Mi hai chiesto:
cos’è il vuoto?
Ho risposto con un tacere
perchè il vuoto è assenza
ineluttabilità incolmabile
un pieno insopportabile
di solitudine consapevole
E’ una donna dallo sguardo stanco
che non ha più mani
che non ha più voce
che non ha più giorni
La cessazione di qualsiasi rumore
il suicidio di una voce che non ha canto
quella nota rimasta sospesa
su un pentagramma di talco
che l’armonia ha ignorato
E’ quel balcone senza ringhiera
che ti accoglie invitante
sullo spavento di una bellezza
che si nutre di gelo senza nascita
E’ un corpo disossato
che della nudità fece promesse
demolendo ruderi senza storia
Strappo temporale
Peso senza peso
Bisbiglio che squarcia il petto
Oracolo ingannevole
Lancio senza sassi
Stagno senza alito
Assenza di un vagare troppo a lungo
quando il ritardo lo ha preceduto
Rauco declino che il destino ritaglia
stringendo neve che non ha più acqua
parola senza sillabe su labbra cancellateQuesto è il mio vuoto
e la mia risposta
colmerà il tuoMiranda Galati
Filed under: Poesia | Tagged: Miranda Galati, Poesia, poesie, vuoto |
L’ha ribloggato su L'isolachec'è (o di pensieri alogeni e spiaccicate virtù).
Benissimo 🙂
🙂
Vita,
sei
bella
come colei che amo
ed hai tra i seni
profumo di menta
Vita,
sei
una macchina piena,
felicità, suono
di tempesta, tenerezza
d’olio delicato.
Vita,
sei come una vigna:
accumuli la luce e la distribuisci
trasformata in grappolo
Colui che ti rinnega
che aspetti
un minuto, una notte
un anno breve o lungo
che esca
dalla sua solitudine bugiarda
che indaghi e lotti, congiunga
le sue mani ad altre mani
che non ceda nè aduli
alla sfortuna,
che la ricostruisca dandole
forma di muro,
come gli scalpellini la pietra.
che tagli la sfortuna
e si faccia con essa pantaloni.
La vita
aspetta noi tutti
che amiamo
il selvaggio profumo
di mare e di menta
che ha tra i seni.
Neruda
c’è anche quest altra traduzione,migliore:
Vita,
tu sei bella come colei che amo
e fra i seni hai odor di menta.
Vita sei una macchina piena,
felicità,suono di tormenta,tenerezza d’olio delicato.
Vita,sei come una vigna:
fai tesoro della luce e la distribuisci trasformata in grappoli.
Colui che ti rinnega
aspetti un minuto,una notte, un anno breve o lungo
ad uscire dalla sua solitudine bugiarda ,
indaghi e lotti , unisca le sue mani ad altre mani,
non accolga ne lusinghi la sfortuna ,
la ricacci dandole forma di muro ,come gli scalpellini la pietra,
tagli la sfortuna e si faccia con essa i pantaloni.
La vita aspetta tutti noi che amiamo il selvaggio odore di mare
e di menta che ha tra i seni.
[…] “Io sono come un pianoforte con un tasto rotto
L’accordo dissonante di un’orchestra di ubriachi
E giorno e notte si assomigliano
Nella poca luce che trafigge i vetri opachi…[…]
…” I matti sono punti di domanda senza frase…”
(Da “Ti regalerò una rosa”, di Simone Cristicchi)
Hahahahhah 😀 sei assai Forte Valeria…. scherzando e ti prego di considerarla solo a tale fine… continuo su queste tue parole, con la mia strana tiritera o tritato di parole….. dicendo……
Io sono come un pianoforte con molte ottave, ma anche parte di una strana orchestra di liberi sbullonati ubriachi. Incuranti scherzosi ubriachi che nel loro mondo interiore saltando da una nota all’altra di ogni ottava, cercano in qualche modo di produrre una melodia (o una dissonante disarmonia per altri), per loro è una quasi benefica ispirativa sincera spontanea risata per acquietare l’animo di tanti disperati o per pulire lo specchio affumicato della mente di tanti non ubriachi assai addormentati 😀
Ahahahahahahahahaha!!!… Ma che mi rido?! …Ahahahahahaha!!! … Ehi, tu, chi va là, che ti ridi? ( 🙂 )
😀
Raffaele, sono due giorni che ho ” zappato “, poco, la terra, insieme ad un contadino, Socrate, e, ad un boscaiolo. Mentre zappavo, ho pensato il tuo pensare, senza pensiero. Sono stanco !
Non so, se lo scriverò stasera o domani.
Dio è taoista?
di Raymond M. Smullyan
1977
Mortale: Perciò, o Dio, io ti prego, se hai un briciolo di pietà p er questa tua creatura soerente,
lib erami dal
dover
avere il libro arbitrio!
Dio: Tu riuti il dono più grande che io ti abbia fatto?
Mortale: Come puoi chiamare dono ciò che mi è stato imp osto? Io ho il lib ero arbitrio, ma non
p er mia scelta. Non ho mai scelto lib eramente di avere il libro arbitrio. Devo avere il libro arbitrio,
che mi piaccia o no!
Dio: Perché vorresti non averlo?
Mortale: Perché il lib ero arbitrio signica resp onsabilità morale e la resp onsabilità morale è un
p eso che non p osso sopp ortare!
Dio: Perché trovi così insopp ortabile la resp onsabilità morale?
Mortale: Perché? A dire la verità non so spiegarne il p erché; so soltanto che è così.
Dio: D’accordo, in tal caso supp oniamo che io ti assolva da ogni resp onsabilità morale, ma ti lasci
il tuo lib ero arbitrio. Questo ti andrebb e?
Mortale (dop o una pausa): No, temo di no.
Dio: Ah, proprio come p ensavo! Dunque la resp onsabilità morale non è l’unico asp etto del lib ero
arbitrio che non ti va. Che cos’altro ti disturba del lib ero arbitrio?
Mortale: Col lib ero arbitrio io sono in grado di p eccare e io non voglio p eccare!
Dio: Se non vuoi p eccare, p erché p ecchi?
Mortale: Buon Dio! Non lo so p erché p ecco: p ecco e basta! Vengono le tentazioni, e p er quanto
mi sforzi non riesco a resistere.
Dio: Se è proprio vero che non riesci a resistere alle tentazioni, allora non p ecchi p er tua lib era
scelta, e quindi (almeno secondo me) non p ecchi aatto.
Mortale: No, no! Non p osso fare a meno di p ensare che se solo mi sforzassi di più p otrei evitare
il p eccato. Mi risulta che la volontà è innita. Se uno con tutto il cuore non vuole p eccare, non
p ecca.
Dio: E dunque dovresti sap erlo. Ti sforzi al massimo p er non p eccare, oppure no?
Mortale: Sul serio, non lo so! Al momento sento di fare tutti gli sforzi di cui sono capace ma p oi,
quando ci rip enso, mi tormenta l’idea che forse non li ho fatti.
Dio: In altre parole, insomma, non sai se hai p eccato oppure no. Non si può quindi escludere la
p ossibilità che tu non abbia p eccato aatto!
Mortale: Certo che questa p ossibilità non è esclusa, ma forse ho p eccato ed è questo p ensiero che
mi fa paura!
Dio: Perché ti fa tanta paura il p ensiero di aver p eccato?
1
Mortale: Non lo so p erché! Intanto, tu hai una certa fama d’iniggere castighi piuttosto atro ci
nell’aldilà!
Dio: Ah, è questo che ti turba! Perché non l’hai detto subito, invece di menare il can p er l’aia
tirando in ballo il lib ero arbitrio e la resp onsabilità? Perché non hai semplicemente chiesto di non
punirti p er nessuno dei tuoi p eccati?
Mortale: Sono abbastanza realista, credo, da sap ere che tu non acconsentiresti a questa richiesta!
Dio: Ma davvero! Tu sai realisticamente a quali richieste io accontento, eh? Bene, ecco che cosa
farò: ti concedo una disp ensa sp ecialissima di p eccare quanto ti piace e ti do la mia divina parola
d’onore che non ti punirò neanche un p o co. D’accordo?
Mortale (spaventatissimo): No, no, non farlo!
Dio: Perché no? Non ti di della mia divina parola?
