Posted on 18 aprile, 2014 by Gabriele La Porta
“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito”.
“Cent’anni di solitudine”
“Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati. Il dottor Juvenal Urbino lo sentì non appena entrato nella casa ancora in penombra, dove si era recato d’urgenza a occuparsi di un caso che per lui aveva smesso di essere urgente già da molti anni”.
“L’amore ai tempi del colera”

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Posted on 21 Maggio, 2010 by Gabriele La Porta
L’incipit per me segna il destino della lettura di un libro. E’ dall’incipit che nasce in me l’entusiasmo della lettura di un romanzo.
Caro Prof. riporto di seguito l’incipit di un romanzo che non ho mai finito di scrivere dal titolo – ancora non definitivo – “HO SALVATO NASSIRYA”.
Dopo averlo letto mi farebbe piacere sapere se dall’incipit lei avrebbe proseguito nella lettura o meno.
Un immenso abbraccio.
“Pioveva ormai da tre giorni. Come acqua di torrente in piena, l’aria si dissetava di quella pioggia e rimaneva sporca di terra; l’odore intenso di fango e l’umido vento gelido tenevano fermo il respiro nei polmoni che si gonfiavano e l’anima finiva per trasformarsi in una mongolfiera che intrappolata in una nuvola di tempesta non riusciva ad allontanarsi da quel pezzo di cielo senza Dio.
Rashid giocava con la pioggia e sotto la pioggia rideva; presto al mattino si lasciava scorrere sul viso macchiato, quelle salate lacrime di cielo; con quelle gocce dissetava il cuore; le ingoiava quelle gocce come pane, con le altre si bagnava i capelli crespi e folti. I suoi occhi erano scuri come la notte senza luna e senza stelle, ma abbagliava più del sole di Agosto la loro luce; anche quella via scura senza lampioni calpestata mille volte dai piedi scuri e curvi di Rashid si accendeva di vita al passar della sua voce, dei suoi sguardi e dei suoi sorrisi.”…
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