“Ricomincio da capo”

Ogni 2 febbraio una marmotta predice la durata dell’inverno: se fa capolino dalla sua tana e vede la propria ombra, il clima invernale negli Stati Uniti si protrarrà per altre sei settimane; se invece non vede l’ombra, bisogna festeggiare, perché la primavera è ormai alle porte. Si tratta di una tradizione importata in Pennsylvania dagli immigrati tedeschi, ed è probabile che abbia le sue radici nelle credenze degli antichi romani che ritenevano appunto la prima decade di febbraio utile a intuire la durata dell’inverno. Una tradizione che poi ha assunto forme (e date) diverse in molti paesi.

Il 3 Aprile 2009 l’autore del Blog “Go into the story”, nonché sceneggiatore e critico di ambito hollywoodiano, Scott Myers, recensiva una mia lettura psicologica (pubblicata in inglese) del film Ricomincio da capo (Groundhog Day), commedia del 1993 diretta da Harold Ramis ed interpretata da Bill Murray e Andie MacDowell, che prende spunto da tale tradizione.

In esso Phil Connors è un meteorologo televisivo che, controvoglia, deve recarsi nella piccola città di Punxsutawney per fare appunto un reportage sul Giorno della Marmotta. Un circolo temporale fa sì che ogni mattina, alle 6.00 in punto, Connors viene svegliato dalla radio che trasmette sempre lo stesso brano musicale (I Got You Babe di Sonny & Cher), e da allora la giornata trascorre inesorabilmente allo stesso modo della precedente (e la marmotta intanto continua ogni giorno “a vedere la propria ombra”).

La recensione, tra l’altro dice: I’ve seen Groundhog Day probably 3 times, yet it never occurred to me that the Protagonist Phil Connor (Bill Murray) has the same first name as the groundhog Punxsatawney Phil. If not for that fact, I would tend to consider Dr. Lanzaro’s analysis to be a bit overblown. But a fact is a fact – and there is Phil the Protagonist, and Phil the Groundhog.

“Overblown” in italiano può essere tradotto con esagerato, pomposo (“over” in questo caso allude ad un “troppo”). In pratica mentre cercavo di analizzare l’evoluzione cinematografica di un carattere connotato filmicamente come presuntuoso, Scott Myers alludeva al fatto che prendessi quantomeno troppo seriamente la mia interpretazione. Quale ragione più interessante anche se un po’ autoreferenziale per scrivere e riflettere nuovamente sull’argomento. Barthes diceva che “quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia”; mi accingo dunque a riproporre non solo frammenti della mia precedente analisi, ma anche a tentare di rivedere il mio punto di vista di allora.

Suggerisco di guardare il film prima di leggere il resto di questi commenti. Vorrei inoltre segnalare che non state leggendo un articolo di critica cinematografica. Discuto di un film che dietro il racconto brillante è estremamente denso. Myers scrisse innanzitutto di essere sorpreso dal fatto che nella mia digressione avessi notato la coincidenza del nome del protagonista del film e della marmotta (entrambi si chiamano Phil), nonché dal fatto che facessi notare come più volte nel film il nome “Phil” appare nelle inquadrature sulla testa di Bill Murray, quasi a mo di didascalia.

Pensando alla non casualità di questi dettagli in effetti immaginai che il regista avesse voluto prendere spunto dalla tradizionale ricorrenza che in Pennsylvania si festeggia ormai da ben 126 anni per trattare in realtà (in maniera più o meno consapevole) il tema psicologico dell’ombra. In Analyze this del 1999 (Terapia e pallottole) Harold Ramis rivelerà più direttamente, forse, l’intreccio tra il suo cinema e la psicologia.

Sarà bene fare ora un piccolo excursus sui tre concetti chiave del pensiero junghiano: lnconscio Collettivo, Archetipo (uno dei quali è appunto “l’Ombra”) ed Individuazione.

Per Freud l’inconscio non è altro che il punto ove convergono contenuti rimossi o dimenticati. Secondo Jung esso poggia su uno strato più profondo che non deriva da esperienze e acquisizioni personali, ma è innato ed ha strutture che (cum grano salis) sono le stesse dappertutto e per tutti gli individui.

