Impegno morale dello scrittore


“Il romanziere come lo scienziato deve essere insieme osservatore e sperimentatore, considera l’arte come una riproduzione oggettiva del reale governata dalle leggi della natura, rivendica l’impegno morale dello scrittore che, mettendo in luce le cause dei fenomeni sociali deve indurre la società stessa a intervenire per modificarli e migliorarli.”

Emile Zola

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9 Risposte

  1. Non sono affatto d’accordo con Zola, in questa maniera mette paletti all’arte. Già l’inizio “Il romanziere […] deve…” non mi piace. Deve? E chi lo dice? Il dovere del romanziere? I romanzieri sono liberi, a parere mio, in quanto artisti. non sono ragionieri che DEVONO far quadrare i conti e non sbagliare le denunce dei redditi. E trovo che il paragone con lo scienziato sia decisamente sbagliato.

  2. Da chimico un giorno avevo il potere
    di sposare gli elementi e di farli reagire,
    ma gli uomini mai mi riuscì di capire
    perché si combinassero attraverso l’amore,
    affidando ad un gioco la gioia e il dolore.

    […]

  3. …Mi prolungherò in un’autodettatura fino allo sfinimento, fino a quando non mi sarò rilassata…

    Da “I Barbari” di Alessandro Baricco, Spettacolarità

    Delizioso, quando si scollina e, in un libro, intravedi la discesa. per chi scrive e per chi legge.
    Non so se vi ho convinti, ma volevo spiegarvi che i barbari hanno una logica. Non sono una cellula impazzita. Sono un anumale che vuole sopravvivere, e ha le sue idee su quale sia l’habitat migliore per riuscirci. Per quello che ci ho capito io, il punto esatto in cui scatta la loro differenza è la valutazione di cosa possa significare, oggi, fare esperienza. Si potrebbe dire: incontrare il senso. E’ lì che loro non si riconoscono più nel galateo della civiltà che lòi aspetta: e che, ai loro occhi, riserva solo cervellotiche esperienze. E vuoti di senso. E’ lì che scatta questa loro idea di uomo orizzontale, di senso distribuito in superficie, di surfing dell’esperienza, di rete di sistemi passanti: l’idea che l’intensità del mondo non si dia nel sottosuolo delle cose, ma nel bagliore di una sequenza disegnata in velocità sulla superficie dell’esistente. Non saprei valutare se sia una buona idea o no, e forse non è nemmeno quello che voglio fare in questo momento: adesso mi interessa invece ricordare come tutti i tratti disturbanti e scandalosi che noi riconosciamo nello stile barbaro si motivino alla luce di quella prima mossa. Poi magari restano scelte che non condividiamo, ma è importante capire che sono sezioni di un paesaggio coerente, e fondato. mi rendo conto che dalle prime pagine di questo libro che vi sfinisco con questa storia della coerenza barbara, e che non sono una malattia senza spiegazioni, e che l’animale è uno, è inutile che stiate a giudicare solo la zampa sinistra, ecc., ecc.: ma, guardate, è l’unica possibilità di riscattare il fastidio e l’orrore per i barbari dalla inutilità dello sfogo da bar, e dalla vergogna dell’ironia intellettuale. Vi fa schifo il mare che sa di petrolio? E’ ora di capire che ogni volta che accendete il vostro SUV fate la prima mossa di una partita che finisce con il bagnetto al sapore di diesel. Ci sono delle premesse, e ci sono delle conseguenze. Ricucire le prime alle seconde, please. Un minimo di rigore, siamo mica al Processo del Lunedì.
    Così, quel che farò in questa benedetta discesa, è annotare tutta una serie di sintomi di barbarie e ricollocarli nel paesaggio che è il loro. Come si deceva puntate fa: attaccare le zampe al corpo, e l’urlo all’animale, e quella corsa a un’unica fame intelligente. Non la farò lunga. Sono quasi solo degli inizi di pensieri. Ma mi interessava dettarvi il gesto. Poi continuate un po’ voi se vi piace. pronti? Allora vado, in ordine sparso. Quel che viene, viene.

