Sull’Ombra

Ognuno di noi è seguito da un’Ombra. Meno questa è incorporata nella vita conscia dell’individuo, tanto più è nera e densa.”

Carl Gustav Jung

Cinema: è uscito nelle sale italiane “87 ore – gli ultimi giorni di vita di Francesco Mastrogiovanni”, film documentario di Costanza Quatriglio

locandinaPresentato in anteprima  al Festival “ARCIPELAGO” e uscito ieri nelle sale  “87 ore – gli ultimi giorni di vita di Francesco Mastrogiovanni” di Costanza Quatriglio, un film documentario che  racconta gli ultimi giorni di Francesco Mastrogiovanni,  maestro elementare di 58 anni, originario di Castelnuovo Cilento, legato al letto di contenzione fino alla morte, sopraggiunta appunto dopo 87 ore. Continuamente ripreso da nove videocamere di sorveglianza poste all’interno del reparto psichiatrico dell’ospedale di Vallo della Lucania, il racconto mostra il lato disumano di quel ricovero coatto. Si tratta di un documento unico perché per la prima volta le telecamere hanno dato la possibilità di vedere come il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) venga spesso usato come strumento di repressione e punizione, piuttosto che come mezzo di contenimento. Una violazione dei diritti umani all’ordine del giorno nel nostro paese, sulla quale si battono da anni l’associazione “A Buon Diritto” di Luigi Manconi. Scritto da Costanza Quatriglio con Valentina Calderone e con la collaborazione di Luigi Manconi, avvalendosi della testimonianza della nipote di Francesco Mastrogiovanni, Grazia Serra, e dei suoi genitori, il film è prodotto da Marco Visalberghi (“Sacro Gra”) per DocLab col patrocinio di Amnesty International e in collaborazione con Rai 3, che lo manderà in onda il 28 dicembre. Cosa è successo per aver indotto i medici a ricorrere ad un simile trattamento? Partiamo dall’inizio. E’ il 31 luglio 2009. Il maestro viene bloccato e prelevato dalla spiaggia di un campeggio del Cilento da un grande dispiegamento di forze tra carabinieri, polizia municipale e guardia costiera,, perché la sera precedente aveva guidato velocemente  nella zona pedonale di Acciaroli in stato confusionale. L’uomo viene trasportato con un’ambulanza presso il reparto psichiatrico dell’ospedale di Vallo della Lucania in provincia di Salerno per essere sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio. Addormentato per la forte sedazione, Mastrogiovanni viene spogliato, legato al letto con le cinghie che gli bloccano polsi e caviglie, lasciato ad agonizzare con la noncuranza di medici ed infermieri che gli passano accanto.  Il 4 agosto  morirà di edema polmonare.

87-ore“In quel mondo a circuito chiuso, le videocamere di sorveglianza servivano a osservare i pazienti. – dichiara Costanza Quatriglio –  Immagini a scatti che restituiscono la meccanicità della procedura, la reificazione dei corpi, una disumanità filmata da un occhio disumano che si sostituisce alla relazione degli esseri umani con gli altri esseri umani. Quando ho cominciato a studiarle, mi sono apparse immediatamente come l’espressione del grado zero della coscienza. I corpi bidimensionali, privati di ogni soggettività, inseriti in un meccanismo che porta all’assuefazione, all’addormentamento della ragione. Tutt’altro che facile decidere di realizzare il film e tutt’altro che facile portarlo a compimento. Ma a dirci come è morto Mastrogiovanni non è infatti il racconto della sua sofferenza, né la crudele indifferenza di quelle immagini, ma uno sguardo, uno sguardo umano, quello del medico legale che osserva il corpo ormai libero da quelle cinghie di contenzione che per giorni hanno stretto caviglie e polsi. L’osservazione diretta, l’unica osservazione possibile, di un essere umano verso un altro essere umano. La relazione con un corpo che non può più parlare ma che può essere ancora ascoltato.” La Quatriglio, autrice di docu-film molto apprezzati,  integra queste riprese, che occupano gran parte del documentario, con le testimonianze della nipote e della sorella che si sono battute affinché i responsabili venissero puniti. “87 ore” si presenta come un esempio di cinema civile, che ci mostra e analizza i fatti così come si sono svolti, passando dalla crudezza del film-inchiesta all’orrore del thriller claustrofobico.

