Carissimo padre, di recente mi hai domandato perché mai sostengo di avere paura di te. Come al solito, non ho saputo risponderti niente, in parte perché questa paura si fonda su una quantità tale di dettagli che parlando non saprei coordinarli neppure passabilmente. E se anche tento di risponderti per iscritto, il mio tentativo sarà necessariamente assai incompleto, sia perché anche nello scrivere mi sono d’ostacolo la paura che ho di te e le sue conseguenze, sia perché la vastità del materiale supera di gran lunga la mia memoria e il mio intelletto.
Franz Kafka
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EDERA AMARA
Sentire: “Figlio mio!”
Mai, mai l’ascoltai;
udire, appena in un sussurro lieve,
lieve per non svegliarmi,
un vezzo dolce su una culla
che dondola pian piano
al rosolante chiarore di un lumino,
sperso nel buio di un casolare antico,
anch’esso smarrito
tra le pieghe d’una memoria stanca.
“Figlio mio!”, sentir solo una volta,
ricordare un pensiero,
una carezza,
un pianto greve sul mio corpo infermo,
un canto lontan di ninna-nanna
che piano si smorza
mentre m’addormento.
Quante volte sognai d’avere un padre,
le cui premure restassero nel cuore
da custodir come reliquia sacra
e poter dire, davanti a un cimitero,
padre t’amai
ed il tuo amore è qui nella mia mente.
Nulla conservo
se non l’ombra nera
di giorni sepolti per non ricordare,
che rimuovo insieme al mio rimpianto
di non poterti, padre, amare tanto.
Santoro Salvatore Armando
(Lillianes 16/01/2000 15,51)
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Pubblicato sul volume “Pater”, Edizioni Morgana – Firenze 207
(Raccolta di poesie a cura di Maria Cristina Landi con la partecipazione dell’Assessorato Pari Opportunità della regione Toscana)
A MIO PADRE
Ecco,
le mie mani
si tendono
a stringere la tua mano,
callosa, rude,
del color della terra
che per anni hai zappato.
Le tue spalle, curve,
sorreggono una testa
ormai senza pensieri.
Guardo
le tue rughe profonde,
solchi tracciati
dall’aratro del tempo,
i tuoi occhi,
appena visibili
tra le palpebre socchiuse,
il tuo sorriso,
debole e stanco
colorato dai tuoi denti
bianchissimi.
Sento una pesante coltre
di disperata dolcezza
avvolgersi sul mio corpo,
mentre stringo la tua mano
simile a dura scorza
d’albero di ulivo.
Appena, appena
accenni ad una carezza
sul mio volto lontano.
I miei sentimenti
turbinano nel profondo
d’un animo
non piu’ avvezzo
ad ascoltare le tue sfuriate.
Sento attorno a me
suonare i campanelli
d’una infanzia perduta:
Quel pane di mais e grano
ha un sapore ancora fragrante
anche se offerto in un nido
troppo povero e spoglio.
Ma ormai e’ tardi !
Inutilmente
cerco nei cassetti vuoti
immagini di una realta’
che il tempo ha gia’ cancellato.
Salvatore Armando Santoro
(Aosta 5.11.83 – h 16,34)
AD UN PADRE NEGATO
Vai amico mio,
ora che il tuo è un non sorriso,
e la nebbia lo offusca,
non guardare più il mandorlo coi suoi frutti
vicino al muretto a secco del tuo podere.
Non raccogliere più le mandorle
e non raccattare un sasso per romperne il guscio
e gustare il bianco frutto che lo contiene.
Lascia ondeggiare i rami dei noci,
non pensare al raccolto d’agosto.
Fai ancora un giro per i tuoi campi,
osserva i cocomeri ed i meloni
con i fiori ancora attaccati allo stelo.
Ammira compiaciuto le rosse pesche
e sorridendo assapora il frutto del tuo lavoro.
L’acqua zampilla dal pozzo,
il getto bagna le tenere piantine dei peperoni,
ristora le melanzane ed i pomodori
e rinfresca il prezzemolo ed il profumato basilico.
Il dolce odore investe l’aria e le tue narici
e tu tornerai al tratturo antico e l’erba secca
si frantumerà sotto le tue scarpe
e solleverà un dolce profumo di campagna.
Ed io ti seguirò, con lo sguardo stanco,
seguirò i tuoi movimenti
e ti osserverò mentre ti chini sui prati
a raccogliere
qualche ceppo di cicoria e di “paparine”.
Guarderò la tua schiena curva
e maledirò il mio destino
che mi ha esiliato lontano
e che mi ha reso arido nei sentimenti
ed indifferente al tuo amore
che non hai mai saputo manifestarmi.
Salvatore Armando Santoro
(Boccheggiano 14/07/2008 2.44)
La vastità del materiale supera di gran lunga
la mia memoria e il mio intelletto.
Carissimo padre,
io ti dico che ti voglio bene anche se il tempo mi ha cambiata. Io te lo dico, che il mio affetto per te non è mutato, chissà perchè, poi si vedrà quello che mi risponderai. Forse non mi dirai neanche una parola, ma per un uomo che è un fiume di parole, che non riesca a dire neanche una parola, è dire tutto. Ho capito che sai amare in silenzio ed ho custodito questo segreto per molto tempo, pensando di esserne l’unica depositaria e invece… Il tuo esempio, a volte, è stato più eloquente di mille teorizzazioni sul bene o sul male. Hai sempre fatto la tua parte, non ti sei mai tirato indietro e per questo ti voglio bene. Tutto il resto credo che tu lo sappia. I tuoi occhi, che mi porto dentro da che mi ricordo, mi dicono di sì.
Per fortuna oggi ci sono papà diversi da quello di Franz.
Manca ancora un po’, ma credo ormai che una nuova consapevolezza di come essere padri facendo convivere il lato autorevole e quello comunicativo, siano alla nostra portata di società.
A MIO PADRE
Dal ruscello
lo srotolio di una pietra,
sento il suo linguaggio
è una voce nuova.
Verità
che smussano l’acqua
vene
tra le fessure d’un mondo
si gonfiano
cornamuse di pace
prive di monotonie.
Miete l’Amore testimonianze
come spiga che si fa pane.
UN ABBRACIO
Ignazio