Gli archetipi riguardano i contenuti dell’inconscio collettivo e sono i tipi arcaici e primigeni espressi riccamente nei sogni e nelle visioni, oltre ad essere la sostanza del mito, della fiaba e delle dottrine esoteriche. Nel mio articolo (cui rimando) partivo dal concetto di coerenza cinematografica archetipica (Conforti, 1995), per suggerire la possibilità che una narrazione filmica possa compiutamente rappresentare la natura e gli sviluppi psicologici di (frammenti di) una delle istanze archetipiche della psiche e, nella fattispecie, l’ombra.

Il processo di individuazione è la presa di coscienza con cui ciascuno attribuisce un senso alla propria esistenza. Si realizza attraverso una congiunzione ed integrazione di coscienza e inconscio. In “Groundhog day” si può postulare che Phil Connors progressivamente entri in contatto con le parti meno gradevoli della sua personalità (l’Ombra), le comprende e lentamente, attraverso una somma di esperienze (favorite dal loop temporale) diventa una persona nuova, più completa, integra, consapevole e capace di amare.

La dottrina Junghiana vede dunque l’Ombra come parte inferiore della personalità ed una parte della totalità della psiche. Le profonde antipatie ingiustificate, per esempio, sono quasi sempre il frutto della proiezione della propria Ombra. Jung la definisce come il contenuto di sentimenti e ed emozioni rimossi da ognuno di noi, perché ritenuti per così dire “brutti, sporchi e cattivi”, non corrispondenti ad una visione ideale di sé stessi. In effetti nel film Murray veste dei panni calzanti in questo senso: è la “prima donna” televisiva, è definito “presuntuoso ed egocentrico”, non va d’accordo praticamente con nessuno, si sente sprecato in un canale televisivo locale, è sempre insofferente, tratta le persone con sufficienza ed è “troppo innamorato di se stesso per avere una relazione autentica”.

Il (non) passare dei giorni gli consente di attraversare fasi di depressione e poi di euforia ed onnipotenza fino a quando la sua vita e il suo modo di approcciarsi alle cose e alle persone comincia a cambiare.

Nonostante egli riesca a ottenere facilmente sesso e denaro, non riesce a conquistare Rita (di cui pian piano si innamora), cui non interessa quello che Connors sa, e addirittura la indispone che egli sappia anticipare tutti suoi desideri: la sua erudizione è totalmente inutile perché a lei “interessa un certo tipo di uomo, con certe qualità”. Con la conoscenza erudita non nasce mai un Phil Connors nuovo o migliore, e difatti egli si ritrova ogni giorno ad essere la persona che era il giorno prima. Questo è forse un pregnante significato della seconda parte del film, il vero senso, incidentalmente, del ricominciare da capo. Connors spezzerà il cerchio infernale quando passerà da una conoscenza che si limita a raccogliere dati a una conoscenza che trasforma (e ad una autentica consapevolezza delle parti della sua “ombra”, delle cose sgradevoli di sé, cui rinuncia o che riesce a modificare con la pazienza e la disciplina). I giorni seguenti lo vedono infatti affabile con Rita e Larry. Si dà alla scultura di statue di ghiaccio. Decide di dedicarsi agli studi. Inizia a seguire un corso di pianoforte. Imparare a suonare il piano trasforma colui che impara perché nell’apprendimento non ci si limita a memorizzare un pezzo, ma si acquisisce una tecnica che permette la padronanza di un numero virtualmente illimitato di pezzi (ironicamente, la rivelazione della bellezza della musica avviene grazie alle note della sonata K. 545 in do maggiore di Mozart, il magnifico pons asinorum di tutti i principianti).

Ne seguiamo ulteriormente i progressi. Conosciamo un Connors “buono”, che si dispera per non riuscire a salvare un pover’uomo che pare condannato a morire un due di febbraio e che finisce con l’accettare che alcune cose non possono venir comunque cambiate nel giorno che egli vorrebbe perfetto. Nell’ultimo giorno della marmotta Connors compie una serie di “buone azioni” che gli permettono di guadagnare l’affetto degli abitanti di Punxsutawney e l’ammirazione di Rita che lungi oramai dal trovarlo insopportabile lo compra all’asta degli scapoli. L’amore infine conquistato lo libera dalla ripetizione; il risveglio al 3 febbraio porta con sé l’accettazione del destino: Connors vuole vivere a Punxsutawney (che tanto aveva disprezzato inizialmente). La primavera è alle porte.

