Gabriele La Porta Questo Blog è l'unico ufficialmente riconosciuto dal Prof. Gabriele La Porta, filosofo, conduttore radiotelevisivo, già direttore di Rai 2 e RaiNotte.
Ognuno di noi ha almeno una storia segreta da raccontare, un episodio straordinario che lo ha indotto a riflettere sulla vita e sul destino. Questo libro raccoglie alcune di queste vicende: sogni premonitori, defunti che suggeriscono comportamenti e azioni decisive, coincidenze inspiegabili che mutano il corso di una vita. Ciò che accomuna queste storie è l’elemento miracoloso, soprannaturale, il palesarsi di una soluzione positiva in situazioni che sembrano senza via d’uscita. Quale significato dobbiamo attribuire alle cosiddette coincidenze?
Con disegni di Donatella Scatena
Troppe volte Bruno sembra vivere ineluttabilmente con la scardinante dedica dell’Oscuro "ai vaganti di notte, ai maghi, ai posseduti da Dioniso, alle menadi, agli iniziati" (Eraclito 14, A 59, trad. Giorgio Colli). Un empito dionisiaco avviluppante il Dio in una danza a spirale che sfonda secoli inutilmente pesanti solo per gli umani. Perché la forza del Nolano è racchiusa in un perenne vaticinio donativo. Circolarità senza fine, Sphairos consustanziale con Afrodite iperuranica. Per questo è contemporaneo di Hermes, il donatore agli umani, e quindi con Spalle Larghe (Platone), Porfirio e Giamblico lo scrutatore degli Egizi e poi a Giuliano l’Apostata e "all’altro" Giuliano il Kremmerz degli anni nostri...
"Il bello è scoprire che tutto ciò che non abbiamo fatto in tempo ad imparare non è affatto perduto" - il Tempo
"Dedicato ai nostalgici di Sophia, ai profeti dell'incontro tra la magia di Hermes e l'analisi del profondo di Jung. Contro lo strapotere dello scientismo e l'abuso della tecnica" - Libero
Nella saliva nella carta nell’eclisse. In tutte le linee in tutti i colori in tutti i boccali nel mio petto fuori, dentro nel calamaio – nelle difficoltà a scrivere nello stupore dei miei occhi nelle ultime lune del sole (il sole non ha lune) in tutto. Dire “in tutto” è stupido e magnifico. Diego nelle mie urine – Diego nella mia bocca nel mio cuore – nella mia follia – nel mio sogno nella carta assorbente – nella punta della penna nelle matite – nei paesaggi – nel cibo – nel metallo nell’immaginazione. Nelle malattie – nelle rotture – nei suoi pretesti nei suoi occhi – nella sua bocca nelle sue menzogne».
Mi chiesi,
che peso potesse avere una carezza,
quale dubbio si nascondesse nell’intenzione,
quale cicatrice facesse della ferita solo un graffio.
Lasciarsi pervadere dall’istinto la consolò
desertificando pensieri su futuri senza mani..
Tra l’orizzonte e il cielo subiva solo il mare,
l’unico abbraccio che non tradiva riva,
l’unico impeto che non trascinava sabbia,
l’unica nuvola che non partoriva pioggia.
L’oscurità si rese complice della ragione
erodendo il plagio di una sconfitta in due.
L’amore vide ciò che il fuoco incenerì per noia.
Elle
Esiste una fatalità di pensiero che accompagna, con inesorabilità,
la fragilità di certe donne, rendendo la loro esistenza
solo sabbia marmorea di clessidre in frantumi.
Sono donne che precipitano nei loro occhi, annegando l’universo
in pupille retrattili, perdendo il senso di un buio che attraversa la luce.
Temono un abbandono, pur essendosi dimenticate di loro stesse,
e contano fili di perle legati con nodi scorsoi, che implacabili,
razionano aria e respiro.
E poi, c’è Lei, quella che non si riconosce, quella che veste di nero
le sue contraddizioni e che superbamente percorre, su passi denudati,
fantasie di unicorni danzanti, adagiando chimere su sogni di cipria
e sorrisi dormienti.
