Computer Sex per Don Giovanni 2.0

Esce il 28 Novembre in Italia la pellicola Don Jon di Joseph Gordon-Levitt

Don Jon è un film indipendente scritto, diretto ed interpretato da Joseph Gordon-Levitt, al debutto dietro la macchina da presa in un lungometraggio.
Il titolo del film inizialmente era Don Jon’s Addiction (la dipendenza – da cyberporno – di Don Jon); con questo titolo infatti la pellicola viene presentata al Sundance Film Festival. Successivamente il regista annuncia tramite il suo account facebook che avrebbe cambiato il titolo in Don Jon con la seguente motivazione: “Ho deciso di cambiarlo principalmente perché così è corto e semplice, se mi conoscete sapete che sono un fan della brevità. Secondo, avevo l’impressione che il vecchio titolo facesse giungere certe persone a certe conclusioni troppo in fretta. Alcune persone credevano fosse un film sulla dipendenza dalla pornografia e dal sesso, ma non è così”.
In effetti con un po’ di impegno ci si trovano vari registri di lettura. La storia sembra ruotare attorno a un ragazzo con una vita regolare e rituale. La messa, la palestra, la discoteca, gli amici. Ma la sua più grande passione è il porno online e, diciamo, una certa tendenza alla promiscuità nella vita reale.
Varie pubblicazioni scientifiche concordano sul fatto che per alcune persone la fruizione di pornografia può raggiungere livelli di abuso pari a quelli riscontrati con l’alcool, altre droghe, il gioco d’azzardo patologico (le cosiddette “nuove dipendenze”). Le conseguenze indicate in letteratura sono similmente nefaste con alcune conseguenze specifiche quali sessualizzazione del partner, incapacità di innamoramento profondo e ripercussioni sulla coppia.
Le fantasie del Cyber-Porn addict, oltre a non essere condivise da altri, non sono neanche individuali (come nella masturbazione “reale”), perché la mente non è più libera di immaginare, è “passiva” in quanto la pornografia si appropria della fantasia (idealizzata) di queste persone, stereotipandole alle sue immagini.
Joseph Gordon-Levitt suggerisce anche l’ipotesi che in parallelo questo condizionamento possa avvenire nell’animo della protagonista femminile, preda nel film di variazioni sul tema della soap opera colorata o della narrazione romantica.
Belli i tempi in cui la psicoanalisi ha visto in Don Giovanni l’uomo che passa da una donna all’altra perché, in fondo, è sempre prigioniero del complesso di Edipo e quindi irrimediabilmente innamorato della madre. O quelli in cui Claudio Risé ribaltò queste interpretazioni postulando che il seduttore rappresenti da un lato la negazione del sentimento e dell’amore e dall’altro un aspetto d’ombra, oscuro e violento del maschile. Non è l’attaccamento alla madre che lo caratterizza, ma piuttosto il suo rifiuto di accettare le regole del padre.
In realtà uno sguardo ai dialoghi che avvengono nella famiglia di Don Jon alla luce di questa prospettiva potrebbe restituirci quello che resta dell’anacronismo.
Comunque dopo aver sminuzzato e sublimato con simpatica e celere leggerezza gli aspetti seriosi e difficili, il film se li lascia alle spalle, per veleggiare verso originali domande, una nucleare: cosa accadrebbe oggi a Don Giovanni se incontrasse prima internet e youporn e poi Scarlett Johansson nei panni di una “velina alla ricerca di una sorta di Jack Dawson da ammaestrare”. E poi alcuni quesiti sussurrati: quante di queste persone e sfaccettature esistono davvero in ciascuno di noi? Quanto siamo condizionati dai messaggi e dai “trucchi” della multimedialità, di cui forse non sempre decodifichiamo il valore simbolico, la pervasività e il senso?
Gli ingredienti sono attuali e discretamente stuzzicanti, la risposta è minimalista (anche nella voluta alessitimia dei dialoghi), ma tutto sommato a tratti divertente. Menzione speciale per il montaggio e la fotografia.
La pellicola è stata distribuita nelle sale cinematografiche statunitensi a partire dal 27 settembre 2013, mentre in Italia arriva il 28 novembre.

Massimo Lanzaro
tratto da Il Quorum.it
http://www.ilquorum.it/computer-sex-per-don-giovanni-2-0/

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17 Risposte

  1. C’è anche chi questi quesiti non riesce neanche a porseli, perchè non riesce proprio ad immaginarsi Don Giovanni alle prese con “l’Assemblaggio”… di se stesso in un youfilmino, o mentre riflette sull’opportunità di scegliere di non consumare come alternativa al “rimorso che consegue al possesso”: c’è chi sostiene che Don Giovanni rispettasse ogni donna che possedeva proprio perchè amava profondamente la madre e che sia l’antagonista della morale clericale dell’epoca che odiava la donna.
    Tuttavia penso che un incontro con Rocco Siffredi potrebbe essere per il Don Jon dei giorni nostri determinante per quanto riguarda la trasformazione di “nodi” inconsci eventuali, così si dice in giro, se è questo che si vuole risolvere e non piuttosto sondare i gusti del pubblico sul sesso al fine di adeguarvi-ci-si.
    “O famo strano” è più romantico, lasciatemelo dire.

  2. Cambiano i tempi, cambiano gli approcci, ma l’uomo(e la donna) rimane sempre un essere umano con quanto da millenni lo contraddistingue dagli altri esseri animati. Pur nel sue essere un ‘unicum’ il tempo non cambia la sua essenza….ergo, chi e’ un dongiovanni avra’ nei millenni lo stesso ‘imprinting’, quello che lo differenzia da e’ solo il fatto che la teconoligia facilita i suoi ‘terreni’ di conoscenza e di conquista, ma quello che ha dentro, quello che rende tale e’ il medesimo ‘essere’ di altri tempi. I danni che fa al cuore umano femminile sono da millenni i medesimi, perche’ si puo’ far innamorare, ferire e giocare coi sentimenti anche con le virtuali tecnologie…anche perche’, sokitamente, dalla conoscenza virtuale si passa a quella reale.

