Gabriele La Porta Questo Blog è l'unico ufficialmente riconosciuto dal Prof. Gabriele La Porta, filosofo, conduttore radiotelevisivo, già direttore di Rai 2 e RaiNotte.
Ognuno di noi ha almeno una storia segreta da raccontare, un episodio straordinario che lo ha indotto a riflettere sulla vita e sul destino. Questo libro raccoglie alcune di queste vicende: sogni premonitori, defunti che suggeriscono comportamenti e azioni decisive, coincidenze inspiegabili che mutano il corso di una vita. Ciò che accomuna queste storie è l’elemento miracoloso, soprannaturale, il palesarsi di una soluzione positiva in situazioni che sembrano senza via d’uscita. Quale significato dobbiamo attribuire alle cosiddette coincidenze?
Con disegni di Donatella Scatena
Troppe volte Bruno sembra vivere ineluttabilmente con la scardinante dedica dell’Oscuro "ai vaganti di notte, ai maghi, ai posseduti da Dioniso, alle menadi, agli iniziati" (Eraclito 14, A 59, trad. Giorgio Colli). Un empito dionisiaco avviluppante il Dio in una danza a spirale che sfonda secoli inutilmente pesanti solo per gli umani. Perché la forza del Nolano è racchiusa in un perenne vaticinio donativo. Circolarità senza fine, Sphairos consustanziale con Afrodite iperuranica. Per questo è contemporaneo di Hermes, il donatore agli umani, e quindi con Spalle Larghe (Platone), Porfirio e Giamblico lo scrutatore degli Egizi e poi a Giuliano l’Apostata e "all’altro" Giuliano il Kremmerz degli anni nostri...
"Il bello è scoprire che tutto ciò che non abbiamo fatto in tempo ad imparare non è affatto perduto" - il Tempo
"Dedicato ai nostalgici di Sophia, ai profeti dell'incontro tra la magia di Hermes e l'analisi del profondo di Jung. Contro lo strapotere dello scientismo e l'abuso della tecnica" - Libero
Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti.
ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
La mia poesia è alacre come il fuoco
trascorre tra le mie dita come un rosario
Non prego perché sono un poeta della sventura
che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninnanànna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera
del passato cordoglio che non vede la luce.
Quando sarai vecchia e grigia e pieno di sonno
avrai il capo
A tentennare presso il fuoco, togli questo
libro,
Leggilo con cura, e sogna il tenero sguardo
Che i tuoi occhi ebbero una volta, sogna anche
le loro ombre fonde;
E come tanti amarono i tuoi momenti di grazia
felice
E amarono la tua bellezza con falso o vero
amore;
Ma uno solo amò in te la tua anima errante
E amò le pene del tuo mutevole
volto;
E curva sui ceppi che rimandano il loro
bagliore,
Mormora pure, un po’ triste, come Amore
si volse in fuga,
E oltrepassò i monti
E nascose il suo volto in una miriade di stelle.
Se leggo un libro che mi gela tutta, così che nessun fuoco possa scaldarmi, so che è poesia.
Se mi sento fisicamente come se mi scoperchiassero la testa, so che quella è poesia.
È l’unico modo che ho di conoscerla.
Ce ne sono altri?
Un chiaro fuoco m’abita e vedo freddamente
la violenta vita, illuminata tutta…
io non posso più amare oramai che dormendo
i suoi graziosi atti mescolati di luce.
I giorni miei, la notte, mi riportano sguardi
dopo i primi momenti di un infelice sonno,
quando sparsa nel buio è la sventura stessa,
tornano a farmi vivere, mi danno ancora occhi.
Se erompe quella gioia, un’eco che mi sveglia
ributta solo un morto, alla mia riva di carne.