Mortale: Certo che mi do! Ma non capisci, io non voglio p eccare! Ab orrisco il p eccato con tutto
me stesso, indip endentemente dai castighi che può pro curarmi.
Dio: In tal caso farò qualcosa di meglio. Eliminerò il tuo orrore p er il p eccato. Ecco una pillola
magica! Inghiottila e non avrai più alcun orrore p er il p eccato. Potrai p eccare allegramente in
lungo e in largo senza provare rimorsi, senza provare orrore, e ti prometto nuovamente che non
sarai mai punito né da me né da qualunque altro ente. Sarai felice e b eato p er tutta l’eternità.
Ecco qua la pillola!
Mortale: No, no!
Dio: Non ti stai comp ortando in mo do irrazionale? Voglio addirittura eliminare l’orrore che hai
del p eccato, che è il tuo ultimo ostacolo.
Mortale: Non la voglio prendere lo stesso!
Dio: Perché no?
Mortale: Io credo che la pillola eliminerà sì il mio orrore futuro p er il p eccato, ma l’orrore che ne
ho adesso è suciente a togliermi la volontà di prenderla.
Dio: Ti ordino di prenderla!
Mortale: Mi riuto di farlo!
Dio: Come? Riuti di tua volontà, di tuo lib ero arbitrio?
Mortale: Sì!
Dio: Allora il tuo lib ero arbitrio si direbb e ti faccia piuttosto como do, no?
Mortale: Non capisco!
Dio: Non sei contento ora di avere il lib ero arbitrio che ti p ermette di riutare un’oerta così
spaventosa? Che ne diresti se ti obbligassi a prendere questa pillola, volente o nolente?
Mortale: No, no! Ti prego, non farlo!
Dio: Naturale che non lo farò; sto soltanto cercando di farti capire. Va b ene, mettiamola così:
invece di obbligarti a prendere la pillola, supp oniamo che io esaudisca la tua preghiera iniziale di
toglierti il lib ero arbitrio, ma ti dica anche che nel momento in cui non sarai più lib ero prenderai
la pillola?
Mortale: Una volta scomparsa la mia volontà, come farei a decidere di prendere la pillola?
Dio: Non ho detto che tu decideresti; ho detto soltanto che la prenderesti. Agiresti, diciamo, in
conformità a leggi puramente deterministiche, le quali, di fatto, te la farebb ero prendere.
Mortale: Riuto lo stesso.
2
Dio: Dunque riuti la mia oerta di toglierti il lib ero arbitrio. Siamo un p o’ lontani dalla tua
preghiera iniziale, non ti sembra?
Mortale: Adesso ho capito dove vuoi arrivare. Il tuo argomento è ingegnoso, ma non sono sicuro
che sia proprio giusto. Ci sono alcuni punti che dovremo riesaminare.
Dio: Ma certo.
Mortale: Ci sono due cose che hai detto che mi sembrano contraddittorie. Prima hai detto che
non si può p eccare se non lo si fa col lib ero arbitrio. Ma p oi hai detto che mi avresti dato una
pillola che mi avrebb e privato del lib ero arbitrio, così da p ermettermi di p eccare a mio piacimento.
Ma se non avessi più il mio lib ero arbitrio, come p otrei, secondo la tua prima asserzione, essere in
grado di p eccare?
Dio: Stai confondendo due parti distinte della nostra conversazione. Io non ho mai detto che la
pillola ti priverebb e del lib ero arbitrio, ma solo che eliminerebb e il tuo orrore p er il p eccato.
Mortale: Non credo proprio di capire.
Dio: E va b ene. Ricominciamo daccap o. Supp oniamo che io accetti di toglierti il lib ero arbitrio,
ma mettendo b ene in chiaro che dop o tu compirai un numero enorme di azione che tu ora consideri
p eccaminose. Da un punto di vista tecnico, in tal caso non p eccherai, p oiché non compirai quelle
azioni di tuo lib ero arbitrio. E quelle azioni non comp orteranno alcuna resp onsabilità morale,
alcune colp evolezza morale, o alcun qualsivoglia castigo. Nondimeno saranno tutte quelle azioni
del tip o che tu ora consideri p eccati, avranno tutte questa qualità che ora t’ispira orrore; ma il
tuo orrore scomparirà, p erciò, allora, non proverai orrore p er quelle azioni.
Mortale: No, p erò ne provo orrore ora e questo orrore di adesso è suciente a farmi riutare la
tua prop osta.
Dio: Hmm! Fammi capire b ene: tu non vuoi più che io ti tolga il lib ero arbitrio.
Mortale (con riluttanza): No, credo di no.
Dio: D’accordo, acconsento di non togliertelo. Ma ancora non mi è del tutto chiaro p erché tu non
vuoi più sbarazzarti del tuo lib ero arbitrio. Dimmelo di nuovo, p er favore.
Mortale: Perché, come mi hai detto tu, senza lib ero arbitrio p eccherei ancora più di adesso.
Dio: Ma ti ho già detto che senza lib ero arbitrio non puoi p eccare.
Mortale: Ma se ora decido di sbarazzarmi del lib ero arbitrio, tutte le cattive azioni che commetterò
in seguito saranno p eccato, non del futuro, b ensì del momento presente, in cui decido di non avere
il lib ero arbitrio.
Dio: Mi sembri proprio intrapp olato!
Mortale: Certo che sono intrapp olato! Mi hai cacciato in un orribile doppio vincolo! Qualunque
cosa faccia è sbagliata: se mi tengo il lib ero arbitrio continuo a p eccare e se lo abbandono (col tuo
aiuto, naturalmente) p ecco in questo momento, nell’atto di abbandonarlo.
Dio: Ma anche tu cacci me in un doppio vincolo. io sono disp osto a lasciarti o a toglierti il lib ero
arbitrio, come preferisci, ma nessuna delle due alternative ti so ddisfa. Desidero aiutarti, ma a
quanto pare non mi è p ossibile.
Mortale: È vero!
Dio: Ma dal momento che non è colpa mia, p erché sei lo stesso in collera con me?
Mortale: Perché sei stato tu a cacciarmi in questo orribile dilemma.
Dio: Ma, a sentir te, non avrei p otuto fare niente che andasse b ene.
Mortale: Niente che vada b ene ora, vorrai dire, ma ciò non signica che non avresti p otuto fare
qualcosa prima.
3
Dio: Perché? Che cos’avrei p otuto fare?
Mortale: È chiaro: non avresti mai dovuto darmi il libro arbitrio. Ora che me l’hai dato, è tropp o
tardi: qualunque cosa io faccia è sbagliata. Ma tu non avresti mai dovuto darmelo.
Dio: Ah, ecco! E p erché sarebb e stato meglio se non te l’avessi mai dato?
Mortale: Perché allora non sarei mai stato in grado di p eccare.
Dio: Ah sì? Be’, sono sempre pronto a imparare qualcosa dai miei errori.
Mortale: Come!?
Dio: Lo so, suona un p o’ autoblasfemo. Racchiude quasi un paradosso logico! Da un lato, come
ti hanno insegnato, è moralmente sbagliato p er un essere senziente sostenere che io sia in grado di
sbagliare. Dall’altro, io ho il diritto di fare qualunque cosa. Ma anch’io sono un essere senziente.
Dunque la questione è: ho o non ho il diritto di sostenere di essere in grado di sbagliare?
Mortale: Questa è una battuta di cattivo gusto! Intanto, una delle tue premesse è falsa. Non mi è
stato insegnato che un essere senziente sbaglia se mette in dubbio la tua onniscienza, ma solo che
sbaglia un mortale. Ma p oiché tu non sei mortale, sei ovviamente esente da questo obbligo.
Dio: Bene, quindi a livello razionale questo lo capisci. Eppure mi sei sembrato scosso quando ho
detto: “Sono sempre pronto a imparare dai miei errori”.
Mortale: Certo che sono rimasto scosso. Scosso non dalla tua autob estemmia (come l’hai chiamata
scherzosamente), non dal fatto ch tu non avevi alcun diritto di dirlo, b ensì dal semplice fatto che
tu l’hai detto, p erché mi hanno insegnato che in realtà tu non sbagli mai. Quindi mi ha sbalordito
sentirti aermare che ti è p ossibile sbagliare.