Clara Martinelli

 

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Come funziona il male

Shakespeare o Dostoevskij, pensavo io, illuminano i labirinti morali fino ai loro ultimi meandri, dimostrano che l’amore è in grado di condurre all’assassinio o al suicidio e riescono a farci provare compassione per psicopatici e malvagi; è loro dovere, pensavo io, perché il dovere dell’arte (o del pensiero) consiste nel mostrarci la complessità dell’esistenza al fine di renderci più complessi, nell’analizzare come funziona il male, per poterlo evitare, e perfino il bene, forse per poterlo imparare.”

Javier Cercas

Nel nome del figlio

Tre film, attualmente nelle sale, parlano delle scelte che l’attesa o la nascita di un figlio costringe a fare sia individualmente che nella coppia. Il primo è “Ho ucciso Napoleone”, diretto e scritto da Giorgia Farina con Federica Pontremoli, ha come protagonista Anita (Micaela Ramazzotti), donna in carriera, licenziata perché rimasta incinta del suo capo (Adriano Giannini). Razionale, fredda, completamente dedita al suo lavoro, in un primo momento pensa di rinunciare al bambino. Poi, per calcolo, decide di tenerlo. Ma, andando avanti con la gravidanza, e, con l’aiuto di figure femminili che le faranno scoprire la solidarietà tra donne, Anita acquisirà una nuova consapevolezza, facendo venire fuori la parte più morbida e materna di se stessa, tessendo un nuovo modo di vivere. In questo caso, la nascita è servita alla madre a svelarle i lati più reconditi del suo essere e ad accettarli.

Il secondo film che prendiamo in considerazione è “Second Chance” di Susanne Bier. In questa storia i neonati presenti sono due, figli di coppie totalmente diverse tra loro. Una sembra serena come una famiglia borghese può essere. Marito poliziotto e padre amorevole, moglie benestante e accudente. Altra coppia, altro scenario. Lui manesco e spacciatore, lei prostituta. Entrambi tossicodipendenti. La casa dove vivono è piccola, sporca e fatiscente, il loro bimbo di pochi mesi sopravvive abbandonato a se stesso, mentre i suoi genitori si fanno di eroina. Il poliziotto, amico d’infanzia del padre, irrompe nella loro vita a causa della segnalazione da parte di un vicino, esasperato dalle grida. Nel sopralluogo, l’uomo trova il bambino coperto di feci e chiuso in un armadio. Pensa a suo figlio, amato e protetto, e chiede che il neonato venga sottratto ai genitori. Ma la legge non lo consente, perché il bimbo è sano, non denutrito. Tutto cambia quando, qualche giorno dopo, la brava moglie borghese trova il figlioletto morto nella culla e la follia prende il sopravvento in quella che, all’apparenza, sembrava una coppia equilibrata. Anche in questo caso, la nascita, anzi le nascite di due bambini cambieranno le carte in tavola ad un destino già delineato, facendogli prendere una piega diversa.

Il terzo film, infine, è “La scelta”, scritto e diretto da Michele Placido, liberamente ispirato al testo teatrale “L’innesto” di Luigi Pirandello. Laura, interpretata da Ambra Angiolini, e Giorgio, impersonato da Raoul Bova, non riescono ad avere figli. Anche qui, l’ambiente è quello borghese, lui proprietario di un ristorante, lei insegnante di musica. Una vita fatta di serate con parenti e amici, tutto filerebbe liscio se non fosse per il mancato annuncio di una gravidanza. Ma ecco che l’imprevedibile è in agguato. Una sera, tornando a casa, Laura subisce uno stupro e rimane incinta. Il bimbo tanto cercato è arrivato in modo non convenzionale. Cosa fare? Per Giorgio è difficile accettare un figlio non suo, concepito con una violenza. Per Laura, dopo un primo momento di smarrimento, sente che la vita che si sta formando dentro di lei le appartiene e decide che vuole tenerlo. Un’altra attesa, un’altra nascita che costringe ad un cambiamento, una metamorfosi, a superare i propri egoismi e ad accettare i propri limiti. E anche a prendere coscienza che si diventa altro quando una nuova vita irrompe nella nostra ordinata e predisposta esistenza.

