I colori dell’Alchimia

Cari amici,

vediamo insieme  il significato ermetico del NERO, del BIANCO, del GIALLO e del ROSSO secondo la filosofia esoterica.

 

Questi sono i colori dell’alchimia, la scienza parallela alla magia che vuole trasmutare non il piombo in oro, come credono gli stolti, ma la mente asfittica dell’uomo, chiusa e ottusa, in un’intelligenza aperta e tollerante (oro).

Le tonalità corrispondono a questi significati:

Nero (Nigredo) —   È la notte, l’oscurità del dolore. È quella scheggia della nostra vita in cui tutto sembra senza speranza e senza scopo. I problemi avviluppano e soffocano. Tutto è tetro e cupo. Ma è anche il momento in cui una voce lontana comincia a sussurrare: «Attento, così stai soffrendo troppo, devi cambiare». E nel buio pesto si accende un pallido fuoco. La coscienza ha intrapreso il lentissimo giro del «cangiamento».

Bianco (Albedo) —    È il momento in cui la persona inizia a capire che è necessaria una trasformazione.

Giallo (Citrinitas) —  È il momento in cui il processo si è messo in moto e inizia il percorso della mutazione di sé. Ma questo sentiero è doloroso, occorre lasciarsi dietro i difetti, le preoccupazioni, le piccole meschinità e gli egoismi. È una fase dura e spesso chi intraprende il sentiero è tentato a questo punto di tornare indietro. Eppure c’è anche una forza interiore, ormai matura, che non rinuncia e continuamente sprona a proseguire.

Rosso (Rubedo)  —   È l’esplorazione raggiante della nuova personalità. Il vecchio io è come una crisalide, avvizzisce e lascia il posto alla nuova farfalla. La mente si è aperta e le piccole meschinità, le invidie, i rancori, i tremori, le paure e le angosce sono ormai alle spalle. È la rinascita. Una nuova vita attende chi ha iniziato il calvario.

 

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Newton

Carissimi,
vi chiedo, oggi, di riflettere insieme su questa famosa illustrazione del visionario William Blake, che, come sempre, nasconde profondi messaggi e simbolismi.

Buona giornata!

 

dr. Massimo Lanzaro

http://www.fattitaliani.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=1108:ebook-%E2%80%9Cnel-punto-atomico-dove-scompare-il-tempo%E2%80%9D-di-massimo-lanzaro&Itemid=201

(In foto: Dr. Massimo Lanzaro)

“Studiare i miti e le fiabe è un buon modo di studiare l’anatomia comparata dell’inconscio collettivo” da questa osservazione di Carl Gustav Jung parte l’idea di Massimo Lanzaro, medico, psichiatra e psicoterapeuta napoletano classe 1971, di raccogliere nell’ebook “Nel punto atomico dove scompare il tempo” (scaricabile gratuitamente all’indirizzo http://www.editoredimestesso.it/ebook/lanzaro/) le sue riflessioni in merito pubblicate negli ultimi anni su riviste internazionali. “Non esiste cultura, antica o moderna, arcaica o civilizzata, che non possieda i suoi miti e molti si assomigliano: l’intreccio di base ed il significato sostanziale delle storie, restano gli stessi, in maniera trans temporale – spiega Lanzaro -.
Le fiabe, i miti, le narrazioni in generale consentono pertanto di ipotizzare paragoni tra l’ieri e l’oggi degli strati profondi della psicologia collettiva”.

In questi “Scritti di psicologia” (come da sottotitolo dell’eBook) i temi più importanti affrontati sono: la valenza simbolica delle fiabe e dei “miti di oggi”, gli stadi di reazione psicologica alla perdita ed ai momenti di crisi; le costanti naturali presenti nell’arte contemporanea; la decodifica dei relativi messaggi e la potenziale valenza catartica; alcuni effetti psicologici del consumismo e della società dello spettacolo; le patologie mentali viste da un punto di vista poco ortodosso ed originale. La lettura di questo lavoro si consiglia a studenti di psicologia, psicologi ad orientamento analitico, operatori sociali, medici, antropologi, studenti di letteratura e storia dell’arte, ma risulta piacevole anche a chi non ha una formazione specifica. Leggendo ci s’imbatterà nella teoria del Super Ego o nell’esortazione a “fare anima” con leggerezza e profondità al tempo stesso. Lanzaro affronta i temi più complessi tenendo il lettore per mano. Eccone una dimostrazione.

“Riassumo innanzitutto la nota tesi di Hillman espressa nel suo ‘Il mito dell’analisi’: gli ‘Dei’ rimossi (non più esperiti, le cui istanze vitali non sono più riconosciute, verbalizzate ed, entro certi limiti, agite) ritornano come nucleo archetipico di complessi sintomatici – dice Lanzaro -. Prendiamo come esempio la sindrome da attacchi di panico. Questo disturbo (l’etimologia della parola appare un epifenomeno del modo in cui la regione psichica e archetipica di Pan è arrivata fino a noi dall’antica Grecia) è oggi diffuso e diverse evidenze suggeriscono che fattori psicologici possono essere rilevanti, ed in particolare l’incapacità di riconoscere ed identificare i propri stati affettivi e le proprie emozioni, della difficoltà nell’identificare i sentimenti e nel descrivere, esprimere agli altri tali stati d’animo. La body art e l’arte estrema contemporanea nasconde, al di là delle dichiarate valenze di critica di parte dell’istituzione sociale, una sorprendente inversione dei processi di somatizzazione (passivi) descritti, attraverso la produzione attiva d’immagini e l’uso del corpo”.

Poi si può riflettere a partire da un classico. “In sostanza – dice Lanzaro – il fatto che ne ‘Il signore degli anelli’ il tema del potere e del controllo (orwelliano) delle persone sia così prominente e relativamente nuovo rispetto alle narrazioni del passato (remoto), tanto da offuscare più o meno insolitamente gli altri molteplici elementi classici della mitologia (conquista/liberazione di fanciulle, palingenesi dell’eroe etc.). Anche quando questi temi sono sviluppati sono sempre secondari e le storie d’amore, le imprese degli ‘dèi’, dei nani, degli elfi, degli uomini e dei giganti ruotano sempre intorno al tema liberarsi dall’influenza dell’anello, ovvero del potere e del controllo di pochi (o uno) su molti”.

Autore di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali ed internazionali e membro dell’International Association for Jungian Studies, il dottor Lanzaro è stato primario al Royal Free Hospital di Londra e direttore sanitario in Italia ed in Inghilterra. Attualmente collabora con il Centro Raymond Gledhil di Roma e con l’Università del Cile.

In che direzione stanno andando le sue ricerche? “In questo momento – risponde – sto approfondendo le applicazioni della Schema Therapy, un nuovo sistema di psicoterapia che integra elementi di terapia cognitiva comportamentale, della Gestalt, della psicoanalisi, della teoria dell’attaccamento, della psicoterapia costruttivista, della psicoterapia focalizzata sulle emozioni, in un modello esplicativo chiaro ed esaustivo formulato dal Dr. Jeffrey Young. La Schema Therapy è particolarmente utile nel trattamento di ansia e depressione cronica, disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata), difficili problemi di coppia, difficoltà di lunga data nel mantenere relazioni sentimentali soddisfacenti e nell’aiutare a prevenire la ricaduta nel disturbo da uso di sostanze. E’ dimostrata, inoltre, la sua efficacia nel trattamento di pazienti con difficoltà complesse e di lungo termine come i Disturbi di Personalità, in particolar modo il Disturbo Borderline di personalità”.

Medico affermato, all’estero è conosciuto anche come fotografo. Ha esposto con successo a Londra ed anche a Lincon, nelle Midlands. La fotografia che valore ha per lei? “E’ il mio modo di produrre immagini. E forse talora di proiettare le immagini che ho dentro. Altre volte soddisfa il mio bisogno di mettermi alla ricerca di un silenzio adeguato: la fotografia ha un suo carico di potenzialità riflessive – risponde -. Per altri aspetti, mi è poi cara la riflessione di Robert Adams che, in sostanza, fa coincidere la bellezza – nella fotografia così come nell’arte in generale – con il parametro della Forma, o, se si vuole, della composizione; Forma, a sua volta, intesa come sinonimo della coerenza e della struttura sottese alla vita (un concetto, a mio avviso, molto vicino a quello di ‘archetipo’). «Perché la forma è bella? – si chiede Adams: – Lo è, perché ci aiuta ad affrontare la nostra paura peggiore, cioè a dire il timore che la vita non sia che caos e che la nostra sofferenza non abbia dunque alcun senso; quell’elemento (la Forma) ha in sé il potere di consolare, rassicurando sull’esistenza di un ordine, per quanto abilmente dissimulato, in ciò che lo circonda»”.

Nel punto atomico dove scompare il tempo

Non esiste cultura, antica o moderna, arcaica o civilizzata, che non possieda i suoi miti. Molti miti si assomigliano, pur appartenendo a popoli vissuti in epoche diverse e in luoghi molto lontani. In alcuni miti dell’America si raccontano storie uguali a quelle di altri miti dell’Asia o dell’Africa o dell’Europa. Cambia il nome dei personaggi, cambia l’ambiente geografico, l’epoca, cambiano altri particolari ma l’intreccio di base e il significato sostanziale delle storie, restano gli stessi. Le fiabe, i miti, le narrazioni in generale consentono pertanto di studiare l’anatomia comparata della psiche collettiva, ovvero di “ipotizzare paragoni tra ieri ed oggi”. Alcune “costanti naturali” sono l’espressione più pura dei processi psichici dell’inconscio di massa e di base rappresentano gli archetipi in forma semplice e concisa, su cui di volta in volta si stratificano o con cui si intersecano elementi e contaminazioni culturali. Ad un livello più ampio alcune narrazioni sono ritenute una compensazione inconscia dei valori dominanti di una determinata società

(Massimo Lanzaro)

Carissimi, senza ulteriori e superflui commenti (tanto sapete già quanto sia ampia la mia stima), vi suggerisco l’ebook del dottor Massimo Lanzaro.
Assolutamente da leggere….

