Destinati ad esistere

I legami che ci vincolano a volte sono impossibili da spiegare.
Ci uniscono anche quando sembra che si debbano spezzare.
Certi legami sfidano le distanze, il tempo e la logica perchè ci sono legami che sono semplicemente destinati ad esistere.

“Grey’s Anatomy”

Voglio e non voglio: un flusso di coscienza

Dr. Massimo Lanzaro

Non voglio “fuggire” da situazioni che percepisco come immodificabili nei momenti di affaticamento o demoralizzazione (se e fino a quando non e’ inevitabile)
Voglio consentire alla mia anima di saper sempre decider tra opposte situazioni, in scioltezza ed armonia, per quanto possibile
Non voglio reagire a situazioni frustranti con avversione, ansia, orrore
Voglio che il superego (..ingiunzioni, frammenti e parti primitive amate e odiate, giudizi di valore, frammenti di minacce.. che risuonano nelle nostre orecchie mentali dal primo all’ultimo anno di vita) sia trasformato da astrazione teorica, che possiamo solamente comprendere, in realtà fenomenica… ..così da poterlo usare come.. segnale d’allarme – invece di essere usati e forse distrutti da esso
Voglio continuare ad esistere (emergere) nel mondo con le mie forze
Non voglio vivere agglutinativamente o dimorare in dimensioni inventate o imposte da persone inconsapevoli, e ignorare la differenza tra quanto appartiene ad altri e quanto invece fa parte dell’essere se stessi
Voglio consentirmi di metabolizzare le cose e decodificare le mie esperienze senza fretta e senza pressioni
Non voglio alcuna situazione persecutoria nella quale ognuno di noi è intrappolato prima ancora di esistere
Voglio potermi muovere dalle profondità di me stesso verso la superficie del mio cosiddetto aspetto sociale e che questo consenta un’esistenza attiva ed il piu’ possible libera
Non voglio nessuna implicita o esplicita proibizione a sperimentare anche la mia solitudine nel mondo
Non voglio vivere nella perenne incertezza
Voglio un criterio che valga in un mondo che ha trasformato tutte le misure
Non voglio che il mio pensiero divenga inerme, come piace a chi fa schiavi gli uomini, ai burocrati e ai gerarchi
Voglio modificare le situazioni secondo i bisogni miei e delle persone che amo, non secondo quello che gli altri piu’ o meno inconsciamente si aspettano (o si aspettavano) da “me”

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Gli ostacoli

Le difficoltà e gli ostacoli, se propriamente intesi e correttamente usati, si rivelano fonte insospettata di forza.

Sogyal Rinpoche

Giuliano Giuggioli

Grande artista contemporaneo

GIULIANO GIUGGIOLI
di Vittorio Sgarbi

L’arte di Giuliano Giuggioli riveste interesse in quanto le sue immagini scaturiscono da una cultura interiorizzata ricollegabile all’iconografia surrealista, da cui tuttavia egli si differenzia per un atteggiamento più romantico e letterario, abbastanza prossimo alle elaborazioni visive di Max Ernst.
La sua operatività febbrile lo rende infatti alieno dagli automatismi, scegliendo piuttosto la riaffermazione visiva di una mitologia rivelatrice non solo delle profondità dell’inconscio, ma anche della persistenza della memoria della letteratura classica, così come è percepita nelle prime letture fatte da ragazzo.

Se questi dati contribuiscono alle premesse creative di un esercizio quasi concettuale della fantasia, dal punto di vista stilistico Giuggioli imprime ai suoi lavori una corposità sensuosa, neobarocca, evocativa di un’ arcaicità fuori della storia, che si attua in assunti scenografici proposti visivamente come una concreta esperienza di viaggio nel tempo e nello spazio. I suoi lavori sono quanto mai avvincenti , in quanto propongono una situazione antinaturalistica, che ricorda molto da vicino quello che teorizzava Alberto Savinio, per il quale la cosa dipinta va tenuta lontana dai pericoli della natura. Nel senso proprio di questo ammonimento antidogmatico, Giuggioli ama evidenziare una sorta di quella divina incertezza che si situa ben al di là dell’irrazionalismo, e che spinge l’impaginazione dei suoi paesaggi mentali nel territorio di una costante verifica e messa in discussione dei loro stessi valori narrativi.