Massimo Lanzaro

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Dai fenomeni di somatizzazione alla body art: riflessioni sul corpo e sugli attacchi di panico

L’uomo primitivo era governato dai propri istinti più dei suoi moderni discendenti “razionali”, che hanno imparato a “controllarsi”, piuttosto che ad esprimere. Nel corso di questo processo di civilizzazione abbiamo progressivamente scisso la nostra coscienza dagli strati profondi della psiche umana e infine anche dalla base somatica del fenomeno psichico. L’uomo contemporaneo, a causa di mancanza d’introspezione, è sovente ignaro che, pur con tutta la sua razionalità ed efficienza, è in balìa di “forze non controllabili”. Dei e demoni tengono molti individui in uno stato d’agitazione semplicemente attraverso vaghe apprensioni, o tramite un ingente fardello di nevrosi e di disturbi somatici.
La letteratura recente postula che un’inibizione più o meno forzata e costante del naturale comportamento biopsicomotorio del corpo si traduce in una cronica e sterile microattivazione del sistema nervoso vegetativo, psico-neuro-endocrino ed immunologico. Quest’attivazione produrrebbe le manifestazioni squisitamente cliniche di tale processo: gli attacchi di panico, i disturbi da somatizzazione gastro-intestinale, sessuale o pseudo-neurologica (si pensi ai vari tipi di cefalea), le sindromi algiche e l’ipocondria, per citare la nosografia di maggiore incidenza.
Giova ricordare in quest’ambito, anche se a margine ai fini del presente discorso, la concezione junghiana sul ruolo vitale della funzione compensatrice dei sogni e della loro elaborazione nell’alleviare la strutturazione di tali disturbi.
Analizzeremo ora come esempio la fenomenologia clinica della sindrome da attacchi di panico. Questo disturbo (l’etimologia della parola appare un epifenomeno del modo in cui la regione psichica e archetipica di Pan è arrivata fino a noi dall’antica Grecia) dura generalmente solo alcuni minuti, ma causa una considerevole angoscia. Il coinvolgimento del corpo si manifesta con prepotenti sintomi organici come soffocamento, vertigini, sudorazione profusa, tremore e tachicardia cui si accompagnano spesso una sensazione di morte imminente od il timore di impazzire. Sebbene l’evidenza a favore di fattori neurofisiologici nella genesi di questo corteo sintomatologico sia ineludibile, tali osservazioni sono più persuasive nella spiegazione della patogenesi piuttosto che dell’eziologia del disturbo. Nessun dato neurobiologico è in grado di farci comprendere cosa scateni l’inizio di un attacco di panico, così come di altri disturbi psicosomatici.
Diverse evidenze suggeriscono invece che fattori psicologici possono essere rilevanti. Vari studi hanno dimostrato una maggiore incidenza in questi pazienti di eventi esistenziali stressanti, ed in particolare la perdita di persone significative nei mesi che precedono il disagio. Tutto questo suggerisce che l’eziologia riguardi il significato inconscio e simbolico degli eventi, nella misura in cui ciascuno lo elabora in maniera diversa, o non lo elabora per niente. La paura ha un oggetto, l’angoscia panica n’è priva, o meglio, il vissuto relativo è rimosso: non c’è insight. C’è un consenso quasi unanime nell’attribuire all’alessitimia, concetto centrale della psicosomatica contemporanea, parte della genesi dei processi di somatizzazione. Si tratta dell’incapacità di riconoscere e identificare i propri stati affettivi e le proprie emozioni, della difficoltà nell’identificare i sentimenti e nel distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all’attivazione emotiva e della difficoltà nel descrivere agli altri tali stati d’animo.
James Hillman postulava che alla base di processi analoghi vi sia il tradizionale approccio occidentale alla paura, ai vissuti che causano sofferenza, considerati non come un qualcosa da accettare, con cui prendere contatto, ma un problema morale da superare ad ogni costo, anche quello della rimozione e della repressione inconsapevole.
Cambiamo punto di vista ed apparentemente cambiamo argomento. Fino a qualche tempo fa lo sfoggio di tatuaggi su braccia, spalle e gambe era considerata la sfida dell’individuo contro le regole convenzionali delle società, un segno di distinzione, in alcuni casi di capacità creativa. Diffusa, inoltre, era la pratica del tatuaggio nel mondo penitenziario che sanciva l’appartenenza a gruppi e/o sottogruppi, esattamente come avviene nelle tribù primitive e quelle più “moderne”. Ad alcune persone tali tendenze inducono sensazioni sgradevoli, eppure tali fenomeni sono divenuti sempre più diffusi, fino ad interessare una certa fascia della società. Tutte le mode passano o si evolvono. Al tatuaggio si sono aggiunte altre forme di “body art”, sicuramente più spettacolari, e per certi versi anche potenzialmente dannose per la salute. Si fa riferimento al piercing, con perforazione di narici, ombelichi, lingua od altre parti del corpo.
