-
Si tratta di un film del 2008 scritto e diretto da Charlie Kaufman, sceneggiatore dei film di Michel Gondry e Spike Jonze, al suo esordio nella regia.
Il film è stato presentato in concorso al 61º Festival di Cannes. Da allora è rimasto nel limbo della distribuzione italiana, e presentato solo adesso, in piena estate 2014, per chissà quali arcani motivi. Comunque ho deciso che non farò (tanato-)dietrologia.
Il cast è composto, tra gli altri, da Philip Seymour Hoffman nel ruolo del regista, Catherine Keener nel ruolo della sua prima moglie, Michelle Williams nel ruolo della seconda moglie, Samantha Morton nel ruolo dell’amante. Si aggiungano nomi come Emily Watson, Hope Davis, Dianne Wiest.
Catherine Keener è particolarmente legata ai lavori di Kaufman e Jonze: recitò in Essere John Malkovich e fece un cameo riproponendo il suo ruolo mentre girava Essere John Malkovich nel film Il ladro di orchidee, entrambi diretti da Jonze e sceneggiati da Kaufman. Oltre a prendere parte a Synecdoche New York di Kaufman, ha recitato in Nel paese delle creature selvagge, diretta da Jonze.
Il titolo è un gioco di parole fra Schenectady, New York, in cui è ambientata la vicenda, e la sineddoche. Il film affronta (anche brutalmente) temi come l’invecchiamento, la natura della famiglia, della casa e delle relazioni fra uomo e donna. Ma quando si comincia ad offuscare la natura del reale e della rappresentazione si scopre che tra le altre cose questo film è un enorme gioco di parole e di citazioni.
Anzi per alcuni è diventato un rompicapo, altri lo hanno accantonato nel raccoglitore “roba incomprensibile”. Un mio amico ha addirittura evitato di andarci giù pesante grazie al correttore automatico, che gli ha sostituito una frase con “questo film è una pettinata”.
Proviamo a dare una breve sbirciata al tipo di citazioni che sapientemente distribuisce a piene mani Kaufman. Siamo a Schenectady (la pronuncia è simile a quella di Synecdoche, da qui probabilmente il titolo, piccola, affluente e colta città dello stato di New York. Qui vive e lavora il regista teatrale di medio successo Caden Cotard. Ecco. Un medico forse si, ma uno psichiatra non può non sapere che esiste una sindrome di Cotard (personalmente ho visto due pazienti con tale disturbo). Descritta per la prima volta da Cotard nel 1880 come varietà di “melanconia ansiosa grave”, tale sindrome è più frequente nelle donne anziane con compromissione cerebrale organica. Dopo una fase iniziale, in cui prevalgono ansia e depersonalizzazione, compaiono tematiche deliranti di negazione: il paziente afferma di non possedere più alcuni organi interni come il cuore o lo stomaco, oppure che il suo corpo è trasformato, pietrificato; può negare la sua stessa esistenza, quella dei propri familiari, degli oggetti esterni, del mondo intero, del tempo; si associano idee deliranti di enormità fisica (il corpo è immenso, non ha più limiti, si è allargato a tutto l’universo) di immortalità e di dannazione (la morte per lui non esiste, è condannato a vivere in eterno per poter soffrire ed espiare in parte le proprie colpe). Non è rara la messa in atto di condotte autolesive e automutilanti, facilitate anche da una riduzione della sensibilità al dolore. Pur rappresentando una modalità evolutiva della depressione talvolta, risoltasi l’alterazione dell’umore, le tematiche di negazione si cristallizzano ed assumono un decorso autonomo cronico (delirio di negazione post-melanconico); in altri casi possono emergere deficit cognitivi e, con il progredire del deterioramento, le tematiche deliranti si frammentano, si impoveriscono e si estinguono. La disponibilità di misure terapeutiche efficaci nella depressione ha ridotto notevolmente, negli ultimi anni, la frequenza di questa sindrome. Intanto per chi non lo sapesse la sineddoche è quella figura retorica che consiste nel conferire a una parola un significato più o meno esteso di quello che normalmente le è proprio, per esempio nominando la parte per indicare il tutto (tetto per casa) e viceversa (America per USA); oppure, scambiando il sing. con il pl. (il cane è un animale fedele) o la specie con il genere e viceversa (pane per cibo, mortali per uomini). Dicevamo che il cognome del protagonista, Cotard, è anche il nome di una sindrome psichiatrica mentre sua moglie Adele affitta un appartamento da tale Capgras.
Ora, nella sindrome di Capgras chi ne è colpito vive nella ferma convinzione che le persone a lui care siano state rimpiazzate da replicanti, alieni o semplicemente da impostori a loro identici. Per persone care si intendono familiari e amici, ma il disturbo può estendersi ad animali domestici o luoghi familiari. Tale manifestazione rientra nel campo delle MISs (acronimo inglese per indicare le misidentification syndromes).
Questa convinzione patologica è costante e viene mantenuta nonostante venga data prova del contrario, e non si basa su informazioni false o incomplete dovute a un qualche errore di percezione. Spesso diagnosticata in associazione a disturbi psichiatrici quali schizofrenia e disturbi dell’umore, può a volte essere il risultato di danni cerebrali, demenza o altri disordini organici che rendono le spiegazioni psicodinamiche classiche difficili da sostenere.