E al mio orecchio sospende, il mio riso straniero
come alla vuota conchiglia un sussurro di mare,
il dubbio – sul bordo di un’estrema meraviglia,
se io sono, se fui; se dormo oppure veglio…
Amico è una questione fra me e te
Sgranare la luce dal duro giorno
I piedi si sollevano lievi da terra
Significa che sei da qualche parte vicino
Il mio corpo indovina la tua presenza
Nessuno ha accesso al nostro consentire
C’è in noi un silenzio inimmaginabile
Come se tutti intorno camminassero in punta di piedi
Non si tratta di comprendere ma di sentire
Immagina una pietra che parla ascolta sente
Immagina una roccia che ama ed odia
Immagina il nostro incontro
I nostri presentimenti sono identici come se ci toccassimo [coi pensieri
Amico ogni volta ti conquisto
Cerco trovo perdo
Scoprendo che l’amore è altro di più che la vicinanza
Senza badare all’ora ed alle circostanze ti vengo incontro
Nelle mani filtra la sabbia da sotto i tuoi piedi
E’ il tempo che ci persuase
Ora già sappiamo che faremo in tempo
La nostra lotta era potente come l’eco di un cielo furente
Abbiamo conquistato più di quello che può sentire un [corpo
Le ferite sono solo il ricordo di ciò che ci ha resi simili
Proprio come se puntassimo allo stesso obiettivo
Riconoscendo non desideremo il riconoscibile
Sentendo non saremo adempimento del sensibile
Amico chi sono i nostri cuori?
Gli antri ghiacciati dove nascondemmo la brace dei nostri [nomi
Innevati e irraggiungibili come le cime di monti coperte [di nubi
Nel cosmo sono appena il punto più chiaro di tutte le stelle
Impercettibile reciprocità terribile e meravigliosa
L’infanzia attraverso la quale ci accorgemmo di noi
L’infanzia che ci insegnò a riconoscere le proprie tracce
Quando da noi cadrà il velo delicato riveleremo i nostri [volti
Uno di noi avrà le ali
Uno di noi avrà i piedi nudi
Ci doneremo la galassia che protegge
Ci doneremo le stagioni che alleviano il peso del [conosciuto
Amico se sei albero so il profumo delle tue foglie
Se sei pioggia assaporo il gusto di ogni goccia
Se sei uccello apro le ali
Se sei fuoco ti nutro con la fiamma
Se sei vento aspetto che in me sbricioli la pietra
Se sei uomo taccio.
Lei è come acqua che scivola dentro di me per tenermi in vita, il fuoco che riscalda le freddi pareti della mia esistenza, è così forte la sua presenza che quando sto con lei il tempo si ferma, non ti accorgi di quello che ti accade intorno, il suono delle sue parole nascondono il mondo, credo che se lei volasse via da me, io potrei morire e diventare aria, per poterla seguire ovunque lei vada!
Il Tempo chiamò dalla torre
lontana. . . Che strepito! È un treno,
là, se non è il fiume che corre.
O notte! Nè prima io l’udiva,
lo strepito rapido, il pieno
fragore di treno che arriva;
sì, quando la voce straniera,
di bronzo, me chiese; sì, quando
mi venne a trovare ov’io era,
squillando squillando
nell’oscurità.
Il treno s’appressa. . . Già sento
la querula tromba che geme,
là, se non è l’urlo del vento.
E il treno rintrona rimbomba,
rimbomba rintrona, ed insieme
risuona una querula tromba.
E un’altra, ed un’altra— Non essa
m’annunzia che giunge?—io domando.
—Quest’altra! – Ed il treno s’appressa
tremando tremando
nell’oscurità.
Sei tu che ritorni. Tra poco
ritorni, tu, piccola dama,
sul mostro dagli occhi di fuoco.
Hai freddo? paura? C’è un tetto,
c’è un cuore, c’è il cuore che t’ama
qui! Riameremo. T’aspetto.
Già il treno rallenta, trabalza,
sta. . . Mia giovinezza, t’attendo!
