Giuliano Giuggioli

Grande artista contemporaneo

GIULIANO GIUGGIOLI
di Vittorio Sgarbi

L’arte di Giuliano Giuggioli riveste interesse in quanto le sue immagini scaturiscono da una cultura interiorizzata ricollegabile all’iconografia surrealista, da cui tuttavia egli si differenzia per un atteggiamento più romantico e letterario, abbastanza prossimo alle elaborazioni visive di Max Ernst.
La sua operatività febbrile lo rende infatti alieno dagli automatismi, scegliendo piuttosto la riaffermazione visiva di una mitologia rivelatrice non solo delle profondità dell’inconscio, ma anche della persistenza della memoria della letteratura classica, così come è percepita nelle prime letture fatte da ragazzo.

Se questi dati contribuiscono alle premesse creative di un esercizio quasi concettuale della fantasia, dal punto di vista stilistico Giuggioli imprime ai suoi lavori una corposità sensuosa, neobarocca, evocativa di un’ arcaicità fuori della storia, che si attua in assunti scenografici proposti visivamente come una concreta esperienza di viaggio nel tempo e nello spazio. I suoi lavori sono quanto mai avvincenti , in quanto propongono una situazione antinaturalistica, che ricorda molto da vicino quello che teorizzava Alberto Savinio, per il quale la cosa dipinta va tenuta lontana dai pericoli della natura. Nel senso proprio di questo ammonimento antidogmatico, Giuggioli ama evidenziare una sorta di quella divina incertezza che si situa ben al di là dell’irrazionalismo, e che spinge l’impaginazione dei suoi paesaggi mentali nel territorio di una costante verifica e messa in discussione dei loro stessi valori narrativi.

Il percorso pittorico di questo artista si sviluppa negli ambiti eterogenei di una formazione culturale che attiene anche all’interpretazione onirica di una vissuto archetipico. Facendosi coscientemente coinvolgere da una realtà fantasticata, egli opera una mediazione visiva per ottenere una rappresentazione quasi sacrale, dove la sua esplorazione nel mito si riveste di una dimensione archeologica, ovvero del senso di una riscoperta oggettiva. Ma le sue ricognizioni sono comunque serene a causa del gioco mentale che le guida, e si mantengono sul filo di un’ironia sottile e di un distaccato senso dell’assurdo, come nel caso de La casa dei gemelli, o come nell’opera magicamente sospesa de La notte prima dell’inaugurazione. Giocando sui simboli dell’inconscio in Archeologia industriale, o in Preparativi per la partenza, Giuggioli mostra tutta la sua attenzione agli aspetti più scenografici della raffigurazione, che comunque riferisce dei suoi stessi viaggi interiori, riportati su un territorio famigliare. Sono quindi evocati i particolari di una città o di un interno, che sostanziano una visione metafisica, o che alludono a un evento del tutto insolito. Quando ad esempio la sua cultura lo riporta nell’antichità romana, e quindi a paesaggi come Il Restauro, avviene una ricostruzione ludica della nobile architettura, fatte con i legnetti colorati dai bambini e giocata sui contrasti cromatici. Il nucleo della ricerca espressiva di Giuliano Giuggioli sta proprio nella confutazione del reale e nella tipologia immaginifica della sua pittura, alla quale il suo colorismo conferisce una bellezza infuocata.

 

 

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“La nostra vita perdura oltre la vita”

(Pablo Picasso, Arlecchino)“Mi fa pensare a un’immagine che ho visto, un’immagine dell’ultimissimo Picasso, di cui ho parlato nel “Codice dell’anima”. E’ un’immagine che Picasso ha dipinto molto, molto tardi nella sua vita. Forse a novant’anni. Una testa di ragazzo, grigio-bianca, che è anche una specie di testa di clown, grigio-bianca. Spettrale. Un’apparizione. Come se avesse dipinto l’autoritratto del suo Daimon. La persona composita che un artista è: un clown e un eterno ragazzo. C’è qualcosa in questo dipinto che concerne la rivelazione della propria vita come immagine. Ed è in forma d’immagine che la nostra vita perdura oltre la vita. Restiamo un’immagine nella vita dei nostri discendenti, dei nostri amici. Restiamo un’immagine nella storia del nostro mondo, una specie d’influsso, un fenomeno, forse un atto del cosmo!”