Gabriele

http://www.editoredimestesso.it/Massimo_Lanzaro/Home.html

Dai fenomeni di somatizzazione alla body art: riflessioni sul corpo e sugli attacchi di panico

L’uomo primitivo era governato dai propri istinti più dei suoi moderni discendenti “razionali”, che hanno imparato a “controllarsi”, piuttosto che ad esprimere. Nel corso di questo processo di civilizzazione abbiamo progressivamente scisso la nostra coscienza dagli strati profondi della psiche umana e infine anche dalla base somatica del fenomeno psichico. L’uomo contemporaneo, a causa di mancanza d’introspezione, è sovente ignaro che, pur con tutta la sua razionalità ed efficienza, è in balìa di “forze non controllabili”. Dei e demoni tengono molti individui in uno stato d’agitazione semplicemente attraverso vaghe apprensioni, o tramite un ingente fardello di nevrosi e di disturbi somatici.
La letteratura recente postula che un’inibizione più o meno forzata e costante del naturale comportamento biopsicomotorio del corpo si traduce in una cronica e sterile microattivazione del sistema nervoso vegetativo, psico-neuro-endocrino ed immunologico. Quest’attivazione produrrebbe le manifestazioni squisitamente cliniche di tale processo: gli attacchi di panico, i disturbi da somatizzazione gastro-intestinale, sessuale o pseudo-neurologica (si pensi ai vari tipi di cefalea), le sindromi algiche e l’ipocondria, per citare la nosografia di maggiore incidenza.
Giova ricordare in quest’ambito, anche se a margine ai fini del presente discorso, la concezione junghiana sul ruolo vitale della funzione compensatrice dei sogni e della loro elaborazione nell’alleviare la strutturazione di tali disturbi.
Analizzeremo ora come esempio la fenomenologia clinica della sindrome da attacchi di panico. Questo disturbo (l’etimologia della parola appare un epifenomeno del modo in cui la regione psichica e archetipica di Pan è arrivata fino a noi dall’antica Grecia) dura generalmente solo alcuni minuti, ma causa una considerevole angoscia. Il coinvolgimento del corpo si manifesta con prepotenti sintomi organici come soffocamento, vertigini, sudorazione profusa, tremore e tachicardia cui si accompagnano spesso una sensazione di morte imminente od il timore di impazzire. Sebbene l’evidenza a favore di fattori neurofisiologici nella genesi di questo corteo sintomatologico sia ineludibile, tali osservazioni sono più persuasive nella spiegazione della patogenesi piuttosto che dell’eziologia del disturbo. Nessun dato neurobiologico è in grado di farci comprendere cosa scateni l’inizio di un attacco di panico, così come di altri disturbi psicosomatici.
Diverse evidenze suggeriscono invece che fattori psicologici possono essere rilevanti. Vari studi hanno dimostrato una maggiore incidenza in questi pazienti di eventi esistenziali stressanti, ed in particolare la perdita di persone significative nei mesi che precedono il disagio. Tutto questo suggerisce che l’eziologia riguardi il significato inconscio e simbolico degli eventi, nella misura in cui ciascuno lo elabora in maniera diversa, o non lo elabora per niente. La paura ha un oggetto, l’angoscia panica n’è priva, o meglio, il vissuto relativo è rimosso: non c’è insight. C’è un consenso quasi unanime nell’attribuire all’alessitimia, concetto centrale della psicosomatica contemporanea, parte della genesi dei processi di somatizzazione. Si tratta dell’incapacità di riconoscere e identificare i propri stati affettivi e le proprie emozioni, della difficoltà nell’identificare i sentimenti e nel distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all’attivazione emotiva e della difficoltà nel descrivere agli altri tali stati d’animo.
James Hillman postulava che alla base di processi analoghi vi sia il tradizionale approccio occidentale alla paura, ai vissuti che causano sofferenza, considerati non come un qualcosa da accettare, con cui prendere contatto, ma un problema morale da superare ad ogni costo, anche quello della rimozione e della repressione inconsapevole.
Cambiamo punto di vista ed apparentemente cambiamo argomento. Fino a qualche tempo fa lo sfoggio di tatuaggi su braccia, spalle e gambe era considerata la sfida dell’individuo contro le regole convenzionali delle società, un segno di distinzione, in alcuni casi di capacità creativa. Diffusa, inoltre, era la pratica del tatuaggio nel mondo penitenziario che sanciva l’appartenenza a gruppi e/o sottogruppi, esattamente come avviene nelle tribù primitive e quelle più “moderne”. Ad alcune persone tali tendenze inducono sensazioni sgradevoli, eppure tali fenomeni sono divenuti sempre più diffusi, fino ad interessare una certa fascia della società. Tutte le mode passano o si evolvono. Al tatuaggio si sono aggiunte altre forme di “body art”, sicuramente più spettacolari, e per certi versi anche potenzialmente dannose per la salute. Si fa riferimento al piercing, con perforazione di narici, ombelichi, lingua od altre parti del corpo.
A riguardo, ricordo le parole di una cliente ventiquattrenne: -è bello, mi piace. Inutile dire che lo ho fatto per sentirmi integrata, per essere alla moda, per sfidare il dolore…il piercing è una forma di arte che collega il corpo allo spirito. E’ l’anima che colpisce la propria carne per farla più sua, per sentirsi di più un “tutt’uno”-.
Procedendo in un ipotetico continuum nell’analisi di questo fenomeno, ho immaginato che un successivo gradino fosse individuabile nell’arte estrema contemporanea. A partire dagli anni Settanta le arti cosiddette “canoniche” subiscono un definitivo cambio di rotta approdando ad una privilegiata, inquietante terra di conquista: il corpo. Il lavoro di Ron Athey rileva l’estremizzazione del dolore fisico come manifestazione privilegiata del disagio esistenziale. Le scioccanti “esperienze” di Franko B, artista-performer italobritannico, conducono il discorso della sfida al dolore alle estreme conseguenze. Nelle sue opere arriva a farsi tramortire e torturare, da un lato mimando le limitazioni che il corpo naturalmente manifesta in alcune situazioni e dall’altro mantenendo un controllo assoluto sulla propria fisicità durante tali rituali. Questa forma d’arte ha una valenza peculiare: nasconde, al di là delle dichiarate valenze di critica di parte dell’istituzione sociale, una inversione dei processi di somatizzazione attraverso la produzione attiva d’immagini “estreme”. Franko B ha dichiarato in una intervista di “non aver più paura di mostrare le proprie vergogne”, ovvero di non aver timore nell’esprimere verbalmente ed attraverso immagini d’arte il proprio stato affettivo, ideico ed emotivo, per quanto eccessivo possa risultare al fruitore.
A questo punto riassumo la nota tesi di Hillman espressa nel suo “Il mito dell’analisi”: gli Dei rimossi (non più esperiti, le cui istanze vitali non sono più riconosciute, verbalizzate ed, entro certi limiti, agite) ritornano come nucleo archetipico di complessi sintomatici. Alcuni esempi sono quelli di Dioniso e l’isteria, della relazione tra Crono-Saturno con gli aspetti paranoici della depressione e di Ermes-Mercurio con quello che chiamiamo comportamento schizoide. Si tratta di esplorare la psicopatologia in termini di psicologia archetipica.
Veniamo dunque a Pan. Il mito greco lo pose come dio della natura, dalle molteplici sfaccettature, dimorante in Arcadia, le “oscure caverne” dove lo si poteva incontrare, una località tanto fisica che psichica. Il suo habitat erano grotte, fonti, boschi e luoghi selvaggi (l’inconscio). A ben vedere esso sussume sia l’angoscia panica che si impadronisce del corpo (dall’alessitimia alla genesi del sintomo ad un polo) che gli aspetti erotici connessi alla sua natura satiresca, caprina, fallica e demonica (autoassertività, capacità di contatto ed elaborazione delle proprie emozioni, vissuti, istinti e pulsioni, simbolizzazione consapevole della sofferenza, produzione laconicamente esplicativa delle proprie immagini interiori).
Mi sembra suggestivo osservare ora da una prospettiva olistica le nuove manifestazioni del duplice, antitetico ruolo di Pan nel determinismo di vari aspetti della psiche individuale e collettiva dell’uomo moderno ed ipotizzare il suo potenziale disvelarsi per ciascuno di noi in un punto sito nel percorso che va da un polo all’altro dell’enantiodromia descritta (dalla sofferenza alessitimica all’espressione “spudorata” del dolore del body art performer).
Forse nel passaggio al contatto, alla progressiva capacità di dare forma e parola ai propri vissuti, di esprimere ed agire il bisogno di ascolto della voce del corpo e delle emozioni si concretizza il ruolo spirituale che noi scegliamo per Pan o che Pan sceglie per noi. E durante un percorso analitico il ruolo del terapeuta che incontra una persona con disturbi somatici diviene anche quello di mediare la riscoperta del livello di percezione e di esperienza delle immagini a cui la sua storia ha tentato di impedire l’accesso. In tal modo probabilmente incontreremo il dio che “rende pazzi”, consentendogli di “farci guarire”.

