Dove sull’acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da due giorni, è dicembre d’uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.
La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.
Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po’ più in là dell’odio e dell’invidia.
Quel rosso del tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d’aquila.
E ora nell’aquila dei tuoi novant’anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d’Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo – difficile affinità
di pensieri – per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
“Baciamu li mani”. Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.
Salvatore Quasimodo
Filed under: Poesia | Tagged: affinità, Al padre, biviere, campiere, cicale, fucileria, Lezione, morte, padrone, paura, pensieri, rottami, Salvatore Quasimodo, vita vilipendio |
Ribollono le voci, si innalzano dall’inconscio di quel mare viola in tumulto, che ha circondato il cuore: l’isola sembra annegare…
Sorge, “confinato” nell’Immagine del Sole, il Padre paziente che “ruba la paura” ai figli; il “gallo” che ripercorre binari interrotti di vita, fatiscenti, strappati alla ferocia della guerra e ad una giustizia sommaria che conta, tra i morti, le teste dei vivi.
Sarà sempre così… : rinasce, quando l’Umanità è nel buio… e la percezione che non tutto è perduto risuona nei cieli più forte di una preghiera.
ad una persona che ha avuto un lutto dedico idealmente Mozart
il mio amico d’angelo
Benedetta musica unica salvezza a volte, anche dalla “propria morte”.
Lo penserebbe anche Wolfi.
e poi forse ….risvegliarsi?? Tanto Wagner è statoda tempo sdoganato.
gran finale FOU.
Map, complimenti per la tua straordinaria attività. Ci hai anche ricordato Gianni Togni… Grazie. Bacioni:)))))))))
sorry prof. sono logorroica-commgoica oggi perchè c’ho tanto da fare e nun c’ho voglia de lavorà!!
vorrei essere nà burina sgallettata me farebbe tanto piacere!!!
Ve saluto ! E scusate l’invasione!!
BACI BACI BACI!!!
Caro Gabriele,
mia madre è nata nel 1906 e nel 1908 aveva due anni. AbItava a Reggio Calabria quando il terremoto del 1908 sconvolse Reggio e Messina. Lei è stata tratta in salvo dalle rovine parziali della sua casa senza neppure una ferita.
Nessunio della famiglia subì dei danni. Una fortuna immensa. Le case di Reggio crollarano non solo per l’incuria dei costruttori che costruivano risparmiando sulla quantità di calce che impastavano alla sabbia, ma anche perchè molte case erano costruite con le pietre dei fiumi che, essendo levigate e tonde, non facevano adeguatamente presa e lega con l’impasto che si sgretolò facilmente. Quella di mia madre, invece, era stata costruita con le pietre squadrate che fecero più resitenza. Ma la scossa, diceva mia madre, fu al massimo della scala Mercalli e fu ondulatoria e sussultoria e durò un’eternità. A questo si aggiunge dopo anche il maremoto che risucchiò in mare gran parte dei suoerstiti che si erano rifugiati sulla spiaggia per paura di nuove scosse e di nuovi crolli. Alcuni corpi di reggini furono ritrovati sulla spiaggia di Siracusa. E questa é storia.
Suilla figura del padre invece ecco il mio contributo. E’ una poesia finalista in un Bando Letterario a Pieve di Cento e pubblicata asnche in una antologia letteraria sponsorizzata dalla Regione Toscana sulla figura del padre dove vi sono grandi nomi della letteratura italiana e tra questi, Andrea Zanzotto, con il quale avevo parlato un paio di mesi prima che morisse proprio di quella antologia:
EDERA AMARA
Sentire: “Figlio mio!”
Mai, mai l’ascoltai;
udire, appena in un sussurro lieve,
lieve per non svegliarmi,
un vezzo dolce su una culla
che dondola pian piano
al rosolante chiarore di un lumino
sperso nel buio di un casolare antico,
anch’esso smarrito
tra le pieghe d’una memoria stanca.
“Figlio mio!”, sentir solo una volta,
ricordare un pensiero,
una carezza,
un pianto greve sul mio corpo infermo,
un canto lontan di ninna-nanna
che piano si smorza
mentre m’addormento.
Quante volte sognai d’avere un padre,
le cui premure restassero nel cuore
da custodir come reliquia sacra
e poter dire, davanti a un cimitero,
padre t’amai
ed il tuo amore è qui nella mia mente.
Invece conservo solo le ombre amare
di giorni sepolti da non ricordare,
che rimuovo insieme al mio rimpianto
di non poterti, padre, amare tanto.
Santoro Salvatore Armando
(Lillianes 16/01/2000 15,51)
ED ECCOTI ANCHE QUALCOSA DI PIU’ RECENTE CHE E’ UNA SORTA DI ANALISI INTROSPETTIVA CHE COMPLETA LA POESIA APPENA INSERITA:
PADRE NON FUI
Padre non fui,
non sono,
ne figlio fui
che ebbe padre e amò,
nulla io fui.
Neppure nonno,
limpida voce udii
o singhiozzo di notte
o pianto antico.
Cosa mai fui
vorrei saperlo un dì,
ma non c’è voce tacita
che parla e dice e spiega.
Quello che sono oggi
non lo so.
Vorrei sentirmi padre,
o amarlo un poco,
vorrei sentirmi me
ma non lo sono,
forse nulla sarò
e chi io sia
forse mai lo saprò.
Salvatore Armando Santoro
(Boccheggiano 2.3.2011- 6.04
Caro Salvatore, grazie per la testimonianza e per le belle, intense poesie che mi hai inviato. Un abbraccio di vero affetto da parte mia e dalla redazione.
Dal film ” Era mio padre”,
tanto per stare allegri!
Buon giorno viaggiatori
patrizia