    1. Spettacolarità

    Dico spettacolarità, ma è per usare un eufemismo. In realtà parlo di tutta un’area di cose fastidiose che ruota intorno a espressioni come “seduzione, virtuosismo, doping”, e a aggettivi tipo “facile, piacione, ruffiano”. Che siano vini, modi di giocare a calcio, libri, o palazzi, cercate i commenti della civiltà delle invasioni barbariche e ci troverete spesso almeno una di quelle espressioni . Il disagio è autentico, e testimonia di una civiltà in cui, evidentemente, si era stabilita un’idea abbastanza precisa dell’equilibrio che ci deve essere, in qualsiasi artefatto, tra forza della sostanza e tratto seduttivo di superficie. Se volete, il termine totemico di kitsch definisce abbastanza bene il confine di quell’equilibrio: quando il tratto seduttivo straborda oltre il lecito o, peggio, si esibisce in assenza di qualsiasi sostanza degna di nota, scatta il kitsch. Tutto molto logico.
    Aggiungo una sfumatura che a me sembra fondamentale. Dovete ricordarvi di monsieur Bertin e di uno dei suoi ideali: la fatica. Ciò che spesso dà fastidio, nella spettacolarità, è il suo nesso con la facilità, e quindi con l’attenuarsi della fatica. E’ un fenomeno registrato dallo smottamento lessicale che spesso ci porta, con automatismo incauto, dalla parola spettacolare, o “dopato”, a parole come “piacione” o “ruffiano”. In realtà le cose non sono così semplici.

    Pensate a questo esempio: cosa c’è di più spettacolare e dopato della prosa di Gadda? Poco, in letteratura. E allora come mai, d’incanto, quelle espressioni ci sembrano, nel suo caso, tutt’altro che negative? Una delle risposte possibili è: perchè quella spettacolarità, e quell’uso dopato del linguaggio creano difficoltà, non facilità: moltiplicano la fatica e attraverso di essa conducono nel sottosuolo. In un certo senso sono il meglio che la civiltà sia portata a desiderare: tutto il piacere della spettacolarità, del virtuosismo, della seduzione, legittimato da una grande fatica, e da un riconoscibile viaggio in profondità. Bingo.
    ma la spettacolarità dei barbari non produce fatica. La spettacolarità, in quello che fanno, appare giusto come una scorciatoia, una facilitazione, una droga. In più, spesso, sembra effettivamente avvitata su una sostanza appena appena percepibile, comunque friabile, spesso proveniente da modelli forniti proprio dalla civiltà, rimasticati e erosi. Mettete le due cose insieme e avrete un’idea dello sdegno che prova l’uomo civilizzato quando si trova di fronte il barbaro.
    Dal punto di vista, è indubbio, ha ragione da vendere.
    Ma il punto di vista del barbaro, qual’è?
    Intanto lui della fatica, se ne frega. Non perchè è scemo (non sempre, là), ma perchè per lui, come abbiamo visto, non è un valore. O meglio, non essendo più un piacere, com’era per monsieur Bertin, non è un valore. Con una pervicacia che ha dell’ammirevole, il barbaro ha smesso di pensare che la via per il senso passi per la fatica, e che il sangue del mondo scorra in profondità dove solo un duro lavoro di scavo può raggiungerlo. A molti di noi continua a sembrare una posizione rischiosissima, ma sta di fatto che è così. Dunque il barbaro fa saltare uno dei criteri per avere in sospetto la spettacolarità. Il bello è come disintegra l’altro.

    Se, di fatto, voi credete che il senso si dia in forma di sequenza e con l’aspetto di traiettoria tracciata attraverso punti differenti, allora ciò che vi sta veramente a cuore è il movimento: la possibilità reale di spostarvi da un puntop all’altro nel tempo sufficiente a non far svanire la figura complessiva. Ora: da cosa è generato quel movimento, cosa lo mantiene vivo? La vostra curiosità, certo, la vostra voglia di fare esperienza: ma non basterebbero, credetemi. Il propellente di quel movimento è fornito, anche, dai punti in cui passa: che non consumano energia, come succedeva per monsieur Bertin (la fatica), ma la forniscono .
    In pratica il barbaro ha delle chances di costruire vere sequenze di esperienza solo se ad ogni stazione del suo viaggio riceve una spinta ulteriore: non sono stazioni, sono sistemi passanti che generano accelerazione. (Scusate il gergo da fisico, ma è per capirci. E’ fisica della mente, per così dire).
    Si potrebbe affermare che l’incubo del barbaro è rimanere invischiato dai punti in cui transita, o rallentato dalla tentazione di un’analisi, o addirittura fermato da un’inopinata deviazione verso la profondità. Per questo tende a cercare stazioni di passaggio che invece di trattenerlo, lo espellono. Cerca la cresta dell’onda, per poter surfare da dio. Dove la trova? Dove c’è quello che noi chiamiamo spettacolarità. La spettacolarità è un misto di fluidità, di velocità, di sintesi, di tecnica che genera un’accelerazione. Ci rimbalzi sopra, alla spettacolarità. Schizzi via. Ti consegna energia, non la consuma. Genera movimento, non lo assorbe.