Dr. Massimo Lanzaro

Per ulteriori approfondimenti:

C.G. Jung. L’uomo e i suoi simboli. Tea, 2002.
James Hillman. Saggio su Pan. Adelphi, 2001.
Savoca G. Arte estrema. Castelvecchi,1999.

Pietra filosofale

“Quasi tutti coloro che hanno sentito parlare della pietra filosofale e del suo potere, chiedono dove si possa trovare. Il filosofo dà sempre una duplice risposta. Prima dice che Adamo ha preso la pietra filosofale dal Paradiso e che è ora presente dentro di te, dentro di me e dentro tutti, e che gli uccelli di terre lontane la hanno portata con loro. Poi il filosofo risponde che si può trovare nella terra, nelle montagne, nell’aria e nel fiume. Allora in che modo bisogna cercare? Per me, in entrambi i modi, ma ogni modo ha il suo modo”.

(Michael Maier, 1617)

Per gli amici che utilizzano facebook, vi suggerisco questa pagina:
https://www.facebook.com/pages/Inconscio-Magia-e-Tarocchi/406484842732184

 

Jung, Leonardo e le immagini dell’inconscio

 

di Massimo Lanzaro

Leonardo suggeriva agli artisti del suo tempo di guardare le macchie sui muri, le venature dei marmi, le nuvole, la cenere, per scorgervi paesaggi ed animali, cose inusitate e mostruose, com’era solito fare lui stesso, abbandonandosi alla potenza evocatrice delle “cose confuse”, perché “nelle cose confuse l’ingegno si desta a nuove invenzioni”. Nel tedesco corrente gelassenheit significa “calma”, “tranquillità”. La pregnanza storica del termine ha le sue origini nella tradizione mistica (da Meister Eckhart, il mistico domenicano vissuto tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo), in cui indicava il sich lassen, la dedizione e il completo abbandono a Dio. L’esistenzialismo ricondusse il verbo alla radice di lassen, “lasciare”, “lasciar essere”, alludendo ad un rapporto con le cose che le rispetta nel loro disvelarsi. Jung arrivò ad intendere tale abbandono come l’attingere del singolo alla forza o volontà “superiore” che è possibile scoprire attraverso la funzione trascendente. Nella weltanshaung junghiana infatti, l’abbandono insito nel geshehenlassen (“lasciar accadere”) assume una valenza-chiave: lasciare che tutto avvenga e tuttavia conservare intatta una vigilanza etica ed intellettuale sono le condizioni dell’individuazione, di una prova totale di se stessi. Da note biografiche apprendiamo che Jung maturò personalmente tale concetto in seguito ad un momento che molti conoscono: l’assenza di riferimenti. Al termine di un periodo di enorme sofferenza (1912-1919) ci rende partecipi della sua estenuante esperienza personale: “Mi sentivo letteralmente sospeso. Temevo di perdere il controllo di me stesso e di divenire preda dell’inconscio, e quale psichiatra sapevo fin troppo bene che cosa ciò volesse dire. Le tempeste si susseguivano, e, che potessi sopportarle, era solo questione di forza bruta”. Invece di riagganciarsi a idee o ad una situazione sociale, Jung decise di “lasciar accadere”, di abbandonarsi (dal francese à ban donner: mettere a disposizione di chiunque), di mettersi a disposizione delle immagini interiori che l’inconscio gli forniva. Possiamo supporre che in un simile contesto non basti scartare le resistenze e lasciar accadere, e che sia necessario un doppio ancoraggio. Da una parte la cura del corpo, la regolarità dell’attività professionale, dall’altra lo sforzo costante per obbligare le emozioni a prendere forma. “Perché altrimenti – scrive – correvo il rischio che fossero esse ad impadronirsi di me. Vivevo in uno stato di continua tensione, e spesso mi sentivo come se mi cadessero addosso enormi macigni. Dopo sei anni al limite della dissociazione, cominciarono a presentarsi forme nuove”. Jung le dipinse senza sapere che cosa fossero. Notò che l’oscurità interiore si dissipava e che si stabiliva da sé una solidità: “Quando cominciai a disegnare i mandala vidi che tutto, tutte le strade che avevo seguito, tutti i passi intrapresi, riportavano ad un solo punto, cioè nel mezzo. Mi fu sempre più chiaro che il mandala è il centro (…). Cominciai a capire che lo scopo dello sviluppo psichico è il Sé”. E nel passaggio dalla pittura all’idea si creò lo spazio che gli consentì l’elaborazione. Jung considerò il simbolismo del mandala come una fenomenologia del Sè e definirà l’archetipo del Sè come la totalità della psiche, l’integrazione compiuta tra conscio e inconscio, quello stato psichico che scaturisce dal superamento della dissociazione, dei poli conflittuali, il centro. Quindi, alcuni anni dopo chiamò funzione trascendente la cooperazione tra dati consci e dati inconsci, di immagini ed idee, al fine dell’integrazione di contenuti precedentemente non noti. Probabilmente anche basandosi sulle esperienze personali descritte postulò che le strade per conoscere l’inconscio fossero sostanzialmente due: una procede nella direzione della raffigurazione (la cui manifestazione più immediata è l’attività onirica e quelle più “mediate”, se così si può dire, sono, nella psicologia analitica, l’immaginazione attiva e la sandplay), l’altra della comprensione. Ed affermò: “Le due strade sembrano essere l’una il principio regolatore dell’altra, entrambe sono legate da un rapporto di compensazione. La raffigurazione estetica ha bisogno della comprensione del significato, e la comprensione ha bisogno della figurazione estetica”. Le due tendenze s’integrano in quella che appunto denominò funzione trascendente. Piace a questo punto ricordare l’esortazione di Hillman sul “fare anima”, cioè: “fare anima attraverso l’immaginazione delle parole”. Bisogna notare che la capacità di abbandonarsi consapevolmente alle proprie immagini interiori, in una condizione di sospensione della quotidianità, non è solo foriera di insight rispetto agli strati profondi della psiche. Tale stato di liminalità è, infatti, anche fonte di intuizioni ed ispirazioni che consentono di allentare la struttura normativa personale e sociale, di affrontare gli ostacoli incontrati dalla mente conscia, e talora di superarli col sorgere di modelli e simboli nuovi. Riflettendoci, è strano che le origini oniriche del pensiero moderno non siano altro che una nota in calce alla storia: mentre le idee più utili di Cartesio furono accolte a braccia aperte, la reazione alla loro origine fu violentemente negativa. Cartesio stesso fece notare la profonda importanza sia delle sue immagini oniriche, sia dei suoi calcoli e operazioni logiche per costruire il suo metodo. Ma pochi dei suoi contemporanei vollero accettare l’anomalia della conoscenza fondata sul sogno e, di conseguenza, sulle immagini. La conoscenza degli archetipi della mente (i mandala dipinti da Jung e quelli della tradizione alchemica ed orientale raffigurano l’archetipo del Sé) è in effetti difficile a chi crede nella sola forza denotativa delle parole: una definizione solitamente indica il punto di intersezione di una tassonomia, mentre un archetipo è ciò che proietta la tassonomia stessa. Il logos dell’anima predilige il linguaggio immaginale dell’intuizione e dell’evocazione, così come si manifesta nella durata di una psicoterapia analitica. L’individuazione degli archetipi è più agevole quando una parte della psiche si traspone in simboli e, in definitiva, in immagini, come avviene normalmente in sogno. Di tale trasposizione è inoltre capace il poeta, il pittore, lo scultore, un mimo sacro, o il danzatore che traccia spirali attorno al cuore, mostrando la vita che ne procede come un filo dal gomitolo…

Dr Max Lanzaro is an Italian Psychiatrist currently based in London, Verona and Naples;  he has worked as a Consultant in Italy (Naples, Milan) and in the UK (London, Exeter)

Bibliografia

C.G. Jung. La vita simbolica. Biblioteca Bollati Boringhieri, 1993.
E.G. Humbert. L’uomo alle prese con l’inconscio. La Biblioteca di Vivarium, 1998.
Reale B. Le macchie di Leonardo. Moretti & Vitali, 1998.

…giardino giapponese

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Saihō-ji (Kyoto), conosciuto come “giardino di muschio”

…il visitatore di un giardino giapponese avverte che anche l’intrusione dei propri sensi costituisce una violenza al perfetto equilibrio del luogo, che manda il suo messaggio più attraverso i sensi che attraverso la mente, dimostrando come la conoscenza intellettuale sia decisamente inferiore rispetto a quella intuitiva. (Y. Mishima)

Le mie parole sono come le stelle: non tramontano mai

Ascoltiamo la Sophia immensa delle parole del Capo indiano Seattle rivolte al Presidente degli USA nel 1853… ascoltiamole e ri-ascoltiamole… trasudano di una bellezza tragica… come un antidoto di luce tenuto nell’oscurità dalla nostra brutalità:

Ogni pezzo di questa terra è sacro per il mio popolo.
Ogni lucente ago di pino, ogni tenera riva, ogni vapore negli scuri boschi, ogni radura, ogni insetto ronzante sono sacri nella memoria e nell’esperienza del mio popolo.

La linfa che scorre negli alberi porta con sè i ricordi dell’uomo rosso. I morti dell’uomo bianco dimenticano il luogo della propria nascita quando camminano tra le stelle.
I nostri morti non dimenticano mai questa bellissima terra, poichè essa è la madre degli uomini rossi. I nostri morti continuano ad amare e a ricordare i rapidi fiumi della terra, i passi silenziosi della primavera, le scintillanti increspature sulla superficie degli stagni, gli sfarzosi colori degli uccelli.
Noi siamo parte della terra ed essa è parte di noi.
I fiori profumati sono nostri fratelli, il cervo, il cavallo, il grande condor, questi sono nostri fratelli. Le creste rocciose, gli spiriti dei prati, il calore del corpo del cavallo e l’uomo appartengono tutti alla stessa famiglia.

