la nostra natura sia accostata alla Natura.

Joseph Campbell

Amore e lussuria

Se ciò che chiamate amore è solo lussuria, quello è soltanto uno stato, che può estinguersi. L’amore, invece, non muore.

Joseph Campbell

Nuova mitologia

Una mitologia rivolta…non alla gloria dei “popoli”, ma tesa a risvegliare gli individui alla conoscenza di se stessi, non solo come tanti Io che lottano per il possesso di uno spazio sulla superficie di questo pianeta meraviglioso, ma anche come centri della Mente Globale, ognuno a suo modo d’accordo con tutti.

Joseph Campbell

Vero amore

Preserverò quest’amore contro Dio,
la dannazione eterna, contro tutto.
Questo è il vero amore.

Joseph Campbell

Liberiamoci della vita che abbiamo pianificato

Dobbiamo essere capaci di liberarci della vita che ci siamo pianificati, in modo da poter accedere alla vita che ci sta aspettando.

Joseph Campbell

Quale è la chiamata della tua vita?

“Le immagini mitologiche mettono in contatto la propria coscienza con l’inconscio. Ecco ciò che sono. Quando una persona non ha immagini mitologiche, o quando la coscienza le rifiuta, quale che sia la ragione, rinuncia ad essere in contatto con la parte più profonda di sé. In questo, ritengo, sta lo scopo del Mito nel quale ognuno vive. Si tratta di trovare il Mito nel quale viviamo, conoscerlo, in modo da dirigere la nostra esistenza con competenza.
Quale è la chiamata della tua vita lo sai?”

Joseph Campbell

L’eternità…

L’eternità non è il futuro, è adesso. Se non la trovi qui, non la raggiungerai mai.

Joseph Campbell

Compassione

…la principale virtù della donna è la compassione: l’assenza di ogni
isolamento egoistico, l’apertura e la partecipazione. Anche nel sesso, l’uomo è
aggressivo, mentre la donna si apre. L’apertura a quell’energia onnipresente
che è il fondamento di tutti noi  è la compassione. Riconoscere questo
sentimento spontaneo, abbracciarlo e manifestarlo nell’azione costituisce il
potere della donna.

Joseph Campbell

Compassione

La chiave per giungere al Graal è la compassione, soffrire con, sentire la sofferenza altrui come fosse la propria. Colui che scopre la forza propulsiva della compassione, ha trovato il Graal

Joseph Campbell

Nuova vita

La buia notte dell’anima
giunge prima della rivelazione.
Quando tutto è perduto
e tutto sembra tenebra
allora compare la nuova vita
recando tutto ciò che serve

Joseph Campbell

Spazio sacro

Il nostro spazio sacro è
là dove possiamo costantemente
ritrovare noi stessi

Joseph Campbell

Eternità

La mitologia ci aiuta ad identificare i misteri delle energie che scorroro dentro di te. Là sta la tua eternità

Joseph Cambell

Spazio sacro

Il nostro spazio sacro è
là dove possiamo costantemente
ritrovare noi stessi

Joseph Campbell

Filosofia della Luna

Amici, vi lascio Marina che attraverso molteplici sentieri percorre un ambito di Filosofia Ermetica.

Caro Signore dei Rimpianti,
non ridere di me…ma visto che non mi allacciano internet e che la maggior parte dei commenti che riesco a mandare a fatica non vengono poi pubblicati a causa del mal funzionamento della linea internet a cui fa capo la chiavetta…io oggi sono all’aperto, in macchina, su un’altura, sotto un ripetitore della Tim!
Eheheh…il carattere vuol dire molto nella vita! Cercherò di condensare i miei vissuti interiori dell’ultima settimana in questo commento.

Allora, riguardo ad Odin Wotan, oltre ai suoi due corvacci neri, Pensiero e Memoria, che sono rimasti appollaiati per lungo tempo davanti alla finestra della mia camera, dove all’epoca avevo cominciato a scrivere il libro, mi si presentò con l’immagine di uomo cosmico capace di sacrificare un occhio pur di attigere all’Antica Sapienza e con una indicazione ben precisa (naturalmente all’epoca non capii bene, poi col tempo…questa faccenda degli archetipi e dei miti va interiorizzata e soprattutto esperita per esserne coscienti alla luce delle sue ragioni):
“Word by word gave me word.”