Vive una devastazione del cuore che le impedisce di ritrovarsi
in quel ritratto scomposto, che lo specchio nasconde,
indossa orecchini di cigno e pigiama di seta dal colore blu_cielo
per sentirsi bambina e ritrovare la donna che nessuno guardò.
Non porta orologi, che scandiscano un tempo che le scivola addosso, impietoso,
e trattiene risposte tra lacrime e scrigni dalle chiavi introvabili,
esorcizzando un destino, che la volle seconda, il quel fremito antico
che l’orgoglio ricopre.
Miranda Galati
“La filosofia è in fondo nostalgia,è il bisogno di essere a casa,dovunque.
Allora dove stiamo andando? Stiamo sempre tornando a casa.”
Novalis, Frammenti
“N℮ll’℮tà d℮ll℮ commozioni il cuor℮ non basta a r℮gg℮r℮ la spinta d℮l sangu℮. Il mondo intorno è poco risp℮tto alla grand℮zza ch℮ si allarga in p℮tto. ”
Erri De Luca
Mente ed emozioni sono le vite tramite le quali tocchiamo il cosmo. Laddove le parole sono i mezzi di espressione della mente, non esprimono facilmente il flusso delle Emozioni. Ecco perché non ti posso dire, con precisione, come mi sento. Posso solamente usare metafore e analogie per esprimere i miei sentimenti. Mentre i pensieri ci danno una struttura che rende l’universo intelligibile, i sentimenti esprimono l’ampiezza, la frequenza e la profondità del nostro rapporto con l’ambiente spirituale e fisico. I sentimenti non ci “parlano” – reagiscono in modo emotivamente eccessivo dentro di noi.
Ci fornisce un contesto dentro il quale viviamo la nostra realtà.
[…] Il lavoro delle emozioni è assai più difficile da scoprire. Non hanno un organo convenientemente situato, come il cervello. Sono l’espressione generale dell’anima e non sono localizzate da nessuna parte – anche se diciamo che il loro “luogo” sia il Cuore metaforico.
Le emozioni sono diffuse in tutto il corpo. Riflettono un flusso generalizzato dell’anima, a differenza del flusso particolare della Mente. Quando ti senti felice o triste, non lo avverti nell’alluce del piede o nei denti – lo senti generalmente tramite il tuo essere. Qua ci stiamo riferendo alle emozioni e non ai sentimenti tattili. Essendo più diffuse, le emozioni sono più difficili da definire, localizzare e cambiare con interventi coscienti.
Portare al pascolo le nuvole non era mai stato un lavoro da poco.
Non tutti possono diventare loro pastori, nè si può riconoscere lì per lì chi è adatto e chi no. Quelli con la testa per aria non è detto che siano i più dotati.
Le nuvole sono per natura riottose, e mutevoli per forma e movimento come il vento che le spinge, ma non sono cattive. Sono selvatiche e non è facile prenderle e condurle là dove si vuole, questo sì.
Il fatto è che bisogna svegliarsi al mattino presto per cercare di imbrigliarle quando sono ancora assonnate. Ma in alto il giorno arriva prima e così di solito sono già sveglie quando in basso si sta al buio con il cappio in mano in attesa di lanciarlo al momento giusto. Se si riesce a prenderne una al volo, va domata con ben dosata fermezza. Poi si devono usare le briglie. Ci vuole un pastore per ogni nuvola e nei giorni di vento forte vanno tenute anche in due o tre per non essere trascinati via non si sa dove, come appesi a palloncini.
Una volta accalappiate però seguono mansuete e si lasciano tirare docilmente verso la prateria. Lì pascolano indisturbate e basta farle andare con delicatezza da una parte all’altra.
Felipe era stato pastore di nuvole fin da bambino come il padre e il nonno.
Suo padre lo portava con sè insegnando l’arte del lavoro e i segreti delle nubi e lui gliene era grato.