Così quando il Grande Capo di Washington ci fa sapere che desidera comperare la nostra terra, ci chiede tanto.

Su quello che Capo Seattle dice, il Grande Capo a Washington può contare, così come i nostri fratelli bianchi possono contare sul ritorno delle stagioni.
Le mie parole sono come le stelle.
Esse non tramontano.

Il Capo di Washington ci manda parole di amicizia e di buona volontà. Questo è gentile da parte sua. Così noi valuteremo la vostra offerta di comperare la nostra terra.
Non sarà facile. Per noi la terra è sacra. Noi siamo felici nei boschi e sui torrenti che scorrono veloci. L’acqua che pulsa nei ruscelli non è acqua, ma il sangue dei nostri antenati.
Se vi venderemo la nostra terra, dovrete ricordarvi che essa per noi è sacra, e dovrete sempre insegnare ai vostri figli che essa è sacra. Ogni riflesso spettrale sulla limpida acqua dei laghi racconta eventi e memorie della vita del mio popolo. Il gorgoglio dell’acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli; essi spengono la nostra sete… Se venderemo la nostra terra, dovrete ricordare e insegnare ai vostri figli che i fiumi sono nostri fratelli, e vostri, e voi dovrete d’ora innanzi trattare i fiumi con la stessa gentilezza con la quale trattereste un vostro fratello.

Così Capo Seattle valuterà l’offerta di Capo Washington. Ci penseremo su. L’uomo rosso ha sempre indietreggiato all’avanzare dell’uomo bianco, come la bruma sui pendii montani fugge davanti al sole del mattino. Per noi le ceneri dei nostri padri sono sacre. Le loro tombe sono terreno consacrato, e così queste colline, questi alberi. Questa parte di terra per noi è sacra.

L’uomo bianco non capisce. Per lui ogni pezzo di terra è uguale a un altro, poichè egli è un vagabondo che arriva di notte, e prende dalla terra tutto ciò di cui ha bisogno. La terra non è sua sorella, ma il suo nemico, e quando nella lotta risulta vincitore, se ne va. Si lascia alle spalle le tombe dei suoi padri, e non gliene importa. Toglie la terra ai suoi figli. E non gliene importa. Le tombe dei suoi padri e il diritto di nascita dei suoi figli vengono dimenticati dall’uomo bianco, che tratta sua madre la terra e suo fratello il cielo alla stregua di cose da comperare, depredare, e vendere come si fa con le pecore, il pane o le perline luccicanti. In questo modo, i cani dell’avidità divoreranno la fertile terra e lasceranno solamente un deserto.

L’uomo bianco è come un serpente che si mangia la coda per vivere. E la coda diventa sempre più corta.
Le nostre usanze sono diverse dalle vostre. Noi non viviamo bene nelle vostre città, che sembrano un’infinità di nere verruche sulla faccia della terra. La vista delle città dell’uomo bianco fa male agli occhi dell’uomo rosso come la luce del sole che colpisce gli occhi di chi emerge da una grotta buia. Nelle città dell’uomo bianco non c’è nessun luogo abbastanza tranquillo dove si possa sentire il fruscio delle foglie che si aprono in primavera o il lieve sbattere delle ali degli insetti. Nelle città dell’uomo bianco ci si sforza sempre di superare in velocità una valanga. Il rumore sembra perforare le orecchie. Ma che senso ha di vivere se non si riesce a sentire il verso solitario del tordo o il gracidare delle rane di notte intorno ad uno stagno?
Ma io sono un uomo rosso e non capisco. Io preferisco il vento che dardeggia sulla superficie di uno stagno e il profumo del vento stesso, purificato da uno scroscio di pioggia a mezzogiorno. L’aria è preziosa per l’uomo rosso, perchè tutte le cose condividono lo stesso respiro; gli animali, gli alberi, e l’uomo, partecipano tutto dello stesso respiro. L’uomo bianco non si preoccupa dell’aria fetida che respira. Come un uomo che ormai soffre da molti giorni, è insensibile al tanfo.

Ma se venderemo la nostra terra, dovrete ricordare che per noi sono preziosi l’aria, e i nostri alberi, e gli animali. Il vento dona all’uomo il suo primo respiro e riceve il suo ultimo respiro. E se noi venderemo la nostra terra, voi la preserverete come isola sacra, come un luogo dove persino l’uomo bianco può recarsi per sentire il profumo del vento addolcito dai fiori di campo.

Così valuteremo la vostra offerta di comperare la nostra terra. Se decideremo di accettare, in questo momento voglio porre una condizione: l’uomo bianco deve trattare gli animali di questa terra come fratelli. Mi hanno raccontato di migliaia di bisonti lasciati a imprudire nelle praterie dagli uomini bianchi che avevano sparato loro da treni in corsa. Io non capisco. Per noi gli animali sono nostri fratelli, e noi uccidiamo solo per sopravvivere. Se noi venderemo all’uomo bianco questa terra, egli deve fare la stessa cosa, perchè gli animali sono nostri fratelli. Che cosa è l’uomo senza gli animali? Persino il lombrico mantiene soffice la terra perchè l’uomo possa camminarci. Se tutti gli animali scomparissero, gli uomini morirebbero a causa della grande solitudine. Perchè tutto ciò che succede agli animali, succede all’uomo perchè noi tutti partecipiamo dello stesso respiro.

Noi valuteremo la vostra offerta di comperare la nostra terra. Non mandate uomini a chiederci di decidere in fretta. Noi decideremo con i nostri tempi. Se dovessimo accettare, in questo momento pongo una condizione: non ci verrà mai negato il diritto di camminare delicatamente sulle tombe dei nostri padri, delle nostre madri e dei nostri amici, né l’uomo bianco potrà profanare queste tombe. Le tombe dovranno ricevere sempre la luce del sole e la pioggia che cade. Allora l’acqua cadrà lievemente sui verdi germogli e filtrerà lentamente in basso per inumidire le labbra riarse dei nostri antenati e spegnere la loro sete.

Se vi venderemo questa terra, voglio porre subito questa condizione: dovrete insegnare ai vostri figli che la terra sotto i loro piedi risponde più teneramente ai nostri passi che ai vostri, perchè è ricca delle vite dei nostri simili. Insegnate ai vostri figli ciò che noi abbiamo insegnato ai nostri, che la terra è nostra madre. Tutto ciò che accade alla terra, accade ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su se stessi. Questo noi lo sappiamo.
La terra non appartiene all’uomo bianco, l’uomo bianco appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate come il sangue che unisce la nostra famiglia. Se noi uccideremo i serpenti, i topi selvatici si moltiplicheranno e distruggeranno il nostro mais.

Tutte le cose sono collegate. Tutto ciò che accade alla terra accade ai figli e alle figlie della terra. L’uomo non ha intrecciato il tessuto della vita; ne è solamente un filo. Tutto ciò che egli fa al tessuto, lo fa a se stesso.

No, il giorno e la notte non possono vivere insieme.
Valuteremo la vostra offerta. “Che cos’è che l’uomo bianco vuole comperare”, la mia gente mi chiede. Per noi quest’idea è strana. Come si può comperare o vendere il cielo, il calore della terra, la velocità dell’antilope? Come possiamo vendervi queste cose? E voi, come potete comperarle? La terra diventa forse vostra per farne ciò che volete semplicemente perchè l’uomo rosso firma un pezzo di carta e lo dà all’uomo bianco? Se noi non possediamo la freschezza dell’aria e lo scintellio, voi, come potete comperarli da noi? Potete forse ricomperarvi il bisonte quando ormai l’ultimo è morto?

Ma noi valuteremo la vostra offerta. Nel suo fugace momento di forza, l’uomo bianco pensa di essere un dio che può trattare sua madre, la terra, e fiumi, che sono suoi fratelli, e i suoi fratelli rossi come gli pare. Ma l’uomo che comprerebbe e venderebbe la propria madre i propri fratelli e le proprie sorelle, brucerebbe i propri figli per stare al caldo.

Quindi valuteremo la vostra offerta di comperare la nostra terra.
Il giorno e la notte non possono vivere insieme.
La vostra offerta sembra equa, e penso che la mia gente l’accetterà e andrà nella riserva che le avete destinato. Vivremo separati, e in pace. Le tribù sono fatte di uomini, nulla più. Gli uomini vanno e vengono come le onde del mare. Anche i bianchi dovranno scomparire; forse prima di tutte le altre tribù. Continuando a insudiciare il letto in cui dorme, una notte l’uomo bianco soffocherà nella propria sporcizia.

Ma nel momento della morte l’uomo bianco splenderà, infiammato dalla forza del dio che lo condusse su questa terra e che, per qualche scopo preciso, gli diede il potere su di essa.
Per noi questo destino è un mistero, perchè non riusciamo a capire che cosa può mai diventare la vita quando tutti i bisonti sono stati massacrati, tutti i cavalli selvaggi domati, gli angoli della foresta sono oppressi dall’odore di molti uomini, e il panorama delle colline rovinato dai cavi del telegrafo. Dov’è il boschetto? Sparito. Dov’è l’aquila? Sparita. E che cosa significa dire addio al cavallo veloce e alla caccia? La fine della vita e l’inizio della sopravvivenza.