  3. Diamine Valeria. Con disinvolura sagace da Duchamp a Siffredi.Gran bel commento.

  4. …Disinvolta, dottor Lanzaro? Ha ragione, soprattutto nell’aver visto declinato, nelle opere di Duchamp, l’Entusiasmo per la macchina da presa e nel pretendere di aver trovato con tanta disinvoltura, proprio io, l’anello mancante che lo collega a Siffredi. Grazie. troppo buono! 🙂
    Posso chiederle, dottere, quando secondo lei l’erotismo sconfina nella pornografia? Nel campo dell’arte, per esempio.

  5. LA FIGURA DI DON GIOVANNI IN

    KIERKEGAARD

    A cura di Giuseppe Modica

    1.

    Nel delineare la figura del Don Giovanni mozartiano Kierkegaard conferisce all’estetica una purezza che ne rivaluta lo statuto non solo nei riguardi dell’etica, ma anche nei riguardi della stessa estetica del seduttore psichico, il confronto con il quale è rivelativo delle ragioni d’una siffatta rivalutazione. Infatti è qui che viene smascherato il responsabile dell’inquinamento dell’estetica e individuato in quel pensiero riflesso che rompe l’immediatezza e la naturalezza dell’aisthesis, il suo fluire spontaneo e inarrestabile, capovolgendone la leggerezza nel pesante andamento della strategia e del calcolo, dell’interesse e del ripensamento.

    Il seduttore psichico (1) mette infatti in atto una seduzione mediata poiché ha bisogno di «tempo» per predisporre i suoi piani, e anzi egli fa del tempo stesso uno strumento di seduzione. Il suo obiettivo non è tanto quello di possedere una donna fisicamente, quanto quello di possederla psichicamente. Il suo godimento è frutto d’un egoismo raffinato e sottile in quanto consiste non già nel far godere la donna ma, viceversa, nel condurla a uno stato di soggiogamento totale, senza essere a sua volta soggiogato in quest’opera di seduzione.

    Per mettere in atto il proprio progetto egli si mostra alla sua preda ora distaccato e assente, ora interessatissimo e presente, ora furioso come un temporale d’autunno, ora dolcissimo come uno strumento musicale ricco di armoniche (2). Il suo obiettivo è infatti di rendere la relazione «interessante» (3), ed essa è tale quando, lungi dal rinchiudersi nel vincolo delle decisioni e delle scelte, rimane sospesa sull’indeterminato, sul regno dell’«infinita possibilità» (4). Perciò, quando una relazione è compiuta e determinata, essa smette d’essere interessante e allora bisogna trovare ogni mezzo per mollare la preda, giacché «introdursi in immagine nell’intimo d’una fanciulla è un’arte, uscirne fuori in immagine è un capolavoro» (5).

    Tuttavia, lungi dal trovare libertà, in quest’opera di liberazione il seduttore psichico rimane schiavo e vittima dei suoi stessi intrighi e dei suoi conflitti. E infatti il gioco perverso cui egli mette capo rende la sua esistenza costantemente inquieta, preda d’una «consapevole follia». E però «la sua condanna ha un carattere puramente estetico» (6). Sicché Kierkegaard sottomette l’estetica del seduttore psichico al giudizio negativo pronunciato nei confronti del giovane estetico de L’equilibrio, con la differenza, tuttavia, che, seppure si sia in entrambi i casi in presenza d’una instabilità psicologica ed esistenziale, ne L’equilibrio tale instabilità rimanda ipso facto all’etica poiché è denunciata come perniciosa nei confronti dell’attuazione della «scelta di sé» e quindi della formazione della «personalità» come «unità dell’universale e del singolo» (7), laddove ne Il diario del seduttore essa resta come prigioniera della sua stessa dimensione estetizzante, quasi che l’estetica trovi già in se stessa la chiave per intendere il proprio fallimento, precisamente nell’indebito esercizio della riflessione ancor prima che questa assuma le sembianze e la consistenza della coscienza morale.

    2.

    La seduzione sensuale, emblematizzata da Don Giovanni, si presenta invece come la chiave di volta che indica la possibilità di sottrarre l’estetica tanto alla determinazione del pensiero quanto alla giurisdizione dell’etica per restituirle una dignità che solo allora essa può legittimamente ostentare.

    Non a caso, a differenza del seduttore psichico, il seduttore sensuale è presentato da Kierkegaard come colui che «non ha bisogno d’alcun preparativo, d’alcun progetto, d’alcun tempo […]» (8). Egli infatti seduce con l’immediatezza del proprio desiderare, sicché vedere, desiderare e amare per lui non sono tre momenti distinti in successione logica e temporale, bensì le tre facce d’uno stesso atto – la seduzione – compiuto immediatamente (9).

    Ora, soltanto la musica può, secondo Kierkegaard, esprimere adeguatamente l’erotismo immediato, la «genialità sensuale», in quanto essa – nota Kierkegaard con felice ossimoro – è il «medio dell’immediato» (10). La genialità sensuale è infatti «l’idea più astratta che si può immaginare» (11); e, dal momento che la musica è la meno storica fra tutte le arti, un’idea come quella della genialità sensuale non può essere espressa pienamente che attraverso la musica. Non a caso – come egli specifica più con la forza dell’intuizione che con i passaggi dell’argomentazione – la musica «ha […] in sé un momento di tempo, e tuttavia non scorre nel tempo se non in senso figurato» ,tant’è che essa non riesce ad esprimere la successione temporale degli accadimenti, ovvero «ciò che nel tempo è storico» (12).