Diceva ‘Padre, da dove vengono le nuvole?’
E lui ‘Da laggiù, dietro l’orizzonte’
Oppure ‘Dove vanno dopo?’
‘Cosa vuoi che importi di dopo?’ rispondeva l’altro.
O anche ‘A che servono?’
Il padre scrollava la testa ‘Bada, tira bene le briglie, sennò ti scappa via… e ricorda: l’importante è non farsi mai bagnare dal loro pianto’
‘Perchè?’
‘Perchè è così da sempre’
Stava zitto per un po’, ma non tanto.
‘E che si fa se piange?’
‘Devi lasciarla andare subito via, libera. Però è toccato a pochissimi di noi’.
‘Perchè piangono?’ insisteva il ragazzo. Ma il padre guardava lontano senza dire nulla.
Allora a volte proseguiva ‘E se voglio toccare il loro pianto che succede?’
‘Ma che ti frulla per la testa, quante cose vuoi sapere tu? Sei un pastore e si può fare solo così’
‘Davvero?’ diceva lui fissandolo negli occhi
‘Basta ora’ troncava il padre voltandogli le spalle.
Col tempo l’anziano chiamò a sè il figlio. ‘Questa è la cavezza che ho sempre avuto, Felipe; d’ora in avanti la userai tu per me’.
Poi, come era usanza tra le loro genti, si allontanò in solitudine.
Felipe prese cavezza e briglie e fece il suo dovere a lungo.
Un giorno era seduto su una pietra, con una mano teneva alla briglia una nuvola che pascolava in un angolo remoto di prateria e lui lì a godere il profumo dei fiori selvatici e a ripensare alla sua vita.
Dall’alto la nube vagava con lo sguardo intorno, sazia del mondo già visto, piena di ogni sensazione e senza idea di cosa farne.
Si era fatta domare da un pover’uomo sperso nella grande pianura, indossava pantaloni rattoppati e una giubba scolorita. Lo guardò a lungo, ma infine lo vide; era vestito di quiete, di ricordi e di innocenza tutto, e d’improvviso pianse.
Felipe restò sorpreso perchè non gli era mai capitato. Tenne fede all’insegnamento e subito la liberò, ma la nuvola restò a piangere lì accanto.
Si allontanò e lei lo seguì da presso. Si avvicinò di un passo e lo stesso fece quella dall’alto.
Guardò intorno, non c’era nessuno. Esitò un poco ma allungò una mano nel pianto; la retrasse in fretta per osservarla attentamente. ‘E’ soltanto bagnata’ disse tra sè e la mise di nuovo dentro; quindi infilò il braccio e alla fine entrò con tutto il corpo. Era felice di lasciarsi bagnare dalle lacrime di nuvola, sembravano d’argento.
Accadde allora che lei si abbassò da lui in un abbraccio di nebbia, poi si dissolse lasciandolo zuppo e stralunato; niente però sembrava cambiato.
Tornò come sempre nell’antica casa a riposare e come sempre stava solitario, abituato ai lunghi silenzi. Ma quella sera prese ad avere caldo e freddo insieme, dovette camminare su e giù più volte per le stanze senza motivo, non servì a niente bere una tazza di brodo tiepido e sentì infine un desiderio e la voglia mai provata di dire del suo lavoro, di sè e di altro ancora.
Così fu costretto ad andare in paese per incontrare qualcuno e iniziò a raccontare e raccontare e ogni giorno veniva spinto a farlo dal bisogno e dalla necessità e non guarì mai più.
Passarono molti anni, Felipe il vecchio accudì come prima le nubi; nessuna pianse per lui.
I paesani ormai lo conoscevano e spesso lo accoglievano con un cenno di saluto. Lo lasciavano fare, per tutti era una brava persona.
La sera sedeva all’osteria davanti a un buon bicchiere di vino e si metteva a raccontare storie di nuvole e pascoli, pastori e briglie, venti e lacrime e per questo molti lo chiamavano visionario; solo alcuni, poeta.