Riguardo a Er, un giorno, all’esordio, aprii una pagina a caso di un libro:
“Lete, fiume dell’oblio, le cui acque avevano il potere di fare dimenticare l’esistenza passata alle anime avviate alla nuova nascita”. Era una semplice coincidenza? In molti l’avrebbero liquidata considerandola tale, non io, però, che leggendo lo stralcio di quel mitico racconto me ne sentii sfiorata, anzi, animata dall’istantanea intuizione, o forse la memoria, di come sia impossibile rintracciare il senso della propria esistenza se si resta fermi solo sul quotidiano e sul visibile…
Nella mia vita, dunque, sembrerebbe non esserci più posto per il cosiddetto caso…

…ed ecco apparire all’improvviso Psiche e il suo Cupido…e non è lui a cercare lei ma lei a cercare lui, pur se lui non vuole…ed ecco entrare in scena Venere che con l’intercessione di Saffo si pronuncia contro ogni aspettativa del mito, a favore dell’amor mortale che non permetterebbe a chi amato di non riamare a causa di invisibili intricatissime trame immortali!
Ahhhh questo fato!

“…e così per una serie di avvenimenti prodottisi in una sfera di cui egli era completamente inconscio, il destino del riluttante “amorino” si compì, senza la collaborazione della sua volontà conscia.” (Campbell)

Anche perché non bisogna dimenticare che l’arte del fuso è appannaggio delle divinità lunari! Queste donne…quando si mettono in testa una cosa fanno sempre un qualcosa di più…

Baaaci!

Nell’Interiorità di Anima — “Compassione”

Compassione (1)

“In primo luogo v’è un gran bisogno di parlare della compassione, che nel medico deve essere innata. Dove non c’è amore non c’è arte.” Medico e medicina “null’altro sono che grazia concessa da Dio ai bisognosi”. L’arte si ottiene “per opera dell’amore”. “Così il medico dev’essere dotato di compassione e amore non minori di quelli che Dio nutre nei confronti dell’uomo.” La compassione è un “precettore dei medici. Io sotto il Signore, il Signore sotto di me. Io sotto di Lui all’infuori del mio ufficio, ed Egli sotto di me all’infuori del Suo ufficio”. Dunque ciascuno è subordinato all’ufficio dell’altro, e in tale amore l’uno è subordinato all’altro.

Paracelso, citato in Carl Gustav Jung, Paracelso come medico, in Studi dell’alchimia, Bollati Boringhieri, 1988, pag. 141

  

Compassione (2)

La chiave per giungere al Graal è la compassione, soffrire con, sentire la sofferenza altrui come se fosse la propria. Colui che scopre la forza propulsiva della compassione ha trovato il Graal.

Joseph Campbell, Riflessioni sull’arte di vivere, Guanda, 1998, pag. 38

Nell’Interiorità di Anima — “Dolore”

Dolore (1)

Non si guarisce dai sintomi per tornare come prima, ma mediante il percorso nel dolore, che necessariamente implica un aspetto creativo e finalistico, ci si trasforma, si acquisisce uno sguardo più umano e profondo che consente di contenere la sofferenza e di scorgerne il valore.

Carla Stroppa, Così lontano, così vicino, in AA.VV., Anima – Per nascosti sentieri, Moretti e Vitali, 2001, pag. 44

Dolore (2)

“Tutta la vita è dolorosa.” Ed è proprio così. Se tentiamo di correggere il dolore, riusciremo solo a spostarlo altrove. La vita è dolorosa. Come si fa a convivere col dolore? Dobbiamo scoprire l’eterno dentro di noi. Disimpegnarci, ma anche tornare a impegnarci. Dobbiamo – e questa è una splendida formula – “prendere parte con gioia al dolore del mondo”.

Joseph Campbell, Riflessioni sull’arte di vivere, Guanda, 1998, pag. 105

Dolore (3)

Noi non riceviamo [dolori] più di quanto possiamo affrontare, anche se questo significa la morte. La guarigione non implica necessariamente rimanere in vita, ma avvicinarsi alla totalità, talvolta attraverso la morte, la guarigione finale. Qualunque cosa ci venga data appartiene al nostro destino e siamo in grado di prendercene cura.

Albert Kreinheder, Il corpo e l’anima, Moretti e Vitali, 2001, pag. 45

Nell’Interiorità di Anima — “Desiderio”…

Desiderio

Devo dire che mi piace questa etimologia della parola “desiderio”, in latino desiderium, un’etimologia forse discutibile, forse incontrollata, che dice che il desiderio, desiderium, sarebbe per l’appunto un modo di non essere più siderati, folgorati, di uscire dalla “siderazione”. Il desiderio sarebbe una de-siderazione: desiderium, da de-siderari. L’inconscio, effettivamente, o piuttosto il rapporto con l’inconscio, può essere folgorante, paralizzante e senza divenire. Ma può anche aprire all’esperienza di un mondo attivo, autonomo, animato…

Christian Gaillard, Malinconia e prospettive, in AA.VV., Anima – Per nascosti sentieri, Moretti e Vitali, 2001, pag. 22

Destino (1)

