E’ il nuovo film di Denis Villeneuve, regista canadese dello straordinario Incendies (La donna che canta, candidato all’Oscar come miglior film straniero nel 2011), che stavolta ha girato in inglese quello che sembra un thriller di rapimenti, con due attori del calibro di Hugh Jackman e Jake Gyllenhaal. Un cenno alla trama senza spoilers: in una (fin troppo) tranquilla cittadina dello stato della Pennsylvania, il giorno del ringraziamento viene turbato dalla inspiegabile scomparsa di due bambine, Anna Dover e Joy Birch, di sei e sette anni. I genitori, fra di loro amici, reagiscono nei modi più disparati (e disperati) mentreil detective Loki (Gyllenhaal, la sua interpretazione forse è una spanna su tutti) avvia le sue indagini fra intoppi burocratici e depistaggi.
Ma il vero discorso dove il film ci porta è sembrato a molti diverso (appunto dicevo: sembra un thriller). In realtà tutti i personaggi di Prisoners sono, appunto, prigionieri di qualcuno o qualcosa, o incarcerati dalla paura (rimossa), dalla rabbia (repressa), dal passato (non elaborato), da istanze di natura più o meno religiosa che finiscono inevitabilmente per seguire sinistri itinerari mistico-deliranti.
La eccellente caratterizzazione dei protagonisti, trincerati dietro armi, rifugi sotterranei e vecchi cancelli arruginiti, ciascuno con la sua personale idea di giusto e sbagliato, vendetta e giustizia, ma ciascuno a modo suo in un profondo stato di smarrimento e solitudine, forse incarna la parabola di una nazione.
Scrive Paola Casella su Mymovies.it:
“La riflessione più ampia riguarda gli Stati Uniti, raccontati come un paese che ha perso la fede e la capacità di proteggere i propri “figli”, pronto a ricorrere, e a giustificare metodi disumani che classificano il nemico come una non-persona, privandolo della sua essenziale umanità. Un luogo in cui la paranoia ha sostituito il buon senso e il caos domina sull’ordine, al di là delle apparenze e delle false sicurezze dell’American way of life”.
Chiaramente, mi sento di sottoscrivere e farne fonte di ulteriore riflessione, principalmente sulla natura delle convinzioni di chi (nazione o religione o individuo) si sente nel giusto tanto da percepire quasi il dovere di imporlo agli altri.
Forse non c’entra, ma uscendo dalla sala mi è venuto anche in mente, così, che in parlamento di recente si è votato per la soppressione immediata della missione militare in Afghanistan, che all’Italia e’ costata 5 miliardi di euro.Massimo Lanzaro
Da Il Quorum
http://www.ilquorum.it/prisoners/
Filed under: Articolo giornale, Cinema, Psiche, Psicologia, Riflessione | Tagged: Afghanistan, buons senso, Cinema, Denis Villeneuve, figli, film, guerra di religione, Hugh Jackman, Il Quorum, ilquorum.it, Jake Gyllenhaal, Massimo Lanzaro, Mymovies.it, nemici, nemico, Paola Casella, paura, prigionia, Prisoners, protezione, rabbia, Religione, romozione, thriller, umanità |
“Se mai sarà possibile rendersi conto che abbiamo messo il profitto prima di ogni cosa.. “..
M’è venuto anche in mente uno studio etnografico sui compositori per film, talk show.. di holliwood degli anni ’80, del quale aimè non ricordo l’autore, nel quale in sostanza viene addirittura messo in discussione il concetto di talento propriamente inteso, o comunque ridimensionato. Stringendo in poche parole : il mercato, la concorrenza, l’abilità di esser riuscito a farsi strada tramite reti e relazioni con le persone giuste, tra cui gli impresari che commisionano il lavoro (le conoscenze).. alla fine decidono come il compositore lavorerà se molto o meno e quale grado di libertà espressiva potrà avere la sua arte.. andandolo a collocare o nell’area di quelli che sopravvivono al mestiere, o di quelli che lavorano ma stando ai gusti dei commitenti, o infine nel gruppo di quelli che si sono guadagnati terreno fra la nicchia che hanno il privilegio di decidere dei propri gusti..