Già l’ultimo squillo s’inalza
gemendo gemendo
nell’oscurità . . .
E il Tempo lassù dalla torre
mi grida ch’è giorno. Risento
la tromba e la romba che corre.
Il giorno è coperto di brume.
Quel flebile suono è del vento,
quel labile tuono è del fiume.
È il fiume ed è il vento, so bene,
che vengono vengono, intendo,
così come all’anima viene,
piangendo piangendo,
ciò che se ne va.
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
L’immaginazione è come il sole la cui luce non è tangibile ma che può incendiare la casa. L’immaginazione guida la vita dell’uomo. Se pensa al fuoco si sente nel fuoco, se pensa alla guerra farà la guerra. Tutto dipende soltanto dal desiderio dell’uomo di essere sole, cioé di essere totalmente ciò che vuole essere.
L’amore è un fumo che sorge dalla nebbia dei sospiri; se lo purifichi è un fuoco che sfavilla negli occhi degli amanti; se lo agiti è un mare ingrossato dalle loro lagrime. E che altro può essere? Una pazzia discreta, un’amarezza che soffoca e una dolcezza che alla fine ti salva.
“Tògli quella maschera d’oro ardente
Con gli occhi di smeraldo”.
“Oh no, mio caro, tu vuoi permetterti
Di scoprire se i cuori sian selvaggi o saggi,
Benché non freddi”.
“Volevo solo scoprire quel che c’è da scoprire,
Amore o inganno”.
“Fu la maschera ad attrarre tua mente
E poi a farti battere il cuore,
Non quel che c’è dietro”.
“Ma io debbo indagare per sapere
Se tu mi sia nemica”.
Oh no, mio caro, lascia andar tutto questo;
Che importa, purché ci sia fuoco
In te, in me?”
Un notte le farfalle si riunirono
in assemblea, volevano conoscere
che cosa fosse una candela. E dissero:
“Chi andrà a cercar notizie su di essa?”
La prima andò a volare intorno a un castello
e da lontano, dall’esterno vide
una luce che brillava. Tornò
e con parole dotte la descrisse.
Ma una saggia farfalla – presiedeva
lei l’assemblea – le disse:
“Tu nulla sai”.
Ed un’altra partì, si avvicinò
arrivò sino a urtare nella cera.
Nei raggi della fiamma fece svoli.
Tornò, raccontò quello che sapeva.
Ma la farfalla saggia disse: “Tu,
tu nulla più della prima hai conosciuto”.
Un terza si mosse infine, ed ebbra entrò
battendo le ali forte nella fiamma
tese il corpo alla fiamma, l’abbracciò
in essa si perdette piena di gioia
avvolta tutta nel fuoco, di porpora
divennero le sue membra, tutte fuoco.
E quando di lontano la farfalla
saggia la vide divenuta una
cosa sola con la candela, e tutta luce
disse: “Lei sola ha toccato la meta, lei sola sa”.
Chi più di sé è dimentico
quello tra tutti sa.
Finché non oblierai
il tuo corpo, la tua anima,
che cosa mai saprai
dell’Amata?
Prima che il tempo iniziasse io bruciai e divenni cenere,
Mi tuffai nel fuoco e divenni una rosa,
Con nostalgia chiamai il Suo Nome e divenni un cuore,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.
Strappa il velo da me, lasciami nudo,
Lasciami volare sulle ali dell’amore,
Lasciami scorgere la Sua bellezza ancora una volta,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.
Ho abbandonato desiderio, onore, modestia,
Ho lasciato dietro di me una vuota ricchezza,
A che servo io per gli amici o gli stranieri?
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.
Sono venuto a conoscere il mio segreto, che è sempre dentro,
All’interno di questo corpo c’è Conoscenza e Verità,
Tutti gli amanti desiderano ciò che è in Te,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.
O Ashki, sorgi, svegliati dalla dimenticanza!