    Di qui l’irriducibilità della genialità sensuale a qualsiasi altra forma d’arte. Per un verso, essa non può essere rappresentata né dalla scultura – e ciò in quanto la genialità sensuale è «un tipo di determinazione in sé dell’interiorità», è cioè qualcosa di troppo intimo per poter essere espresso spazialmente o plasticamente -, né dalla pittura – «poiché [la genialità sensuale] non è fissabile in contorni determinati» (13) -. Quel che impedisce che la genialità sensuale possa essere scolpita o dipinta è, in altri termini, il fatto che essa non risiede in un momento, bensì in una successione frenetica di momenti che non possono essere fermati in un’immagine scultorea o pittorica. Non a caso Kierkegaard la descrive come qualcosa di assolutamente lirico: «una forza, un respiro, insofferenza, passione, ecc.» (14).

    Che l’eros istintivo e immediato della genialità sensuale sia esprimibile pienamente soltanto dalla musica è ribadito da Kierkegaard attraverso il paradosso per cui «Don Giovanni non dev’essere visto, ma ascoltato!» (15). Vederlo presupporrebbe infatti una sua dimensione fisica e temporale. Ma ciò significherebbe tradire l’essenza di Don Giovanni, che non si lascia ridurre a nessuna determinazione spazio-temporale. E infatti Don Giovanni non seduce per la sua bellezza o in virtù di un qualsiasi altro suo attributo fisico (16).Egli seduce piuttosto in virtù del suo spirito, ossia in virtù del suo stesso desiderare. Perciò chiedersi che aspetto abbia Don Giovanni è come voler ridurre a un elemento esteriore una forza che è, invece, tutta interiore. E anzi, proprio perché è una forma dell’interiorità, «una determinazione verso l’interno […]» (17), Don Giovanni non può adeguatamente essere rappresentato nemmeno dalla danza, in cui, pure, le movenze del corpo si fondono con la musica, ché proprio quelle movenze esteriorizzerebbero e ridicolizzerebbero Don Giovanni (18).

    Che la genialità sensuale sia qualcosa di assolutamente lirico non deve però indurre a credere che essa possa essere espressa dall’«epica» e dalla «poesia». Queste, infatti, si esprimono in parole, ossia ancora nella mediazione e nella riflessione, laddove – come s’è detto – la genialità sensuale si muove costantemente nell’immediatezza. E’ per questo che né il Don Giovanni di Byron né quello di Molière possono adeguatamente rappresentare Don Giovanni: essi gli danno la parola e, dunque, gli conferiscono una «personalità riflessa» che lo nega come «idealità» (19). Sicché, nella misura in cui seduce con l’astuzia della mediazione razionale, il Don Giovanni «in prosa» è da rapportarsi piuttosto ai modi del seduttore psichico. Perciò soltanto il Don Giovanni musicale, di cui il Don Giovanni mozartiano rappresenta per Kierkegaard la più emblematica incarnazione, può esprimere adeguatamente l’essenza della genialità sensuale.

    Se a questo punto si vuol formulare attraverso un’unica categoria la differenza di fondo tra il seduttore psichico e il seduttore sensuale, essa non può che essere ravvisata nella temporalità, nel senso che è pur sempre in riferimento al «tempo» che le due forme di seduzione vengono sbozzate. E però, se la prima è tutta calata nella temporalità del processo seduttivo, sicché l’intero dramma della seduzione psichica è gestito all’insegna della caducità, la seconda, viceversa, è un’autentica trasfigurazione della temporalità, propriamente una divenienza senza tempo, ché Don Giovanni «non ha […] una sua sussistenza, ma urge in un eterno sparire […]» (20), e perciò la dialettica della seduzione sensuale mette capo all’inesauribilità. Ne consegue che mentre su quella incombe la morte, in questa trionfa la vita. Non a caso Don Giovanni è definito da Kierkegaard come indefinibile e come incompibile: «un’immagine che […] non acquista mai contorni e consistenza, un individuo che è formato costantemente, ma non viene mai compiuto», e perciò non già un «individuo particolare, ma la potenza della natura, il demoniaco, che non […] smetterà di sedurre come il vento di soffiare impetuoso, il mare di dondolarsi o una cascata di precipitarsi giù dal suo vertice» (21), come quel 1003 «che dà l’impressione che la lista non sia affatto finita […]» (22).

    Certo, l’epifenomeno dell’inesauribilità di Don Giovanni è costituito dall’inappagabilità e dall’insoddisfazione: nessuna donna soddisfa pienamente Don Giovanni, com’è mostrato appunto dallo stesso numero indeterminato delle sue conquiste. Ma sarebbe errato chiedersi se Kierkegaard faccia dipendere tale insoddisfazione da un limite di Don Giovanni o piuttosto da una sua esorbitanza d’essere, da una sua strisciante impotenza o piuttosto da una sua irrefrenabile potenza. Ciò infatti presupporrebbe ancora che Don Giovanni sia un individuo in carne ed ossa, laddove, in quanto espressione esemplare dell’erotico musicale, egli è «idealità»: non «persona o individuo, ma […] potenza» (23). Vero è che Kierkegaard avverte che Don Giovanni incarna la costante «oscillazione tra essere idea, vale a dire forza, vita, e essere individuo. Ma – come egli subito precisa – quest’oscillazione è la vibrazione musicale» (24), tant’è che appena Don Giovanni «diventa individuo, l’estetico avrà tutt’altre categorie» (25), ripiomberà cioè nel flusso di quell’esistenza estetica che inevitabilmente cade sotto il severo giudizio dell’etica.