Il percorso pittorico di questo artista si sviluppa negli ambiti eterogenei di una formazione culturale che attiene anche all’interpretazione onirica di una vissuto archetipico. Facendosi coscientemente coinvolgere da una realtà fantasticata, egli opera una mediazione visiva per ottenere una rappresentazione quasi sacrale, dove la sua esplorazione nel mito si riveste di una dimensione archeologica, ovvero del senso di una riscoperta oggettiva. Ma le sue ricognizioni sono comunque serene a causa del gioco mentale che le guida, e si mantengono sul filo di un’ironia sottile e di un distaccato senso dell’assurdo, come nel caso de La casa dei gemelli, o come nell’opera magicamente sospesa de La notte prima dell’inaugurazione. Giocando sui simboli dell’inconscio in Archeologia industriale, o in Preparativi per la partenza, Giuggioli mostra tutta la sua attenzione agli aspetti più scenografici della raffigurazione, che comunque riferisce dei suoi stessi viaggi interiori, riportati su un territorio famigliare. Sono quindi evocati i particolari di una città o di un interno, che sostanziano una visione metafisica, o che alludono a un evento del tutto insolito. Quando ad esempio la sua cultura lo riporta nell’antichità romana, e quindi a paesaggi come Il Restauro, avviene una ricostruzione ludica della nobile architettura, fatte con i legnetti colorati dai bambini e giocata sui contrasti cromatici. Il nucleo della ricerca espressiva di Giuliano Giuggioli sta proprio nella confutazione del reale e nella tipologia immaginifica della sua pittura, alla quale il suo colorismo conferisce una bellezza infuocata.

 

 

Ancora sul gioco degli scacchi

“Secondo la dottrina esoterica gli scacchi rappresentano la battaglia interiore tra luce e tenebre.  Se guardiamo alle mosse, è chiaro che il Bianco muove sempre per primo. Il Bianco rappresenta la Luce, l’anima pura, l’energia sacra che abbiamo al nostro interno. Il Nero invece, alchimisticamente, rappresenta la Nigredo, la Nera Notte dell’Anima, la morte spirituale che dobbiamo affrontare in vista della Resurrezione. Tra Gnosticismo, Kemetismo e Neoplatonismo, la Scacchiera riproduce perfettamente questo dualismo, al punto che il pavimento a scacchi bianchi e neri è presente ancor oggi nei Templi Massonici (nonché nella chiesa di Rennes-le-Château). Il bianconero richiama lo Yin-Yiang e le 64 caselle sono chiaramente ispirate all’I-Ching (che ha 64 esagrammi), ma anche al Pitagorismo. Comunque sia, il Bianco, per dirla all’egiziana, rappresenta la Luce, il Sole, l’anima pura: Horus. Il Nero invece è associato al Caos, al Male, al disfacimento: Seth.”

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Gli scacchi, nell’arte

Carissimi, sul tema espresso dal gioco degli scacchi, vi suggeriscmo questo interessante link…

http://www.guidecampania.com/dellaragione/articolo47/articolo.htm

Quando il bambino…

«Quando il bambino era bambino, | se ne andava a braccia appese, | voleva che il ruscello fosse un fiume, | il fiume un torrente, | e questa pozza, il mare. || Quando il bambino era bambino, | non sapeva di essere un bambino, | per lui tutto aveva un’anima | e tutte le anime erano un tutt’uno. || Quando il bambino era bambino, | su niente aveva un’opinione, | non aveva abitudini, | sedeva spesso a gambe incrociate, | e di colpo sgusciava via, | aveva una vortice tra i capelli | e non faceva facce da fotografo.|| Quando il bambino era bambino,| era l’epoca di queste domande:| “Perché io sono io e perché non sei tu?| Perché sono qui e perché non sono li?| Quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?| La vita sotto il sole è forse solo un sogno?| Non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo quello che vedo, sento e odoro?| C’è veramente il male e gente veramente cattiva?| Come può essere che io che sono io non c’ero prima di diventare?| E che una volta io che sono io non sarò più quello che sono?»