Notte
Dal primo sguardo (interiore) d’insieme mi viene da dire che è proprio un “nodo numinoso” questo rimandare del collettivo all’individuale e viceversa, tanto che resta inutile, quanto azzardato, cercare di “curare il singolo individuo” piuttosto che l’idea incarnata dalla collettività alla quale il singolo appartiene: siamo in un mondo globalizzato e non è pensabile nemmeno “separare l’anima dell’individuo dall’anima della città”, del cui benessere l’individuo è responsabile…. Detto questo, mi spoglio delle nozioni apprese sui libri e…
Penso che mettere in pratica le proprie idee, oggi, a causa della crisi economica globale, costi alla collettività, e quindi al singolo, molto più che nel passato. Il problema della ridistribuzione delle risorse economiche resta una delle soluzioni. Ma la volontà individuale… dei singoli stati viene svilita, in questo mondo globalizzato. Come nel film, nel quale si registrano reazioni individuali di profonda frustrazione nei confronti dell’idea stessa di “sicurezza” che la collettività sembra non garantire più, poichè la metropoli sembra divorare ciò che ha creato. Il mondo globalizzato non sa parlare ai suoi figli. Meglio ritornare nei piccoli centri urbani? E passare dalle armi al dialogo “fisico”?
Dottor Lanzaro, in questo film, quali “componenti psichiche” sembrano emergere dalla disgregazione di questo corpo “psichico” rappresentato dallo stato della Pennsylvania? Così, pensavo…
“A quanto possiamo discernere, l’unico scopo dell’esistenza umana è di accendere una luce nell’oscurità del mero essere.” (Jung)
Perche’…
“alla resa dei conti il fattore decisivo è sempre la coscienza, che è capace di intendere le manifestazioni inconsce e di prendere posizione
di fronte ad esse.” (Jung)
Per rispondere alla sua domanda, dott. Lanzaro, penso che siano davvero poche le persone che siano priginiere di traumi, sentimenti repressi o di una fetta di un passato non elaborato. Il fatto e’ che gia’ individuare le proprie ombre e’ impresa assai difficile nonche’ coraggiosa, ma combatterle e vincerle e’ ancora cosa piu’ ardua. Mi permetto di accere in questo meraviglioso temenos una mia esperienza. Per non aver elaborato alcuni eventi del passato e per altre situazioni di sentimenti repressi mi sono rivolta ad un’analista. Per farla breve invece di aiutarmi, aumentava le mie paure, domande ed insicurezze. Smisi la terapia, ma non persi fiducia nella psicoanalisi. Parlai della mia tragica esperienza con degli amici, uno dei quali – non addetto ai lavori, ma grande estimatore – cin semplicita’ e attenzione e’ riuscito ad aprire delle piccole feritoie sulle mie ferite. Da quella breccia a breve e’ venuto l’ incontro con le ombre. Mi sono fatta coraggio e le ho affrontate, anche se e’ questo unlavore che non ha mai fine. Tutto questo per dire che, fermo restando il ruolo assoluto e fondamentale della psicoanalisi, a volte e’ difficile uscire dalle proprie gabbie perche’ si e’ solo o non si e’ trovato l’ interlocutore che sa sintonizzarsi sulle stesse note della nostra anima.
Mi scuso per un errore.
Persone che NON siano….
Omettendo il non si fraitende completamente il mio pensiero
Mi scuso!
Mi permetto di fare una considerazioni, visto che ho comunque visto il film..
Francamente non mi sembra che i personaggi siano tra loro isolati e che mostrino una idea personale di ciò che è giusto e sbagliato. O meglio ciò è vero ma secondo me solo in parte. Mi pare piuttosto che descrivino una società che ha perso la bussola di una convivenza civile, di.. una acetabile cittadinanza e palesino in qualche modo una situazione di fatto di insicurezza : dove pare che quello che conti sia cercare di sopperire alle mancanze “dell’altro”, ‘cavarsela’, perchè il contesto dell’incertezza lo richiede. Un esempio è il fatto che purtroppo nel film sembra che se il padre di un bambina non avesse architettato il piano diabolico di sequestrare il primo sospettato ..il ragazzo della roulotte.. probabilmente non si sarebbe giunti a ritrovare sua figlia ..
“L’ombra è un problema morale che mette alla prova l’intera personalità dell’Io; nessuno infatti può prendere coscienza dell’ombra senza una notevole applicazione di risolutezza morale. Ciò significa riconoscere come realmente presenti gli aspetti oscuri della personalità: atto che costituisce la base indispensabile di qualsiasi forma di conoscenza di sé, e incontra perciò di solito una notevole resistenza”. (Jung 1951)