James Hillman

Arlecchino e il suo “gioco”

Cari, Anticlimacus mi permette di riparlare di Arlecchino. Leggete la sua lettera e poi la mia risposta.

Caro Dott. Gabriele

L’interrogativo che mi ha posto è tanto curioso quanto singolare, non credo di avere tutti gli elementi per dare una risposta decisamente corretta ma ci proverò.

La maschera dell’arlecchino in sè può essere accostata al nobil giuoco, per alcuni fattori:
1) Il nome proviene dal germanico Hölle König (re dell’inferno)
2) Le Hellequins – o Herlequins – erano le donne che cavalcavano con la dea della morte
Re, donne cavalli tutte figure, simboli presenti negli scacchi. Quello degli scacchi è un gioco di segni, di simboli… un personaggio che ne incarna alcuni sin dal nome credo gli sia vicino.

Il costume in sè mi pare costituito da un numero imprecisato di triangoli, non vedo un immediato accostamento alla scacchiera ma forse vi è una soluzione geometrica, in questo senso al vostro indovinello.

Prima di salutarla visto i precedenti commenti espongo una mia personale idea di cosa possano rappresentare gli scacchi. Non vi è necessariamente uno scontro tra bene e male, entrando (per quanto mi è stato possibile) in quest’arte mi rendo sempre più conto che essa è una lotta contro se stessi ed i propri limiti; un foreggiare di scontri tra tecnica e fantasia, calcolo ed impeto… essenzialmente tra materia e spirito, due componenti della medesima struttura l’uomo e probabilmente del tutto .

Concludo dicendo di vedere i pezzi neri della scacchiera (oppure i pezzi dello sfidante)
non come il male, ma come l’inconscio, tra l’altro (i miei studi di filosofia sono un pò datati avviso) ci vedo i tre stadi della dialettica hegeliana all’interno.

Tesi = apertura (I fase di una partita di scacchi)
Antitesi = Mediogioco (II fase scontro, combinazioni ecc)
Sintesi = Finali (III ed ultima fase)

Curioso di sapere il legame tra arlecchino e gli scacchi la saluto caro dottore, ravvivando i miei complimenti per l’ottimo servizio che offre al nostro spirito.

Carissimo Anticlimacus, la mia fonte è WILLIAM WILLEFORD, Il Fool e il suo scettro, edizioni Moretti e Vitali. Il costume-scacchiera consente ad Arlecchino di “mettere in palio” la vita con la Morte stessa. Ê lui l’avversario. In realtà tutti i Fool sono bord-line. Tutti lottano in una terra di frontiera dove tutto può avvenire e cadere nella “parte di sotto”. Vedi Chaplin e Keaton in Luci della ribalta, quando gli oggetti si ribellano a loro. E due “Fool” cercano di mettere ordine nel CAOS improvviso.

Arlecchino

Amiche e amici nel lunare, vi lascio una lettera di Anticlimacus e quindi la mia riflessione. L’interrogativo finale è per tutti voi. Forza.

Dottor La Porta in uno scenario televisivo degenerato e di cosi basso profilo come quello attuale (problema che poi investe quasi la totalità dai mass media) è giusto riconoscere con obiettiva ammirazione lo splendido servizio pubblico che lei offre. (stringendo:grazie d’esistere!)
Vi scrivo perché credo che forse solo lei potrà cogliere questa mia idea con la giusta curiosità, il giusto spirito. (almeno spero)
L’idea è questa:
gli scacchi; analizzare questo gioco dal punto di vista dello spirito, dell’anima vedere quest’arte tattica strategica e matematica analizzata da professionisti del pensiero come lei, dare la dovuta attenzione a quest’arte secondo me sarebbe una cosa interessantissima.
Scusi il modo in cui le pongo questa idea, credo che questo “gioco” abbia molto da dare alle nostre anime, al nostro intelletto e mi chiedevo se le possa interessare avvicinarlo al grande pubblico o quanto meno proporre nello spazio di Rainotte ove lei se non sbaglio è direttore o membro della direzione.

cordiali saluti, anticlimacus

Caro Anticlimacus, la tua idea è buona, ma io non mi intendo di scacchi, conosco soltanto le regole. Ti porgo comunque ugualmente un interrogativo: il costume di Arlecchino è una scacchiera? E se sì, perché?