Peter Handke

La famiglia che uccide

Nel 1973 lo psichiatra americano Morton Schatzman, ha scritto un testo intitolato “Soul Murder” (Omicidio di anima), che, nello stesso anno, in Italia è stato pubblicato da Feltrinelli col titolo “La famiglia che uccide”.

In questo libro Schatzman descrive ed interpreta il caso di Daniel Paul Schreber (1842 – 1911), un famoso giudice tedesco, Presidente della Corte di Appello di Dresda, che fu seguito da Sigmund Freud.

Il giudice Schreber, all’età di 42 anni impazzì, fu curato, migliorò la sua salute, ma, otto anni dopo, ebbe una grave crisi, dalla quale, sembra, non si riprese mai del tutto e non fu più possibile definirlo una persona “normale”.

La pazzia di Schreber fu classificata come “un caso di paranoia e schizofrenia”. La malattia presentava, tra l’altro, una forma di delirio molto complesso, che l’autorità giudiziaria, alla quale Schreber si era rivolto, chiedendo di essere dimesso, descrisse come segue: “Egli ritiene di essere chiamato a redimere il mondo e a restituire ad esso la perduta beatitudine …”.
Riteneva di essere un illuminato, di essere ispirato direttamente da Dio, viveva continuamente “miracoli” e, come spesso accade per le psicosi, al di fuori di queste sue idee, conservava ottime capacità intellettuali e non aveva perduto le sue competenze in campo legale e giuridico. Trascorse tredici anni delle sua vita in ospedali psichiatrici e vi morì. Pubblicò un libro “Memorie di un nevropatico”, nel quale descriveva le sue idee; scrisse di se stesso: “Quando la mia malattia di nervi sembrava pressoché incurabile, raggiunsi la convinzione che un assassinio di anima era stato compiuto su di me da parte di qualcuno”.

Allargando un po’ il punto di osservazione, rileviamo che il fratello maggiore di Daniel Paul Schreber, che si chiamava Daniel Gustav, era anche lui malato di mente, e si suicidò sparandosi all’età di trentotto anni. Si disse allora che soffriva di “melanconia”.

Ci domandiamo quindi in quale famiglia sono cresciuti questi due uomini (uno pazzo, l’altro suicida) e che cosa può essere successo durante la loro infanzia.

Cominciamo a dire che in certe famiglie malate, le condizioni di vita dei bambini sono insopportabili. In queste situazioni tutti i giorni viene calpestata la personalità del bambino, viene represso ogni suo istinto, la mancanza di rispetto diventa la regola. In altri casi ci sono anche violenze e abusi sessuali. Allora può capitare che il bambino, che non può sottrarsi o difendersi dalla situazione in cui vive, si inventi un mondo fantastico e delirante nel quale evadere, e poi perda la strada per vivere la realtà.

Tornando alla famiglia Schreber, arriviamo così al padre, Daniel Gottlieb Moritz Schreber (1808 – 1861), un famoso medico tedesco e uno studioso di pedagogia. Le sue teorie ebbero molto successo in Germania; anche dopo la sua morte furono considerate, per parecchie decine di anni, un valido riferimento per i genitori. Le sue idee oggi, esaminate da Alice Miller, psicoanalista svizzera, sono state definite “Pedagogia Nera”.

Il Dottor Schreber padre scrisse diversi libri sull’educazione dei bambini, partendo dall’idea che la società tedesca di allora fosse “fiacca” e “in decadenza”, e che questo fosse in gran parte causato dalla debolezza e mancanza di disciplina, con le quali venivano allevati i bambini. Elaborò “speciali mezzi educativi” che dovevano portare i bambini ad obbedienza acritica e sottomissione totale ai genitori e agli adulti in genere. Trattò i propri figli come sudditi di un dittatore crudele. Pensava che in questo modo, la società e la “razza tedesca” sarebbero migliorate.

