Il vero viaggio

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.

Marcel Proust

15 Risposte

  1. Proust dicendo occhi intendeva certamente l’anima. E’ evidente che lo scoprire se stesso è l’unico, vero viaggio che l’uomo può fare in questa vita, il resto è perditempo. Trovarsi vecchi e non sapere ancora dove andare è come chi torna nella propria città dopo un terremoto che ha distrutto tutto. Si è smarriti, persi in un dilagare di paure e angosce che la mente non può più narcotizzare con le sue illusioni. Trovare se stessi è come arrivare in una terra vergine ricca di doni dove tutto è a portata di mano, basta stendere il braccio.

  2. come direbbe il nostro amitissimo prof. Gabriele….. tenere sempre puliti gli occhi dell anima.. un abbraccio a tutti. g.luca

  3. ODE: INTUIZIONI D’ IMMORTALITA’ DA RICORDI DELLA PRIMA GIOVENTU’ – WILLIAM WORDSWORTH

    I
    C’era un tempo in cui prato, bosco, e ruscello,
    la terra, e ogni essere comune
    a me sembravano
    ornati da una luce celestiale,
    la gloria e la freschezza di un sogno.
    Non è più com’era prima; –
    dovunque mi volgo,
    di giorno o di notte,
    le cose che ho visto ora non riesco più a vedere.

  4. II
    L’arcobaleno viene e va,
    ed è amabile la rosa;
    la luna con diletto
    si guarda intorno quando i cieli sono vuoti;
    le acque nelle notti stellate
    sono belle e serene;
    l’alba è una nascita gloriosa;
    eppure so, dovunque vada,
    che una gloria è scomparsa dalla terra.

  5. III
    Così, mentre gli uccelli cantavano una tale canzone gioiosa,
    e mentre i giovani agnelli saltellavano
    come al suono del tamburello,
    solo per me venne un pensiero triste:
    un’espressione tempestiva diede sollievo a quel pensiero,
    e subito tornai sereno:
    le cascate soffiano nelle loro trombe dalla cima;
    non più la mia pena offenderà la stagione;
    sento gli eco rimbombare sui monti,
    i venti vengono verso di me dai campi del riposo,
    e tutta la terra è felice;
    terra e mare
    si danno alla gioia,
    e con cuore di maggio
    ogni bestia è in festa; —
    tu, bambino di gioia,
    urla intorno a me, fammi sentire le tue urla, tu felice
    pastorello!

  6. IV

    Creature benedette, ho sentito la chiamata
    fatta per ognuno di voi; vedo
    i cieli ridere con voi del vostro giubilo;
    il mio cuore partecipa alla tua festa,
    la mia testa ha la sua corona,
    sento la pienezza della vostra beatitudine, la sento tutta.
    OH! giorno maledetto! Se io fossi triste
    mentre la terra si adorna,
    in questa dolce mattina di maggio,
    e i bambini stanno cogliendo
    su ogni lato,
    in migliaia di valli lontane e vaste,
    fiori freschi; mentre il sole splende caldo,
    e il bambino salta tra le braccia di sua madre
    sento, sento, con gioia sento!
    – ma c’è un albero, fra i tanti, ce n’è uno,
    e c’è un singolo campo su cui il mio sguardo s’è posato,
    entrambi parlano di qualcosa che è passato:
    la viola ai miei piedi
    ripete la medesima domanda:
    dov’è scappato il lampo di quella visione?
    dove sono ora, la gloria e il sogno?

  7. V
    La nostra nascita non è che sonno e oblio:
    l’anima che si alza con noi, la stella della nostra vita,
    altrove ha dimorato,
    e viene da lontano:
    né nell’intera dimenticanza,
    e né nella completa nudità,
    ma nelle nuvole trascinanti di gloria noi veniamo
    da Dio, che è la nostra casa:
    il cielo ci circonda nella nostra infanzia!
    le ombre della casa-prigione iniziano a chiudersi
    sopra il bambino che cresce,
    ma lui contempla la luce, e da dove sgorga,
    la guarda attraverso la sua gioia;
    il giovane, che giornalmente dal lontano oriente
    deve viaggiare, è ancora il sacerdote della natura,
    e dalla visione stupefacente
    è accompagnato nel cammino;
    non tarda l’uomo a percepirne il morire,
    e lo svanire nella luce di un giorno comune.

  8. VI
    La terra riempie il grembo d’ogni suo diletto;
    lei spontaneamente prodiga i suoi affetti,
    e, con premure simili a quelle di una madre,
    e senza alcun fine indegno,
    fa quel che può l’inesperta nutrice
    Per far dimenticare al suo figliastro, al suo ospite, l’uomo,
    le forme gloriose che ha conosciuto,
    e quel palazzo imperiale donde proviene.

  9. VII
    Eccolo il bambino tra le sue nuove beatitudini,
    un caro ragazzo di sei anni di un’altezza pigmea!
    Eccolo, in mezzo alle costruzioni da lui stesso erette,
    logorato dai baci di sua madre,
    e illuminato dagli sguardi del padre!
    Guardate, ai suoi piedi, alcuni piccoli progetti o piani,
    alcuni frammenti dal suo sogno di vita umana,
    formata da lui stesso con arte appena conosciuta;
    un matrimonio o una festa,
    un lutto o un funerale;
    e questo ora occupa il suo cuore,
    su questo lui ora modula il suo canto:
    più tardi lui adatterà la sua lingua
    ai dialoghi di affari, d’amore, di litigi;
    ma non tarderà molto
    a stancarsi di questo,
    e con nuova gioia e con orgoglio
    il piccolo attore sceglierà un’altra;
    riempirà di volta in volta “L’esilarante palcoscenico”
    fino alla torbida vecchiaia, di tutti i personaggi
    che la vita porta con sé al suo seguito;
    come se la sua intera vocazione
    fosse una imitazione senza fine.