    Il barbaro va dove trova la spettacolarità perchè sa che lì diminuisce il tempo di fermarsi. Dice: perchè lì diminuisce il rischio di pensare, ecco la verità. Sì e no. Pensa meno, il barbaro, ma pensa reti indubbiamente più estese. Copre in orizzontale il cammino che siamo abituati a immaginare in verticale. Pensa il senso, tale e quale a noi: ma a modo suo.
    Una volta ho letto questa frase: “per chi si arrampica sulla facciata di un palazzo, non c’è ornamento che appaia utilissimo”. Forse era Kraus, ma non ci giurerei. Comunque: è un’immagine che vi può aiutare a capire. ciò che la civiltà è abituata a considerare ornamento inessenziale, per il barbaro, che scala facciate e non abita palazzi, è divenuto sostanza. Non riuscirete mai a sfiorare il suo modo di pensare se non riuscite a immaginare che la spettacolarità, per lui, non è una qualità possibile di ciò che fa. E’ una precondizione dell’esperienza: non gli è quasi possibile accedere ad altro che a fatti dotati di quella capacità generatrice di movimento: fatti spettacolari. Se un tempo, dunque, l’equilibrio da salvaguardare era quello tra la forza di una sostanza e la seduzione della superficie, per il barbaro il problema si presenta in termini profondamente mutati: perchè per lui la seduzione è una forma di forza , e la superficie è il luogo, esteso della sostanza. Dove noi vediamo un’antitesi, o quanto meno due elementi di pasta diversa, lui vede un unico fenomeno. Dove noi cerchiamo una risposta, per lui non esiste la domanda.

    Così, quando la civiltà critica, nell’artefatto barbaro, il tratto ruffiano, dopato, facile, dice simultaneamente una cosa vera e una cosa falsa. E’ vero che quel tratto è presente, ma è falso che questo sia, quanto meno nella logica barbara, un difetto. E’ sostanza, non è accidente, si sarebbe detto un tempo. In quel tratto il barbaro disintegra il totem della fatica ( e tutta la cultura che ne conseguiva) e si assicura la sopravvivenza del movimento (fondamento della sua cultura). Va da sè che restano criteri di buon gusto e di misura con cui giudicare, di volta in volta, l’artefatto venuto meglio e quello venuto peggio . Ma credo di poter dire che quando noi critichiamo nell’artefatto barbaro l’enfasi del tratto spettacolare, seduttivo, ruffiano, assomigliamo a uno che, davanti ad una giraffa , scuotesse la testa commentando: gambe e collo troppo lunghi , un orrore. Il problema è che quello non è un cavallo oblungo e riuscito male: è una giraffa. Animale splendido: tanto tempo fa, era un regalo speciale, riservato ai re.
    Volete un esempio che forse vi chiarirà tutto? Il cinema.

  4. Affetto:

    Da “I Barbari” di Alessandro Baricco, Spettacolarità

    Delizioso, quando si scollina e, in un libro, intravedi la discesa. per chi scrive e per chi legge.
    Non so se vi ho convinti, ma volevo spiegarvi che i barbari hanno una logica. Non sono una cellula impazzita. Sono un anumale che vuole sopravvivere, e ha le sue idee su quale sia l’habitat migliore per riuscirci. Per quello che ci ho capito io, il punto esatto in cui scatta la loro differenza è la valutazione di cosa possa significare, oggi, fare esperienza. Si potrebbe dire: incontrare il senso. E’ lì che loro non si riconoscono più nel galateo della civiltà che lòi aspetta: e che, ai loro occhi, riserva solo cervellotiche esperienze. E vuoti di senso. E’ lì che scatta questa loro idea di uomo orizzontale, di senso distribuito in superficie, di surfing dell’esperienza, di rete di sistemi passanti: l’idea che l’intensità del mondo non si dia nel sottosuolo delle cose, ma nel bagliore di una sequenza disegnata in velocità sulla superficie dell’esistente. Non saprei valutare se sia una buona idea o no, e forse non è nemmeno quello che voglio fare in questo momento: adesso mi interessa invece ricordare come tutti i tratti disturbanti e scandalosi che noi riconosciamo nello stile barbaro si motivino alla luce di quella prima mossa. Poi magari restano scelte che non condividiamo, ma è importante capire che sono sezioni di un paesaggio coerente, e fondato. mi rendo conto che dalle prime pagine di questo libro che vi sfinisco con questa storia della coerenza barbara, e che non sono una malattia senza spiegazioni, e che l’animale è uno, è inutile che stiate a giudicare solo la zampa sinistra, ecc., ecc.: ma, guardate, è l’unica possibilità di riscattare il fastidio e l’orrore per i barbari dalla inutilità dello sfogo da bar, e dalla vergogna dell’ironia intellettuale. Vi fa schifo il mare che sa di petrolio? E’ ora di capire che ogni volta che accendete il vostro SUV fate la prima mossa di una partita che finisce con il bagnetto al sapore di diesel. Ci sono delle premesse, e ci sono delle conseguenze. Ricucire le prime alle seconde, please. Un minimo di rigore, siamo mica al Processo del Lunedì.
    Così, quel che farò in questa benedetta discesa, è annotare tutta una serie di sintomi di barbarie e ricollocarli nel paesaggio che è il loro. Come si deceva puntate fa: attaccare le zampe al corpo, e l’urlo all’animale, e quella corsa a un’unica fame intelligente. Non la farò lunga. Sono quasi solo degli inizi di pensieri. Ma mi interessava dettarvi il gesto. Poi continuate un po’ voi se vi piace. pronti? Allora vado, in ordine sparso. Quel che viene, viene…