Dio: non ho sostenuto che sia p ossibile. Dico solo che sono pronto a imparare qualcosa dai mie
eventuali errori. Ma questo non dice nulla sul fatto che io realmente abbia errato o p ossa mai
errare.
Mortale: Oh, p er favore, smettiamola con queste sosticherie. Ammetti o non ammetti che è stato
uno sbaglio darmi il lib ero arbitrio?
Dio: Be’, è proprio questo il punto che secondo me dovremmo approfondire. Permetti che ti
riassuma il dilemma in cui ora ti dibatti. Tu non vuoi il libro arbitrio p erché con esso puoi
p eccare, e tu non vuoi p eccare (cosa che, a dire il vero, continua a lasciarmi p erplesso: in un certo
senso tu devi voler p eccare, altrimenti non p eccheresti. Ma p er il momento lasciamo p erdere).
D’altra parte, se tu decidessi di rinunciare al libro arbitrio, saresti resp onsabile adesso delle tue
azioni future. Ergo, io non avrei mai dovuto darti il lib ero arbitrio.
Mortale: Appunto!
Dio: Capisco p erfettamente il tuo disagio. Molti mortali, e p erno alcuni teologi, si sono lamentati
dicendo che sono stato ingiusto p erché da una parte sono stato io, non loro, a decidere che dovessero
avere il lib ero arbitrio, e dall’altra considero loro resp onsabili di ciò che fanno. In altre parole,
ritengono di essere obbligati a tener fede a un contratto con me, che p erò esso non hanno mai
sottoscritto.
Mortale: Appunto!
Dio: Come ho detto, capisco p erfettamente il disagio che la situazione comp orta. E riconosco la
giustezza della lagnanza, tuttavia questa lagnanza sorge solo da un’interpretazione non realistica
del termini della questione. Ora te li illustrerò p er b ene e vedrai che i risultati ti sorprenderanno.
Ma invece di dirteli subito, continuerò a usare il meto do so cratico. Per ricapitolare ancora una
volta, a te dispiace che io ti abbia dato il lib ero arbitrio. Io sostengo che quanto ne vedrai le
vere conseguenze non sarai più dispiaciuto. Per dimostrare la mia tesi, ecco ciò che farò. Creerò
un nuovo universo, un nuovo continuum spazio-temp orale. In questo nuovo universo nascerà un
mortale esattamente identico a te: a tutti gli eetti pratici p otremmo dire che rinascerai tu. A
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questo nuovo mortale, a questo nuovo te, io p osso dare o non dare il lib ero arbitrio. Che cosa vuoi
che faccia?
Mortale (con gran sollievo): Oh, ti prego! Risparmiagli di dover avere il lib ero arbitrio!
Dio: Sta b ene, farò come dici. Ma ti rendi conto, non è vero, che questo nuovo te privo di lib ero
arbitrio commetterà azioni orribili di ogni genere?
Mortale: Ma non saranno p eccati, p oiché egli non avrà il lib ero arbitrio.
Dio: Che tu li chiami p eccati o no, resta il fatto che saranno azioni orribili, nel senso che causeranno
grandi soerenze a molti esseri senzienti.
Mortale (dop o una pausa): Buon Dio, mi hai messo di nuovo in trapp ola! Sempre lo stesso tranello!
Se ora ti do il nulla osta p er la creazione di questa nuova creatura priva del lib ero arbitrio, che
nondimeno commetterà azioni atro ci, allora è sì vero che essa non p eccherà, ma sarò di nuovo io
il p eccatore, p er aver raticato la cosa.
Dio: In tal caso ti farò condizioni più favorevoli. Ecco, ho già deciso se creare questo nuovo te con
o senza il lib ero arbitrio. Ora scriverò la mia decisione su questo p ezzetto di carta e te la mostrerò
solo in seguito. Ma la mia decisione è ormai presa ed è assolutamente irrevo cabile. Non c’è
proprio nulla che tu p ossa fare p er cambiarla; in questa faccenda tu non hai alcuna resp onsabilità.
Ebb ene, ciò che voglio sap ere è questo: quale decisione sp eri che io abbia preso? Ricordati b ene,
la resp onsabilità della decisione ricade tutta su di me, non su di te. Quindi puoi dirmi in tutta
onestà e senz’alcun timore quale decisione sp eri che io abbia preso.
Mortale (dop o una pausa lunghissima): Sp ero che tu abbia deciso di dargli il lib ero arbitrio.
Dio: Davvero interessante! Ho tolto il tuo ultimo ostacolo! Se non gli darò il lib ero arbitrio, non
ci sarà nessuno a cui si p otrà imputare alcun p eccato. E allora p erché sp eri che io gli dia il lib ero
arbitrio?
Mortale: Perché, p eccato o non p eccato, la cosa imp ortante è che, se tu non gli dai il libro arbitrio,
lui (almeno stando a ciò che hai detto) sarà causa di soerenza p er gli altri, e io non voglio che
nessuno sora.
Dio (con un innito sospiro di sollievo): Finalmente! Finalmente hai capito qual è il no cciolo della
questione!
Mortale: E sarebb e?
Dio: non è il p eccato che conta! Ciò che conta è non far sorire gli uomini o gli altri esseri senzienti!
Mortale: Parli come un utilitarista!
Dio: Ma io sono un utilitarista!
Mortale: Come!?
Dio: Come o non come, io sono un utilitarista. Non un unitarista, bada b ene: un utilitarista.
Mortale: Non p osso proprio crederci!
Dio: Sì, lo so, la tua educazione religiosa ti ha insegnato altrimenti. Probabilmente mi hai con-
cepito più come un kantiano che come un utilitarista, ma è solo p erché la tua educazione era
sbagliata.
Mortale: Sono senza parole!
Dio: Davvero? Be’, forse non è p oi un gran male: in verità tu hai la tendenza a parlare tropp o.
Ma ora bando agli scherzi. Perché mai, secondo te, ti avrei dato il lib ero arbitrio?
Mortale: Perché? Non ho mai riettuto molto sul p erché; quello che mi preo ccupava era che non
avresti dovuto dartelo! Ma p erché me l’hai dato? L’unica risp osta ch mi viene in mente è la
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solita spiegazione religiosa: senza lib ero arbitrio non si è in grado di meritare né la salvezza né la
dannazione. Quindi senza lib ero arbitrio non p otremmo acquistarci i diritto alla vita eterna.
Dio: Molto interessante! Io la vita eterna ce l’ho; p ensi che abbia mai fatto qualcosa p er
meritarmela?
Mortale: No, naturalmente! Per te è diverso. Tu sei già così buono e p erfetto (almeno così si dice)
che non hai bisogno di meritare la vita eterna.
Dio: Dici davvero? Ciò mi collo ca in una p osizione invidiabile, non ti pare?
Mortale: Non credo di capirti.
Dio: Ecco: io sono felice e b eato p er l’eternità senza dover mai sorire o far sacrici o lottare contro
le tentazioni o altre cose del genere. Senza “meriti” di alcun genere io go do di una b eatissima vita
eterna. E invece vi, p overi mortali, dovete sudare e sorire e siete lacerati da conitti tremendi
sulla morale, e tutto questo p er che cosa? Non sap ete neppure se io esisto veramente o no, o se
esistono davvero un aldilà e un’altra vita o, se esistono, che p osizione o ccupate voi in tutto questo.
Per quanto vi industriate a placarmi comp ortandovi “b ene”, non avete mai alcuna vera garanzia
che ciò che p er voi è “il meglio” sia suciente p er me, e quindi non siete mai veramente sicuri
di ottenere la salvezza. Pensaci un momento! Io l’equivalente della “salvezza” ce l’ho già e non
ho mai dovuto sottop ormi a questo pro cesso innitamente opprimente di guadagnarmela. Non
m’invidi p er questo?
Mortale: Ma è blasfemo invidiarti!
Dio: Oh, andiamo! Non stai mica parlando col tuo insegnante di religione, stai parlando con me.
Blasfemo o no, il punto imp ortante non è se tu hai il diritto di essere invidioso di me, ma se lo sei.
Sei invidioso?
Mortale: Per forza lo sono!