Rimaneva a guardarmi mentre dormivo,
ricordo soprattutto così mio padre,
nell’eternità delle carezze sul mio viso
con l’anima estesa all’equilibrio dello scambio.
Mi sono svegliato spesso, da bambino, con mio padre in piedi, accanto al mio letto, ad amarmi silenzioso.
Altre volte erano i suoi baci ad irrompere la notte
e con eguale lentezza, d’una mancanza, l’inesauribile vuoto di perderlo un giorno.
L’attesa di non incontralo per sempre.
Nascere figli sottende l’agguato, straziante destino di dover seppellire i propri cari.
L’insovvertibile corsa della morte che non ci risparmia,
l’ho vissuta nella speranza che l’attesa sia lunga
e che il pianto, giunga solo, con la loro vecchiaia.
Ma se l’amore non torna
presto chi mi salverà
Ed io lo so, di questi giorni
che conto ad uno ad uno
ad uno non c’è n’è uno che
ritorni
e guardo avanti, ho stretto i
denti perchè sconfitto ogni
dolore ritorna a battere il
mio cuore
e adesso guardo le mani e
le sento più libere
cerco e ritrovo la voglia di
ridere
io, io senza te
ti ho dato tutto chiedendo
ben poco da te
hai preso la parte migliore
di me ma è colpa mia, è
stata colpa mia
Ma se l’amore non torna
presto chi mi salverà
da questo andare a letto
presto che ancora
m’imprigiona
Ti ho amato tanto, ti
avevo in testa e quante
volte ho messo in dubbio
anche la stima di me
stessa
poi ho capito che nei tuoi
gesti ho visto solo quel
che eri, il re di tutti gli
egoisti da quel momento i
miei occhi hanno smesso
di piangere ho ritrovato la
voglia di ridere
io, io senza te
e la mia anima offersa non
si fida più
di una mano tesa non si
fida più
è colpa mia, dimmi se è
colpa mia
ma se l’amore non torna
presto chi mi salverà
da questa notte di buio
pesto che ancora mi imprigiona
ma se l’amore non torna
presto tu… abbi cura di te,
abbi cura di te.
Abbi cura di te, io lo dico
a me stessa
davanti allo specchio c’è
un’altra promessa
di strada da fare ancora ce
n’è, avrò cura di me
avrò cura di me, del mio
lato migliore
da quando per luna mi
basta un lampione
di strada da fare ancora
ce n’è
avrò cura di me.
Ma se l’amore non torna
presto chi mi salverà
da questo andare a letto
presto che ancora m’imprigiona.
“Quando in un libro, di poesia o di prosa, una frase, una parola, ti riporta ad altre immagini, ad altri ricordi, provocando circuiti fantastici, allora, solo allora, risplende il valore di un testo. Al pari di un quadro, scultura o monumento, quel testo ti arricchisce non solo nell’immediato ma ti muta nell’essenza.”
Giulio Einaudi
Amo le cose belle, le belle storie che dicono qualcosa, mi piace tutto ciò che fa palpitare il cuore. E’ bello aver la pelle d’oca, significa che stai vivendo.
Sono quelle persone che si avvicinano agli altri senza invadere il loro spazio. Che hanno voglia di ascoltare ma non impongono alcuna domanda. Che non proiettano ogni discorso su se stesse, ma mettono tutte se stesse in ogni discorso.
Le persone delicate chiedono sempre il permesso per entrare, perché prima di spalancare una porta si preoccupano che chi c’è dietro sia al riparo dalla corrente.
Le persone delicate sanno quanto possano ferire le parole, perciò non le utilizzano mai a caso. E non giudicano, perché tengono molto più a comprendere le motivazioni dei gesti altrui, piuttosto che a condannarli.
Ma non è la compassione che le smuove, non la pietà, perché loro non si sentono privilegiate o superiori: si sentono semplicemente ‘simili’.