  5. segue…

    1. Spettacolarità

    Dico spettacolarità, ma è per usare un eufemismo. In realtà parlo di tutta un’area di cose fastidiose che ruota intorno a espressioni come “seduzione, virtuosismo, doping”, e a aggettivi tipo “facile, piacione, ruffiano”. Che siano vini, modi di giocare a calcio, libri, o palazzi, cercate i commenti della civiltà delle invasioni barbariche e ci troverete spesso almeno una di quelle espressioni . Il disagio è autentico, e testimonia di una civiltà in cui, evidentemente, si era stabilita un’idea abbastanza precisa dell’equilibrio che ci deve essere, in qualsiasi artefatto, tra forza della sostanza e tratto seduttivo di superficie. Se volete, il termine totemico di kitsch definisce abbastanza bene il confine di quell’equilibrio: quando il tratto seduttivo straborda oltre il lecito o, peggio, si esibisce in assenza di qualsiasi sostanza degna di nota, scatta il kitsch. Tutto molto logico.
    Aggiungo una sfumatura che a me sembra fondamentale. Dovete ricordarvi di monsieur Bertin e di uno dei suoi ideali: la fatica. Ciò che spesso dà fastidio, nella spettacolarità, è il suo nesso con la facilità, e quindi con l’attenuarsi della fatica. E’ un fenomeno registrato dallo smottamento lessicale che spesso ci porta, con automatismo incauto, dalla parola spettacolare, o “dopato”, a parole come “piacione” o “ruffiano”. In realtà le cose non sono così semplici.

  6. segue…

    Pensate a questo esempio: cosa c’è di più spettacolare e dopato della prosa di Gadda? Poco, in letteratura. E allora come mai, d’incanto, quelle espressioni ci sembrano, nel suo caso, tutt’altro che negative? Una delle risposte possibili è: perchè quella spettacolarità, e quell’uso dopato del linguaggio creano difficoltà, non facilità: moltiplicano la fatica e attraverso di essa conducono nel sottosuolo. In un certo senso sono il meglio che la civiltà sia portata a desiderare: tutto il piacere della spettacolarità, del virtuosismo, della seduzione, legittimato da una grande fatica, e da un riconoscibile viaggio in profondità. Bingo.
    ma la spettacolarità dei barbari non produce fatica. La spettacolarità, in quello che fanno, appare giusto come una scorciatoia, una facilitazione, una droga. In più, spesso, sembra effettivamente avvitata su una sostanza appena appena percepibile, comunque friabile, spesso proveniente da modelli forniti proprio dalla civiltà, rimasticati e erosi. Mettete le due cose insieme e avrete un’idea dello sdegno che prova l’uomo civilizzato quando si trova di fronte il barbaro.
    Dal punto di vista, è indubbio, ha ragione da vendere.
    Ma il punto di vista del barbaro, qual’è?
    Intanto lui della fatica, se ne frega. Non perchè è scemo (non sempre, là), ma perchè per lui, come abbiamo visto, non è un valore. O meglio, non essendo più un piacere, com’era per monsieur Bertin, non è un valore. Con una pervicacia che ha dell’ammirevole, il barbaro ha smesso di pensare che la via per il senso passi per la fatica, e che il sangue del mondo scorra in profondità dove solo un duro lavoro di scavo può raggiungerlo. A molti di noi continua a sembrare una posizione rischiosissima, ma sta di fatto che è così. Dunque il barbaro fa saltare uno dei criteri per avere in sospetto la spettacolarità. Il bello è come disintegra l’altro