Il riferimento alla malattia è difficilmente non intenzionale data la presenza di numerosi accenni al mondo psichiatrico nella pellicola. Tra l’altro Adele di cognome fa Lack (lack come mancanza, vuoto) e, con una ulteriore letteralizzazione diventa presto appunto assenza, fuga.
Ma il nocciolo è che in questo film i riferimenti sono una miriade e sono tutti difficilmente non intenzionali, benedetto Charlie!!! Facciamo così. Prometto che lo rivedo in lingua originale per la terza volta, ci penso e poi se vi va ne riparliamo.
Massimo Lanzaro
Filed under: Cinema | Tagged: Cinema, Massimo Lanzaro, Synecdoche New York |
Certo che rimane nel dimenticatoio questo film generatore di incubi,,insonnie ……La gente odierna è già martellata da agenti ansiogeni e depressogeni per accollarsene altri.E non si puo’ confidare nemmeno nella speranza.In quanto ,come dice Paul Valery,:essa vede il punto debole delle cose.La gente è in uno stato di disperazione latente,,sostiene Martti Siirala ,e a ragione.Meno si espone a storie psicodestabilizzanti è meglio è.Questo non vieta di classificare quel film come una interessante logopea,
Sereno pomeriggio
Interessante anche se non andrei a vederlo. Troppi nodi e forse anche troppi specchi o frammenti di specchi. Continuo ad amare I. Bergman. Bianca 2007
Grazie ad entrambi per i commenti. E’ interessante il concetto di “storie psicodestabilizzanti”. Da approfondire.
Ad esempio quanto secondo voi i media, gli organi di informazione in generale sono quotidianamente psicodestabilizzanti?
Colgo l’occasione per suggerire qualcosa di meno “depressogeno” allora, anzi un film molto divertente per chi non lo avesse visto: http://www.psychiatryonline.it/node/5099
Interessante secondo me sarebbe anche approfondire la capacità terapuetica dei films (metanoia del cinema), seppure credo sia più che limitata, e pressochè inesistente per le persone insensibili di nascita..
Penso che si dovrebbe fare una almeno una piccola distinzione tra l’inevitabile milieu ansiogeno in cui siamo costretti a vivere, e quello
evitabile di film,video e spettacoli teatrali psicodestabilizzanti. Naturalmente ,dobbiamo non dimenticare la funzione catartica ed immunizzante che esercitavano le tragedie greche antiche. Perciò le nostre considerazioni sono un po’ grossolane ed andrebbero ottimizzate per quanto possibile.
Grazie per il nuovo suggerimento,divertente.
Proviamo a “metterla così”.
Un fascio di luce parte dalla fessura della sala di proiezione infrangendosi sullo schermo e con quella luce parte anche un sogno, proprio perché il cinema è sogno.
I sogni sono storie e immagini che viviamo nel buio del sonno, ci appartengono, li vediamo come dei film, a volte divertenti, a volte interessanti, delle volte orrendi e terrificanti, ma i sogni sono nostri, fanno parte del nostro modo d’essere bi-logici (Matte Blanco I. – Pensare, sentire, essere 1988, c. e. Einaudi 1995), ed anche i racconti che scorrono sullo schermo appartengono ad altri sogni sognati da qualcun altro.
Così come i sogni li possiamo utilizzare per capire qualcosa di noi, anche i film possono divenire storie che si organizzano in dei sensi; anche perché quando siamo in un cinema stiamo sognando tutti insieme lo stesso sogno che chiamiamo film.
Forse il punto è che bisognerebbe farsi aiutare a capire quel qualcosa dalla persona giusta, magari al momento giusto.
p.s. “metanoia è quello stato d’animo inconsciamente annoiato ma materialmente attento al fenomeno in questione, e non c’è parola più azzeccata per descrivere uno stato d’animo continuo nella visone del film”
p.p.s. per l’antipsichiatria nelle sue forme più estreme (Cooper) è invece feconda «esperienza mistica» (metànoia= conversione, trasformazione)
Analizzando il sintagma”cinema è sogno”,mi viene in mente il frammento 89 di Eraclito:
Per coloro che sono desti
uno e comune mondo è,
dei dormienti invece
ciascuno si rivolge al proprio.
Tipico del sogno-film è che viene fatto da svegli,ed infatti è
comune a tutti gli spettatori.
Il sogno reale,invece,è fatto durante il sonno ed è strettamente
personale.
C’è poi da considerare che ogni spettatore,pur vedendo
lo stesso film,a seconda del proprio vissuto e cultura,vede in realtà qualcosa di personalizzato. Io credo che dallo studio del percepito
si possano ricavare ragguagli psicologici e psicodinamici simili e/o complementari a quelli della psicanalisi del sogno.
Bi-grazie per la regia di questi post (commenti/risposte).
Ps : per quanto riguarda la ‘metànoia’ mi pare che anche T. Moore ne abbia fatto uso in lacuni suoi scritti in senso di ‘cambio di visuale’. (dalla platea alla galleria tra il primo e il secondo tempo 🙂 scherzo ovviamente, ma anche no :))
Saluti