    3.

    Don Giovanni incarna insomma quell’«amore sensuale» che, in quanto «somma dei momenti» che costituiscono un solo unico «momento» che «si ripeterà all’infinito» (26) e, dunque, in quanto è «sparizione nel tempo» e un calarsi interamente nella «concrezione dell’immediatezza» (27), è sicuro di sé e «assolutamente vincitore» (28). Di contro, l’«amore psichico» – proprio in quanto si nutre della mediazione razionale – vive nel dubbio e nell’inquietudine e anzi, poiché tale stato permane anche se «vedrà soddisfatto il suo desiderio e sarà amato», esso «ha in sé il dubbio e l’inquietudine […]» (29) non essendo che «sussistenza nel tempo» (30).

    Di qui la differenza da Faust (31) e il possibile accostamento di Faust al seduttore psichico. Anzitutto «Faust […] è il dubbio personificato», e anzi dubbio che «crebbe a dismisura» essendosi Faust abbandonato «nelle braccia del diavolo» (32); «maestro del dubbio», e perciò «scettico» (33), Faust quindi «nel sensuale non tanto cerca il godimento quanto una distrazione […] dalla nullità del dubbio. La sua passione non ha perciò la Heiterkeit che distingue un Don Giovanni. Il suo volto non è sorridente, la sua fronte non è senza nubi, e la gioia non è sua compagna» (34). Per di più Faust coltiva un dubbio che conduce alla disperazione poiché non si tratta di un dubbio puramente intellettuale, ma d’un autentico «dubbio della personalità» (35). Egli infatti «sta agli antipodi di cotesti dubitanti scientifici che dubitano una volta al semestre sulla cattedra […]» (36) e che – dimentichi dell’«interiorità» – rendono il de omnibus dubitandum una mera «filastrocca» (37). Ne consegue che in Faust «l’erotico è già riflesso, qualcosa a cui egli s’abbandona spinto dalla disperazione» (38). Non a caso Faust – a dispetto della sua irrequietezza – è seduttore statico e cerebrale: non solo seduce una sola donna, ma compie la sua opera attraverso la sola forza del «discorso» e della «menzogna» (39). Di contro, Don Giovanni è seduttore dinamico e istintivo: non solo seduce tutte le donne, ma compie la sua opera attraverso la sola forza del «desiderio sensuale» (40).

    Da queste premesse si comprende in che senso Kierkegaard consideri Faust espressione del demoniaco spirituale – che, come tale, è una sorta di variazione del seduttore psichico del quale anzi ribadisce la peculiarità -, laddove Don Giovanni è l’espressione del demoniaco sensuale, «del demoniaco determinato come il sensuale» (41). Il che è decisivo per introdurre il secondo essenziale elemento di discriminazione nei confronti del seduttore psichico e in favore della purezza dell’estetica: la coscienza morale.

    4.

    In proposito occorre soffermarsi sul paradosso cui ricorre Kierkegaard per suffragare e sviluppare la tesi del rapporto privilegiato tra eros e musica: la sensualità nel mondo è stata introdotta dal cristianesimo proprio perché ve l’ha esclusa. Infatti, in nome dell’assunto dialettico per il quale «ponendo una cosa, indirettamente si pone l’altra che si esclude» (42), il cristianesimo avrebbe introdotto la sensualità nell’atto stesso in cui l’ha negata e condannata attraverso lo spirito che esso ha direttamente introdotto nel mondo.

    Ma in tal modo il cristianesimo ha fatto della sensualità una «forza» e un «principio» (43), e quindi una realtà positiva. Vero è che la sensualità esisteva anche prima del cristianesimo, ma essa non era – e non poteva essere – determinata spiritualmente, cioè per contrasto con lo spirito, e dunque non era «principio», ma semplice armonia: come in Grecia, dov’essa non era una «pericolosa nemica da soggiogare» (44), ma un elemento armonicamente presente ovunque, tra gli uomini come tra gli dei. E però, non esistendo come principio, non esisteva neppure una rappresentazione simbolica di essa. Vero è che Eros, dio dell’amore, potrebbe essere considerato un principio. Ma Eros, nel mondo pagano, è raffigurato non come innamorato a sua volta, bensì come un fanciullo ignaro dell’amore (45), il che «è più un’oggettivazione che una rappresentazione dell’amore» (46).

    Soltanto col cristianesimo la sensualità può venire rappresentata in un «unico individuo» (47). E’ da qui che nasce Don Giovanni. Il grembo dal quale egli viene alla luce è propriamente «il dissidio tra la carne e lo spirito», sicché egli è «l’incarnazione della carne» (48) attuata grazie allo spirito, per contrasto con esso. E però, dal momento che lo spirito è il regno della riflessione e del peccato, la carne, in quanto è il suo opposto – o, se si vuole, il principio che lo spirito pone nell’atto in cui lo nega -, non può che essere di qua da quel regno. Perciò Don Giovanni vive la seduzione nell’«indifferenza estetica»: egli è propriamente il «primogenito» del «regno» del «Monte di Venere», dove non hanno diritto di cittadinanza né la «ponderatezza del pensiero né il travagliato acquisire della riflessione» e, di conseguenza, neppure il peccato: vi abitano soltanto la «voce elementare della passione, il giuoco dei desideri […]» (49).