A riguardo, ricordo le parole di una cliente ventiquattrenne: -è bello, mi piace. Inutile dire che lo ho fatto per sentirmi integrata, per essere alla moda, per sfidare il dolore…il piercing è una forma di arte che collega il corpo allo spirito. E’ l’anima che colpisce la propria carne per farla più sua, per sentirsi di più un “tutt’uno”-.
Procedendo in un ipotetico continuum nell’analisi di questo fenomeno, ho immaginato che un successivo gradino fosse individuabile nell’arte estrema contemporanea. A partire dagli anni Settanta le arti cosiddette “canoniche” subiscono un definitivo cambio di rotta approdando ad una privilegiata, inquietante terra di conquista: il corpo. Il lavoro di Ron Athey rileva l’estremizzazione del dolore fisico come manifestazione privilegiata del disagio esistenziale. Le scioccanti “esperienze” di Franko B, artista-performer italobritannico, conducono il discorso della sfida al dolore alle estreme conseguenze. Nelle sue opere arriva a farsi tramortire e torturare, da un lato mimando le limitazioni che il corpo naturalmente manifesta in alcune situazioni e dall’altro mantenendo un controllo assoluto sulla propria fisicità durante tali rituali. Questa forma d’arte ha una valenza peculiare: nasconde, al di là delle dichiarate valenze di critica di parte dell’istituzione sociale, una inversione dei processi di somatizzazione attraverso la produzione attiva d’immagini “estreme”. Franko B ha dichiarato in una intervista di “non aver più paura di mostrare le proprie vergogne”, ovvero di non aver timore nell’esprimere verbalmente ed attraverso immagini d’arte il proprio stato affettivo, ideico ed emotivo, per quanto eccessivo possa risultare al fruitore.
A questo punto riassumo la nota tesi di Hillman espressa nel suo “Il mito dell’analisi”: gli Dei rimossi (non più esperiti, le cui istanze vitali non sono più riconosciute, verbalizzate ed, entro certi limiti, agite) ritornano come nucleo archetipico di complessi sintomatici. Alcuni esempi sono quelli di Dioniso e l’isteria, della relazione tra Crono-Saturno con gli aspetti paranoici della depressione e di Ermes-Mercurio con quello che chiamiamo comportamento schizoide. Si tratta di esplorare la psicopatologia in termini di psicologia archetipica.
Veniamo dunque a Pan. Il mito greco lo pose come dio della natura, dalle molteplici sfaccettature, dimorante in Arcadia, le “oscure caverne” dove lo si poteva incontrare, una località tanto fisica che psichica. Il suo habitat erano grotte, fonti, boschi e luoghi selvaggi (l’inconscio). A ben vedere esso sussume sia l’angoscia panica che si impadronisce del corpo (dall’alessitimia alla genesi del sintomo ad un polo) che gli aspetti erotici connessi alla sua natura satiresca, caprina, fallica e demonica (autoassertività, capacità di contatto ed elaborazione delle proprie emozioni, vissuti, istinti e pulsioni, simbolizzazione consapevole della sofferenza, produzione laconicamente esplicativa delle proprie immagini interiori).
Mi sembra suggestivo osservare ora da una prospettiva olistica le nuove manifestazioni del duplice, antitetico ruolo di Pan nel determinismo di vari aspetti della psiche individuale e collettiva dell’uomo moderno ed ipotizzare il suo potenziale disvelarsi per ciascuno di noi in un punto sito nel percorso che va da un polo all’altro dell’enantiodromia descritta (dalla sofferenza alessitimica all’espressione “spudorata” del dolore del body art performer).
Forse nel passaggio al contatto, alla progressiva capacità di dare forma e parola ai propri vissuti, di esprimere ed agire il bisogno di ascolto della voce del corpo e delle emozioni si concretizza il ruolo spirituale che noi scegliamo per Pan o che Pan sceglie per noi. E durante un percorso analitico il ruolo del terapeuta che incontra una persona con disturbi somatici diviene anche quello di mediare la riscoperta del livello di percezione e di esperienza delle immagini a cui la sua storia ha tentato di impedire l’accesso. In tal modo probabilmente incontreremo il dio che “rende pazzi”, consentendogli di “farci guarire”.