Clara Martinelli

“Figlio mio, la battaglia è fra due lupi…”

Una sera un anziano capo Cherokee raccontò al nipote la battaglia che avviene dentro di noi. Gli disse: “Figlio mio, la battaglia è fra due lupi che vivono dentro noi. Uno è infelicità, paura, preoccupazione, gelosia, dispiacere, autocommiserazione, rancore, senso di inferiorità. L’altro è felicità, amore, speranza, serenità, gentilezza, generosità, verità, compassione.”
Il piccolo ci pensò su un minuto poi chiese: “Quale lupo vince?”
L’anziano Cherokee rispose semplicemente: “Quello a cui dai da mangiare”…

dr. Massimo Lanzaro

http://www.fattitaliani.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=1108:ebook-%E2%80%9Cnel-punto-atomico-dove-scompare-il-tempo%E2%80%9D-di-massimo-lanzaro&Itemid=201

(In foto: Dr. Massimo Lanzaro)

“Studiare i miti e le fiabe è un buon modo di studiare l’anatomia comparata dell’inconscio collettivo” da questa osservazione di Carl Gustav Jung parte l’idea di Massimo Lanzaro, medico, psichiatra e psicoterapeuta napoletano classe 1971, di raccogliere nell’ebook “Nel punto atomico dove scompare il tempo” (scaricabile gratuitamente all’indirizzo http://www.editoredimestesso.it/ebook/lanzaro/) le sue riflessioni in merito pubblicate negli ultimi anni su riviste internazionali. “Non esiste cultura, antica o moderna, arcaica o civilizzata, che non possieda i suoi miti e molti si assomigliano: l’intreccio di base ed il significato sostanziale delle storie, restano gli stessi, in maniera trans temporale – spiega Lanzaro -.
Le fiabe, i miti, le narrazioni in generale consentono pertanto di ipotizzare paragoni tra l’ieri e l’oggi degli strati profondi della psicologia collettiva”.

In questi “Scritti di psicologia” (come da sottotitolo dell’eBook) i temi più importanti affrontati sono: la valenza simbolica delle fiabe e dei “miti di oggi”, gli stadi di reazione psicologica alla perdita ed ai momenti di crisi; le costanti naturali presenti nell’arte contemporanea; la decodifica dei relativi messaggi e la potenziale valenza catartica; alcuni effetti psicologici del consumismo e della società dello spettacolo; le patologie mentali viste da un punto di vista poco ortodosso ed originale. La lettura di questo lavoro si consiglia a studenti di psicologia, psicologi ad orientamento analitico, operatori sociali, medici, antropologi, studenti di letteratura e storia dell’arte, ma risulta piacevole anche a chi non ha una formazione specifica. Leggendo ci s’imbatterà nella teoria del Super Ego o nell’esortazione a “fare anima” con leggerezza e profondità al tempo stesso. Lanzaro affronta i temi più complessi tenendo il lettore per mano. Eccone una dimostrazione.

“Riassumo innanzitutto la nota tesi di Hillman espressa nel suo ‘Il mito dell’analisi’: gli ‘Dei’ rimossi (non più esperiti, le cui istanze vitali non sono più riconosciute, verbalizzate ed, entro certi limiti, agite) ritornano come nucleo archetipico di complessi sintomatici – dice Lanzaro -. Prendiamo come esempio la sindrome da attacchi di panico. Questo disturbo (l’etimologia della parola appare un epifenomeno del modo in cui la regione psichica e archetipica di Pan è arrivata fino a noi dall’antica Grecia) è oggi diffuso e diverse evidenze suggeriscono che fattori psicologici possono essere rilevanti, ed in particolare l’incapacità di riconoscere ed identificare i propri stati affettivi e le proprie emozioni, della difficoltà nell’identificare i sentimenti e nel descrivere, esprimere agli altri tali stati d’animo. La body art e l’arte estrema contemporanea nasconde, al di là delle dichiarate valenze di critica di parte dell’istituzione sociale, una sorprendente inversione dei processi di somatizzazione (passivi) descritti, attraverso la produzione attiva d’immagini e l’uso del corpo”.

Poi si può riflettere a partire da un classico. “In sostanza – dice Lanzaro – il fatto che ne ‘Il signore degli anelli’ il tema del potere e del controllo (orwelliano) delle persone sia così prominente e relativamente nuovo rispetto alle narrazioni del passato (remoto), tanto da offuscare più o meno insolitamente gli altri molteplici elementi classici della mitologia (conquista/liberazione di fanciulle, palingenesi dell’eroe etc.). Anche quando questi temi sono sviluppati sono sempre secondari e le storie d’amore, le imprese degli ‘dèi’, dei nani, degli elfi, degli uomini e dei giganti ruotano sempre intorno al tema liberarsi dall’influenza dell’anello, ovvero del potere e del controllo di pochi (o uno) su molti”.