Dio: Bene! Per come tu concepisci il mondo ora, hai tutte le ragioni di invidiarmi. Ma se tu
arriverai a una concezione più realistica, non proverai più alcuna invidia. E così te la sei proprio
b evuta, l’idea che ti hanno insegnato, che la vostra vita sulla terra è come un p erio do di esame e
che lo scop o p er cui vi è stato dato il lib ero arbitrio è di mettervi alla prova, p er vedere se meritate
la b eatitudine eterna. Ma una cosa m lascia p erplesso: se tu credi veramente che io sia così buono
e b enevolo come si va sbandierando, p erché dovrei imp orre agli uomini di meritarsi cose come la
felicità e la vita eterna? Perché non dovrei concedere queste cose a ciascuno, che le meriti o no?
Mortale: Ma mi è stato insegnato che il tuo senso della morale, il tuo senso della giustizia, imp one
che il b ene sia ricomp ensato con la felicità e il male sia punito con la soerenza.
Dio: Allora ti hanno insegnato male.
Mortale: Eppure la letteratura religiosa è piena di questa idea! Prendi “I p eccatori nelle mani di
un Dio adirato” di Jonathan Edwards, dove sei descritto nell’atto di tenere sosp esi i tuoi nemici
come scorpioni ripugnanti sopra il p ozzo infuo cato dell’inferno, imp edendo loro di precipitare nel
fato che meritano soltanto in virtù della tua misericordia.
Dio: Per fortuna non mi sono dovuto sorbire le tirate del signor Jonathan Edwards. Sono state
pronunciate p o che prediche più ingannevoli di quella. Già il titolo, “I p eccatori nelle mani di un
Dio adirato”, la dice lunga. In primo luogo, io non mi adiro mai; in secondo luogo, io non p enso
aatto in termini di “p eccato”; in terzo luogo, io non ho nemici.
Mortale: Con questo vuoi dire che non ci sono uomini che tu o dii o che non ci sono uomini che
o diano te?
Dio: Intendevo dire la prima cosa, b enché sia vera anche la seconda.
Mortale: Ma andiamo, io conosco uomini che hanno dichiarato ap ertamente di o diarti. A volte ti
ho o diato anch’io.
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Dio: Vuoi dire che hai o diato l’immagine che hai di me. Non è lo stesso che o diare me come
realmente io sono.
Mortale: Intendi forse dire che non è sbagliato o diare un falso concetto di te, mentre è sbagliato
o diarti come tu sei realmente?
Dio: No, non voglio aatto dire questo, voglio dire qualcosa di molto più drastico! Ciò che dico
non ha assolutamente nulla a che fare col giusto o con lo sbagliato. Dico che se uno mi conosce
p er quello che sono realmente, gli è psicologicamente imp ossibile o diarmi.
Mortale: Dimmi: dal momento che noi mortali abbiamo idee così errate sulla tua vera natura,
p erché non ci illumini? Perché non ci guidi p er la retta via?
Dio: Che cosa ti fa credere che non lo faccia?
Mortale: Voglio dire, p erché non ti mostri direttamente ai nostri sensi e non ci dici chiaro e tondo
che sbagliamo?
Dio: Sei davvero così ingenuo da credere che io sia il genere di essere che può apparire ai vostri
sensi? Sarebb e più giusto dire che io sono i vostri sensi.
Mortale (sbalordito): Tu sei i miei sensi?
Dio: Non proprio: sono qualcosa di più. Ma è un’idea più vicina alla realtà che io sarei p ercepibile
dai tuoi sensi. Io non sono un oggetto; come te, io sono un soggetto, e un soggetto può p ercepire
ma non può essere p ercepito. Tu non puoi vedere me più di quanto tu p ossa vedere i tuoi p ensieri.
Puoi vedere una mela, ma l’evento costituito dal tuo vedere la mela non è visibile. E io sono assai
più simile al vedere la mela che alla mela stessa.
Mortale: Se non ti p osso vedere, come faccio a sap ere che esisti?
Dio: Domanda giusta! Coma fai appunto a sap ere che esisto?
Mortale: Be’, non sto forse parlando con te?
Dio: Come fai a sap ere che stai parlando con me? Supp oni di dire a uno psichiatra: “Ieri ho
parlato con Dio”. Che cosa p ensi che ti direbb e?
Mortale: Dip ende dallo psichiatra. E p oiché gli psichiatri sono p er lo più atei, probabilmente mi
direbb ero che ho parlato con me stesso.
Dio: E avrebb ero ragione!
Mortale: Come? Vuoi dire che non esisti?
Dio: La tua capacità di trarre conclusioni false è sbalorditiva. Solo p erché stai parlando con te
stesso ne segue che io non esisto?
Mortale: Ma se p enso di parlare con te mentre in realtà sto parlando con me stesso, in che senso
esisti tu?
Dio: La tua domanda è basata su due fallacie più un equivo co. Se tu ora stai parlando o no con
me e se io esisto o no sono due questioni del tutto separate. Anche se tu ora non stessi parlando
con me (ma è evidente che lo stai facendo), ciò non signicherebb e ugualmente che io non esisto.
Mortale: Be’, d’accordo, è ovvio! Quindi, invece di dire “Se io sto parlando con me stesso, allora
tu non esisti”, allora avrei dovuto dire: “Se io sto parlando con me stesso, allora è evidente che
non sto parlando con te”.
Dio: Un’asserzione molto diversa, non c’è dubbio, ma falsa anch’essa.
Mortale: Ma andiamo, se sto solo parlando con me stesso, com’è p ossibile che stia parlando con
te?
Dio: L’uso che fai della parola “solo” è molto fuorviante! Posso elencarti una serie di p ossibilità
logiche secondo le quali se parli con te stesso ciò non esclude che tu stia parlando con me.
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Mortale: Dimmene una sola!
Dio: Be’, ovviamente una di queste p ossibilità è che tu e io coincidiamo.
Mortale: Che p ensiero blasfemo. . . almeno, se lo avessi espresso io!
Dio: Secondo certe religioni, sì. Secondo altre, è la verità pura, semplice e immediatamente
p ercepibile.
Mortale: Dunque l’unica via p er uscire dal mio dilemma è credere che tu e io coincidiamo?
Dio: Nient’aatto! Questa è solo una delle vie d’uscita. Ce ne sono diverse altre. Per esempio,
può darsi che tu sia una parte di me, nel qual caso tu parleresti con quella parte di me che sei
tu. Oppure p otrei essere io una parte di te, nel qual caso parleresti con quella parte di te che
sono io. O ancora: tu e io p otremmo essere parzialmente sovrapp osti, nel qual caso tu parleresti
con l’intersezione e quindi sia con te sia con me. L’unico caso in cui il tuo parlare con te stesso
sembrerebb e implicare che tu non stia parlando con me è che tu e io fossimo completamente
disgiunti; ma anche in tal caso sarebb e p ossibile che tu stessi parlando a entrambi.
Mortale: Quindi tu sostieni di esistere.
Dio: Nient’aatto. Di nuovo trai conclusioni false! La questione della mia esistenza non si è
neppure presentata. Io ho detto soltanto che dal fatto che tu stai parlando con te stesso non si
può in alcun mo do dedurre che io non esista, p er non parlare del fatto secondario che tu non stia
parlando con me.
Mortale: Va b ene, questo te lo concedo! Però ciò che io voglio sap ere veramente è se tu esisti!
Dio: Che strana domanda!
Mortale: Perché? Gli uomini se lo chiedono da innumerevoli millenni.
Dio: Lo so! Non è strana la domanda in sé; ciò che intendo dire è che è molto strano farla a me!
Mortale: Perché?
Dio: Perché io sono proprio quello della cui esistenza tu dubiti! Capisco p erfettamente la tua
preo ccupazione . Hai paura che la tua attuale esp erienza con me sia una pura allucinazione. Ma
come ti puoi asp ettare di ottenere da un essere informazioni attendibili sulla sua esistenza, quando
sosp etti che proprio quell’essere non esista?
Mortale: Quindi non mi vuoi dire se esisti o no?
Dio: Non lo faccio p er cattiveria! Voglio solo farti notare che nessuna delle risp oste che p otrei
darti riuscirebb e in alcun mo do a so ddisfarti. Va b ene, supp oni che io dica: “No, non esisto”. Che
cosa dimostrerebb e ciò? Assolutamente nulla! Oppure p otrei dire: “Sì, esisto”. Ti convincerebb e
questo? No, naturalmente!
Mortale: Ebb ene, se tu non puoi dirmi se esisti o no, chi altri può dirmelo?