    Perciò, se eros qui sta per genialità sensuale, musica sta per ludicità, ed entrambi – nella loro coessenzialità -stanno per trionfo del dionisiaco, del demoniaco sulla serietà dell’etica e sulla sistematicità della logica (50). E Kierkegaard ha talmente a cuore il concetto per cui Don Giovanni non «cade affatto sotto determinazioni etiche» che egli si spinge a dichiarare la difficoltà di chiamarlo «seduttore» o anche «impostore», epiteti che implicano l’esercizio della riflessione e, di nuovo, della coscienza morale. Don Giovanni andrebbe piuttosto qualificato come desideratore: a Don Giovanni manca il tempo per essere un vero seduttore: «gli manca il prima, in cui elaborare il suo piano, e il poi, in cui rendersi cosciente della propria azione» (51). Egli insomma non seduce toutcourt, ma anzitutto «desidera, ed è questo desiderio ad avere un effetto seducente». E d’altra parte egli, certo, inganna, ma senza premeditazione, «senza organizzare il suo inganno in precedenza» (52).

    Ne discende coerentemente che neanche il pentimento in Don Giovanni ha diritto di cittadinanza. Pur «affaticato» dagli stessi intrighi che costituiscono l’ordito della sua vita erotica (53), Don Giovanni è tutt’altro che pentito del proprio operato. Lo stesso banchetto che precede l’entrata del Commendatore – entrata su cui Kierkegaard significativamente sorvola – suona come un atto di sfida contro quella «coscienza» (54) che il Commendatore incarna, la conferma che il credo di Don Giovanni non è mai la meditatio mortis – ciò che piuttosto si potrebbe dire di Faust -, ma, nonostante egli sia ora «stato spinto fino alla punta estrema della vita» (55), una «”gaiezza esuberante di vita”» (56) di cui sono altrettanti simboli «l’inebriante conforto dei cibi, il vino spumeggiante, le note festose della musica sullo sfondo […]» (57). A dispetto di Freud, in Don Giovanni il circolo eros-thanatos non si chiude: il thanatos è e resta evento esterno all’eros in quanto sopraggiunge come punizione d’una colpa di cui Don Giovanni non ha alcuna consapevolezza ed è lungi dall’ essere l’ombra cupa e minacciosa che inesorabilmente incalzerebbe le imprese del seduttore immediato. Insomma, solo quando «interviene la riflessione» il regno di Don Giovanni «si presenta come il regno del peccato; ma allora Don Giovanni è stato ucciso, allora la musica tace […]» (58). In tal senso si può ben dire che Don Giovanni è non solo il discrimen tra l’immediatezza e la mediazione, ma anche l’estremo baluardo dell’innocenza della natura (59), il topos ideale in cui finisce la spontaneità dell’avventura sensuale e iniziano l’exacerbatio dell’erotismo intellettuale e le vessazioni della coscienza morale.

    Don Giovanni è, sì, angosciato, ma quest’angoscia – precisa Kierkegaard – non è mai «disperazione», bensì, ancora, la sostanza stessa del «demoniaco desiderio di vivere» (60). Don Giovanni, insomma, è la stessa forza cosmica, perciò naturale, della sensualità: in lui c’è piuttosto l’immediatezza della natura che il peccato della coscienza e la coscienza del limite. Farne un simbolo della solitudine e della caducità del finito rispetto all’infinito, dell’uomo «crocifisso sulla contraddizione insopprimibile tra la sua natura finita e l’infinito delle sue aspirazioni», farne insomma un «eroe della privazione» e perciò negativo, piuttosto che un «eroe dell’incontinenza» e perciò positivo, significa sposare il mito romantico di Don Giovanni (61), farne l’incarnazione dello Streben e la controfigura di Faust, con ciò tradendo la lettura musicale di Kierkegaard che ne fa, invece, «l’incarnazione della carne» rappresentata come principio.

    5.

    In una prospettiva più ampia le considerazioni de Gli stadi erotici contribuiscono a chiarire il senso del giudizio limitativo sull’estetica formulato ne L’equilibrio. Tale giudizio non risulta più meramente fondabile sull’affermazione per la quale l’estetica rappresenta la dimensione per cui ciascuno «è immediatamente ciò che è», rispetto alla dimensione, propria dell’etica, in cui ciascuno «diventa ciò che diventa» (62). E infatti proprio questa naturalità dell’estetica è l’elemento vincente delle riflessioni su Don Giovanni. Quel giudizio è piuttosto fondato sul fatto che tale naturalità è in ultima analisi vista come fissità e cristallizzazione, e perciò assimilata alla «necessità» (63), laddove in Don Giovanni essa è intesa come divenire incessante e inesauribile, e perciò assimilata alla connotazione spontanea e istintiva della libertà: purché – beninteso – si tenga presente che Don Giovanni è un’idea musicale, un principio, un mito, e anzi, proprio per questo può realizzare compiutamente la purezza della sfera estetica che invece è destinata ad inquinarsi non appena si cala in un’esistenza temporale.

    Questa osservazione può contribuire a sua volta a chiarire come sia possibile che Kierkegaard inneggi all’estetismo demoniaco e naturalistico di Don Giovanni e poi condanni – come fa ne L’equilibrio – l’intera dimensione estetica dell’esistenza come velleitaria ed astratta, capricciosa e discontinua, incoerente e dispersiva, volubile ed eccentrica. La risposta va possibilmente ricercata nella diversa prospettiva dalla quale viene pronunciato il giudizio rispettivamente su Don Giovanni e sul giovane esteta de L’equilibrio. Quest’ultimo giudizio è pronunciato da una prospettiva etica, che è quella in cui si trova il magistrato Wilhelm, incarnazione stessa del matrimonio e dell’amore coniugale, della responsabilità e del dovere, della continuità e della durata, della centricità e della coerenza, insomma, d’una coscienza morale che non può che condannare l’esistenza di chi, dei balli della vita, conosce soltanto il «valzer dell’istante» e anzi rifugge da quell’atto gravoso e decisivo che è la «scelta di sé» attraverso cui soltanto sarebbe possibile compiere il salto nella sfera etica. Il giudizio su Don Giovanni è invece pronunciato da una prospettiva a sua volta estetica e, dunque, nell’indifferenza etica. Lungi dall’essere quello del Commendatore, il punto di vista di Kierkegaard qui infatti è il medesimo di Don Giovanni, come dire del demoniaco, del dionisiaco, del ludico, di quella forza cosmica della natura che – come tale – è spontanea e immediata (64).

