Nel vecchio parco gelido e deserto
sono appena passate due forme.
Hanno occhi morti, e labbra molli,
e le loro parole si odono a stento.
Nel vecchio parco gelido e deserto
due spettri hanno evocato il passato.
– Ricordi la nostra estasi d’allora?
– E perché vuoi che la ricordi?
– Batte ancora il tuo cuore solo a udire il mio nome?
Ancora vedi in sogno la mia anima? – No.
– Ah, i bei giorni d’indicibile felicità
quando univamo le nostre bocche! – Può darsi.
– Com’era azzurro il cielo, e grande la speranza!
– Vinta, fuggì la speranza, nel cielo nero.
Andavano così tra l’avena selvatica,
e le loro parole le udì solo la notte.
Paul Verlaine
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C’era una volta, sulla via della Sophia, l’interezza, la partecipazione, la complementarietà, la consustanzialità tra Magia e Scienza, tra Anima e Corpo, tra sè profondo e sè esteriore.
E’ possibile nell’oscurità ascoltare ancora le loro voci che flebili si interrogano, senza risolverlo, sul significato di un’ “indicibile” felicità trascorsa… E’ segno che è destino che tutto ritorni lì dove tutto ha avuto origine, in quella profondità insondabile, per rinascere ancora. E’ questo l’unico sogno “che non si decide a morire” e che fa ruotare il mondo: ” […]Veloce si alzò in me e si diffuse intorno a me la pace e la conoscenza che va oltre ogni argomento terreno, e io conosco che la mano di Dio è la promessa della mia […] (Da “canto di me stesso” di W. Whitman)