Le idee di base del Dottor Schreber riflettevano, amplificandole come in una caricatura, le ideologie condivise dalla società borghese europea dell’Ottocento. In questo quadro di riferimento, gli uomini adulti hanno il diritto (anche Dio è maschio)di comandare sulle mogli e sui figli; i bambini vanno educati alla disciplina già a partire dal quarto mese di vita; qualsiasi manifestazione di volontà autonoma del bambino deve essere annullata; tutti devono aver fede nel Dio dei cattolici.

Scriveva Schreber padre: “Il cattivo contegno di un bambino diverrà nell’adulto una grave mancanza di carattere che apre la via al vizio e alla bassezza”.
Attraverso i metodi educativi di Schreber si doveva arrivare ad un adulto che fosse capace di autodeterminazione. Il risultato ottenuto su suo figlio fu descritto dal direttore del manicomio che lo aveva in carico: “Il paziente era completamente sotto il potere di opprimenti influenze patologiche”.

L’educazione di Schreber padre doveva portare alla “obbedienza inconscia e incondizionata”, cioè immediata, automatica, senza critiche né osservazioni.
Shatzman l’ha descritta come “persecuzione infantile”.

Lo scopo dell’educazione di Schreber padre era: “Diventare padrone del bambino per sempre”. Fin dai primi mesi di vita, se il bambino faceva qualcosa di “sbagliato” (ad esempio mangiare un dolce) i genitori dovevano “distrarre e sottrarre”, che significa togliere dalla vista del bambino il dolce e farlo distrarre facendogli fare qualcos’altro.

Ogni disobbedienza del bambino andava annotata in una lavagna posta nella sua stanza, dove veniva anche scritta la punizione che, a fine giornata, sarebbe stata impartita.

Il padre doveva parlare “con disprezzo” al bambino che non obbediva e guardarlo con “minaccia e disapprovazione”.

La filosofia di Schreber padre si può riassumere nel proverbio: “Un punto a tempo ne risolve cento”, e cioè interventi educativi precoci, immediati, repressivi. Come lui stesso scrisse: “Tutte le ignobili o immorali emozioni devono essere stroncate al loro primo apparire”.

Ogni gesto del bambino doveva essere controllato e corretto. Schreber padre aveva inventato una serie di strumenti per controllare la posizione assunta dal corpo del bambino. Così il “Reggitesta” era una fascia che si attaccava, da una parte ai capelli del bambino, dall’altra alla cintura impedendo al bambino di abbassare la testa. Il “Raddrizzatore della schiena” era un supporto metallico e spigoloso da collegare al tavolo, in modo che il bambino fosse costretto a stare dritto, per non urtare il metallo del supporto.
I bambini dovevano dormire sempre a pancia in su, per evitare che la pressione del materasso sui genitali potesse eccitarli; così Schreber padre mise a punto una serie di legacci per tenere i bambini fermi a letto. E se i bambini tenevano le spalle basse, ecco il “Raddrizzaspalle” che consisteva in cinghie di cuoio e molle di metallo, legate attorno alle braccia e poi passate dietro la schiena, in modo da provocare dolore se si abbassavano le spalle.

Per evitare “mollezze e tentazioni alla sensualità”, era meglio che i bambini dormissero in stanze non riscaldate. Le pulizie personali dei bambini andavano sempre fatte con acqua fredda. A partire dal sesto mese di età, “per irrobustire il bambino” anche l’acqua del bagno doveva essere fredda. E siamo in Germania e non ai Caraibi.

Si doveva far attenzione a che i bambini usassero in modo uguale le due parti del corpo; fargli fare “esercizi visivi” per imparare a osservare come volevano i genitori; far usare a lungo un giocattolo prima di sostituirlo con un altro; non far avvicinare i bambini all’arte che ne potrebbe sviluppare troppo la sensibilità e le emozioni, distraendoli quindi dai loro doveri; si doveva controllare anche come i bambini salivano le scale, per vedere se usavano il corpo in modo simmetrico.

