Qui vive il serpente, l’incorporeo.
D’aria è la testa. Sotto la punta a notte
Occhi s’aprono e ci fissano in ogni cielo.
O è un altro dimenio da dentro l’uovo,
Un’altra immagine in fondo alla caverna,
un altro incorporeo dopo che il corpo s’è spogliato?
Qui vive il serpente. Questo il nido,
I campi, le colline, le distanze sfumate,
E i pini sopra e lungo e accanto al mare.
Questa è la forma che s’ingozza avida d’informe,
Pelle che lampeggia su bramate sparizioni
E il corpo del serpente che lampeggia senza pelle.
Questa è l’altezza che monta e la sua base,
Queste luci alla fine forse giungeranno a un polo,
Nel bel mezzo della notte, per trovare lì il serpente,
In un altro nido, il signore del labirinto
Di corpo e d’aria e forme e immagini,
implacabile nel possesso della felicità.
Questo è il suo veleno: che anche a questo
Non credessimo. Le sue meditazioni tra le felci,
quando si muoveva appena per assicurarsi del sole,
Ci fecero di lui non più sicuri. Vedevamo nella testa,
Perla nera contro la roccia, l’animale screziato,
L’erba mossa, l’indiano nella prateria.
Wallace Stevens (Aurore d’autunno, Adelphi)
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