  7. segue…

    Se, di fatto, voi credete che il senso si dia in forma di sequenza e con l’aspetto di traiettoria tracciata attraverso punti differenti, allora ciò che vi sta veramente a cuore è il movimento: la possibilità reale di spostarvi da un puntop all’altro nel tempo sufficiente a non far svanire la figura complessiva. Ora: da cosa è generato quel movimento, cosa lo mantiene vivo? La vostra curiosità, certo, la vostra voglia di fare esperienza: ma non basterebbero, credetemi. Il propellente di quel movimento è fornito, anche, dai punti in cui passa: che non consumano energia, come succedeva per monsieur Bertin (la fatica), ma la forniscono .
    In pratica il barbaro ha delle chances di costruire vere sequenze di esperienza solo se ad ogni stazione del suo viaggio riceve una spinta ulteriore: non sono stazioni, sono sistemi passanti che generano accelerazione. (Scusate il gergo da fisico, ma è per capirci. E’ fisica della mente, per così dire).
    Si potrebbe affermare che l’incubo del barbaro è rimanere invischiato dai punti in cui transita, o rallentato dalla tentazione di un’analisi, o addirittura fermato da un’inopinata deviazione verso la profondità. Per questo tende a cercare stazioni di passaggio che invece di trattenerlo, lo espellono. Cerca la cresta dell’onda, per poter surfare da dio. Dove la trova? Dove c’è quello che noi chiamiamo spettacolarità. La spettacolarità è un misto di fluidità, di velocità, di sintesi, di tecnica che genera un’accelerazione. Ci rimbalzi sopra, alla spettacolarità. Schizzi via. Ti consegna energia, non la consuma. Genera movimento, non lo assorbe.

  8. segue…

    Il barbaro va dove trova la spettacolarità perchè sa che lì diminuisce il tempo di fermarsi. Dice: perchè lì diminuisce il rischio di pensare, ecco la verità. Sì e no. Pensa meno, il barbaro, ma pensa reti indubbiamente più estese. Copre in orizzontale il cammino che siamo abituati a immaginare in verticale. Pensa il senso, tale e quale a noi: ma a modo suo.
    Una volta ho letto questa frase: “per chi si arrampica sulla facciata di un palazzo, non c’è ornamento che appaia utilissimo”. Forse era Kraus, ma non ci giurerei. Comunque: è un’immagine che vi può aiutare a capire. ciò che la civiltà è abituata a considerare ornamento inessenziale, per il barbaro, che scala facciate e non abita palazzi, è divenuto sostanza. Non riuscirete mai a sfiorare il suo modo di pensare se non riuscite a immaginare che la spettacolarità, per lui, non è una qualità possibile di ciò che fa. E’ una precondizione dell’esperienza: non gli è quasi possibile accedere ad altro che a fatti dotati di quella capacità generatrice di movimento: fatti spettacolari. Se un tempo, dunque, l’equilibrio da salvaguardare era quello tra la forza di una sostanza e la seduzione della superficie, per il barbaro il problema si presenta in termini profondamente mutati: perchè per lui la seduzione è una forma di forza , e la superficie è il luogo, esteso della sostanza. Dove noi vediamo un’antitesi, o quanto meno due elementi di pasta diversa, lui vede un unico fenomeno. Dove noi cerchiamo una risposta, per lui non esiste la domanda

  9. segue…

    Così, quando la civiltà critica, nell’artefatto barbaro, il tratto ruffiano, dopato, facile, dice simultaneamente una cosa vera e una cosa falsa. E’ vero che quel tratto è presente, ma è falso che questo sia, quanto meno nella logica barbara, un difetto. E’ sostanza, non è accidente, si sarebbe detto un tempo. In quel tratto il barbaro disintegra il totem della fatica ( e tutta la cultura che ne conseguiva) e si assicura la sopravvivenza del movimento (fondamento della sua cultura). Va da sè che restano criteri di buon gusto e di misura con cui giudicare, di volta in volta, l’artefatto venuto meglio e quello venuto peggio . Ma credo di poter dire che quando noi critichiamo nell’artefatto barbaro l’enfasi del tratto spettacolare, seduttivo, ruffiano, assomigliamo a uno che, davanti ad una giraffa , scuotesse la testa commentando: gambe e collo troppo lunghi , un orrore. Il problema è che quello non è un cavallo oblungo e riuscito male: è una giraffa. Animale splendido: tanto tempo fa, era un regalo speciale, riservato ai re.
    Volete un esempio che forse vi chiarirà tutto? Il cinema.

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