Dio: Questa è una cosa che nessuno ti può dire. È una cosa che puoi scoprire solo tu, da solo.
Mortale: Ma che cosa devo fare p er scoprirla da solo?
Dio: Anche questo non le to può dire nessuno. È un’altra cosa che dovrai scoprire da solo.
Mortale: In che mo do puoi dunque aiutarmi?
Dio: Di questo non ti preo ccupare, lascia fare a me! Intanto p erò abbiamo cambiato argomento,
e vorrei tornare a parlare dello scop o che secondo te io avrei avuto quando ti ho dato il lib ero
arbitrio. La tua prima idea, cio è che ti abbia dato il lib ero arbitrio p er vedere se meriti o no
la salvezza, può piacere a molto moralisti, ma è un’idea che a me fa proprio orrore. non riesci
a p ensare a una ragione più piacevole, una ragione più umana, p er cui io ti avrei dato il lib ero
arbitrio?
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Mortale: Ebb ene, una volta feci questa domanda a un rabbino orto dosso, e lui mi disse che noi
siamo stati fatti in mo do tale che non ci è materialmente p ossibile gioire della salvezza se non
sentiamo di essercela guadagnata. E p er guadagnarcela naturalmente abbiamo bisogno del lib ero
arbitrio.
Dio: Questa spiegazione è in eetti molto più piacevole di quella che mi hai dato prima, ma è
ancora b en lungi dall’essere giusta. Secondo l’ebraismo orto dosso, io ho creato gli angelo, i quali
non hanno il lib ero arbitrio. Essi mi vedono direttamente e sono attratti dalla b ontà in mo do
così completo che non hanno mai la b enché minima tentazione verso il male: non hanno davvero
alcuna scelta. Eppure go dono di una felicità eterna, anche se non se la sono mai guadagnata.
Quindi, se la spiegazione del tuo rabbino fosse giusta, p erché non avrei p otuto creare solo angeli
invece di creare anche i mortali?
Mortale: E chi lo sa! Perché?
Dio: Perché questa spiegazione è sbagliata. In primo luogo non ho mai creato angeli b ell’e pronti:
tutti gli esseri senzienti si avvicinano da ultimo a uno stato che si p otrebb e chiamare “angelico”.
Ma proprio come la sp ecie degli esseri umani si trova a un certo stadio di evoluzione biologica, così
gli angeli non sono che il risultato nale di un pro cesso di Evoluzione Cosmica. L’unica dierenza
tra il cosiddetto santo e il cosiddetto p eccatore è che il primo è immensamente più vecchio del
secondo. Purtropp o ci vogliono innumerevoli cicli vitali p er apprendere quello ch è forse il fatto
più imp ortante dell’universo: che il male fa sorire. Tutti gli argomenti dei moralisti, tutte le
ragioni addotte p er sostenere che gli uomini non devono compiere azioni malvagie, impallidiscono
e p erdono ogni signicato alla luce dell’unica verità di fondo, che il male è soerenza. No, amico
mio, io non sono un moralista. Sono un p erfetto utilitarista. L’avermi concepito come un moralista
è una delle grandi tragedie del genere umano. Il mio ruolo nel disegno delle cose (se è lecito usare
quest’espressione fuorviante) non è né di punire né di premiare, b ensì di agevolare il pro cesso p er
cui ogni essere senziente consegue la p erfezione ultima.
Mortale: Perché hai detto che quell’espressione è fuorviante?
Dio: Ciò che ho detto era fuorviante p er due motivi. In primo luogo è impreciso parlare del
mio ruolo nel disegno delle cose: io sono il disegno delle cose. In secondo luogo, è altrettanto
fuorviante dire che io agevolo il pro cesso p er cui gli esseri senzienti raggiungono l’illuminazione:
io sono quel pro cesso. Gli antichi taoisti andarono molto vicino al segno quando dissero di me (mi
chiamavano “Tao”) che io non faccio le cose, eppure è attraverso di me che viene fatta ogni cosa.
In termini più mo derni, io non sono la causa del Pro cesso Cosmico, io sono il Pro cesso Cosmico
stesso. Direi che la denizione più precisa e feconda che l’uomo p ossa dare di me almeno allo
stadio attuale della sua evoluzione sia che io sono il pro cesso stesso di illuminazione. Coloro
che desiderano p ensare al diavolo (anche se io vorrei che non lo facessero!) p otrebb ero denirlo,
analogamente, come il temp o disgraziatamente lungo che il pro cesso richiede. In questo senso, il
diavolo è necessario; il fatto è che il pro cesso richiede un temp o lunghissimo e io non ci p osso fare
proprio nulla. Ma ti assicuro che una volta che il pro cesso sia compreso in maniera più esatta, quel
temp o così p enosamente lungo non sarà più considerato come una limitazione essenziale o come
un male. Si vedrà che esso costituisce l’essenza stessa di questo pro cesso. So che questo non è del
tutto consolante p er te, che ti trovi ora nel mare nito della soerenza; ma la cosa stup efacente
è che, una volta che tu abbia aerrato questo atteggiamento di fondo, la tua soerenza nita
comincerà a diminuire, nché da ultimo svanirà.
Mortale: Questo me l’hanno detto, e sono incline a crederlo. Ma supp oni che io p ersonalmente
arrivi a vedere le cose attraverso i tuoi o cchi eterni. Io allora sarò più felice, ma non ho forse degli
obblighi verso gli altri?
Dio (ridendo): Mi fai venire in mente i buddhisti Mahâyâna! Ciascuno dice: “Io non entrerò
nel Nirvâna se prima non ci vedrò entrare tutti gli altri esseri senzienti”. Così ciascuno asp etta
che siano gli altri a entrare p er primi. Non c’è da meravigliarsi che ci mettano tanto temp o! Il
buddhista Hînayâna commette lo sbaglio opp osto. Egli crede che nessuno p ossa minimamente
aiutare gli altri a ottenere la salvezza: ciascuno deve fare tutto da solo. E quindi ciascuno si
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sforza di conseguire solo la propria salvezza. Ma proprio questo atteggiamento distaccato rende
imp ossibile la salvezza. La verità è che la salvezza è un pro cesso in parte individuale e in parte
so ciale. Ma è un grave errore credere come fanno molti buddhisti Mahâyâna che conseguire
l’illuminazione signichi p er così dire, essere messo fuori servizio e non p oter più aiutare gli altri.
Il mo do migliore p er aiutare gli altri è di vedere prima la luce noi stessi.
Mortale: Nella descrizione ch fai di te stesso c’è qualcosa che mi turba un p o co. Tu ti descrivi
essenzialmente come un pro cesso. Questo ti p one in una luce molto imp ersonale, mentre tantissime
p ersone hanno bisogno di un Dio p ersonale.
Dio: E così, dal momento che hanno bisogno di un Dio p ersonale, ne consegue che io sono un Dio
p ersonale?
Mortale: No, naturalmente. Ma p er essere accettabile dai mortali, una religione deve so ddisfare i
loro bisogni.
Dio: Me ne rendo conto. Ma la cosiddetta “p ersonalità” di un essere è in realtà più nell’o cchio di
chi guarda che nell’essere in questione. Tutto questo acceso dibattere se io sia un essere p ersonale
o imp ersonale è piuttosto scio cco, p erché nessuna delle due p osizioni è giusta o sbagliata. Da un
certo punto di vista io sono p ersonale, da un altro non lo sono. Per un essere umano è la stessa
cosa: una creatura di un altro pianeta può vederlo in mo do puramente imp ersonale, come semplice
insieme di particelle atomiche che si comp ortano secondo leggi siche rigorose. Questa creatura
p otrebb e provare p er la p ersonalità dell’essere umano la stessa considerazione che l’uomo comune
ha p er una formica. Eppure una formica ha tanta p ersonalità individuale quanta un essere umano
p er esseri che, come me, conoscono veramente la formica. Vedere una cosa come imp ersonale non
è né più giusto né più sbagliato che vederla come p ersonale, ma in genere quanto più si conosce
qualcosa tanto più p ersonale essa diventa. Per illustrare quanto dico, tu mi p ensi come un essere
p ersonale o imp ersonale?
Mortale: Be’, ti sto parlando, no?
