“Noi del cinema siamo carta moschicida per chi ha problemi mentali, piacciamo moltissimo ai matti. Sul set si avvicinano sempre, abbiamo una lingua comune, ci intendiamo… I ragazzi problematici sono affascinanti, hanno una fantasia non frenata dalla ragione, sono le uniche interlocuzioni che mi arricchiscono, le persone ragionevoli diventano presto di una noia mortale”.
Pupi Avati (intervista “Il venerdì” di Repubblica)
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Quella “sospensione dell’incredulità” che abbassa le difese e libera le emozioni da coinvolgimenti personali diretti: amare, odiare il mondo da una distanza di sicurezza è un rito che aiuta a ritrovare tutto un mondo… Non sarà quello autentico, delle origini, e nemmeno quello reale, tanto il cervello non noterebbe la differenza; ma il riprodurre le percezioni in immagini ha da sempre istruito i neuroni sul come rapportarsi con le emozioni e l’arte cinematografica non può perdere l’occasione di tornare al servizio di quell’umanità dimenticata ai margini del cielo… Allenare i neuroni di ognuno, matti o razionali, a simularne l’essere, forse riporterebbe Odisseo a rispecchiarsi nell’Odissea, Enea nell’Eneide e contemporaneamente a non annoiarsi.