Per evitare i “danni delle polluzioni notturne insane e debilitanti” e le tentazioni della masturbazione, oltre ai bagni freddi, se si riscontrava una certa agitazione serale nel bambino, gli si doveva praticare un clistere di acqua gelata, da trattenere a lungo, prima di andare a letto.

Nello stesso tempo si invitava il bambino alla preghiera, affinché fosse “eccitato dalla presenza di Dio” e provasse la “voluttà dell’anima” piuttosto che quella del corpo.

Questi sono soltanto pochi accenni al tipo di educazione e al tipo di famiglia dove Daniel Paul Schreber è cresciuto. Un ambiente sessuofobico, malsano, sadico, morboso, intriso da fanatismo religioso. E, considerando che, le persone tendono a ripetere coattivamente per tutta la vita le forme di relazione umana imparate in famiglia durante l’infanzia, possiamo ben comprendere come questo “omicidio di anima” sia potuto avvenire.

Dr. Roberto Vincenzi
Morton Schatzman
“La famiglia che uccide”
Feltrinelli, Milano 1973

I pensieri più cupi

E’ all’alba che vengono i pensieri più cupi, quando nel cielo la notte fa posto al chiarore del giorno…quando ancora tutto è in penombra. C’è silenzio…ma non nella tua mente, l’alba ti porta i ricordi… ti mostra i tuoi sbagli…
Sei li’.. il sole non è sorto ancora ma dentro te sta sorgendo un’identità nuova
perchè questa luce che non c’è ti mostra nudo… e non puoi mentire, almeno a te stesso,
Poi senti gli uccelli cantare… li hai mai sentiti gli uccelli cantare all’alba? Hanno un canto particolare, si svegliano, e con il loro cantare forse vogliono ringraziare.
E’ una musica che va dritta al cuore dimentico i pensieri….accantonati per la prossima alba….è tempo di ricominciare un altro giorno un’altra storia….ma quei momenti prima che spuntasse il sole… sono i miei momenti…quelli veri, profondi.
Il sole si è fatto alto… gli uccelli non cantano più, è ora di cominciare a vivere e come ogni giorno farò in modo che sia un buon giorno.
Gisella Migliaccio

Se imparassimo

Guardo senza vedere. Aspetto senza un’attesa. Fermo sulla piccola poltroncina rossa, in sala d’attesa del medico, mi sospendo. Prendo tempo. Da me stesso. Dalle mie invisibili malinconie. Davanti a me è seduto un ragazzo.
Silenzioso anche lui. Lo sento addosso che mi guarda.
Mi alzo per il mio turno, il mio nome è stato scandito bene dalla segretaria. Sto per uscire dalla stanza, lui si fa audace e mi augura buona vita. Forse lo dice a chiunque ed è solamente una schiocchezza. Eppure l’ho trovato delicatamente emozionante. Avrà avvertito un mio disagio. L’ho nel volto o semplicemente si è specchiato nel suo. Mi ha teso una mano, abbracciato con le parole.
Se solo imparassimo ad uscire dal nostro misero e solitario individualismo. Se imparassimo a viverci in comunione con il prossimo, senza alcun timore. Uniti e collegati gli uni con gli altri…

MLP

L’Amore

Spesso, durante la mia esperienza medica come nella mia vita, mi sono trovato faccia a faccia con il mistero dell’amore e non sono stato mai capace di spiegare cosa fosse… L’amore è nello stesso tempo quanto vi è di più grande e di più piccolo, di più lontano e di più vicino, di più alto e di più basso; e non possiamo discutere di un suo aspetto senza parlare anche dell’altro. Nessun linguaggio può esprimere questo paradosso. Qualunque sia il nostro linguaggio le parole non esprimono mai il tutto. Parlare unicamente di uno dei suoi aspetti è troppo o troppo poco, poiché soltanto il tutto ha un significato. L’amore “porta ogni cosa”. Queste parole dicono tutto quello che si può dire; non c’è nulla da aggiungerci.

Carl Gustav Jung

Il tuo unico dovere…

Il tuo unico dovere, è salvare i tuoi sogni.
A. Modigliani