Autore di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali ed internazionali e membro dell’International Association for Jungian Studies, il dottor Lanzaro è stato primario al Royal Free Hospital di Londra e direttore sanitario in Italia ed in Inghilterra. Attualmente collabora con il Centro Raymond Gledhil di Roma e con l’Università del Cile.

In che direzione stanno andando le sue ricerche? “In questo momento – risponde – sto approfondendo le applicazioni della Schema Therapy, un nuovo sistema di psicoterapia che integra elementi di terapia cognitiva comportamentale, della Gestalt, della psicoanalisi, della teoria dell’attaccamento, della psicoterapia costruttivista, della psicoterapia focalizzata sulle emozioni, in un modello esplicativo chiaro ed esaustivo formulato dal Dr. Jeffrey Young. La Schema Therapy è particolarmente utile nel trattamento di ansia e depressione cronica, disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata), difficili problemi di coppia, difficoltà di lunga data nel mantenere relazioni sentimentali soddisfacenti e nell’aiutare a prevenire la ricaduta nel disturbo da uso di sostanze. E’ dimostrata, inoltre, la sua efficacia nel trattamento di pazienti con difficoltà complesse e di lungo termine come i Disturbi di Personalità, in particolar modo il Disturbo Borderline di personalità”.

Medico affermato, all’estero è conosciuto anche come fotografo. Ha esposto con successo a Londra ed anche a Lincon, nelle Midlands. La fotografia che valore ha per lei? “E’ il mio modo di produrre immagini. E forse talora di proiettare le immagini che ho dentro. Altre volte soddisfa il mio bisogno di mettermi alla ricerca di un silenzio adeguato: la fotografia ha un suo carico di potenzialità riflessive – risponde -. Per altri aspetti, mi è poi cara la riflessione di Robert Adams che, in sostanza, fa coincidere la bellezza – nella fotografia così come nell’arte in generale – con il parametro della Forma, o, se si vuole, della composizione; Forma, a sua volta, intesa come sinonimo della coerenza e della struttura sottese alla vita (un concetto, a mio avviso, molto vicino a quello di ‘archetipo’). «Perché la forma è bella? – si chiede Adams: – Lo è, perché ci aiuta ad affrontare la nostra paura peggiore, cioè a dire il timore che la vita non sia che caos e che la nostra sofferenza non abbia dunque alcun senso; quell’elemento (la Forma) ha in sé il potere di consolare, rassicurando sull’esistenza di un ordine, per quanto abilmente dissimulato, in ciò che lo circonda»”.

Nel punto atomico dove scompare il tempo

Non esiste cultura, antica o moderna, arcaica o civilizzata, che non possieda i suoi miti. Molti miti si assomigliano, pur appartenendo a popoli vissuti in epoche diverse e in luoghi molto lontani. In alcuni miti dell’America si raccontano storie uguali a quelle di altri miti dell’Asia o dell’Africa o dell’Europa. Cambia il nome dei personaggi, cambia l’ambiente geografico, l’epoca, cambiano altri particolari ma l’intreccio di base e il significato sostanziale delle storie, restano gli stessi. Le fiabe, i miti, le narrazioni in generale consentono pertanto di studiare l’anatomia comparata della psiche collettiva, ovvero di “ipotizzare paragoni tra ieri ed oggi”. Alcune “costanti naturali” sono l’espressione più pura dei processi psichici dell’inconscio di massa e di base rappresentano gli archetipi in forma semplice e concisa, su cui di volta in volta si stratificano o con cui si intersecano elementi e contaminazioni culturali. Ad un livello più ampio alcune narrazioni sono ritenute una compensazione inconscia dei valori dominanti di una determinata società

(Massimo Lanzaro)

Carissimi, senza ulteriori e superflui commenti (tanto sapete già quanto sia ampia la mia stima), vi suggerisco l’ebook del dottor Massimo Lanzaro.
Assolutamente da leggere….