Dr. Massimo Lanzaro

Per ulteriori approfondimenti:

C.G. Jung. L’uomo e i suoi simboli. Tea, 2002.
James Hillman. Saggio su Pan. Adelphi, 2001.
Savoca G. Arte estrema. Castelvecchi,1999.

Afrodite

“La nascita, o meglio, la rinascita di Afrodite come archetipo, è stata immortalata più volte (vedi Botticelli), ma è difficile entrarci in contatto profondo. In ogni caso, il significato, a mio vedere, è che quando si è amato per davvero l’amore torna a farci visita”.

Gabriele

(Edward Burne-Jones, Lo specchio di Venere, 1875)

L’importanza di Artemide oggi

“La Vergine Artemide, archetipo della femminilità selvaggia, oggi diventa di nuovo importante. E’ una fortuna, perché da tempo non abbiamo più la rappresentazione di una femminilità primitiva che non si definisce in rapporto all’amante (Afrodite), né al figlio (Demetra o Maria, Madre di Gesù), né al padre (Atena), né al marito (Hera). L’unica relazione che intrattiene con l’uomo è una relazione fratello-sorella. E’ orientata verso la luna, mentre Apollo, suo fratello gemello, personifica la luce penetrante del sole. E’ importante che la femminilità sia rappresentata in maniera assoluta, e non in relazione a un’altra realtà dell’universo maschile, perché sia l’anima dell’uomo che le donne reali sentono periodicamente il bisogno di ritirarsi in un territorio chiuso al maschio. Bisogna poterlo fare senza per questo essere percepita come paria, strega o abbandonata”.

Ginette Paris

Il padre, l’archetipo

Molti figli hanno la fortuna di incontrare un padre che vive ed esprime i lati inquietanti e i lati amorevoli dell’archetipo. Molti fanno però l’esperienza di un padre in cui queste polarità non sono in equilibrio: una è più forte dell’altra, quali che ne siano i motivi. Fare esperienza di un padre che esprime soltanto una polarità – soltanto la parte amorevole o solo quella distruttiva, e in cui la parte opposta rimane nascos – rappresenta una grave perdita per lo sviluppo del bambino. L a cosa peggiore è tuttavia non avere un padre, oppure averne uno che non è in grado di vivere né i lati distruttivi, né i lati amorevoli dell’archetipo paterno. Stranamente, in base alla mia esperienza, la circostanza che venga vissuto soltanto il lato distruttivo o soltanto quello premuroso non pare affatto un ruolo così importante. La cosa fondamentale è che nel padre concreto – o a ogni modo in una figura paterna – ci si possa confrontare con almeno un lato dell’archetipo paterno.
Adolf Guggenbuhl-Craig

Riscatto di Afrodite

La nuova era della sessualità dovrà reintegrare tutti gli aspetti dell’archetipo di Afrodite: il polo fisico (potremmo dire”bio-energetico”) e il polo spirituale.

Ginette Paris

Il mito come terapia (2)

 Secondo passo, ciò fa sì che la nostra sofferenza e la nostra psiche stessa divengano un problema generalmente culturale – c’è anche questo! Noi tutti siamo oppressi da una tirannia, causata da Era, che concerne la società. Non è solo questione del mio o del tuo matrimonio: il matrimonio è un archetipo e nell’archetipo sono insiti un dio o una dea, che causeranno sempre turbamenti. Così, si acquisisce una visione più ampia di che cosa sia il turbamento. E poi si apprendono gli schemi di questi turbamenti – il loro disegno, la traccia secondo cui i miti operano nella vita umana.