Le persone delicate sono molto sensibili, e possono apparire fragili. Invece sono fortissime. Perché continuare ad essere delicati in un mondo che aggredisce è una delle scelte più coraggiose che si possano fare.Ma la caratteristica più bella delle persone delicate è che lo sono con tutti, anche con chi non conoscono, anzi soprattutto con chi non conoscono.
Ecco perché le riconosci subito: le persone delicate, lo sono anche con te.
Cerca di fare attenzione quando ne incontri una: perché le persone delicate sono quelle che, più di tutte le altre, meritano di essere trattate con delicatezza.
“Io vorrei farti dormire, ma come i personaggi delle favole, che dormono per svegliarsi solo il giorno in cui saranno felici. Ma succederà così anche a te. Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale. Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani. Guarda, Natalia, il cielo! È una meraviglia!”
Certe sensazioni vanno colte al volo o svaniscono. Svaniscono lasciando dietro di sé l’amaro sapore di cose non dette, di carezze non date, di attimi non vissuti, di sogni infranti dalla delirante compostezza di una fragile normalità. Angelo De Pascalis
I discorsi più belli sono quelli fatti in silenzio, i baci più belli sono quelli dati lentamente, gli abbracci più belli sono quelli in cui non ti accorgi più dove finisce il corpo e dove inizia il suo.
Claudia Marangoni
Come il sole brucia in faccia e lascia cenere
come neve sciolta al sole posso cedere
negli anni ho creduto di sapere tutto, ma ora no.
Come acqua sporca addosso non so stare
con dentro le parole rotte da aggiustare
nel tempo ho ceduto tutto di me, ma ora no
e sento che non so più dimenticare te
nelle preghiere che nascondo
ogni volta rido e piango, penso e mento a me
e ora che non so più dimenticare te
ogni volta che ritorno a ricominciare la mia vita senza te
sembra impossibile…
Come impronte sulla sabbia fanno polvere
neanche il buio questa storia può nascondere
in ogni istante ho dato tutto di me, ma ora no
come vetro a pezzi il cuore mi fa male
come fumo denso immobile è il mio amore
negli anni ho creduto di sapere tutto, ma ora no
e sento che non so più dimenticare te
nelle preghiere che nascondo
ogni volta rido e piango, penso e mento a me
e ora che non so più dimenticare te
ogni volta che ritorno a ricominciare la mia vita senza te
lascio andare l’ultimo pensiero che mi toglie il fiato
e fa male stare a guardare…
e sento che non so più dimenticare te
nelle preghiere che nascondo
ogni volta rido e piango, penso e mento a me
e ora che non so più dimenticare te
ogni volta che ritorno a ricminciare la mia vita senza te
sembra impossibile…
Non voglio “fuggire” da situazioni che percepisco come immodificabili nei momenti di affaticamento o demoralizzazione (se e fino a quando non e’ inevitabile)
Voglio consentire alla mia anima di saper sempre decider tra opposte situazioni, in scioltezza ed armonia, per quanto possibile
Non voglio reagire a situazioni frustranti con avversione, ansia, orrore
Voglio che il superego (..ingiunzioni, frammenti e parti primitive amate e odiate, giudizi di valore, frammenti di minacce.. che risuonano nelle nostre orecchie mentali dal primo all’ultimo anno di vita) sia trasformato da astrazione teorica, che possiamo solamente comprendere, in realtà fenomenica… ..così da poterlo usare come.. segnale d’allarme – invece di essere usati e forse distrutti da esso
Voglio continuare ad esistere (emergere) nel mondo con le mie forze
Non voglio vivere agglutinativamente o dimorare in dimensioni inventate o imposte da persone inconsapevoli, e ignorare la differenza tra quanto appartiene ad altri e quanto invece fa parte dell’essere se stessi
Voglio consentirmi di metabolizzare le cose e decodificare le mie esperienze senza fretta e senza pressioni
Non voglio alcuna situazione persecutoria nella quale ognuno di noi è intrappolato prima ancora di esistere
Voglio potermi muovere dalle profondità di me stesso verso la superficie del mio cosiddetto aspetto sociale e che questo consenta un’esistenza attiva ed il piu’ possible libera