Gabriele

http://www.editoredimestesso.it/Massimo_Lanzaro/Home.html

I demoni interiori

In risposta ad una domanda di Lorenzo sul cosa siano i demoni interiori. Ne facciamo un post

 

Sono emersioni, dall’inconscio, di coaguli psichici irrisolti. Con il tempo assumono personalità e vita propria fino a condizionare la vita stessa dell’ego razionale. Una personalità dentro la personalità. Insomma, la prevalenza, alla lunga, di Mr. Hyde

 

 

 

Archetipi e trasformazione in psicologia analitica (di Massimo Lanzaro)

Ogni 2 febbraio una marmotta predice la durata dell’inverno: se fa capolino dalla sua tana e vede la propria ombra, il clima invernale negli Stati Uniti si protrarrà per altre sei settimane; se invece non vede l’ombra, bisogna festeggiare, perché la primavera è ormai alle porte. Si tratta di una tradizione importata in Pennsylvania dagli immigrati tedeschi, ed è probabile che abbia le sue radici nelle credenze degli antichi romani che ritenevano appunto la prima decade di febbraio utile a intuire la durata dell’inverno, Una tradizione che poi ha assunto forme (e date) diverse in molti paesi.

Il 3 Aprile 2009 l’autore del Blog “Go into the story”, nonchè sceneggiatore e critico di ambito hollywoodiano, Scott Myers, recensiva una mia lettura psicologica (pubblicata in inglese) del film Ricomincio da capo (Groundhog Day), commedia del 1993 diretta da Harold Ramis ed interpretata da Bill Murray e Andie MacDowell, che prende spunto da tale tradizione.

In esso Phil Connors è un meteorologo televisivo che, controvoglia, deve recarsi nella piccola città di Punxsutawney per fare appunto un reportage sul Giorno della Marmotta. Un circolo temporale fa si che ogni mattina, alle 6.00 in punto, Connors viene svegliato dalla radio che trasmette sempre lo stesso brano musicale (I Got You Babe di Sonny & Cher), e da allora la giornata trascorre inesorabilmente allo stesso modo della precedente (e la marmotta intanto continua ogni giorno “a vedere la propria ombra”).

La recensione, tra l’altro dice: I’ve seen Groundhog Day probably 3 times, yet it never occurred to me that the Protagonist Phil Connor (Bill Murray) has the same first name as the groundhog Punxsatawney Phil. If not for that fact, I would tend to consider Dr. Lanzaro’s analysis to be a bit overblown. But a fact is a fact – and there is Phil the Protagonist, and Phil the Groundhog.

“Overblown” in italiano può essere tradotto con esagerato, pomposo (“over” in questo caso allude ad un “troppo”). In pratica mentre cercavo di analizzare l’evoluzione cinematografica di un carattere connotato filmicamente come presuntuoso, Scott Myers alludeva al fatto che prendessi quantomeno troppo seriamente la mia interpretazione. Quale ragione più interessante anche se un po’ autoreferenziale per scrivere e riflettere nuovamente sull’argomento. Barthes diceva che “quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia”; mi accingo dunque a riproporre non solo frammenti della mia precedente analisi, ma anche a tentare di rivedere il mio punto di vista di allora.

Suggerisco di guardare il film prima di leggere il resto di questi commenti. Vorrei inoltre segnalare che non state leggendo un articolo di critica cinematografica. Discuto di un film che dietro il racconto brillante è estremamente denso. Myers scrisse innanzitutto di essere sorpreso dal fatto che nella mia digressione avessi notato la coincidenza del nome del protagonista del film e della marmotta (entrambi si chiamano Phil), nonché dal fatto che facessi notare come più volte nel film il nome “Phil” appare nelle inquadrature sulla testa di Bill Murray, quasi a mò di didascalia.

Pensando alla non casualità di questi dettagli in effetti immaginai che il regista avesse voluto prendere spunto dalla tradizionale ricorrenza che in Pennsylvania si festeggia ormai da ben 126 anni per trattare in realtà (in maniera più o meno consapevole) il tema psicologico dell’ombra. In Analyze this del 1999 (Terapia e pallottole) Harold Ramis rivelerà più direttamente, forse, l’intreccio tra il suo cinema e la psicologia.

Sarà bene fare ora un piccolo excursus sui tre concetti chiave del pensiero junghiano: lnconscio Collettivo, Archetipo (uno dei quali è appunto “l’Ombra”) ed Individuazione.

Per Freud l’inconscio non è altro che il punto ove convergono contenuti rimossi o dimenticati. Secondo Jung esso poggia su uno strato più profondo che non deriva da esperienze e acquisizioni personali, ma è innato ed ha strutture che (cum grano salis) sono le stesse dapperutto e per tutti gli individui.