Lasciamoli dire voi siete pazzi quando ascoltano le nostre invocazioni,
Arresi all’Amore e raggiunta l’unione,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.
Prima che il tempo iniziasse io bruciai e divenni cenere,
Mi tuffai nel fuoco e divenni una rosa,
Con nostalgia chiamai il Suo Nome e divenni un cuore,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.
Strappa il velo da me, lasciami nudo,
Lasciami volare sulle ali dell’amore,
Lasciami scorgere la Sua bellezza ancora una volta,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.
Ho abbandonato desiderio, onore, modestia,
Ho lasciato dietro di me una vuota ricchezza,
A che servo io per gli amici o gli stranieri?
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.
Sono venuto a conoscere il mio segreto, che è sempre dentro,
All’interno di questo corpo c’è Conoscenza e Verità,
Tutti gli amanti desiderano ciò che è in Te,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.
O Ashki, sorgi, svegliati dalla dimenticanza!
Lasciamoli dire voi siete pazzi quando ascoltano le nostre invocazioni,
Arresi all’Amore e raggiunta l’unione,
Sono venuto per bruciare nell’arena dell’Amore,
Sono venuto per invocare Hu e tornare a Dio.
Sete di te m’incalza nelle notti affamate.
Tremula mano rossa che si leva fino alla tua vita.
Ebbra di sete, pazza di sete, sete di selva riarsa.
Sete di metallo ardente, sete di radici avide.
Verso dove, nelle sere in cui i tuoi occhi non vadano
in viaggio verso i miei occhi, attendendoti allora.
Sei piena di tutte le ombre che mi spiano.
Mi segui come gli astri seguono la notte.
Mia madre mi partorì pieno di domande sottili.
Tu a tutte rispondi. Sei piena di voci.
Ancora bianca che cadi sul mare che attraversiamo.
Solco per il torbido seme del mio nome.
Esista una terra mia che non copra la tua orma.
Senza i tuoi occhi erranti, nella notte, verso dove.
Per questo sei la sete e ciò che deve saziarla.
Come poter non amarti se per questo devo amarti.
Se questo è il legame come poterlo tagliare, come.
Come, se persino le mie ossa hanno sete delle tue ossa.
Sete di te, sete di te, ghirlanda arroce e dolce.
Sete di te, che nelle notti mi morde come un cane.
Gli occhi hanno sete, perchè esistono i tuoi occhi.
La bocca ha sete, perchè esistono i tuoi baci.
L’anima è accesa di queste braccia che ti amano.
Il corpo, incendio vivo che brucerà il tuo corpo.
Di sete. Sete infinita. Sete che cerca la tua sete.
E in essa si distrugge come l’acqua nel fuoco.
“Tògli quella maschera d’oro ardente
Con gli occhi di smeraldo”.
“Oh no, mio caro, tu vuoi permetterti
Di scoprire se i cuori sian selvaggi o saggi,
Benché non freddi”.
“Volevo solo scoprire quel che c’è da scoprire,
Amore o inganno”.
“Fu la maschera ad attrarre tua mente
E poi a farti battere il cuore,
Non quel che c’è dietro”.
“Ma io debbo indagare per sapere
Se tu mi sia nemica”.
Oh no, mio caro, lascia andar tutto questo;
Che importa, purché ci sia fuoco
In te, in me?
NOTTI D’INFERNO
Nel torbido letto della notte,
nel suo silenzio, di mille voci
che del buio,
fan musa ispiratrice,
l’anima, si contorce
come serpente
in preda al fuoco.
Ti cerco, o altra metà
per trovar pace.
Come, refrigerio di notti
infernali.
Carissime e issimi, Marina è in gran forma. Leggete e collegatevi a quelli che voi “IMMAGINATE” essere i vostri antenati in Anima.
Caro Gabriele,
già da qualche giorno le parole: Gioia, Enjoy, Abbondanza, mi colpivano attirando la mia attenzione…poi, ieri, ho preso il tuo Dizionario dell’Inconscio e della Magia e si è aperto a caso sulla definizione 470:GIOIA.