Dio: Precisamente! Da questo punto di vista, il tuo atteggiamento nei miei confronti p otrebb e
essere denito p ersonale. E tuttavia, da un altro punto di vista, non meno valido, mi si può anche
vedere come imp ersonale.
Mortale: Ma se tu sei davvero un pro cesso, cio è una cosa astratta, non riesco a capire che senso
p ossa avere che io parli con un semplice “pro cesso”.
Dio: Mi piace il mo do in cui dici “semplice”. Allo stesso mo do p otresti dire che vivi in un “semplice
universo”. E p oi, p erché ogni cosa che si fa dovrebb e avere senso? Ha senso parlare con un alb ero?
Mortale: No, naturalmente!
Dio: Eppure molti bambini e molti primitivi lo fanno.
Mortale: Ma io non sono né un bambino né un primitivo.
Dio: Eh già, purtropp o.
Mortale: Perché purtropp o?
Dio: Perché molti bambini e molti primitivi hanno un’intuizione primordiale che quelli come te
hanno p erduto. Francamente p enso che ti farebb e un gran b ene parlare con un alb ero ogni tanto,
anche più che parlare con me! Ma esso che abbiamo di nuovo cambiato argomento! Per l’ultima
volta, vorrei che cercassimo di arrivare a capire p erché ti ho dato il lib ero arbitrio.
Mortale: Io ho continuato a p ensarci.
Dio: Vuoi dire che non hai seguito con attenzione la nostra conversazione?
Mortale: Sì che l’ho seguita. Ma nel frattemp o, a un altro livello, ho continuato a p ensarci.
Dio: E sei arrivato a qualche conclusione?
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Mortale: Dunque, tu dici che il motivo non è quello di mettere alla prova il nostro merito. E
hai confutato il motivo che p er go dere delle cose noi abbiamo bisogno di sentire che dobbiamo
meritarle. E sostieni di essere un utilitarista. E la cosa più signicativa di tutte è che mi sei
sembrato contentissimo quando mi sono reso conto d’un tratto che non è il p eccare un sé che è
male, ma solo la soerenza che esso provo ca.
Dio: Ma certo! Che altro ci p otrebb e essere di male nel p eccare?
Mortale: D’accordo, tu lo sai e adesso lo so anch’io. Ma purtropp o io ho passato tutta la vita
sotto l’inuenza di quei moralisti che ritengono che il p eccare sia male in sé. Comunque sia,
mettendo insieme tutti questi p ezzi, mi viene da p ensare che l’unica ragione p er cui ci hai dato
il lib ero arbitrio è p erché credi che col lib ero arbitrio che uomini probabilmente causeranno meno
soerenza agli altri e a se stessi che senza lib ero arbitrio.
Dio: Bravo! Questa è di gran lunga la ragione migliore che hai dato nora! Ti p osso assicurare
che se avessi deciso di darvi il lib ero arbitrio, l’avrei fatto proprio p er questa ragione.
Mortale: Ma come! Vuoi dire che non hai deciso di darci il lib ero arbitrio?
Dio: Mio caro, non p otevo decidere di darvi il lib ero arbitrio più di quanto p otessi decidere di
fare equiangolo un triangolo equilatero. Naturalmente p otevo decidere di fare o di non fare un
triangolo equilatero, ma dop o aver deciso di farlo non avevo altra scelta che farlo equiangolo.
Mortale: Pensavo che tu p otessi fare tutto!
Dio: Solo le cose che sono logicamente p ossibili. Come disse san Tommaso: “È p eccato considerare
il fatto che Dio non può fare l’imp ossibile come una limitazione del Suo p otere”. Sono d’accordo,
solo che invece di dire p eccato come fa lui, io direi errore.
Mortale: Comunque sono ancora sconcertato da quanto mi hai fatto capire, cio è che non hai deciso
di darmi il lib ero arbitrio.
Dio: Ebb ene, è giunto il momento di farti sap ere che tutta la nostra discussione, n dall’inizio,
si è basata su una fallacia mostruosa! Abbiamo parlato a un livello puramente morale; tu hai
cominciato col lamentarti che io ti abbia dato il lib ero arbitrio e hai sollevato tutta la questione se
avessi dovuto farlo. Non ti è mai venuto in mente che io non avevo assolutamente alcuna scelta.
Mortale: Brancolo ancora nel buio!
Dio: Certo! Perché sei solo capace di considerare il problema con gli o cchi del moralista. Non ti
è mai passato p er la testa di considerare i più fondamentali asp etti metasici della questione.
Mortale: Non vedo ancora dove tu voglia andare a parare.
Dio: Invece di chiedermi di toglierti il lib ero arbitrio, non avresti forse dovuto chiedere prima di
tutto se ce l’hai, il lib ero arbitrio?
Mortale: Ma io lo davo semplicemente p er scontato.
Dio: E p erché?
Mortale: Non lo so. Ce l’ho, il lib ero arbitrio?
Dio: Si.
Mortale: Allora p erché mi hai detto che non avrei dovuto darlo p er scontato?
Dio: Perché non avresti dovuto. Solo p erché una cosa è vera, non ne segue che la si debba dare
p er scontata.
Mortale: Comunque mi tranquillizza sap ere che la mia intuizione naturale sul fatto che p osseggo
il lib ero arbitrio è giusta. Mi è successo a volte di temere che abbiano ragione i deterministi.
Dio: I deterministi hanno ragione.
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Mortale: Un momento: il lib ero arbitrio ce l’ho o non ce l’ho?
Dio: Ti ho già detto di sì. Ma questo non signica che il determinismo sia sbagliato.
Mortale: Insomma, le mie azioni sono determinate dalle leggi della natura o no?
Dio: La parola determinate qui è una sottile ma p ossente causa di fraintendimenti, e ha contribuito
parecchio a confondere le acque nelle controversie sul lib ero arbitrio e il determinismo. Le tue azioni
sono certamente in accordo con le leggi della natura, ma dire che esse sono determinate dalle leggi
della natura crea un’immagine psicologia totalmente fuorviante; fa p ensare cio è che la tua volontà
p ossa essere in qualche mo do in conitto con le leggi della natura e che questa sia in qualche mo do
più p otente di te e p ossa “determinare” le tue azioni, che tu lo voglia o no. Ma è semplicemente
imp ossibile che la tua volontà entri mai in conitto con la legge naturale. In realtà tu e la legge
naturale siete la stessa identica cosa.
Mortale: Come sarebb e a dire che io non p osso entrare in conitto con la natura? Supp oniamo
che io mi intestardissi e determinassi di non obb edire alle leggi della natura. Che cosa p otrebb e
fermarmi? Se mi intestardissi abbastanza, nemmeno tu p otresti fermarmi!
Dio: Hai p erfettamente ragione! Io certo non p otrei fermarti. Nulla p otrebb e fermarti. Ma non
ci sarebb e alcun bisogno di fermarti, p oiché non p otresti neppure cominciare! Go ethe ha espresso
molto b ene tutto ciò: “Nel tentare di opp orci alla Natura noi, nell’atto stesso di farlo, op eriamo
secondo le leggi della natura!”. Non capisci che le cosiddette “leggi della natura” non sono altro che
una descrizione di come appunto tu e gli altri esseri agite? Sono semplicemente una descrizione
di come tu agisci, non una prescrizione di come dovresti agire, non un p otere o una forza che
costringe o determina le tue azioni. Per essere valida, una legge della natura deve tener conto di
come tu di fatto agisci, o, se preferisci, di come tu scegli di agire.
Mortale: In realtà, dunque, tu sostieni che io sono incapace di determinare di agire contro la legge
naturale?