Gli archetipi riguardano i contenuti dell’inconscio collettivo e sono i tipi arcaici e primigeni espressi riccamente nei sogni e nelle visioni, oltre ad essere la sostanza del mito, della fiaba e delle dottrine esoteriche. Nel mio articolo (cui rimando) partivo dal concetto di coerenza cinematografica archetipica (Conforti, 1995), per suggerire la possibilità che una narrazione filmica possa compiutamente rappresentare la natura e gli sviluppi psicologici di (frammenti di) una delle istanze archetipiche della psiche e, nella fattispecie, l’ombra.

Il processo di individuazione è la presa di coscienza con cui ciascuno attribuisce un senso alla propria esistenza. Si realizza attraverso una congiunzione ed integrazione di coscienza e inconscio. In “Groundhog day” si può postulare che Phil Connors progressivamente entri in contatto con le parti meno gradevoli della sua personalità (l’Ombra), le comprende e lentamente, attraverso una somma di esperienze (favorite dal loop temporale) diventa una persona nuova, più completa, integra, consapevole e capace di amare.

La dottrina Junghiana vede dunque l’Ombra come parte inferiore della personalità ed una parte della totalità della psiche. Le profonde antipatie ingiustificate, per esempio, sono quasi sempre il frutto della proiezione della propria Ombra. Jung la definisce come il contenuto di sentimenti e ed emozioni rimossi da ognuno di noi, perchè ritenuti per così dire “brutti, sporchi e cattivi”, non corrispondenti ad una visione ideale di se stessi. In effetti nel film Murray veste dei panni calzanti in questo senso: è la “prima donna” televisiva, è definito “presuntuoso ed egocentrico”, non va d’accordo praticamente con nessuno, si sente sprecato in un canale televisivo locale, è sempre insofferente, tratta le persone con sufficienza ed è “troppo innamorato di se stesso per avere una relazione autentica”.

Il (non) passare dei giorni gli consente di attraversare fasi di depressione e poi di euforia ed onnipotenza fino a quando la sua vita e il suo modo di approcciarsi alle cose e alle persone comincia a cambiare.

Nonostante egli riesca a ottenere facilmente sesso e denaro, non riesce a conquistare Rita (di cui pian piano si innamora), cui non interessa quello che Connors sa, e addirittura la indispone che egli sappia anticipare tutti suoi desideri: la sua erudizione è totalmente inutile perché a lei “interessa un certo tipo di uomo, con certe qualità”. Con la conoscenza erudita non nasce mai un Phil Connors nuovo o migliore, e difatti egli si ritrova ogni giorno ad essere la persona che era il giorno prima. Questo è forse un pregnante significato della seconda parte del film, il vero senso, incidentalmente, del ricominciare da capo. Connors spezzerà il cerchio infernale quando passerà da una conoscenza che si limita a raccogliere dati a una conoscenza che trasforma (e ad una autentica consapevolezza delle parti della sua “ombra”, delle cose sgradevoli di sè, cui rinuncia o che riesce a modificare con la pazienza e la disciplina). I giorni seguenti lo vedono infatti affabile con Rita e Larry. Si dà alla scultura di statue di ghiaccio. Decide di dedicarsi agli studi. Inizia a seguire un corso di pianoforte. Imparare a suonare il piano trasforma colui che impara perché nell’apprendimento non ci si limita a memorizzare un pezzo, ma si acquisisce una tecnica che permette la padronanza di un numero virtualmente illimitato di pezzi (ironicamente, la rivelazione della bellezza della musica avviene grazie alle note della sonata K. 545 in do maggiore di Mozart, il magnifico pons asinorum di tutti i principianti).

Ne seguiamo ulteriormente i progressi. Conosciamo un Connors “buono”, che si dispera per non riuscire a salvare un pover’uomo che pare condannato a morire un due di febbraio e che finisce con l’accettare che alcune cose non possono venir comunque cambiate nel giorno che egli vorrebbe perfetto. Nell’ultimo giorno della marmotta Connors compie una serie di “buone azioni” che gli permettono di guadagnare l’affetto degli abitanti di Punxsutawney e l’ammirazione di Rita che lungi oramai dal trovarlo insopportabile lo compra all’asta degli scapoli. L’amore infine conquistato lo libera dalla ripetizione; il risveglio al tre febbraio porta con sé l’accettazione del destino: Connors vuole vivere a Punxsutawney (che tanto aveva disprezzato inizialmente). La primavera è alle porte.

Massimo Lanzaro,
Psichiatra e Psicoterapeuta

Bibliografia

C.G. Jung. Gli Archetipi e l’inconscio collettivo. In: Opere, Vol. IX, 1980, 1997, Bollati Boringhieri.