Non voglio nessuna implicita o esplicita proibizione a sperimentare anche la mia solitudine nel mondo
Non voglio vivere nella perenne incertezza
Voglio un criterio che valga in un mondo che ha trasformato tutte le misure
Non voglio che il mio pensiero divenga inerme, come piace a chi fa schiavi gli uomini, ai burocrati e ai gerarchi
Voglio modificare le situazioni secondo i bisogni miei e delle persone che amo, non secondo quello che gli altri piu’ o meno inconsciamente si aspettano (o si aspettavano) da “me”
L’arte di Giuliano Giuggioli riveste interesse in quanto le sue immagini scaturiscono da una cultura interiorizzata ricollegabile all’iconografia surrealista, da cui tuttavia egli si differenzia per un atteggiamento più romantico e letterario, abbastanza prossimo alle elaborazioni visive di Max Ernst. La sua operatività febbrile lo rende infatti alieno dagli automatismi, scegliendo piuttosto la riaffermazione visiva di una mitologia rivelatrice non solo delle profondità dell’inconscio, ma anche della persistenza della memoria della letteratura classica, così come è percepita nelle prime letture fatte da ragazzo.
Se questi dati contribuiscono alle premesse creative di un esercizio quasi concettuale della fantasia, dal punto di vista stilistico Giuggioli imprime ai suoi lavori una corposità sensuosa, neobarocca, evocativa di un’ arcaicità fuori della storia, che si attua in assunti scenografici proposti visivamente come una concreta esperienza di viaggio nel tempo e nello spazio. I suoi lavori sono quanto mai avvincenti , in quanto propongono una situazione antinaturalistica, che ricorda molto da vicino quello che teorizzava Alberto Savinio, per il quale la cosa dipinta va tenuta lontana dai pericoli della natura. Nel senso proprio di questo ammonimento antidogmatico, Giuggioli ama evidenziare una sorta di quella divina incertezza che si situa ben al di là dell’irrazionalismo, e che spinge l’impaginazione dei suoi paesaggi mentali nel territorio di una costante verifica e messa in discussione dei loro stessi valori narrativi.
Il percorso pittorico di questo artista si sviluppa negli ambiti eterogenei di una formazione culturale che attiene anche all’interpretazione onirica di una vissuto archetipico. Facendosi coscientemente coinvolgere da una realtà fantasticata, egli opera una mediazione visiva per ottenere una rappresentazione quasi sacrale, dove la sua esplorazione nel mito si riveste di una dimensione archeologica, ovvero del senso di una riscoperta oggettiva. Ma le sue ricognizioni sono comunque serene a causa del gioco mentale che le guida, e si mantengono sul filo di un’ironia sottile e di un distaccato senso dell’assurdo, come nel caso de La casa dei gemelli, o come nell’opera magicamente sospesa de La notte prima dell’inaugurazione. Giocando sui simboli dell’inconscio in Archeologia industriale, o in Preparativi per la partenza, Giuggioli mostra tutta la sua attenzione agli aspetti più scenografici della raffigurazione, che comunque riferisce dei suoi stessi viaggi interiori, riportati su un territorio famigliare. Sono quindi evocati i particolari di una città o di un interno, che sostanziano una visione metafisica, o che alludono a un evento del tutto insolito. Quando ad esempio la sua cultura lo riporta nell’antichità romana, e quindi a paesaggi come Il Restauro, avviene una ricostruzione ludica della nobile architettura, fatte con i legnetti colorati dai bambini e giocata sui contrasti cromatici. Il nucleo della ricerca espressiva di Giuliano Giuggioli sta proprio nella confutazione del reale e nella tipologia immaginifica della sua pittura, alla quale il suo colorismo conferisce una bellezza infuocata.
Guardo senza vedere. Aspetto senza un’attesa. Fermo sulla piccola poltroncina rossa, in sala d’attesa del medico, mi sospendo. Prendo tempo. Da me stesso. Dalle mie invisibili malinconie. Davanti a me è seduto un ragazzo.