Dio: È interessante che tu abbia usato p er due volte l’espressione “determinare di agire” invece
che “scegliere di agire”. Questa identicazione è molto frequente. Sp esso si usa l’asserzione “Sono
nella determinazione di far questo” come sinonimo di “Ho scelto di far questo”. Ma proprio questa
identicazione psicologica dovrebb e rivelare che il determinismo e la scelta sono molto più vicini
tra loro di quanto p otrebb e sembrare. Naturalmente tu p otresti b enissimo dire che la dottrina
del lib ero arbitrio dice che sei tu a compiere questo atto di determinazione, mentre la dottrina
del determinismo aerma, a quanto pare, che le tue azioni sono determinate da qualcosa che con
tutta evidenza sta fuori di te. Ma la confusione è in gran parte causata dalla dicotomia che tu
compi dividendo la realtà in “te” e “non te”. Suvvia, dov’è che in realtà nisci tu e comincia
il resto dell’universo? Oppure, dov’è che nisce il resto dell’universo e cominci tu? Una volta
che tu riesca a vedere il cosiddetto “te” e la cosiddetta “natura” come una totalità continua, non
sarai più tormentato dal dubbio se sei tu a controllare la natura o la natura a controllare te. E
così sparirà tutto questo pasticcio del conitto tra lib ero arbitrio e determinismo. Se mi è lecito
usare un’analogia un p o’ grossolana, immagina due corpi che si muovano l’uno verso l’altro a causa
dell’attrazione gravitazionale. Se fosse senziente, ciascun corp o p otrebb e domandarsi se è lui stesso
oppure l’altro a esercitare la “forza”. In un certo senso la esercitano entrambi, in un certo senso
non la esercita né l’uno né l’altro. Meglio di tutto è dire che ciò che conta è la congurazione dei
due.
Mortale: Po co fa hai detto che tutta la nostra discussione era basata su una fallacia mostruosa,
ma ancora non mi hai detto quale sia questa fallacia.
Dio: Ma come, è l’idea che io avrei p otuto crearti senza lib ero arbitrio! Ti comp ortavi come se
questa fosse una p ossibilità autentica e ti domandavi p erché io non l’avessi scelta! Non ti è mai
venuto in mente che un essere senziente senza lib ero arbitrio non è più concepibile di quanto lo sia
un oggetto sico che non eserciti attrazione gravitazionale. (E p er inciso, l’analogia tra un oggetto
sico che esercita l’attrazione gravitazionale e un essere senziente che esercita il lib ero arbitrio è
più stretta di quanto tu p ensi!). In tutta onestà, riesci a immaginarti un essere cosciente privo di
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lib ero arbitrio? Come sarebb e mai fatto? Una cosa che secondo me ti ha p ortato tanto fuori strada
nella tua vita è che ti hanno detto che io ho fatto all’uomo il dono del lib ero arbitrio. Come se
prima avessi creato l’uomo e p oi, come rip ensando ci, lo avessi dotato di questa ulteriore proprietà
del lib ero arbitrio. Forse tu p enserai che io abbia una sorta di “p ennello” con cui rito cco certe
creature col lib ero arbitrio e altre no. No, il lib ero arbitrio non è un “extra”: esso è parte integrante
dell’essenza stessa della coscienza. Un essere cosciente senza lib ero arbitrio è semplicemente un
assurdo metasico.
Mortale: Ma allora p erché mi hai dato corda p er tutto questo temp o, discutendo quello che io
p ensavo fosse un problema morale mentre, come tu dici, la mia confusione di fondo era di natura
metasica?
Dio: Perché p ensavo che sarebb e stata buona terapia esp ellere dal tuo sistema un p o’ di questo
veleno morale. Gran parte della tua confusione metasica era dovuta a nozioni morali sbagliate,
e quindi bisognava p er prima cosa o ccuparsi di quelle. E ora dobbiamo lasciarci, almeno no a
quando non avrai di nuovo bisogno di me. Penso che la nostra attuale unione ti sarà di utile
sostegno p er un b el p o’. Ma ricordati quello che ti ho detto a prop osito degli alb eri. Naturalmente
non è necessario che tu parli davvero con loro, se ciò ti mette in imbarazzo; ma ci sono tante
cose che puoi imparare da loro, e anche dalle pietre, dai ruscelli e dalle altre manifestazioni della
natura. Nulla vale quanto un orientamento naturalistico p er dissipare tutti questi morb osi p ensieri
di “p eccato”, di “lib ero arbitrio” e di “resp onsabilità morale”. A un certo stadio della storia queste
nozioni furono eettivamente utili: mi riferisco ai giorni in cui i tiranni avevano un p otere illimitato
e solo il timore dell’inferno era in grado di frenarli. Ma da allora l’umanità è cresciuta, e questo
raccapricciante mo do di p ensare non è più necessario. Potrebb e esserti d’aiuto ricordare quanto
dissi una volta attraverso gli scritti del grande p o eta Zen Seng-Ts’an:
Se vuoi raggiungere la nuda verità,
non preo ccuparti di giusto e sbagliato.
Il conitto tra giusto e sbagliato
è la malattia della mente.
Vedo dalla tua espressione che queste parole ti consolano e ti atterriscono allo stesso temp o! Di
che cosa hai paura? Che se ab olisci nella tua mente la distinzione tra giusto e sbagliato sarà più
probabile che tu commetta azioni sbagliate? Perché sei così sicuro che l’auto coscienza relativa al
giusto e allo sbagliato non p orta a compiere più azioni sbagliate che azioni giuste? Credi veramente
che le p ersone cosiddette amorali, quando si tratta di azioni e non di teoria, si comp ortino in
mo do meno etico che non i moralisti? No naturalmente! Anzi, moltissimi moralisti riconoscono la
sup eriorità etica del comp ortamento della maggior parte di coloro che teoricamente assumono una
p osizione amorale. Sembrano davvero sorpresi che questa gente si comp orti così b ene senza princìpi
etici! Mai che p ensino che è proprio in virtù della mancanza di princìpi morali che la loro buona
condotta si manifesta così lib eramente! Forse che le parole “Il conitto tra giusto e sbagliato è la
malattia della mente umana” esprimono un’idea tanto diversa dalla storia del Paradiso terrestre
e della caduta dell’uomo p erché Adamo mangiò il frutto della conoscenza? Questa conoscenza,
bada b ene, era conoscenza di princìpi etici, non di sentimenti etici, p oiché questi ultimi Adamo
già li aveva. C’è molta verità in quella storia, anche se io non ho mai ordinato ad Adamo di non
mangiare la mela: mi limitai a consigliargli di non farlo. Gli dissi che non glie ne sarebb e seguito
alcun b ene. Se quello scio cco mi avesse dato retta, quanti guai si sarebb ero p otuti evitare! E
invece no, lui credeva di sap ere tutto! Ma vorrei che i teologi capissero una buona volta che io non
sto punendo Adamo e tutta la sua progenie p er quell’azione: è il frutto di quell’alb ero che è di p er
sé velenoso e i suoi eetti, ahimè, si protraggono p er innumerevoli generazioni. E ora devo proprio
congedarmi. Sp ero davvero che la nostra discussione dissipi un p o’ della tua morb osità etica, e
la sostituisca con un orientamento più naturalistico. Ricorda anche le meravigliose parole che
pronunciai una volta p er b o cca di Lao-Tsu, quando rimproverai Confucio p er il suo moraleggiare:
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Tutto questo parlare di b ontà e di dovere, queste continue punture di spillo, sner-
vano e irritano l’ascoltatore. Faresti meglio a studiare come avviene che il Cielo e la
Terra mantengano il loro corso eterno, e il sole e la luna il loro splendore, le stelle
le loro schiere ordinate, le b estie e gli uccelli i branchi e gli stormi, e gli alb eri e gli
arbusti la loro p osizione eretta. Anche tu dovresti imparare queste cose p er guidare i
tuoi passi col Potere Interiore, p er seguire il corso che la Via della Natura stabilisce;
e b en presto non avrai più bisogno di aaticarti e predicare dapp ertutto la b ontà e il
dovere. . . Il cigno non ha bisogno di fare il bagno ogni giorno p er mantenersi bianco.
Mortale: Vedo che hai proprio un deb ole p er la losoa orientale!
Dio: Oh, nient’aatto! Alcuni dei miei p ensieri più b elli sono oriti nella tua patria, l?america. Per
esempio, non ho mai espresso la mia nozione di “dovere” con maggiore elo quenza che attraverso i
p ensieri di Walt Whitman:
Nulla io do come doveri,
Ciò che gli altri danno come doveri, io lo do come impulso vitale.
Riessioni (Douglas R. Hofstadter)
Con questo dialogo arguto e brillante facciamo la conoscenza di Raymond Smullyan, logico e
prestigiatore pittoresco, che è anche una sp ecie di taoista, in un mo do suo p ersonale. Di Smullyan
seguiranno altri due brani, ugualmente profondi e go dibili. Il dialogo app ena letto è tratto da The
Tao is Silent, una raccolta di scritti che illustrano ciò che accade quando un logico o ccidentale
incontra il p ensiero orientale. Il risultato è insieme p erscrutabile e imp erscrutabile (com’era da
prevedersi).