    In tal senso si può ben dire che il Don Giovanni di Kierkegaard rappresenta una sorta di deontologia della sfera estetica, ossia la sfera estetica così come dovrebbe essere, vissuta pienamente e interamente sul piano dell’aisthesis senz’alcuna interferenza della riflessione, dello spirito, della coscienza, elementi che, mentre ne turbano la gioiosità e la schiettezza, ne compromettono l’immediatezza poiché vi insinuano l’angosciante senso del peccato.

    Certo, Don Giovanni realizza compiutamente la purezza della sfera estetica in quanto egli è fondamentalmente un’idea musicale, un principio, un mito. E anzi, volerne fare «un’idea storica» significherebbe assimilarlo di nuovo e indebitamente a Faust (65). Ma, a ben vedere, è proprio il carattere mitico di Don Giovanni che, lungi dal rinchiudere l’estetica dentro un alveo incapace d’ogni crescita che non sia quella che passa attraverso il salto nella sfera etica, conferisce all’estetica una interna teleologia di cui Don Giovanni è il paradigma mai raggiungibile ma perciò stesso trainante, una sorta di idea regolativa in grado, unatantum, di far compiere all’estetica un’autentica ripresa, una Wiederholung laica e, perciò stesso, ancora una volta, paradossale.

    Il che trova conferma proprio nell’evento che sembrerebbe compromettere quella natura di Don Giovanni che è «essenzialmente vita» (66), ossia nel fatto che Don Giovanni è sí un eroe positivo, ma è un eroe che, per vivere in eterno come un’idea musicale, deve morire. Ve ne è come un presentimento nel rilievo per il quale, che egli sia «assolutamente vincitore […], è un motivo d’indigenza» (67), dal momento che resta preda d’una ripetizione all’infinto di cui il «catalogo» delle conquiste è emblematica misura: se una donna vale l’altra, la seduzione è sostanzialmente lo specchio su cui Don Giovanni riflette narcisisticamente, e quindi in maniera sterile e inerte, la propria genialità (68). Don Giovanni muore infatti per mano dell’etica, ma non ne è – data la sua costitutiva immediatezza – consapevole, sicché – com’è stato prima evidenziato – l’etica e la morte che essa porta con sé gli restano sostanzialmente estranee: «perciò è […] stato saggiamente disposto» – osserva Kierkegaard – che il Commendatore «stia al di fuori» dell’opera, di cui egli costituisce «la premessa piena di forza e l’ardita conclusione tra le quali sta il termine medio di Don Giovanni […]» (69). Insomma, la stessa dialettica che pone in essere Don Giovanni nell’atto in cui l’esclude è, per cogenza interna, costretta a ucciderlo per farlo vivere in eterno, ossia per consacrarlo esemplarmente a quel piano mitico grazie a cui egli può operare appunto una ripresa della sfera estetica.

