Affonda le sue radici nella meditazione orientale, ma non ha niente a che vedere con la religione. Non è una psicoterapia né una tecnica di rilassamento, anzi stimola la concentrazione e la percezione di ciò che accade nel presente. La sua diffusione nel mondo occidentale si deve a Jon Kabat-Zinn, medico statunitense e che ha sdoganato questo metodo partendo dal sistema sanitario pubblico prima americano quindi inglese. Il termine è difficilmente traducibile in italiano (quello che gli si avvicina di più è ‘consapevolezza’), una tecnica che sta trovando applicazione in diversi settori: luoghi di lavoro, promozione della salute, vita di relazione, carceri, scuola, vita privata. Una filosofia di vita, una dimensione spirituale laica.
Il concetto di Mindfulness deriva dagli insegnamenti del Buddismo (Meditazione Vipassana), dello Zen e dalle pratiche di meditazione Yoga, ma solo nel corso degli ultimi due decenni questo modello è stato utilizzato come paradigma autonomo in alcune discipline psicoterapeutiche occidentali, in particolare in quella cognitivo-comportamentale che se ne avvale con approccio integrato. La meditazione e delle prospettive basate sulla Mindfulness, in setting individuali o di gruppo, ambulatoriali o in pazienti ospedalizzati, trovano applicazioni cliniche nella prevenzione e la cura di problemi legati allo stress e alle malattie psicosomatiche, nei disturbi d’ansia, nel disturbo ossessivo-compulsivo, la depressione cronica, l’abuso di sostanze, i disturbi alimentari, le tendenze suicidarie e il disturbo borderline, i deliri psicotici, come pure nel caso di disturbi di tipo medico (oncologia, psoriasi, dolore cronico) permettendo lo sviluppo di protocolli e modelli terapeutici validati di provata efficacia tra i quali la Mindfulness-Based Stress Reduction, la Mindfulness-Based Cognitive Therapy, la Dialectical Behaviour Therapy, l’Acceptance and Commitment Therapy e la Compassion Focused Therapy.
La Mbsr (Mindfulness based stress reduction) ad esempio è volta a ridurre l’impatto dello stress quotidiano tramite la pratica della consapevolezza. Si parte riattivando la capacità di mettersi in ascolto, non di qualcuno o qualcosa, ma di se stessi e del proprio corpo, delle sensazioni che ci manda, gradevoli o sgradevoli, imponenti o insignificanti: caldo, freddo, prurito, pressione. E se la mente si distrae, perdendosi in pensieri, ricordi o progetti, con pazienza la si riporta sulla parte del corpo che si sta “ascoltando”. Poi si passa all’osservazione del respiro. Si passa poi ad esplorare altri gesti quotidiani e “scontati”, come camminare, mangiare o guidare la macchina, attività che solitamente svolgiamo automaticamente. Infine si passa al pensiero, all’ascolto consapevole del suo flusso incessante, e a tutte le sensazioni che arrivano dall’esterno.
In Gran Bretagna è nato un gruppo interparlamentare a supporto di questa disciplina. Quando qualche anno fa ero Primario Psichiatra al Royal Free Hospital di Londra (quindi nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale) offrivo le sedute di mindfulness come opzione terapeutica accessoria abituale nei casi indicati, con ottimi risultati. La medicina ufficiale italiana, con un po’ di ritardo, come sovente accade, ne sta oggi lentamente riconoscendo l’efficacia ed utilità.
Massimo Lanzaro
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