  10. VIII

    Tu, la cui sembianza esteriore tradisce
    l’immensità della tua anima;
    tu, migliore tra i filosofi, che conservi
    la tua eredità, tu occhio che vede in mezzo ai ciechi,
    che, sordo e silenzioso, leggi nella profondità dell’eterno,
    per sempre inseguito dallo spirito eterno,
    tu, potente profeta! veggente benedetto!
    sul quale queste verità riposano,
    verità che tutta la vita fatichiamo per scoprire, noi
    Persi nelle tenebre, le tenebre della tomba;
    tu, su cui l’immortalità incombe
    come l’alba, come il padrone sullo schiavo
    come una presenza che non può passare inosservata;
    Tu, per il quale la tomba
    non è altro che un letto solitario privo del senso o della vista
    del giorno o la luce calda,
    un luogo di meditazione dove noi giaciamo aspettando;
    tu, piccolo bambino, eppur glorioso nella potenza
    della libertà nata dal cielo sull’altezza del tuo essere,
    perché con tale onesto zelo provochi
    gli anni da portare l’inevitabile giogo,
    sebbene ciecamente ciò osteggia la tua beatitudine?
    Presto la tua anima avrà il suo carico terrestre,
    e l’abitudine graverà su di te con un peso
    pesante come il gelo, profondo quasi come la vita!

  11. IX
    O gioia! che nelle nostre ceneri
    c’è qualcosa che vive,
    che la natura ancora ricorda
    ciò che era così fuggitivo!
    Il pensiero dei nostri anni passati in me segna
    la perpetua benedizione: né infatti
    per quello che è più degno di essere benedetto;
    il benessere e la libertà, il semplice credo
    dell’infanzia, sia inquieta che tranquilla,
    che pervasa ancora da una nuova speranza nel suo petto:—
    non per questo io innalzo
    il canto di ringraziamento e preghiera;
    ma per quelle ricerche ostinate
    di sensazioni e cose esteriori,
    che cadono da noi, svanendo;
    quei vaghi presagi di una creatura
    che erra in mondi che non sono reali;
    quegli alti istinti dinanzi ai quali la nostra natura mortale
    tremò come un colpevole sorpreso nel misfatto:
    ma per questi primi affetti,
    per quei ricordi confusi,
    che, siano ciò che siano,
    sono pur sempre la fonte di luce di tutti i nostri giorni,
    sono ancora la luce maestra di tutte le nostre visioni;
    ci sollevano, ci curano, e hanno il potere di rendere
    i nostri giorni rumorosi attimi nell’essere
    dell’eterno silenzio: verità deste,
    che mai muoiono:
    che né la disattenzione, né le folli imprese,
    né l’uomo o il bambino,
    né tutto ciò che è nemico della gioia,
    potranno improvvisamente abolire o distruggere!
    Per questo, sebbene in una stagione calma
    noi siamo lontani dal mare,
    le nostre anime hanno visto quell’immortale mare
    da cui provengono,
    al quale possono far ritorno in un momento
    per vedere i bambini giocare sulla riva,
    e sentire le possenti acque sempre più in tumulto.

  12. X
    Allora cantate, uccelli, cantate, cantate una gioiosa canzone!
    e che saltellino i giovani agnelli
    come al suono del tamburello!
    Noi nei pensieri ci uniremo alla vostra moltitudine,
    voi che zufolate e voi che giocate,
    voi che oggi attraverso il vostro cuore
    sentite la contentezza del maggio!
    Che importa se il fulgore, che era una volta così luminoso,
    è ora per sempre sottratto al mio sguardo?
    Benché niente possa ridarmi l’ora
    di splendore nell’erba, di gloria nel fiore,
    noi non piangeremo, bensì troveremo
    la forza in ciò che rimane alle spalle;
    nella primordiale simpatia
    che essendo stata deve per sempre essere;
    nei pensieri confortanti che scaturiscono
    dalla sofferenza umana;
    nella fede che sa guardare oltre la morte,
    negli anni che portano la meditazione filosofica.

  13. XI
    E voi, sorgenti, prati, colline, e boschi,
    non temete alcuna separazione dei tanti nostri amori!
    Ancora nel mio cuore sento dei cuori la vostra potenza;
    ho solo rinunciato ad un diletto solamente
    per vivere sotto la vostra signoria.
    Amo i torrenti che si diramano scorrendo,
    anche più di quando saltellavo leggero come loro;
    l’innocente luminosità di un nuovo giorno
    è ancora amabile;
    le nuvole che si muovono intorno al sole che tramonta
    prendono il colore sobrio dagli occhi
    che hanno vegliato la mortalità dell’uomo;
    un’altra corsa v’è stata, e altri trofei sono stati vinti.
    Grazie al cuore umano per cui viviamo,
    grazie alla sua tenerezza, alla sua gioia, e alle paure,
    Per me il più umile dei fiori che sboccia sa dare
    pensieri che spesso giacciono troppo in profondità
    perché il pianto possa sgorgare.

  14. Grazie Valeria anche questa è una bella veritiera voce del tempo 😀

  15. abbiamo perso l’incanto per la vita..ora conosciamo solo una mononota che rende monotono questo nostro viaggio:”do”..ut des!giò

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