    Note

    (1) Cfr. S. KIERKEGAARD, Il diario del seduttore, in Enten-Eller, a cura di A. Cortese, III, Milano, Adelphi, 1978.
    (2) Cfr. ivi, p. 22.
    (3) Cfr. ivi, pp. 61 ss.
    (4) Cfr. ivi, p. 89.
    (5) Cfr. ivi, p. 84.
    (6) Cfr. ivi, p. 21.
    (7) Cfr. S. KIERKEGAARD, L’equilibrio tra l’estetico e l’etico nell’elaborazione della personalità, in Enten-Eller, cit., V, 1989, p. 159.
    (8) S. KIERKEGAARD, Gli stadi erotici immediati, ovvero il musicale-erotico, in Enten-Eller, cit., I, 1976, p. 171.
    (9) Cfr. ivi, pp. 163-64.
    (10) Ivi, p. 135.
    (11) Ivi, p. 118.
    (12) Ivi, p. 119.
    (13) Ivi, p. 118.
    (14) Ibidem.
    (15) Ivi, p. 173.
    (16) Cfr. ivi, p. 172.
    (17) Ivi, p. 178.
    (18) Ivi, p. 177.
    (19) Ivi, p. 178.
    (20) Ivi, p. 172.
    (21) Ivi, p. 161.
    (22) Ivi, p. 162.
    (23) Ivi, p. 178.
    (24) Ivi, p. 161.
    (25) Ivi, p. 166.
    (26) Cfr. ivi, p. 164.
    (27) Ibidem.
    (28) Ivi, p. 163.
    (29) Ibidem.
    (30) Ivi, p. 164.
    (31) Sul mito di Faust in Kierkegaard Cfr. S. SPERA, Il pensiero del giovane Kierkegaard, Padova, CEDAM, 1977, pp. 11-47.
    (32) S. KIERKEGAARD, Diario, Brescia, Morcelliana, 1980(3) ss. [12 voll.], vol. II, IA 72, pp. 32, 33.
    (33) S. KIERKEGAARD, Silhouettes, in Enten-Eller, cit., II, 1977, pp. 102, 103.
    (34) Ivi, pp. 100-101.
    (35) «Il dubbio è la disperazione del pensiero, la disperazione il dubbio della personalità» (L’equilibrio tra l’estetico e l’etico, cit., p. 90).
    (36) S. KIERKEGAARD, Timore e tremore, in Opere, a cura di C.Fabro, Firenze, Sansoni, 1972, p. 94.
    (37) S. KIERKEGAARD, Postilla conclusiva non scientifica alle «Briciole di filosofia», in Opere, cit., p. 403.
    (38) Diario, cit., vol. II, IA 227, p. 71.
    (39) Gli stadi erotici immediati, cit., p. 169.
    (40) Ivi, p. 170.
    (41) Ivi, p. 158.
    (42) Ivi, p. 124.
    (43) Ibidem.
    (44) Ivi, p. 125.
    (45) Cfr. ivi, p. 126.
    (46) L. PAREYSON, L’etica di Kierkegaard nella prima fase del suo pensiero, Torino, Giappichelli, 1965, p. 5.
    (47) Gli stadi erotici immediati, cit., p. 127.
    (48) Ivi, p. 156.
    (49) Ivi, p. 158.
    (50) Il tema dell’inconsistenza logica ed etica dell’eros è d’altra parte motivo ricorrente di In vino veritas. Cfr. in proposito R.CANTONI, La vita estetica nel pensiero di Kierkegaard, Saggio introduttivo a S. KIERKEGAARD, Don Giovanni. La musica di Mozart e l’eros, Milano, Mondadori, 1976, p. 27.
    (51) Cfr. Gli stadi erotici immediati, cit., pp. 168-69.
    (52) Ivi, p. 168.
    (53) Ivi, p. 211.
    (54) Ivi, p. 201.
    (55) Ivi, p. 211.
    (56) Ivi, p. 172.
    (57) Ivi, p. 210.
    (58) Ivi, p. 158.
    (59) Naturalmente si tratta d’una innocenza – come ha opportunamente precisato R.CANTONI (La coscienza inquieta. Sören Kierkegaard, Milano, Il Saggiatore, 1976, pp. 39-40) – «da intendersi in senso relativo e dialettico, ché l’uomo l’ha da tempo perduta».
    (60) Gli stadi erotici immediati, cit., p. 206.
    (61) M. Mila, Lettura del Don Giovanni di Mozart, Torino, Einaudi, 1988, p. 8.
    (62) Cfr. L’equilibrio tra l’estetico e l’etico, cit., p. 46.
    (63) Cfr. ivi, p. 108. Sostenere che l’estetico è «immediatamente quello che è» non significa – precisa Kierkegaard – che egli «non abbia uno sviluppo; ma egli si sviluppa con necessità, non con libertà, con lui non ha luogo nessuna metamorfosi, in lui non ha luogo nessun infinito movimento grazie a cui giungere al punto partendo dal quale egli diventa quel che diventa» (ibidem).
    (64) Anche a voler condividere la lettura dialettica di E. PACI (Kierkegaard e Thomas Mann, Milano, Bompiani, 1991, p. 16) in base a cui Kierkegaard «ama l’estetico nel momento stesso nel quale vorrebbe superarlo e vincerlo», resta che qui Kierkegaard «è un innamorato, un innamorato del Don Giovanni di Mozart, ma, soprattutto, un innamorato dell’immediatezza erotica, dell’infinità della passione, della sconfinata ed irresistibile potenza dell’eros, del selvaggio ardore del desiderio» (ivi, p. 20).
    (65) Gli stadi erotici immediati, cit., p. 119. In proposito Cfr. J. COLETTE, Kierkegaard et la non-philosophie, Paris, Gallimard, 1994, p. 179. Del medesimo autore si veda anche Musique et érotisme, in AA.VV., Kierkegaard et le Don Juan chrétien, Monaco, Edition du Rocher, 1989, pp. 117-133.
    (66) Gli stadi erotici immediati, cit., p. 193.
    (67) Ivi, p. 164.
    (68) Non a caso, anche presso la critica più recente, è ricorrente il rilievo per cui, in proposito, si è in presenza d’una cattiva infinità

  6. Don Giovanni non amava le donne che incontrava: egli era solo ossessionato dal numero, volendo/dovendo dimostrare a se stesso ed al mondo che era il più grande conquistatore di donne di tutti i tempi!
    Mi domando: cosa spinge un Don Giovanni, di ieri come di oggi, a dover “soddisfare” per una vita intera una tale forma ossessiva, ossessione che mai troverà in ogni caso la sua soddisfazione?
    Complessi, traumi, rabbia, odio per le donne in genere/madre/fidanzate, trauma dell’abbandono madre/fidanzata o è una specie di “marchio di fabbrica” che si porta dalla nascita per cui non può essere altro che quello?

    Mi incuriosisce la sua psiche….

    Caro Dott. Lanzaro,
    avrebbe qualche libro da consigliarmi su questo tema?

    grazie, e grazie per i suoi articoli sempre molto interessanti

  7. Cara Carlotta, perchè scrivi: “I danni che fa al cuore umano femminile sono da millenni i medesimi, perche’ si puo’ far innamorare, ferire e giocare coi sentimenti anche con le virtuali tecnologie..”? Ti senti ferita o sei stata in precedenza ferita da qualche uomo spacciatosi per dongiovanni? Da uomo, anche se non dongiovanni, spero vivamente che qualcuno si salvi.
    Un caro saluto a tutti ed un bacio a te.