Il dio dell’uomo bianco gli diede il potere sugli animali, sui boschi e sull’uomo rosso, per qualche scopo preciso, ma questo destino è un mistero per l’uomo rosso.
Noi forse potremmo arrivare a capire se sapessimo che cosa sogna l’uomo bianco, quali sono le speranze di cui parla ai propri figli nelle lunghe notti d’inverno, quali sono le visioni che marcano a fuoco i suoi occhi e che questi desidereranno all’indomani.
I sogni dell’uomo bianco sono ignoti, noi ce ne andremo sulla nostra strada…

E DIO CREO’ L’UOMO A SUO ODIO E SOMIGLIANZA di Michele Mezzanotte

Carissimi, su consiglio dell’Amico Massimo Lanzaro, vi suggerisco questa rivista http://www.animafaarte.it/
e questa rilessione di Michele Mezzanotte

Buona lettura…

Nel corso della storia del pensiero e delle emozioni umane, l’Odio ha avuto un ruolo da attore protagonista. In questa piccola dissertazione sull’Odio apriremo la nostra visione ad un Odio
filosofico, un Odio mitico e un Odio simbolico: in sintesi un Odio Psicologico. Dio creo l’uomo a sua immagine e somiglianza, in questo caso, a suo Odio e somiglianza.
L’Odio prendeva vita attraverso Empedocle di Agrigento, Philipp Mainlander, attraverso Ulisse e i suoi viaggi, Stige e la sua sozzura. Inoltre, vedremo come ogni relazione analitica tra pazienti
e terapeuti si apre con un doppio atto d’Odio. Iniziamo leggendo di Empedocle di Agrigento del quale sono rimasti, nel corso della storia, numerosi frammenti derivanti dalle sue opere:
“Sulla natura” e “Carme lustrale”. In questi narra di spiriti i quali, a causa delle loro colpe, si incarnano nei corpi mortali: piante e animali.
Empedocle nella sua trattazione afferra i concetti di Amore e Odio e ne fa dei principi generatori e distruttori al tempo stesso.

“Duplice dunque e la nascita, duplice e la morte
delle cose mortali. La riunione di tutte le cose ne
genera e distrugge una; l’altra invece si produce e
si dissipa quando di nuovo si disgiungono.”

L’amore crea e distrugge, e anche l’odio crea e distrugge al tempo stesso. Stupenda e l’affermazione di Empedocle: “duplice dunque e la nascita, duplice e la morte delle cose mortali”. Essa ci suggerisce che ogni immagine può avere una doppia nascita e una doppia morte: una nascita d’odio e una nascita d’amore; una morte d’odio e una morte d’amore. Lui stesso all’età di sessant’anni si distrusse gettandosi all’interno del cratere dell’Etna: si suicido. L’azione dell’odio e dell’amore cosi come descritta da Empedocle di Agrigento, e anche uno dei temi fondamentali della “mitologia scientifica” contemporanea. Il famoso Big Bang non e nient’altro che l’espressione fisica della teoria di Empedocle. Da uno sfero, attraverso l’azione dell’Odio, inizia la separazione delle parti fino a che non ritorna tutto in uno sfero ad alternanze
temporali cicliche: sfero-separazione, sferoseparazione. Vediamo l’eterno agire di queste forze primigenie che uniscono e separano, creano e distruggono. Proseguiamo dunque, attraverso questo percorso scientifico-speculativo, analizzando un altro pensiero: parliamo ora di un filosofo il quale desiderava che il suo nome andasse dimenticato col passare degli anni, perciò si firmava diversamente come Philipp Mainlander. E con un atto d’Odio che Dio decise di creare il mondo, e non come facilmente pensiamo con un atto d’amore. Sentiamo le parole del filosofo:

“Noi sappiamo che, questa semplice unita, Dio,
frantumandosi nel mondo, scomparve del tutto e
tramonto; in seguito sappiamo che il mondo sorto
da Dio, proprio a causa della sua origine da una
semplice unita, si trova senza eccezioni in una
connessione dinamica e, perciò, in collegamento
sappiamo che il movimento che si riproduce
dall’attività delle singole essenze e il destino;
infine, che l’unita precosmica e esistita.
L’esistenza e il sottile filo che getta un ponte
sull’abisso fra la regione dell’immanente e quella
del trascendente, e ad esso, per prima cosa,
dobbiamo prestare attenzione.
La semplice unita esistette: su di essa non
possiamo predicare di più in nessun modo.
Di
quale genere, di quale essere fosse questa
esistenza ci e totalmente nascosto. Volendo
stabilire pero la cosa più prossima, noi dovremmo
ricorrere ancora alla negazione e affermare che
essa non ha alcuna somiglianza con un qualche
essere a noi conosciuto, poiché tutto l’essere che
noi conosciamo e essere in movimento, e un
divenire, mentre la semplice unita era priva di
movimento, nell’assoluta quiete.
Il suo essere era sovressere.”

Mainlander sostiene che Dio per creare il mondo, con tutti i viventi che lo popolano, si suicido; quindi si distrusse e attraverso questo atto d’Odio creativo, genero il mondo, destinato a proseguire
in atti di disgregazione. Un’esplosione divina, un Big Bang che creo l’universo e i suoi pianeti.

“Dio e morto e la sua morte fu la vita del mondo”
“Ma questa semplice unita e divenuta; non e più.
Mutata la sua essenza, essa si e frantumata
completamente e totalmente verso il mondo del
molteplice. Dio e morto e la sua morte fu la vita
del mondo.” “L’esplosione fu l’azione di una semplice unita, la
sua prima ed ultima azione, la sua singola azione.
Ogni volontà del presente conserva essenza e
movimento in questa unica azione e perciò tutto si
connette reciprocamente come un ingranaggio nel mondo.”

A questo punto risulta facile collegare l’Odio empedocleo con il Suicidio di Mainlander: atti distruttivi che creano vita. L’inconscio individuale nella psicologia non e nient’altro che un ingranaggio di una più vasta macchina: l’inconscio collettivo. L’unita primaria, che possiamo chiamare nella nostra cultura Dio (inconscio collettivo), si e esibita in un enorme atto d’Odio e di separazione. Si e suicidata, usando l’espressione del filosofo tedesco. Grazie a questa azione creativa hanno preso vita gli individui e le loro singolarità, immerse sempre in un collettivo. Ha preso vita il “molteplice”. Come vedremo più tardi in questo articolo, ha preso vita un uomo dal “molteplice ingegno”. Il suicidio ci conduce alla vita, secondo Mainlander, infatti, un archetipo fondamentale che ci muove fin dalla nostra creazione e il suicidio, ovvero la morte. Mainlander vide bene: Dio si suicidò e la sua morte fu la vita del mondo. L’archetipo del Dio mainlanderiano si ripete coattivamente dall’alba dei tempi e noi siamo alla ricerca della morte: una vita per la morte; e questo è molto psicologico. Secondo Hillman, infatti, la domanda del fare anima è:

Che cosa sommuovono nella mia anima
questo evento, questa cosa, questo attimo? Cosa significano per la mia morte?”.

Il filosofo tedesco storicizzo il suo pensiero suicidandosi letteralmente e concretamente alla fine del suo scritto. Il fine della vita e la morte. Morte come suicidio e atto creativo. Una morte fisica e psicologica. Una morte trasfromativa. Ricordiamo fonti psicologiche come Freud, Sabina Spierlein e Adler che parlavano di “Morte e Thanatos” come motori fondanti della psiche. Nel setting analitico sono molti gli atti d’Odio e di Suicidio che devono entrare in scena. Nell’analisi odiamo e amiamo, ci suicidiamo e commettiamo omicidi psichici. Ogni omicidio di un personaggio psichico e un suicidio personale, perché riferito a una nostra parte d’anima. Prendiamo ad esempio i sogni in cui incontriamo personaggi morti, uccisi. Sono atti d’Odio, di distruzione appunto. Tutti quei personaggi sono nostri personaggi. Se sogno di uccidere mia madre, e l’immagine di mia madre che ho ucciso, per cui ho commesso un atto d’Odio verso me stesso, ovvero un suicidio. Questo suicidio da vita ad altri immaginari, apre nuove prospettive e trasforma. Possiamo affermare che uno dei passaggi fondamentali dell’analisi e il suicidio, la morte intesa sia da un punto di vista d’odio, sia da un punto di vista d’amore. Molti pazienti entrano in analisi perché non sanno morire. Non sanno suicidarsi: l’analisi e un processo che ci aiuta a suicidarci, a ritirare le nostre proiezioni, a uccidere il mondo amandolo e odiandolo. Cerchiamo di approfondire ancora di più il concetto d’Odio. Si riconduce Odio alla radice ad con il significato di rodere, ma anche al greco odoys, Dente, Dolore; e al latino edo, Mangiare, che darebbe il senso di rodimento interno, dolore interno. Il rodimento e il dolore interno sono sicuramente riconducibili ad una Nigredo alchemica, una nera energia fortissima, un marasma e un sommovimento di emozioni che ci agisce dall’interno del nostro stomaco e che ci percorre in tutta la sua potenza caotica ed ingestibile. Possiamo notare una curiosa somiglianza alle sensazioni di innamoramento, e da questo possiamo capire la forte vicinanza tra le due energie. Quando l’Odio si impossessa di noi ci “sentiamo esplodere”. Quindi l’Odio ci avvolge attraverso una situazione nigredica oscura, in cui iniziamo a coltivare nuove immagini e il caos ci pervade. Quando si attiva l’Odio dentro di noi, sentiamo una pulsione a dover fare qualcosa, un’energia che ci suggerisce un movimento verso qualcuno o qualcosa, un movimento molto forte come se fosse impellente: a quel punto desideriamo la distruzione, il suicidio.
Tuttavia non e un suicidio-distruzione fine a se stesso, ma finalizzato a creare nuove opportunità e possibilità. Una distruzione che libera il rodimento interno e il dolore marasmatico. Un’immagine psichica distrutta, genera altre migliaia di immagini, altri pezzi psichici che vagano e vanno ricondotti all’origine, per permettergli di vivere e di acquisire nuova energia. E un quadro generale del processo analitico di scioglimento; di scomposizione di un tutto in elementi semplici. Un desiderio di suicidio come desiderio di trasformazione.