Esistono senza dubbio molte p ersone religiose che considererebb ero questo dialogo blasfemo al
massimo grado, così come alcune p ersone religiose p ensano che sia blasfemo aggirarsi in una chie-
sa con le mani in tasca. Noi p ensiamo invece che questo dialogo sia pio, che sia una profonda
dichiarazione religiosa su Dio, sul lib ero arbitrio e sulle leggi della natura, blasfema solo a una let-
tura sup ercialissima. Nel corso del dialogo, Smullyan (p er b o cca di Dio) lancia parecchie frecciate
contro il p ensare confuso o sup erciale, contro le categorie preconcette, le risp oste semplicistiche,
le teorie p omp ose e le rigidezze moralistiche. In realtà, stando a ciò che Dio sostiene nel dialogo,
dovremmo attribuirne il messaggio non a Smullyan, b ensì a Dio. È Dio, che parla p er b o cca di
Smullyan, il quale a sua volta parla p er b o cca di Dio, che ci ore il suo messaggio.
Proprio come Dio (o il Tao, o l’universo, se si preferisce) ha molte parti, ciascuna col suo lib ero
arbitrio io e voi ne siamo esempi , così ciascuno di noi ha a sua volta parti interne dotate di
un loro lib ero arbitrio (b enché queste parti siano meno lib ere di noi). Ciò è soprattutto chiaro nel
conitto interiore del Mortale, incapace di decidere se “egli” vuole o non vuole p eccare. Vi sono
“p ersone interne” homunculi o sottosistemi che lottano p er il controllo.
Il conitto interiore è uno degli asp etti più familiari e allo stesso temp o meno compresi della natura
umana. Un famoso slogan p er una marca di patatine fritte suonava così: “Scommettiamo che non
ce la fate a mangiarne una sola!”, un mo do breve ed ecace p er ricordarci le nostre divisioni
interne. Ci mettiamo a risolvere un rompicap o avvincente (p er esempio il famoso “cub o magico”)
ed ecco ci prigionieri: non riusciamo più a metterlo giù. Cominciamo a suonare un brano musicale
o a leggere un b el libro e non riusciamo a smettere, anche se sappiamo che ci asp ettano molte altre
cose urgenti da sbrigare.
Chi è che comanda qui? Esiste un qualche essere complessivo in grado di imp orre ciò che accadrà?
O c’è solo anarchia, scariche disordinate di neuroni, e sia quel che sia? La verità deve stare in
qualche punto intermedio. Certamente l’attività del cervello consiste appunto nelle scariche dei
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neuroni, così come l’attività di una nazione consiste nella somma delle azioni compiute dai suoi
abitanti. Ma la struttura del governo che è a sua volta un insieme di attività di individui
imp one un p otente tip o di controllo dall’alto verso il basso sull’organizzazione del complesso.
Quando il governo diventa tropp o autoritario e quando abbastanza p ersone sono veramente in-
so ddisfatte, allora c’è la p ossibilità che la struttura globale sia attaccata e crolli: una rivoluzione
interna. Ma p er lo più le opp oste forze interne giungono a compromessi di vario tip o, talvolta
trovando il giusto mezzo fra due alternative, talvolta avvicendandosi al p otere e così via. I mo di in
cui si può giungere a questi compromessi a loro volta caratterizzano fortemente il tip o di governo.
Lo stesso vale p er le p ersone: lo stile con cui vengono risolti i conitti interni è uno dei tratti più
caratteristici della p ersonalità.
È un mito diuso che ogni p ersona dia un’unità, una sorta di organizzazione unitaria con volontà
propria. Una p ersona è invece un amalgama di molte sottop ersone, ciascuna con una volontà
propria. Le “sottop ersone” sono assai meno complesse della p ersona complessiva e di conseguenza
hanno problemi di disciplina interna molto meno gravi. Se sono a loro volta divise, è probabile
che le loro parti comp onenti siano così semplici da p ossedere loro sì un’unica volontà; e se no, si
può continuare a scendere la scala. Questa organizzazione gerarchica della p ersonalità è cosa che
non lusinga molto la nostra dignità, ma vi sono molte prove a suo favore.
Nel dialogo, Smullyan se ne esce con una splendida denizione del Diavolo: il temp o disgrazia-
tamente lungo che ci vuole p erché un essere senziente nella sua totalità giunga all’illuminazione.
Questa idea del temp o necessario p erché si manifesti uno stato complesso è stata studiata sotto il
prolo matematico da Charles Bennett e Gregory Chaitin. Secondo la loro aascinante teoria, è
forse p ossibile dimostrare, con argomenti simili a quelli che stanno a fondamento del Teorema di
Incompletezza di Gö del, che non esistono scorciatoie nello svilupp o di intelligenze sempre più ele-
vate (o, se si preferisce, di stati sempre più “illuminati”); in breve, che si deve pagare al “Diavolo”
il suo tributo.
Verso la ne del dialogo, Smullyan to cca argomenti che abbiamo arontato nel corso di tutto
questo libro: il tentativo di conciliare il determinismo e la “causalità verso l’alto” delle leggi della
natura con il lib ero arbitrio e la “causalità verso il basso” che tutti noi sentiamo di esercitare.
L sua acuta osservazione che sp esso diciamo “Sono nella determinazione di far questo” quando
vogliamo dire “Ho scelto di far questo” lo p orta alla spiegazione del lib ero arbitrio che prende le
mosse della dichiarazione di Dio che “il determinismo e la scelta sono molto più vicini tra loro
di quanto p otrebb e sembrare”. La riconciliazione che Smullyan op era elegantemente tra queste
opp oste concezioni si basa sulla nostra accettazione di cambiare punto di vista, di smettere di
p ensare in mo do “dualistico” (cio è di suddividere il mondo in parti come “me” e “non me”) e di
vedere l’universo come una totalità priva di conni, in cui le cose uiscono l’una nell’altra e si
sovrapp ongono, senza margini o categorie chiaramente deniti.
È un punto di vista che a tutta prima suona strano in b o cca a un logico, ma in n dei conti chi ha
mai detto che i logici siano sempre rigidi e rigorosi? Perché non dovrebb ero essere proprio i logici,
più di chiunque altro, a capire i luoghi dove la logica nitida e alata si troverà necessariamente
in dicoltà di fronte a questo universo caotico e disordinato? Una delle tesi favorite di Marvin
Minsky è che “la logica non vale p er il mondo reale”. In un certo senso questo è vero. Si tratta
di una delle dicoltà che fronteggiano i ricercatori d’intelligenza articiale, i quali cominciano a
rendersi conto che nessuna intelligenza può essere basata solo sul ragionamento; o meglio, che il
ragionamento isolato è imp ossibile, p oiché esso dip ende dal precedente allestimento di un sistema
di concetti, p ercezioni, classi, categorie li si chiami come si vuole in base ai quali viene
capita ogni situazione. È qui che entrano in gio co le inclinazioni e le scelte. Non solo la facoltà
razio cinante deve essere disp osta ad accettare le prime caratterizzazioni di una situazione che
la facoltà p ercettiva le p orge; se p oi il razio cinio ha dei dubbi su quell’imp ostazione, la facoltà
p ercettiva deve essere a sua volta disp osta ad accettare tali dubbi e a tornare sui propri passi
p er reinterpretare la situazione, creando in tal mo do una circolazione continua tra i diversi livelli.
Questa interazione tra il sottosé p ercipiente e il sottosé razio cinante dà luogo a un sé totale: il
Mortale.
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Carissimo Luigggione quella tiritera di parole è solo l’intento per farti rilassare la mente….
Più di una volta io sono stato ebbro, le mie passioni non sono lontane dal delirio, e di queste due cose io non mi pento perché ho imparato a capire che tutti gli uomini straordinari che hanno compiuto qualcosa di grande, e che pareva impossibile, sono stati in ogni tempo ritenuti ebbri o pazzi. Ma, anche nella vita comune è insopportabile sentir dire, ogni volta che qualcuno sta per compiere un’azione libera, nobile, inattesa: “Quell’uomo è ubriaco, è pazzo!”.
Vergognatevi, uomini sobri e savi!
— Johann Wolfgang Goethe