  8. Cara Valeria, grazie per le sue (a mio avviso argute) considerazioni: forse in questo senso dovrei essere più ottimista, ma tendo a non dare per scontato che si sappia di questi tempi chi sia (ad esempio) Marcel Duchamp, pertanto apprezzo davvero quello che lei dice.
    Quanto alla vexata quesito, sempre un po’ difficoltoso è il distinguo tra erotismo e pornografia. Anche nell’arte secondo la definizione classica il primo implica un percorso di conoscenza, mentre la pornografia la ripetizione stereotipata. Certo, si può, per raggiungere la celebrità mediatica, condire un film un po’ confuso con una scena molto osé, e sostenere poi naturalmente che l’arte giustificava la scena. Ma sarei tentato di citare, per ipersemplificare e assolutizzare, “Inneres Auge” di Battiato:
    la linea orizzontale
    ci spinge verso la materia
    (questa è la pornografia)
    quella verticale verso lo spirito
    (questo è eros, infatti:)
    con le palpebre chiuse
    s’intravede un chiarore
    che con il tempo e ci vuole pazienza,
    si apre allo sguardo interiore.

  9. Cara Carlotta, se intende “rimanere in ambito -cosiddetto- junghiano” le suggerisco:
    Claudio Risé, Don Giovanni, l’ingannatore, Sperling & Kupfer, 2006
    Un caro saluto

  10. Grazie, dott. Lanzaro,.
    ….mi ha letto nel pensiero!!
    Provvedero’ ad acquistarlo.
    Cari saluti

  11. Ciao Bronte,
    che dire…sei uno che va al sodo senza troppi giri di parole. Mi piacciono le persone cosi’!
    Si, e’ vero forse parlo da donna ferita, ma e’ altrettanto vero che conosco i danni e le ferite che possono derivare dal virtuale. Ma non e’ come puoi pensare: non sono stata io la vittima. No, presa da strani, quanto inaspettati, eventi di cui fui protagonista io fui la ‘carnefice’. Quando riuscii a vuotare il sacco, leggere negli occhi della persona che avevo ingannato, e poco importa per quali motivi come poi dissi al povero malcapitato, leggere la delusione ha fatto male. Soprattutto ha fatto male sapere di averlo ferito e tradito la sua fiducia.
    Quanto al fatto di essere stata ferita da un qualche don giovanni…non so se potrei definirlo tale, ma quando entrano in gioco i sentimenti e’ facile essere feriti…a volte si ferisce senza renderse conto…a volte si ferisce per vendetta o per impotenza o per chissa quali altri motivi…
    Un bacio anche a te

  12. E’ pur sempre un film, però… a me la famiglia del protagonista, lui compreso, sembra un nucleo di svitati, non hanno dialogo se non urlando : la sorella sempre col telefonino in mano, il padre un esaltato, la madre troppo apprensiva e il protagonista malato di sesso..

  13. Ciao cara Carlotta,
    la tua risposta mi è piaciuta molto, ma nelle tue parole traspare poca fiducia, molto poca fiducia, nei confronti dei veri o presunti dongiovanni, sbaglio? Nella storia conosciamo tutti anche la figura del casanova, ma sono simili dongiovanni e casanova o c’è una differenza abissale tra i due? Secondo te, chi è più romantico e chi più “bastardo” con le donne, se si può dire così? Se ti può consolare io non mi sento nessuno dei due, anche se ho un vissuto..
    Un caldo abbraccio

  14. Ciao caro Bronte,
    Ho conosciuto tanti bravi uomini, come ho conosciuto qualche Don Giovanni e qualche Casanova. Chi sia piu’ romantico o piu’ bastardo e’ difficile da dire perche’ entrambi sedocono, ammaliano, fanno innamorare. Penso che, essendo ogni persona unica, sia anche singolare-personale il modo in cui ogni uomo seduce, sia casanova o don giovanni. Penso anche per la “vittima” femminile poco importi chi dei due sia a sedurla perche’ cmq lei ne esce cmq ferita nel cuore e nell’anima. E poco importa che don giovanni lo faccia per una sua ossessione e casanova magari con sentimenti piu’ veri, la donna ne soffre cmq perche’ usata e gettata.
    Che vissuto hai? Mi hai incuriosito.
    Bacio

  15. Ciao Carlotta,
    la tua risposta è stata molto esaustiva anche se si sente che parli da donna ferita…
    Mi chiedi del mio vissuto, sai ti conosco poco, di me posso solo riferirti al film “I ponti di Madison County”, lo hai visto? Ricordi la figura di Robert Kincaid (Clint Eastwood) e come arriva a sconvolgere la vita di Francesca Johnson (Meryl Streep)? Ecco a me è capitato qualcosa di simile, ma ora devo scappare…….
    Buona giornata.

  16. Ciao Bronte,
    le ferite ci sono e’ vero, ma per continuare a vivere, e non lasciarsi semplicemente vivere, si cerca di rialzarsi, curarle e avere fiducia nel futuro. E cmq ogni storia a due porta alle stelle e alle stalle a momenti alterni. Anche quella che non ha che fare con un don giovanni o casanova!
    Quanto a te…amo quel film e’ tra i miei preferiti di sempre. Quindi tu, come Robert, hai trovato la tua meta’ ma l’hai persa? oppure sei felice con lei? e’ bello vero trovare quella persona che ti “sconvolge” la vita!??!
    e pensare che quei due si sono amati per tutta la vita pur stando lontani…lei ha sacrificato l’Amore per i figli…
    un bacio

  17. ..e cmq, Bronte, per essere onesti sono ferita molto nel profondo. mi porto ferite che mi hanno causato insicurezze e traumi. Le sto curando, ma non e’ facile curare questo tipo di ferite…ma chi dovrebbe capire, aiutarmi e soprattutto cambiare ricade sempre negli stessi atteggiamente che mi allontanano sempre piu’ da lui…e continuano a darmi insicurezze e paure.
    chissa’, forse quando vedra’ che mi avra’ perso capira’!

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