“Musa, quell’uom di multiforme ingegno
Dimmi, che molto erro, poiché ebbe a terra
Gittate d’Ilion le sacre torri… ”
Il nome Odisseo significa etimologicamente
odiare. Così disse Autolico suo nonno:
“Nel corso della mia vita mi sono messo in urto
con molti principi e chiamerò dunque mio nipote
Odisseo, che significa l’odioso, perché sarà la
vittima delle mie antiche inimicizie. Tuttavia
semmai salirà al monte Parnaso per
rimproverarmi, gli cederò parte dei miei
possedimenti e placherò la sua ira”

Autolico collega il suo mettersi in urto con molti principi con il nome Odisseo, ovvero questo suo agire lo chiama Odio. L’Odio durante la vita gli ha permesso di urtare verso un principio. La parola principio significa che vi e una causa-prima, un principio appunto, e urtandolo Autolico compie un tentativo di Odio: un’operazione di creazione di fattori multipli. Partendo da un principio quindi, lo si può sposare (amare), o lo si può metter in discussione odiandolo e generando altre piccole unita di principio. Odisseo sarà il portavoce di tutto questo grazie al suo “molteplice ingegno”. Autolico, e stato in vita un uomo che ha sempre odiato, quindi, ha sempre creato milioni di possibilità senza amarne neanche una. Odisseo, il nipote, ha la croce di queste “multiformi” suddivisioni e passera la vita viaggiandone attraverso, per cercare di tornare al principio, allo sfero primordiale: a casa sua, da sua moglie e suo figlio. Ma per farlo dovrà passare per eventi multiformi e userà il suo multiforme ingegno per affrontarli. Abbiamo visto che l’Odio a cui si riferisce Autolico può avere una duplice valenza: una in cui e Odisseo stesso ad essere protagonista e soggetto; la seconda in cui e oggetto dell’Odio. Ora chiediamoci il perché di tutto questo astio nei confronti dell’uomo dal “multiforme ingegno”. Ulisse indica nella mitologia la scomparsa dell’eroe per antonomasia, ovvero di tutte quelle figure mitologiche, come ad esempio Ercole, che vengono sostituite da un altro modo di rapportarsi alla realtà: più ermetico e più multiforme (infatti Odisseo e anche diretto discendente di Hermes). Ergo, una caduta del complesso dell’Io (ricordiamo la figura dell’eroe in James Hillman). Nuovamente possiamo osservare una distruzione di uno sfero (Io), che genera un multiforme ingegno: un “universo psichico” fatto di pianeti, dei, patologie; un suicidio dell’Io.

Narrami o musa, dell’uomo dall’agile mente, che
tanto vago, dopo che distrusse la sacra citta di Troia

“Odisseo, uomo che distrusse la citta di Troia, e vago per vent’anni per trovare la strada di casa e riunirsi alla famiglia.” Ponendo sul teatro psichico questa storia, scopriremo un atto psichico ouroborico, un atto d’eterno ritorno. Dopo un lungo periodo di stagnamento, nel quale greci e troiani si affrontavano in campo aperto, Ulisse pone finalmente termine alla guerra attraverso una intuizione: il cavallo di Troia. Odisseo compie un atto d’Odio distruggendo Troia, creando cosi i suoi vent’anni successivi, nei quali si confronta con il suo atto d’Odio nella separazione di svariati nuclei psicologici (i suoi molteplici viaggi), nei quali affina il suo ingegno. Alla fine come in un tipico copione ouroborico di odio e amore, Ulisse riesce a tornare a casa e unirsi al suo sfero famigliare. L’Odio e una atto di grandi energie, infatti viene iniziato dal cavallo di Troia, simbolo di grande forza ed energia psichica, che da la fine ad un principio costituito (Troia), iniziando cosi diversi altri principi: Enea che fonderà Roma, o Ulisse che parte per i suoi viaggi, e le narrazione degli altri “ritorni” alla fine della guerra. A questo punto c’è un altra prospettiva mitologica da prendere in considerazione: il punto di vista di un fiume infernale che ci apre al secondo atto d’Odio presente all’inizio di un’analisi. In un tempo e in un luogo ormai lontani, c’erano cinque Fiumi immersi nelle profondità dell’Ade, fino a toccare i confini del Tartaro. Fiumi che proteggevano, bruciavano, ghiacciavano, rubavano ricordi nitidamente offuscati. Cinque nomi per cinque fiumi: Stige, Cocito, Acheronte, Flegetonte, Lete. Lete e il fiume del mito platonico di Ur, il mito della rinascita dopo la morte, della scelta del Daimon, l’angelo che seguira ognuno di noi durante il suo cammino nelle fantasie terrene. Flegetonte, o Piriflegetonte (nome più arcaico), e il fiume del mito della palude ignea e del fiume psichico che brucia parricidi e matricidi, rende inaccessibile il meandro più oscuro della psiche: il tartaro. L’ Acheronte e il fiume dalle amare acque, per punizione del divino Zeus, che segna la mitologia del passaggio tra vita e morte, tra mondo notturno e mondo diurno. Cocito e affluente dell’Acheronte, dove le anime prive di oboli (energie psichiche), erano costrette a vagare come ombre lungo le sue rive. E infine il fiume che ci interessa in questo mythos: Styx (Stige, Odio) con la sua palude, la sua sozzura e il suo odio. Stige (in greco antico Styx), ha diverse funzioni nella fantastica storia umana: innanzitutto veniva chiamato dagli Dei a testimone dei loro giuramenti inviolabili, pena un anno in coma e nove anni lontano dai simposi, senza poter gustare del divino nettare ambrosiano; inoltre le acque di questo gelido fiume erano in grado di donare l’immortalità, come capito all’eroico Achille e non solo. Stige come suggellatore di patti divini, come d’altronde accade in analisi con il patto iniziale. L’analisi dunque inizia con un doppio atto d’odio: il primo e distruttivo o suicidante, il secondo e il patto analitico tra terapeuta e paziente, nel quale si pongono i termini e le regole analitiche inviolabili e predeterminate, regole a cui non si può venir meno, pena la fine dell’analisi e non solo. Nel nostro temenos analitico e possibile e doveroso invocare la potenza creativa e distruttrice dell’Odio al fine di sommuovere energie, per esempio: le libere associazioni sono un atto d’odio, un suicidio analitico, un partire da uno sfero iniziale per abbandonarsi ad altre immagini che nascono dalla sua distruzione e analisi. Lo stesso James Hillman considera il lavoro con le immagini come un atto di Stige:

“Inoltre questo lavoro formativo
dell’immaginazione e sempre allo stesso tempo
distruttivo, deformativo. Per accedere al mondo
infero bisogna necessariamente attraversare Stige,
superare l’ostacolo della sua odiosa freddezza.
Che e inevitabile e non può essere
sentimentalizzata. Ogni gesto nel mondo notturno,
se e giusto, uccide ciò che tocca. Ci troviamo di
fronte a densità, luoghi di violenta resistenza, che
si possono penetrare con l’intuizione, un’intuizione
che sconvolge e comunica un senso di morte. Il
lavoro sui sogni e arduo da compiere per il
terapeuta e arduo da accettare per il paziente. Ed
e qualcosa che non sembra possibile fare da soli.
Forse perché non e mai possibile vedere dove si e
inconsci; ma più probabilmente perché esiste in
noi una resistenza di fondo che si oppone alla
distruzione che il lavoro onirico comporta:
l’uccisione degli attaccamenti e il disvelamento di
profondità immutabili. La regina del mondo infero
e Persefone e il suo nome significa: “portatrice di distruzione”.

L’Odio e solo un punto di partenza: apre l’analisi ai viaggi di Odisseo; apre l’analisi ai figli di Stige e la rivoluzione che condussero insieme a Zeus nei confronti del principio generatore Saturno. Conseguentemente l’Odio viene ad essere un’energia fondamentale nei processi di cambiamento e di apertura. Il Suicidio-Odio abbatte lo sfero e crea nuove individaulità dando energia vitale ai suoi figli. L’analisi si apre attraverso un doppio atto d’Odio. Il primo atto e un suicidio analitico, come abbiamo visto in precedenza: il suicidio del pronome indefinito Io. Vi sono in un’analisi atti d’Odio e atti d’Amore, tuttavia parte tutto da un suicidio.  Il paziente uccide il suo Io non-paziente, uccide il suo non-essere paziente, introducendosi nelle migliaia di immagini che lo possiedono, e viaggiando odisseicamente attraverso le sue parti e componenti: si apre al multiforme ingegno e al mondo infero. Il nostro obiettivo attraverso l’analisi e la morte, come la morte e l’obiettivo della vita. Entriamo in analisi per morire, per suicidarci. L’archetipo mainlanderiano del Dio che si suicida e crea la vita e un archetipo che vive a pieno l’analisi e le sue storie. Nel contempo bisogna tessere storie, bisogna amare i pezzi che sono venuti fuori dalla distruzione odiosa, bisogna ricomporre e filare i pezzi che si sono suicidati. Il secondo atto d’Odio e il patto analitico con cui paziente e terapeuta cominciano il viaggio psichico. Vi e, oggi, un moto d’Odio nei confronti della psicologia, un tentativo di distruzione. Guardando questo processo dall’ottica di questo articolo comprendiamo facilmente il perché: la psicologia per creare compie un tentato suicidio ai danni del mondo, attiva l’archetipo del Dio di Mainlander, ci conduce alla morte; l’analisi in un certo senso uccide, odia ed ama. Odiando attiva contemporaneamente le proiezioni di Odio verso di essa. Purtroppo pero per creare vita c’è bisogno di un iniziale suicidio, di un Odio iniziatico, un Big Bang che ci apra le porte ai viaggi odisseici e nuove galassie. Solo la psicologia può reggere un peso simile, solo lei ha la forza di fungere da capro espiatorio per i peccati degli altri. Solo lei può caricarsi del suicidio collettivo che porterà a nuova vita, alla morte e alla rigenerazione di un nuovo ciclo. E se come abbiamo detto all’inizio, Dio creo l’uomo a suo odio e somiglianza, un giorno ci alzeremo e ci guarderemo nello specchio di Dioniso: in quel momento vedendoci capiremo che tutto ciò che abbiamo odiato nella vita, siamo profondamente noi

La memoria del cuore


“La memoria del cuore elimina i ricordi brutti ed esalta quelli belli, e grazie a questo artificio riusciamo a sopportare il passato.”