Silenzioso anche lui. Lo sento addosso che mi guarda.
Mi alzo per il mio turno, il mio nome è stato scandito bene dalla segretaria. Sto per uscire dalla stanza, lui si fa audace e mi augura buona vita. Forse lo dice a chiunque ed è solamente una schiocchezza. Eppure l’ho trovato delicatamente emozionante. Avrà avvertito un mio disagio. L’ho nel volto o semplicemente si è specchiato nel suo. Mi ha teso una mano, abbracciato con le parole.
Se solo imparassimo ad uscire dal nostro misero e solitario individualismo. Se imparassimo a viverci in comunione con il prossimo, senza alcun timore. Uniti e collegati gli uni con gli altri…
Nero, per tornaconto di una necessità. Come in un accordo ministeriale, mi accomodo. Persino la bugia che nega il mentire è uguale a due giri di vipera sul collo. E mi mantiene mezza asfissiata, mezza viva. In pratica moribonda, affetta da verità presunta. Quella che arreda col pensiero perché incorporea, che esonera il tatto in assenza di materia, che inventa le tue mani nel buio delle consolazioni. E lì, che nel corpo di sciantosa, rotule costrette dal proibizionismo, ghirigori della mente allo specchio, le mani come acquasantiere gemelle, segno di pace nel fragore della mia guerra, mi accomodo nello scomodo. Siamo alle solite, in questo bilico perenne dove una aspetta di liberare l’altra, per smetterla una buona volta. M’inzuppo di estratti fioriti robusti e acri. Un esiguo lago sotto i piedi scalzi come una prova di miracolo. Batto il tempo a tempo. Non me ne vado. L’olfatto predilige inganni a zig zag e inspiro me tenendomi presente. Venerabile, deprecabile, insostituibile perché eccessiva, io. Il buio aiuta le cose negate a vivere di prelibatezze mentali solubili in differita, lusso per pochi, senza sottotitoli. Faccio come mi pare. potrei inspirare anche voi. Non è già successo?
Ornella Pennacchioni
L’assurdità, in questo tempo. Una SCRITTRICE di tale maestria, non ha un editore degno di questo nome
Ma perché non funziona tutto come nei film? Perché gli estranei in metropolitana, invece che limitarsi a guardarti, non attaccano bottone dicendoti che hai un sorriso bellissimo? Perché dopo trent’anni, in un café del centro, non rincontri mai la persona per cui hai lottato? Perché le madri fanno fatica a capire i propri figli e i padri ad accettarli? Perché la frase giusta arriva sempre durante il momento sbagliato? Perché non ti capita mai di correre sotto la pioggia, di arrivare davanti al portone di qualcuno, farlo scendere, scusarti e iniziare a parlare a vanvera per poi trovarti labbra a labbra e sentirti dire: ‘non importa, l’importante è che sei qui’? Perché non vieni mai svegliato durante la notte da una voce al telefono che ti dice: ‘non ti ho mai dimenticato’?
Se fossimo più coraggiosi, più irrazionali, più combattivi, più estrosi, più sicuri e se fossimo meno orgogliosi, meno vergognosi, meno fragili, sono sicura che non dovremmo pagare nessun biglietto del cinema per vedere persone che fanno e dicono ciò che non abbiamo il coraggio di esternare, per vedere persone che amano come noi non riusciamo, per vedere persone che ci rappresentano, per vedere persone che, fingendo, riescono ad essere più sincere di noi.
David Grossman, Qualcuno con cui correre
Le mie palpitazioni
si aggrappano alla mia gola secca
come carta
di un pane
che non c’è
Le mie allucinazioni
danno vita a ciò che vedo e non si tocca,
com’è freddo il freddo di mille lame
dentro me
Quando solo questa vita che si afferma
E ride in faccia alla morte
e poi si gira,
dall’altra parte…
Le mie palpitazioni
battiti di ali più leggere
fruscio di storie disegnate
su di un foglio sottile,
che non c’è.
