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Esce mercoledì 30 aprile questo film denuncia contro lo strapotere delle lobby farmaceutiche e dei loro impiegati, che nel film vengono rappresentati come corruttori di medici a loro volta più o meno compiacenti.
Trama (spoilers) L’azienda di Bruno, come tante altre case farmaceutiche, pratica il comparaggio. Bruno ama Anna, (Evita Ciri) sua moglie, una professoressa di liceo, che non sa nulla delle pressioni che sta subendo dall’azienda a causa della crisi. Guadagna tanto e si è abituato ad un certo tenore di vita, al quale non vuole rinunciare. Ma la situazione al lavoro precipita. Bruno non ha più lo smalto di un tempo, sta perdendo il controllo sui suoi medici. Lo scontro con un dottore etico (Ignazio Oliva) gli arreca una sconfitta senza precedenti. Ormai, per non essere licenziato, non gli resta che tentare un colpo veramente rischioso: corrompere un primario di oncologia, il Prof. Malinverni, (Marco Travaglio) così da poter far entrare nell’ospedale il farmaco chemioterapico dell’azienda. “Nessuno, dopo questo film, guarderà senza sospetto la più anonima scatola di medicinali, o almeno senza pensare di non essere vittima di una truffa“ ha detto Antonio Morabito, il regista. Vediamo qualche nota legale. In Italia il comparaggio è previsto come reato dal Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265 “Testo Unico delle Leggi Sanitarie”, agli artt. 170, 171 e 172, nonché dal decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 “Codice del farmaco”, all’art 147, comma 5. La condotta illecita del medico consiste per queste norme nell’accettazione di utilità di qualsiasi natura (o di promessa delle stesse) allo scopo di agevolare, con prescrizioni mediche o in qualsiasi altro modo, la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto a uso farmaceutico (e analogamente è illecita la condotta del farmacista che riceva analoghe agevolazioni della diffusione di prodotti a danno di altri). Non aggiungerò altro sul fenomeno del cosiddetto comparaggio, ma potrei limitarmi a citare una curiosità: in Inghilterra ai medici è ormai di fatto pressochè proibito incontrare “venditori di medicine”. Le sentenze e le condanne che comunque sono state inflitte alle case farmaceutiche a onor del vero sono in costante crescita per illegalità di vario genere commesse. Eli Lilly ad esempio, accusata di aver pubblicizzato illegalmente l’antipsicotico Zyprexa, ha pagato più di 2,5 miliardi di dollari a 34 stati americani. Ritengo personalmente comunque poco utili le posizioni ideologiche estreme che hanno da sempre oscillato tra la condanna dei farmaci in genere (e degli psicofarmaci in particolare) ed una loro entusiastica idealizzazione (specie quando si aveva l’esclusiva dell’ultima miracolosa molecola made in Usa). Ma questo è un discorso molto complesso. Tornando invece al film: è il caso di andarlo a vedere? Forse si. Perché? Per il discreto valore documentaristico (mostra tanti stralci di servizi giornalistici sull’argomento). Per come suona nell’animo la sola nota incongruente nel comportamento spietato di Bruno, quella legata all’incontro fortuito con un suo vecchio amico (Pierpaolo Lovino). Per la lucidità e il ritmo dell’interpretazione di Claudio Santamaria. Per il gusto di vedere in un cameo Marco Travaglio che veste le parti di un medico (che fuma!) apparentemente integerrimo e molto, ma molto antipatico!
P.S. Su questo argomento (a prescindere dal film e con le dovute cautele di privacy, sensibilità etc.) mi piacerebbe leggere nei commenti qui sul blog qualche parere e/o storie personali. Come al solito aiuta (e a volte fa sentire meno soli) conoscere le esperienze altrui.
Massimo Lanzaro
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L’ha ribloggato su psichiatriaepsicoterapia.
L’introduzione sul mercato del farmaco “generico” ha sconvolto non soltanto le multinazionali del settore, ma anche non pochi aventi diritto alle cure, affezionati al nome, al colore dell’involucro con cui entrava sul mercato, oltre agli effetti terapeutici di una determinato principio attivo. Perfino l’idea di poterlo pagare ad un prezzo minore, ha alimentato diffidenza, al principio, e leggende metropolitane messe in circolo con il proposito di mantenere sempre alta la fedeltà nel “vecchio” metodo di cura. I fruitori più sensibili a questa pubblicità occulta sono stati, ma lo sono tuttora, gli anziani. Nemmeno a dirlo. Nel senso che “non ce la fanno proprio” a chiedere di propria sponte il farmaco generico: in effetti la fiducia nel medico curante non può essere messa in discussione qualora dovesse succedere che, nei rari casi di accoglienza della domanda da parte del farmacista, non sia disponibile il “generico” al momento della presentazione della ricetta; l’alternativa è, perciò, spendere impazienza e scoramento a causa dell’attesa. In fine “Anziana” è la compulsività che spinge inconsciamente verso il farmaco “noto”, si faccia affidamento al caso, sempre disponibile. Ma come si può controllare il mercato di principi… attivi … che si svolge sul banco, parallelo alle ricette “rosa” e disinvolto nell’arbitrio? Spero soltanto che a controllare il mercato negli ospedali non siano chiamati mai i poveri degenti. Può bastare, forse, che siano davvero meritevoli di cure.