Gabriel Garcia Marquez

Chimica della Psiche

Non si riuscirà tanto presto a tradurre in formula chimica i fatti psichici così complessi; per il momento, dunque, il fattore psichico, deve ex hypothesi esser considerato una realtà autonoma di carattere enigmatico, e ciò soprattutto perché secondo ogni esperienza effettiva esso appare essenzialmente diverso dai processi fisico-chimici.

Se è vero che noi in definitiva ignoriamo quale sia la sua sostanzialità, ciò vale anche per I’oggetto fisico, per la materia. Quindi, se consideriamo lo psichico come un fattore per sé sussistente, dobbiamo concludere che c’è un’esistenza psichica sottratta all’arbitrio della manipolazione e dell’elucubrazione cosciente.
Se dunque aleggia sullo psichico un carattere di imprecisione, superficialità, vaghezza, di futilità insomma, ciò vale soprattutto per lo psichico-soggettivo, ossia per i contenuti della coscienza, non però per lo psichico-oggettivo, I’inconscio, il quale rappresenta una condizione a priori della coscienza e dei suoi contenuti.

Dall’inconscio emanano effetti determinanti che, indipendentemente dal modo in cui sono trasmessi, garantiscono in ogni singolo individuo la somiglianza, I’uguaglianza stessa dell’esperienza e dell’attività immaginativa. Una delle prove principali di ciò è data dal parallelismo per così dire universale dei motivi mitologici, da me denominati per la loro natura di immagini primordiali “archetipi”.

C. G. Jung,  “GLI ARCHETIPI E L’INCONSCIO COLLETTIVO.
SULL’ARCHETIPO, CON RIGUARDO AL CONCETTO DI ANIMA”,
da “Opere”, vol. 9*

Resurrezione

(Alvise Vivarini, Resurrezione, 1497)

“Carissimi, secondo voi,  cosa vuol dire Resurrezione?”

Gabriele

Il “popolo di sogni”

Sopra: Jacopo Tintoretto, “L’origine della Via Lattea”, 1575-80.

Per Pitagora le anime sono «popolo di sogni» che, egli dice, si riuniscono nella Via Lattea, cosi chiamata dalle anime che, quando cadono nella generazione, si nutrono di latte. Per questo chi evoca le anime offre loro libagioni di miele mescolato a latte: perche attratte dal piacere esse giungono alla generazione, e il latte compare naturalmente insieme al loro concepimento.

Da L’antro delle Ninfe di Porfirio

La sofferenza

La profonda sofferenza rende nobili… e talvolta la follia stessa è la maschera per un sapere infelice troppo certo

Friedrich Nietzsche, “Al di là del bene e del male”, 270

Ancora su “Il libro rosso”

Cari viaggiatori sulle ali di Psiche,
vi chiedo, ancora, di riflettere su questa immagine dell’immenso Carl Gustav Jung, tratta dal suo “Libro rosso” , pubblicato dalla Bollati Boringhieri!
Chi è il protagonista?

Vi chiedo scusa ma, purtroppo, ho dovuto eliminare l’immagine… (diritti riservati)

 

Se è il dolore che abita il mondo

Se è il dolore che abita il mondo, se è la sofferenza, come possiamo immaginare il nostro procedere oltre in vista di un cambiamento, di un miglioramento, senza assumere questo peso sino a farcene compagni, senza volgerci a noi stessi?

Se non mentissimo a noi stessi, potremmo accorgerci che è proprio la conoscenza di sé ad accompagnarci di momento in momento nel corso della nostra vita, di compito in compito, chiedendoci ogni volta di andare oltre, sino a divenire sempre più indispensabile per la continuazione di questa stessa vita nella vecchiaia.

Carl Gustav Jung, “Opere”, vol. 8

Stravaganza per eremiti e solitari…

Lo sforzo introspettivo rimane, dunque, una impresa impopolare anche in quanto viene giudicata come una sorta di rifiuto irritante della strada maestra, una inutile eccentricità che non giova in alcun modo ai nostri legami, una stravaganza per eremiti e solitari.

Osservare se stessi, occuparsi di sé, diviene un’eventualità giudicata con grande sfavore. Ben altro ci chiede il mondo a cui apparteniamo: esso assorbe tutta la nostra attenzione, ci chiama a compiacere e ad assecondare e da ciò otteniamo sostegno e protezione: la nostra persona prospera a prezzo di noi stessi.

…proprio questa avversione così profondamente radicata a saperne di più di sé che, a mio avviso, rende ragione del fatto che, di contro a tutto il progresso esteriore, non si sia verificato nei nostri tempi un corrispondente sviluppo e miglioramento interiore.

Ora, mi domando, come è possibile che qualcuno veda chiaro quando non vede nemmeno se stesso, né quelle ombre che egli stesso proietta in ogni sua azione?

Carl Gustav Jung, “Opere”, vol. 8

Minaccia interiore?

L’esperienza interiore, o forse dovremmo dire l’avventura dello spirito, è estranea a molti di noi, quasi fosse associata a un pericolo o a una minaccia. A questa minaccia è peraltro assai difficile dare un volto preciso.

Carl Gustav Jung, “Opere”, vol. 8

Fuga da Psiche

…sono convinto, ogni giorno di più, che quando si tratti di esperienza interiore, cioè di tutto ciò che riguarda il nucleo della nostra propria personalità, molti sono coloro che si sentono assaliti da un inspiegabile timore e altrettanti che si volgono indietro e ne fuggono via.

Carl Gustav Jung, “Opere”, vol. 8

Sapere di più

L’uomo in generale
nutre un’avversione profondamente
radicata a saperne di più su se stesso.

Carl Gustav Jung, “Opere”, vol. 8

Mistero

Dove c’è  il mistero,
si crede
generalmente
che ci debba essere
anche il male.

George Gordon Byron

“La Grande Madre” su ECORADIO

Carissime amiche e carissimi amici,

oggi andrà in onda la mia rubrica letteraria La Grande Madre su ECORADIO, ogni sabato alle ore 15:30 e in replica la domenica sempre alle ore 15:30. Un momento della giornata, questo vuole essere il programma, in cui fermasi a riflettere, insieme, attraverso i libri che più ci “aprono” alla nostra interiorità, e quindi al pensiero ecologico vissuto in profondità, ri-avvicinandoci all’intimità della natura, alla Grande Madre. Presenteremo saggi, romanzi, raccolte poetiche, testi di filosofia, ecc., con l’intervento anche di autori ed editori. Le frequenze sono per Roma 88.3 FM e per Napoli 92.1 FM. È possibile, inoltre, seguire la trasmissione su internet sul sito www.ecoradio.it cliccando, in alto, su “ascolta”. Vi aspetto. Un abbraccio!

Sogni e risvegli

“L’artista”

“L’artista”

Sono artista e pittore, faccio idoli ogni istante,
poi li spezzo tutti ai Tuoi piedi!

Suscito cento visioni e vi infondo lo spirito
ma quando vedo la Tua visione, le scaglio nel fuoco!

Il coppiere degli ebbri sei Tu, sei Tu il nemico della sobrietà?
Sei Tu Chi distrugge ogni casa che erigo?

L’anima in Te si dissolve, si mescola con Te:
io carezzo la vita soltanto perché profuma di Te!

Ogni goccia di sangue che sgorga da me, dice alla Tua polvere:
ho il colore del tuo amore, sono il fedele della Tua passione.

Nella casa d’acqua e d’argilla il cuore è distrutto senza di Te:
entra nella casa, Amato, o io la lascerò.

Rûmî in “La poesia del mondo. Lirica d’Occidente e d’Oriente“, a cura di Conte, G. , Parma, Ugo Guanda Editore, 2003.

Psicologia e Alchimia

Ho studiato testi alchemici per quindici anni, senza mai farne parola ad alcuno, perché non volevo suggestionare i miei pazienti o influenzare i miei colleghi. Ma dopo quindici anni di ricerche e di osservazioni, certe conclusioni mi si imposero ineludibilmente. Le operazioni alchemiche erano reali, solo che la loro realtà non era fisica, bensì psicologica. L’alchimia rappresenta la proiezione in laboratorio di un dramma insieme cosmico e psicologico.

