Un chiaro fuoco m’abita e vedo freddamente
la violenta vita, illuminata tutta…
io non posso più amare oramai che dormendo
i suoi graziosi atti mescolati di luce.
I giorni miei, la notte, mi riportano sguardi
dopo i primi momenti di un infelice sonno,
quando sparsa nel buio è la sventura stessa,
tornano a farmi vivere, mi danno ancora occhi.
Se erompe quella gioia, un’eco che mi sveglia
ributta solo un morto, alla mia riva di carne.
E al mio orecchio sospende, il mio riso straniero
come alla vuota conchiglia un sussurro di mare,
il dubbio – sul bordo di un’estrema meraviglia,
se io sono, se fui; se dormo oppure veglio…
Paul Valéry
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molto bella. Ciao.
Buona domenica, caro Prof. La Porta.
Un saluto a tutti gli amici di casa-blog.
Sogno o son desto?
http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=807
Ciao Anna. Grazie per il contributo. Baci
Quel chiaro fuoco è l’unica certezza che per l’uomo sia ancora possibile un “salto di dimensione” della coscienza. Purchè non viva ai margini di se stesso: un testimone dimentico di se stesso, piuttosto che un’imitazione animata travolta da un sorriso straniero. Non c’è dubbio che anima venga a travolgere, in certi casi.