Se dovessi immaginarle
Se potessi raccontarle
Se cercassi di fermarle…
forse non le avrei vissute,
senza me
La vera bellezza nasce dall’autenticità e non dalla perfezione,
dal nostro patrimonio emotivo, dalla nostra personale collezione di emozioni…
(M.Bisotti)
Tento di non identificare azioni rintracciabili in luoghi comuni che rassicurino come una tabellina per principianti e neofiti, come sempre. Comprendo di voler appartenere alla guglia più alta. Quella satura d’ossigeno, che mi permetta di vaneggiare indisturbata. Non fosse che la voce narrante ora, proprio ora, mi ricorda la logica amorosa del bacio e dell’intenzione che abbisogna di due.
Sarebbe inverosimile scantonare in stereotipi che diano consenso ai romantici ameni condizionati da batticuore di gruppo, a me non interessa. Se bacio quindi è perché la mia bocca ha deciso baciando di baciarsi sentendosi baciata, rientrando così nella linea del disordine singolare che m’appartiene. Vorrei un alibi e subito a questa formula unilaterale che dissacra il bacio abitudinario. Qualcuno mi difenda con molte menzogne. Mi consoli senza contraddire come si fa con gl’intrattabili.
“Non c’è niente di più bello della solitudine. Per essere completamente felice mi manca una cosa: avere qualcuno a cui spiegarlo.
Perché il mondo là fuori ogni tanto viene a chiederti conto delle tue scelte e allora ti accorgi che, forse, essere felici significa sapere di esserlo”.
Lo scafo consunto e verdiccio
della vecchia feluca
riposa sul lido…
sembra la vela mozzata
che sogni ancora nel sole e nel mare.
Il mare ribolle e canta…
Il mare è un sogno sonoro
sotto il sole d’aprile.
Il mare ribolle e ride
con le onde turchine e spume di latte e argento,
il mare ribolle e ride
sotto il cielo turchino.
Il mare lattescente,
il mare rutilante,
che risa azzurre ride sulle sue cetre d’argento…
Ribolle e ride il mare!…
L’aria pare che dorma incantata
nella fulgida nebbia del sole bianchiccio.
Palpita il gabbiano nell’aria assopita, e al tardo
sonnolento volare, si spicca e si perde nella foschia del sole.
Dalla soglia di un sogno mi chiamarono
era la buona voce, amata voce.
Dimmi: verrai con me a vedere l’anima?
una carezza mi raggiunse il cuore.
Sempre con te… ed avanzai nel sogno
per una lunga, spoglia galleria;
sentii sfiorarmi la sua veste pura
e il palpito soave della mano amica.
Ma io non cerco la salvezza nell’indifferenza: il fremito è la miglior parte dell’umanità. Per quanto il mondo faccia pagar caro il sentimento, l’uomo, quand’è commosso, sente nel profondo l’immensità”.
J. W. Goethe
Gli amanti, quando finalmente si scoprono, diventano eterni. Il tempo gioca sempre a separarli e loro sorridono, anche se amaramente, perché sanno che riusciranno sempre a ritrovarsi. Malgrado ciò, ogni volta si salutano come se fosse l’ultima, cercando d’imprimere dentro di se tutto ciò che appartiene all’altro: l’ultimo tocco, l’ultimo sguardo ed infine l’eterna promessa di rinascere per ritrovarsi. Forse non basterà una vita, forse nemmeno cento. Forse queste vite racchiuderanno soltanto solitudine e sofferenza, ma questo non basta a scoraggiare la loro speranza. Il loro esistere coincide con il loro ritrovarsi.
Il resto rimane privo di senso fino a quando non si ricongiungono. E allora sia! La vita, il sogno di ritrovarsi.
Per gli innamorati non esiste spazio e tempo esiste solo quella sensazione di gioia mista ad emozione che li fa essere più simili agli ubriachi. Sì, perché gli innamorati si dissetano di baci e sguardi, e ancora baci. Stephen Littleword, Aforismi