C. G. Jung

Il viaggio di Hirrâli

Sopra: Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, “Amicizia”, 1907 (particolare)

Cari amici, iniziamo questa discesa con il grande poeta persiano Hirrâli:

Dopo esserci allontanati da te, quell’anno, siamo discesi verso
un mare, e la riva di quel mare è una dimora.
E un sole al di sopra di quella dimora si levava all’orizzonte. Il
tramonto di quel sole è in noi, ed è da noi che sorgeva la
sua aurora.
Le nostre mani hanno toccato le sue gemme da cui le nostre
anime son nate, e in quell’istante siamo divenuti gemme.
Dicci, cos’è dunque questo sole, quale il suo senso e il suo
segreto, e quale è questa perla del mare?
Siamo discesi in un universo il cui nome per noi è il vuoto,
troppo stretto per contenerci, ma che a noi è dato
contenere.
Abbiamo lasciato dietro noi mari tumultuosi. Come fare a
sapere verso chi siamo diretti?

“Orme sulla sabbia”

Carissimi naviganti,

il nostro caro Emanuele ci ha donato questa lirica di un anonimo brasiliano. Buona lettura!

“Orme sulla sabbia”

Questa notte ho fatto un sogno,
ho sognato che camminavo sulla sabbia
accompagnato dal Signore,
e sullo schermo della notte erano proiettati
tutti i giorni della mia vita.

Ho guardato indietro e ho visto che
per ogni giorno della mia vita,
apparivano orme sulla sabbia:
una mia e una del Signore.

Così sono andato avanti, finché
tutti i miei giorni si esaurirono.
Allora mi fermai guardando indietro,
notando che in certi posti
c’era solo un’orma…
Questi posti coincidevano con i giorni
più difficili della mia vita;
i giorni di maggior angustia,
maggiore paura e maggior dolore…

Ho domandato allora:
“Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me
in tutti i giorni della mia vita,
ed io ho accettato di vivere con te,
ma perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti
peggiori della mia vita?”

Ed il Signore rispose:
“Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato
con te durante tutta il tuo cammino
e che non ti avrei lasciato solo
neppure un attimo,
e non ti ho lasciato…
i giorni in cui tu hai visto solo un’orma
sulla sabbia,
sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”.

“Ricorda, corpo”

Sopra: Egon Schiele, “Nudo maschile seduto”, 1909

Carissimi amici, oggi lasciamo parlare il corpo grazie alla memoria palpitante di Costantino Kavafis (1863-1933):

“Ricorda, corpo…”

Ricorda non solo quanto fosti amato, corpo,
non solo i letti sopra cui giacesti,
ma anche quei desideri che per te
brillavano negli occhi apertamente,
tremavano nella voce – resi vani
da qualche impedimento casuale.
Ora che tutto è parte del passato,
è come se ti fossi concesso
anche a quei desideri – ricorda il brillare
negli occhi volti verso te,
tremare nella voce, per te,
ricorda, corpo.

Bellezza interiore

Anche se giriamo il mondo in cerca di ciò che è bello,
o lo portiamo già in noi, o non lo troveremo.

Ralph Waldo Emerson in “Aforismi sull’ottimismo”, GIUNTI Demetra, Firenze, 2005.

Colui che amo

Newton

Vi chiedo, oggi, di riflettere insieme su questa famosa illustrazione del visionario William Blake, che, come sempre, nasconde profondi messaggi e simbolismi.

Buona giornata!

William Blake, “Newton”, 1795. Tate Gallery, Londra

Ecco un maestro

«Chi ravviva il passato per conoscere il nuovo: ecco un maestro»

Confucio, “I Dialoghi”, II, BUR, Milano, 2000.

Sopra: Dante Gabriel Rossetti, “Mnemosyne”, 1875-81

Non ci si incontra per caso

“L’Albero degli Amici”

Esistono persone nelle nostre vite che ci rendono felici
per il semplice caso di avere incrociato il nostro cammino.
Alcuni percorrono il cammino al nostro fianco,
vedendo molte lune passare,
gli altri li vediamo appena tra un passo e l’altro.
Tutti li chiamiamo amici e ce sono di molti tipi.
Talvolta ciascuna foglia di un albero rappresenta uno
dei nostri amici. Il primo che nasce è il nostro amico Papà e la nostra amica Mamma,
che ci mostrano cosa è la vita.
Dopo vengono gli amici Fratelli, con i quali dividiamo il
nostro spazio affinché possano fiorire come noi.
Conosciamo tutta la famiglia delle foglie che
rispettiamo e a cui auguriamo ogni bene.
Ma il destino ci presenta ad altri amici che non
sapevamo avrebbero incrociato il nostro cammino. Molti di loro li chiamiamo amici dell’anima, del cuore.
Sono sinceri, sono veri. Sanno quando non stiamo bene,
sanno cosa ci fa felici. E alle volte uno di questi amici dell’anima si infila nel nostro cuore e allora lo chiamiamo innamorato.
Egli da luce ai nostri occhi, musica alle nostre labbra,
salti ai nostri piedi. Ma ci sono anche quegli amici di passaggio, talvolta una vacanza o un giorno o un’ora. Essi collocano un sorriso nel nostro viso per tutto il tempo che stiamo con loro. Non possiamo dimenticare gli amici distanti, quelli che stanno nelle punte dei rami e che quando il vento
soffia appaiono sempre tra una foglia e l’altra.
Il tempo passa, l’estate se ne va, l’autunno si
avvicina e perdiamo alcune delle nostre foglie, alcune nascono
l’estate dopo, e altre permangono per molte stagioni.
Ma quello che ci lascia felici è che le foglie che sono cadute continuano a vivere con noi, alimentando le nostre radici con allegria.
Sono ricordi di momenti meravigliosi di quando
incrociarono il nostro cammino.
Ti auguro, foglia del mio albero, pace
amore, fortuna e prosperità.
Oggi e sempre… semplicemente perché ogni persona che
passa nella nostra vita è unica.
Sempre lascia un poco di se e prende un poco di noi.
Ci saranno quelli che prendono molto,
ma non ci sarà chi non lascia niente.
Questa è la maggior responsabilità della nostra vita e
la prova evidente che due anime non si incontrano
per caso.

Paul Montes
Missionario Sud-Americano.

«Dopo la vita c’è di più. La fine è solo l’inizio»

Cari amici del blog,
Giuseppe69 ci ha suggerito questo film fantasy, “Al di là dei sogni”, del 1998, diretto da Vincent Ward ed interpretato da Robin Williams.
Parliamone insieme. Baci baci

Sotto&Sopra

Vi propongo un percorso alternativo in Chagall, o meglio, “sottosopra”.
Dove vi riconoscete?
Lasciate volare Psiche!

“Tu sei matto”

Gentilissime amiche e gentilissimi amici,
la nostra Beatrice ha risposto ad Hikmet con questa citazione di Alessandro Baricco, tratta da “Oceano mare”. Come il protagonista, attendo le vostre “lettere” in questa scatola di mogano che è il nostro/vostro blog.

Buona giornata!

Posa la penna, piega il foglio, lo infila in una busta. Si alza, prende dal suo baule una scatola di mogano, solleva il coperchio, ci lascia cadere dentro la lettera, aperta e senza indirizzo. Nella scatola ci sono centinaia di buste uguali. Aperte e senza indirizzo.
Ha 38 anni, Bartleboom. Lui pensa che da qualche parte, nel mondo, incontrerà un giorno una donna che, da sempre, è la sua donna.
Ogni tanto si rammarica che il destino si ostini a farlo attendere con tanta indelicata tenacia, ma col tempo ha imparato a considerare la cosa con grande serenità. Quasi ogni giorno, ormai da anni, prende la penna in mano e scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle buste: ma ha una vita da raccontare. E a chi, se non a lei?
Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle sul grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle –Ti aspettavo.
Lei aprirà la scatola e lentamente, quando vorrà, leggerà le lettere una ad una e risalendo un chilometrico filo di inchiostro blu si prenderà gli anni –i giorni, gli istanti– che quell’uomo, prima ancora di conoscerla, già le aveva regalato. O forse, più semplicemente, capovolgerà la scatola e attonita davanti a quella buffa nevicata di lettere sorriderà dicendo a quell’uomo –
“Tu sei matto”.
E per sempre lo amerà.

A proposito di Angeli

Un estratto di grande impatto da “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders. Aspetto le vostre considerazioni. Buona giornata!

Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera

Carissime e carissimi,

vi dedico questa scena di un celeberrimo film di Kim Ki Duk, “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera “. In un eremo fluttuante su Psiche, nella prima delle cinque scene in cui l’opera è divisa, un anziano monaco vive con il suo giovanissimo discepolo e novizio, che è il protagonista delle sequenze. Durante la “primavera” della sua vita, il ragazzo scopre l’importanza e il rispetto della vita, attraveso la rigorosa educazione del suo maestro, che punirà con severità il bambino per il suo atteggiamento aggressivo, cinico e violento verso alcuni animali. Aspetto le vostre impressioni e vi auguro un buon inizio di settimana!

Il tuo cuore…

Ecco, per tutti, cosa ha condiviso, con il cuore, la nostra carissima Melusina. Buon inizio settimana!

Il tuo cuore

Io lo penso, il tuo cuore, come un’acqua
perduta in un deserto
che invano aspetta chi ci si disseti.
Lo penso come un albero fiorito
in piena notte, che nessuno guarda,
se non da vetri in fuga un viaggiatore
che noia o affari portano lontano.
Come uccello spaurito
vaga pei lacunari d’una volta
di cui non trova uscita e crea soltanto
col suo strido più vasta solitudine…

(Alessandro Parronchi)