Leggere il significato ermetico di quella parola è stato come codificare una serie di immagini che, nel corso degli ultimi mesi, strada arrancando, m’avevano colpito: Inferno, Fuoco, Viaggio, Biografia, Storia, Cenere, Disperazione, Dolore, Purificazione, The Waste Land, Abrosia, Luogo Futuro, Intenzioni e Desideri, Volontà, SPIRITO SANTO.
Ho letto e riletto la definizione. Ne ho fatto un post sul mio blog. Ho pianto. Anche adesso.
In fondo, è proprio andata così: word by word gave me word, tanto che oggi le parole per me non hanno più lo stesso significato di una volta; chiudo gli occhi per immaginare dentro di me cosa siano le parole e vedo, incredibile!, io vedo degli spermatozoi.
Riguardo a Wotan, io sono bionda, gran parte della mia famiglia è siciliana (normanni), mia nonna è di origine austriaca: chi se non lui poteva venirmi in aiuto nella terra degli antenati?
Baci.
Ho bisogno di un amante che,
ogni qual volta si levi,
produca finimondi di fuoco
da ogni parte del mondo!
Voglio un cuore come inferno
che soffochi il fuoco d’inferno
sconvolga duecento mari
e non rifugga dall’onde!
Un Amante che avvolga
i cieli come lini attorno alla mano
e appenda, come lampadario,
il Cero dell’Eternità…
Sempre più considero questo luogo un TEMENOS, un RECINTO SACRO, un tempio d’accoglienza dove le energie al bene possono essere un efficace rimedio alla crudeltà sotto il segno del FUOCO.
Un pensiero lenitivo, da parte nostra, verso quel signore indiano arso da alcune maschere crudeli.
Hestia è, nella mitologia greca, la personificazione divina del “focolare”, in special modo del fuoco domestico (come centro cosmico) e del fuoco sacro degli altari preposti ai sacrifici. Figlia di Crono e di Rea, sorella di Zeus, è la dea della purezza e della verginità, della santità e della stabilità della famiglia. Nel mondo latino sarà venerata col nome di Vesta.
Hestia Tamia
Per essere Hestia bisogna imparare a dire di no, dare a ciascuno la sua giusta misura e non di più, imparare a individuare coloro che non ne hanno mai abbastanza e controllare la loro voracità, perché la persona che non ha il coraggio di rifiutare non potrà impedire che vengano dilapidati i beni. Questo si applica alla vita domestica, ma ancor di più alla vita organizzativa, perché l’identificazione con l’organizzazione è generalmente meno forte dell’identificazione con la famiglia e il pericolo dello spreco è maggiore. Che si tratti di una segretaria che controlla i conti in uscita e l’inventario del materiale, di un impiegato che prende a cuore la conservazione degli attrezzi e dei veicoli o di un caporeparto che sorveglia da vicino gli interessi della “sua” compagnia, hanno tutti in comune il fatto di dover esercitare la vigilanza sul posto, al centro, nel cuore dell’organizzazione. Devono possedere uno spirito poco litigioso ma giusto e mantenere una certa severità, pur non guastando il clima di calore e di simpatia che permette di identificarsi con la propria impresa invece di contrapporvisi. La figura di Hestia spesso è incompatibile con quella del padrone, perché in genere questa funzione è dominata dalla figura di Zeus. Spesso è preferibile che una persona meno identificata con le politiche organizzative abbia l’incarico di farle rispettare. Sfortunatamente, le qualità specifiche alla Hestia non sono abbastanza riconosciute coscientemente né “ufficialmente”, sicché le persone che le sviluppano non sono ricompensate e remunerate di conseguenza. È l’organizzazione che ci perde.
Ginette Paris, La grazia pagana, Moretti e Vitalli, 2002, pagg. 124-125