E.G. Humbert. C.G. Jung, The fundamentals of Theory and Practice. Chiron Publications, 1988 (Originariamente pubblicato nel 1984 come C.G. Jung. Ed Universitaires, Paris).

Rabbia e rancore

“Trattenere la rabbia e il rancore è come tenere in mano un carbone ardente con l’intento di getterlo a qualcun altro: sei tu quello che viene bruciato”

Buddha

Reciprocità

 Ci sono cataloghi di cataloghi.
Poesie su poesie.
Ci sono drammi su attori recitati da attori.
Lettere in risposta a lettere.
Parole che spiegano parole.
Cervelli impegnati a studiare il cervello.
Ci sono tristezze contagiose come il riso.
Carte nate da carte macerate.
Sguardi veduti.
Casi declinati da casi.
Fiumi grandi per il copioso contributo di piccoli.
Foreste infestate da foreste.
Macchine destinate a produrre macchine.
Sogni che all’improvviso ci destano da sogni.
Una salute di ferro necessaria a riacquistare la salute.
Scale che portano giù come portano su.
Occhiali per cercare occhiali.
L’inspirazione e l’espirazione del respiro.
E ci sia anche, almeno di tanto in tanto,
l’odio dell’odio.
Perché alla fin fine
c’è l’ignoranza dell’ignoranza
E mani ingaggiate per lavarsene le mani.

Wislowa Szymborska

Speculazione

La mia malinconia

La mia malinconia è tanta e tale,
ch’i’ non discredo che, s’egli ‘l sapesse
un che mi fosse nemico mortale,
che di me di pietade non piangesse.

Quella, per cu’ m’aven, poco ne cale;
che mi potrebbe, sed ella volesse,
guarir ‘n un punto di tutto ‘l mie male,
sed ella pur: -i’ t’odio- mi dicesse.

Ma quest’è la risposta c’ho da lei;
ched ella non mi vol né male né bene,
e ched i’ vad’a far li fatti miei;

ch’ella non cura s’i’ ho gioi’ o pene,
men ch’una paglia che le va tra’ piei:
mal grado n’abbi Amor, ch’a le’ mi diene.

Cecco Angiolieri

Bambini

Invito a riflettere (3)

Secondo voi:

1)L’Ombra: è possibile integrarla totalmente?

2)Cosa si può fare davvero per quei bambini che avrebbero la possibilità di essere adottati e invece non vengono dati alle famiglie che ne fanno richiesta, adducendo ai motivi più assurdi? Uno di questi, ad esempio, è relativo al limite di età dei genitori adottivi, la cui soglia è ferma ai parametri decisi negli anni ’50, quando la vita era oggettivamente più breve.

3) Pregherei tutti voi di attenervi ad una certa concisione nell’esporre le vostre idee, per rendere più agevole il lavoro redazionale.

Vi abbraccio.

Gabriele

Invito a riflettere (2)

“Carissimi,
il cavaliere che vuole conoscere Anima deve mutare la propria aggressività in comprensione. Difficilissimo. Qualcuno di voi, ci è riuscito anche in piccola parte?
(Nota a margine: Come mai ci sono più genitori disposti ad adottare, di quanti siano i bambini soli? E come mai la stragrande maggioranza di bimbi continua a rimanere in orfanotrofio? C’è qualcosa che non mi torna.)

Gabriele

Invito a riflettere

“Carissimi,
dobbiamo dedicare attenzione all’infanzia abbandonata. Si stanno compiendo atrocità in ogni parte del mondo. Vi racconterò, nei prossimi giorni, una storia vera. Dovrà divenire il nostro manifesto insurrezionale a favore delle fanciulle e dei fanciulli indifesi. Noi siamo quei cavalieri che aspirano ad Anima.”

Gabriele

Il bene e il male

“Non dobbiamo più soggiacere a nulla, nemmeno al bene. Un cosiddetto bene, al quale si soccombe, perde il carattere etico. Non che diventi cattivo in sé, ma è il fatto di esserne succubi che può avere cattive conseguenze. Ogni forma di intossicazione è un male, non importa se si tratti di alcol o morfina o idealismo.
Dobbiamo guardarci dal considerare il male e il bene come due opposti.”

