(Mary Casset, Madre che pettina la sua bambina, 1870)
“La mia sola consolazione, quando salivo per coricarmi, era che la mamma venisse a darmi un bacio non appena fossi stato a letto”.
Marcel Proust
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la vita, di un figlio, è tutta nelle mani …..amorevoli ma possessive, della madre.
nell’immagine riflessa dallo specchio, una espressione molto più razionale si rivela..
infatti più che le cure per il corpo, soddisfa l’attenzione ed il tempo dedicati al figlio…. perchè il figlio apprende con l’anima ciò che viene trasmesso al corpo… ed il legame è formato proprio da ciò, dalla interpretazione più o meno amorevole delle affettuose cure.
tra gli estremi dell’invadenza e del soffocamento e del rifiuto e l’abbandono, il vero equilibrio è quel meraviglioso rifugio che è l’amore
…Gesti rituali che accordano il corpo con il ritmo della quotidianità e “segnano” il percorso che da fuori porta dritti dentro se stessi… ma accade ad un tratto che si perde il sentiero e allora…
“Si fatica per anni
a sciogliere i nodi,
a dare un’immagine
favolosa e una ciocca
illeggibile di segni perduti.”
(L. Sinisgalli)
E come manca nei periodi buii quella dolce consolazione! Pensare che i sostenitori di un’educazione spartana sostenevano ( ed ancora oggi alcuni affermano) che i bambini si baciano solo quando sono addormentati.
Io, poi, suggerirei di accompagnare il bacio della buonanotte al racconto di una fiaba: magici momenti indimenticabili.
Che magnifica riflessione, cara TEA!
Che versi miracolosi, cara Valeria!
Hai ragione, cara Anna… certe cose non possono essere che ri-cordate…
Grazie 🙂 GrandeProf Gabriele….meraviglioso
L’ho trovata! Non ricordavo il titolo…
A mia madre, con immenso amore e “naturale pietà”:
E alla madre (che contiene in sé ogni inizio!):
“La mietitrice solitaria”
Guardatela. Unica nel campo,
Solitaria ragazza dell’altopiano,
Che miete e fra sè canta!
Fermatevi, o passate oltre in silenzio!
Sola essa taglia e lega il grano
Mentre canta una malinconica canzone.
Udite, la valle immensa
Trabocca del suo canto.
Nessun usignolo mai cantò
Più gradevoli note e spossate compagnie
Di viandanti in qualche oasi ombrosa
Nei deserti dell’Arabia;
Mai si udì il cuculo
Rompere a primavera i silenzi marini
Con voce così seducente
Nelle remote Ebridi.
Chi mai mi dirà di cosa essa canta?
Forse le dolenti note scorrono
Per cose antiche, tragiche e lontane,
Per battaglie d’epoche remote,
O forse era un lamento più umile,
Per faccende familiari, cose d’ogni giorno,
Forse è un dolore normale, una perdita, un dispiacere
Che è stato e potrà ricapitare.
Qualsiasi il tema, la vergine cantava
Come se il suo canto non dovesse mai finire:
La vedevo cantare durante il lavoro
E mentre si piegava sulla falce.
Ascoltavo senza muovermi o parlare,
E salendo la collina
Portai nel cuore quella musica
Ben oltre il momento che più non la sentii.
(William Wordsworth)