James Hillman

Oblio della differenza fra Io e anima

Sottrarre l’Io alla seduzione dissolvente dell’anima, questo sembra il compito originario intorno al quale si costituisce il “monoteismo della coscienza”: sradicare l’Io da ogni connessione archetipica che, influenzandolo e attraendolo, diminuirebbe il suo prestigio e minaccerebbe il suo progetto; stabilire quindi come suo statuto la separazione, l’autonomia e le opposizioni. Si conferma, per questa via, l’oblio per la differenza tra Io e anima e così va persa l’interiore relazione psichica, quel dono che l’Io riceve dall’anima, quando ne permane connesso.

Francesco Donfrancesco

Giovanni Gocci, “Incontro con la fiaba”

Copertina GocciCon questo particolare e significativo testo, il Professor Giovanni Gocci, Psicoterapeuta, Psicologo analitico, Direttore della Scuola di Psicoterapia psicosintetica ed Ipnosi Ericksoniana “H. Bernheim” di San Martino Buon Albergo (Verona), saggista e poeta, trova nella fiaba uno strumento capace di aiutare l’uomo contemporaneo, intriso di materialismo, scientismo, ipertrofia della razionalità, a riappropriarsi della dimensione interiore.
Il volume è un’originale raccolta di fiabe che, invece di essere tratte dal serbatoio della tradizione popolare, sono state immaginate, scritte e drammatizzate direttamente da persone durante le terapie di gruppo; la vera protagonista è, così, quella che Gocci definisce “la fiaba personale”. Raccontandosi e raccontando la fiaba personale si riattiva la capacità creativa dell’inconscio, permettendo l’affioramento di quelle immagini archetipiche, prima oscurate dalla razionalità e dal nostro Ego imperante, che consentono la comprensione della Psiche.
Come infatti sostiene l’autore: «Nella fiaba, come nel sogno, l’anima testimonia se stessa e gli archetipi si rivelano nella loro naturale combinazione, sotto la forma di Re, Regina, Vecchio, Saggio, Strega, Animale etc…». Per Gocci la fiaba “cura”, è uno strumento terapeutico in quanto permette di far ri-emergere le immagini dell’anima perduta. In questo senso, ogni fiaba testimonia una tappa di quello che Jung ha definito processo di individuazione: attraverso i racconti che curano ci si immerge in se stessi, si tende al Sé, alla totalità psichica. Si cura l’anima ed anche il mondo da essa abitato.

Seguendo il percorso tracciato dall’autore, che ha inoltre corredato il testo di schede per l’uso didattico e di un ricco materiale di approfondimento, si impara a interloquire con gli inferiores, i daimones, con la componente umbratile e quella numinosa.
«Raccontarsi la fiaba è fare attività educativa ed i suoi assiomi e risultati hanno importanza proprio per la guarigione dei mali della nostra epoca: si ridà dignità all’anima, si fa catarsi, si incontrano le parti oscure di noi, si costruisce il progetto futuro, si racconta la propria storia infinita.»

Giovanni Gocci, Incontro con la fiaba. Gli insegnamenti dei racconti che curano, Edizioni del Poggio, 2007.

 

Dello stesso autore: Comunicazione e cambiamento

La Grande Madre

La Grande Madre è uno dei gangli della filosofia ermetica e junghiana. Da oggi cominciamo a trattare alcuni punti salienti.