Carl Gustav Jung

“Io, di vendette, non ne voglio”

Mi avevano lasciato solo

Mi avevano lasciato solo
nella campagna, sotto
la pioggia fina, solo.
Mi guardavano muti
meravigliati
i nudi pioppi. soffrivano
della mia pena. pena
di non saper chiararnente…
E la terra bagnata
e i neri altissimi monti
tacevano vinti. Sembrava
che un dio cattivo
avesse con un sol gesto
tutto pietrificato.

E la pioggia lavava quelle pietre.

Sandro Penna

Il mantello e la spiga

Sotto l’ombra sospiravi
pastore di ombre e di sotterranei segreti
parlavi di una vita trascorsa.
Come sempre le foglie cadono d’autunno.
Intona i canti dei veggenti
cedi alla saggezza
alle scintille di fuochi ormai spenti,
regolati alle temperature e alle frescure delle notti:
lascia tutto e seguiti.
Guarda le distese dei campi, perditi in essi
e non chiedere altro.
Lasci un’orma attraverso cui tu stesso
ti segui nel tempo e ti riconosci.
Correvi con la biga nei circhi.
E fosti pure un’ape delicata,
il gentile mantello che coprì le spalle di qualcuno.
Lascia tutto e seguiti.
I tuoi occhi dunque trascorrono svagati
ed ozi come una spiga.
Come sempre le foglie cadono d’autunno.

Franco Battiato

Il male senza voce

Il male senza voce
Prese a prestito il linguaggio del bene
E lo ridusse a mero rumore.

Wystan Hugh Auden

Il corvo

L’ombra dell’anima mia

L’ombra dell’anima mia
fugge in un tramonto di alfabeti,
nebbia di libri
e di parole.
L’ombra dell’anima mia!
Sono giunto alla linea dove cessa la nostalgia,
e la goccia di pianto si trasforma
in alabastro di spirito.
(L’ombra dell’anima mia!)
Il fiocco del dolore
finisce,
ma resta la ragione e la sostanza
del mio vecchio mezzogiorno di labbra,
del mio vecchio mezzogiorno
di sguardi.
Un torbido labirinto
di stelle affumicate
imprigiona le mie illusioni
quasi appassite.
L’ombra dell’anima mia!
E un’allucinazione
munge gli sguardi.
Vedo la parola amore
sgretolarsi.
Mio usignolo!
Usignolo!
Canti ancora?

Federico Garcia Lorca

Memoria d’amore

Dal diaro di Sylvia Plath

“Pensa. Ne sei capace. Sopratutto non devi fuggire nel sonno-dimenticare i dettagli – ignorare i problemi – costruire barriere fra te e il mondo e le allegre ragazze brillanti – ti prego, pensa, svegliati. Credi in qualche forza benefica al di fuori del tuo io limitato. Signore, signore, signore: dove sei? Ti voglio, ho bisogno di te: di credere in te e nell’amore e nell’umanità…”

Sylvia Plath

Disperazione

(Kirill Vikentievitch Lemokh,  Morte di un padre in un isba, 1887)

Pathos

(John Everett Millais, La ragazza cieca, 1856)

Il bambino con il pigiama a righe

Disperazione e dignità

“Il mio sogno consiste nel vedere ogni essere umano impegnato in un lavoro”.

Dall’ultima lettera di Salvatore De Salvo, 64 anni, disoccupato da 7, morto suicida con la moglie.

La miseria dell’essere povero

“C’è una sola classe della umanità che tiene al denaro molto più dei ricchi: i poveri. Il povero non può tenere ad altro. Questa è la miseria dell’essere povero”.

Oscar Wilde

L’ombra dell’anima mia

L’ombra dell’anima mia
fugge in un tramonto di alfabeti,
nebbia di libri
e di parole.

L’ombra dell’anima mia!

Sono giunto alla linea dove cessa
la nostalgia,
e la goccia di pianto si trasforma
in alabastro di spirito.

(L’ombra dell’anima mia!)

Il fiocco del dolore
finisce,
ma resta la ragione e la sostanza
del mio vecchio mezzogiorno di labbra,
del mio vecchio mezzogiorno
di sguardi.

Un torbido labirinto
di stelle affumicate
imprigiona le mie illusioni
quasi appassite.

L’ombra dell’anima mia!

E un’allucinazione
munge gli sguardi.
Vedo la parola amore
sgretolarsi.

Mio usignolo!
Usignolo!
Canti ancora?

Federico Garcia Lorca

Filosofia del licenziamento?!

Salvate il soldato Ryan

La ricerca della verità

Il giardino spezzato

Desiderio di vendetta

(Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne, 1612-1613)

L’odio

Una canzone per riflettere