Dobbiamo andare oltre l’Io, nelle profondità dell’inconscio, perché è lì che si trova l’anima e, se questa è malata, deve essere purificata. Ammettiamo che riusciamo a sintonizzarci col dramma che si svolge nel profondo e vi scopriamo che le trame sono veramente orribili. È concesso cambiare trama? In altre parole possiamo cambiare il nostro destino? La risposta non può essere univoca. Certamente il destino è immutabile, come non si può alterare il cammino dei pianeti nella loro orbita, ma possiamo cambiare noi stessi in modo da favorire la sua realizzazione, invece di contrastarla. La tensione, le nevrosi, le malattie si sviluppano proprio perché ci si oppone alla propria sorte. Smetti di contrastare la sua trama ma piuttosto prendine parte, abbelliscila, rendila manifesta nel comportamento quotidiano: diventa attore del dramma, aggiungici qualche nuovo ingrediente e tutto comincia a cambiare.

Albert Kreinheder, Il corpo e l’anima, Moretti e Vitali, 2001, pag. 104

Destino (2)

Ecco, quindi, cos’è il destino: semplicemente il realizzarsi delle potenzialità insite nelle energie del nostro stesso sistema. Le energie sono impegnate in un certo modo ed è quell’impegno a venire verso di noi.

Joseph Campbell, Riflessioni sull’arte di vivere, Guanda, 1998, pag. 19

Dimenticare

Quando dimentichiamo qualcosa, si tratta di oblio o di assorbimento? – si domandava Emily Dickinson. Quando un nuovo pensiero, un sentimento, un concetto ci si presenta, noi non possiamo dimenticarcene o ignorarlo. E quando lo abbiamo lasciato entrare, o abbiamo accettato di vivere in sua compagnia, può darsi che quello non voglia essere una preoccupazione. Sarà dimenticato, ma non esiliato nell’oblio: sarà assorbito nell’essere.

Thomas Moore,  Nel chiostro del mondo, Moretti e Vitali, 1996, pag. 52

Nell’Interiorità di Anima — “Daimon”

Il daimon è quell’entità intermedia tra il piano divino e umano, quel compagno “unico e tipico nostro” affidatoci, secondo il mito platonico di Er, prima della nascita. È ciò che chiamiamo “vocazione”, “chiamata”, “carattere”. È il portatore del nostro destino. Nel venire al mondo dimentichiamo tutto questo: è così che il daimon interviene per ricordarci il contenuto della nostra “immagine” e ricondurci ad essa.

Daimon (1)

In ultima analisi, ogni vita è la realizzazione di un tutto, cioè di un Sé, ragion per cui tale realizzazione può essere chiamata “individuazione”. Tutta la vita è legata a portatori individuali che la realizzano ed è semplicemente inconcepibile senza di loro. Ma il portatore è anche soggetto ad un destino ed una destinazione individuali ed è soltanto la realizzazione di questo che dà un senso alla vita.

Carl Gustav Jung, citato in Joseph Campbell, Riflessioni sull’arte di vivere, Guanda, 1998, pag. 60

Daimon (2)

Jalal ‘uddin Rumi, il più grande poeta del suo secolo, e forse di tutti i tempi, fu altrettanto chiaro riguardo alla necessità cogente del daimon: “C’è una sola cosa al mondo che non dovete mai dimenticarvi di fare. Se dimenticate tutto il resto, ma non questo, non c’è da preoccuparsi; se invece ricordate tutto ma dimenticate questo, allora non avete fatto niente nella vostra vita. “È come se un re vi avesse mandato in qualche paese a eseguire un compito, e voi faceste mille altri servizi, ma non quello che vi ha mandato a compiere. Dunque gli esseri umani vengono al mondo per realizzare una particolare opera. Quell’opera è lo scopo, ciascuno specifico per ogni persona. Se non la compi è come se una spada indiana di valore incalcolabile venisse usata per affettare carne putrefatta”.

Noel Cobb, Maestri per l’anima, Moretti e Vitali, 1999, pagg. 20-21

Daimones

Jung fu sommerso da “un flusso incessante di fantasie”, una “molteplicità di contenuti psichici e di immagini”. Per far fronte a questa tempesta di emozioni annotò queste fantasie e lasciò che le tempeste si trasponessero in immagini […] Le figure che Jung incontrò per prime e che lo convinsero della realtà della loro essenza psichica […] derivano dal mondo ellenistico e dalla sua fede nei demoni. (Daimon è l’espressione greca originaria per queste figure, che in seguito divennero demoni, a causa della visione cristiana, e demoni in contraddizione positiva con tale visione) […] Conosci te stesso alla maniera di Jung significa divenire familiari con i demoni, dischiudersi ad essi e ascoltarli, cioè conoscerli e distinguerli.

James Hillman, Le storie che curano. Freud, Jung, Adler, Raffaello Cortina Editore, 1984, pagg. 67-69