Questo itinerario attraverso i secoli ha un solo scopo: tentare di comprendere il magico Femminile. Quell’arcano che, secondo Giorgio Galli, di tanto in tanto riemerge come al tempo delle baccanti, di Cesare e Cleopatra, delle streghe, del Rinascimento magico e attraverso alcuni momenti davvero misteriosi della storia occidentale. Parliamo dei Templari, di Bernardo di Chiaravalle, di Giovanna d’Arco, di Casanova e di altri personaggi che, per lo più inconsapevolmente, affermavano il Femminile credendo di fare soltanto ermetismo. Perché la filosofia ermetica può essere letta prevalentemente in questa chiave, sebbene molti dei suoi praticanti non sapessero che affermando l’una sancivano anche l’altra.
Inoltre dobbiamo capire anche che le cosiddette “storie” di vita vissuta o eventi con caratteristiche oscure sono da interpretare in chiave simbolica. Insomma, alcuni straordinari e misteriosi episodi devono essere letti come attimi esemplificatori di profondi contenuti. La vita come simbolo. Così va anche interpretata, per esempio, la vicenda terrena di un Giordano Bruno. Pensate, le opere di questo filosofo sono in chiave ermetica, ovvero hanno vari significati nascosti, e la sua stessa esistenza va reintepretata come monito e come simbolizzazione dei contenuti del Femminile.
Avventura, amore, morte, lotte e battaglie devono essere viste come una rosa. Un petalo esterno ha un significato, quello più interno un altro più complesso, e così via fino al cuore.
Il cuore: senza la sua valenza è impossibile comprendere questo viaggio. Non si legga soltanto con l’intelletto, ma anche, e soprattutto, con la forza del sentimento. Questo percorso non è per i finti accademici, ma per le persone che non hanno pregiudizi. Non intendo fare bella figura con quei pedanti che snervano i significati con spocchiosa supponenza. Desidero soltanto restituire, senza enfasi, quello che credo di aver appreso, ciò che ho direttamente vissuto.

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La Grande Madre Iside

Io sono tutto ciò che fu, che è e che sarà…
E nessuno dei mortali riusci mai a scoprire.

Tempio di Sais – Alto Egitto

la-grande-madre-iside1

O Regina del Cielo,
O Benedetta Iside
O Madre Celeste,
Tu che in ogni tempo sei salvatrice
dell’umana specie
Tu che nella Tua grande generosità
porgi aiuto ai mortali
Tu la cui bocca, Madre, sa pronunciare gli Incantesimi
Nutrimi,
Abbi cura di me e confortami.
Aiutami a ritrovare le parti disperse della
mia personalità spirituale,
come hai cercato e ritrovato le parti disperse
del tuo Sposo Divino.
Sorreggimi nelle avversità
Proteggimi con il Tuo Amore Benevolo
Guidami verso la Tua Luce
Tutto il Creato Ti venera e Ti invoca
O Regina del Cielo
O Benedetta Iside
O Madre Celeste.

L’immagine e i testi su Iside sono tratti da Ada Pavan Russo, Iside: Promessa di Immortalità, Ed. Tempio di Iside.

“Dizionario dell’Inconscio e della Magia”

laportadizionarioUn viaggio che attraversa i sentieri dell’interiorità. Apre i varchi dell’Anima verso la sua componente obliata che deve “resurgere”, rinascere in un percorso unitario, sinora mai affrontato. È la via estatica della Sophia che avvicina e congiunge la conoscenza di Hermes, detta anche Magia, con la psicologia del profondo di Jung, lungo i meandri dell’antica sapienza e del mito, dell’arte alchemica, della Magia Naturalis umanistica e rinascimentale e dell’Immaginazione Creativa. Il pensiero magico, così come la conoscenza della nostra componente oscura, quella dell’Inconscio, non si realizza nell’approccio razionale, logico, ma attraverso una partecipazione mistica, una folgorazione inaspettata, un sapere che schiudendosi ci apre al mistero di noi stessi. Perché il sapere è sempre unitario. E il fine della saggezza psicologica e magica è, pertanto, una tensione dell’uomo all’interezza, una composizione armonica del sé profondo con il sé esteriore e di entrambi con il cosmo, fino al ricongiungimento con il divino. L’Anima diviene, quindi, il collegamento tra il piano umano e quello ultraterreno, individuale e collettivo, tra il nostro lato cosciente e quello inconscio, non per mezzo di tecniche disumanizzanti e castratrici ma di un profondo stato di compassione per l’altro. E ancora lungo i percorsi labirintici dell’Inconscio e dei Sogni, dei Simboli e degli Archetipi. È in questo spazio apparentemente ignoto che l’uomo mago diviene l’uomo interiore.

 

Simona Condorelli, Egidio Senatore