Omaggio a K.

Omaggio a K.

J. a Babele


Non c’era un’anima in giro. Probabilmente erano tutte a dormire, o buttate in qualche locale aperto fino a tardi: ce n’erano così tanti che J. aveva l’imbarazzo della scelta, se solo avesse voluto. Ma quella sera non aveva proprio nessuna voglia di trascorrere le ore notturne nell’ennesimo pub che offriva da bere gratis. Ne era annoiato. Quella sera una strana nostalgia si era impadronita di J.

Vagava a vuoto nelle strade, senza una meta precisa, aveva deciso di non tornare a casa, aveva il passo altalenante e indeciso. Portava il piede destro in avanti quasi a voler saggiare la resistenza dell’aria, poi lo fermava, lo riponeva indietro e di scatto muoveva il sinistro, piroettava sulla punta e si ritrovava a fare un inchino al muro, un ginocchio piegato, l’altro appena, dove un manifesto mezzo stracciato recitava “…il Governo annuncia la Grande Riforma…i lavori inizieranno a br…- qui c’era uno strappo- Benedite questo Governo…” Ma non erano le scritte del manifesto ad aver attirato l’attenzione di J. : a quelle era abituato fin da quando abitava la Città, ormai da centocinquant’anni circa. Gli occhi di J. si erano invece soffermati sul simbolo rosso che campeggiava per tutto il foglio: un triangolo dalle punte spezzate, contornato da un cerchio. Il simbolo dei terroristi, i ribelli, qualcuno li chiamava anche la “resistenza” o “polverizzatori”. Non era poi un mistero: da tempi immemorabili la Città subiva periodici attacchi terroristici da parte di questi fanatici ansiosi di rovesciare il Governo. Qualcuno aveva addirittura avanzato l’ipotesi che si trattasse di un complotto governativo per raccogliere i fanatici e farli fuori dall’interno del nucleo terroristico. Le favole erano tante al proposito, e ormai in 150 anni J. ne aveva sentite di tutti i colori. “Poveri bastardi – mormorò tra sé e sé – tanta fatica e non riescono mai far nulla alla fine”.

Continuò il suo tragitto, attraversò qualche incrocio, non guardava nemmeno i manifesti che si facevano sempre più numerosi sui muri, tutti a favore dell’operato politico del Governo. Si accorse che stava andando verso il centro della Città, quindi imboccò una delle strade parallele alla Grande Via. In un quarto d’ora si ritrovò davanti al Ministero. Il Palazzone (così lo chiamavano) campeggiava maestoso. Era quanto di più grande si potesse ammirare in tutta la Città, la sua area occupava chilometri e chilometri quadrati e una cupola immensa, tutta in oro zecchino lo sovrastava e lo chiudeva a un’altezza che in certe giornate particolarmente nebbiose l’occhio nudo non sarebbe riuscito nemmeno a indovinare dove si trovasse la cupola.

Ai lati del cancello d’entrata, maestoso anch’esso, in oro massiccio, due guardie erano di turno. Si avvicinò passo deciso verso una di esse.
“Voglio parlare con il vostro capo.”
“Michele è occupato in questo momento, non può ricevere.” – rispose quella non posando neanche il suo sguardo su di lui, ma continuando a guardare diritto davanti a sé, impassibile.
“No, non con il Capo Guardiano. Con il Principale.”
“Ah, Lui è sempre disponibile” – La Guardia batté in terra. Il grande cancello si aprì. J. spalancò la bocca, stupito. Non credeva fosse così semplice. Perché in 150 anni non ci aveva mai pensato? Forse era troppo distratto dalla novità che sulle prime quel posto rappresentava per lui, anima novella.
“Dove si trova?” – chiese alla guardia.
“Ultimo Piano, Cupola. Salga a piedi. L’ascensore è fuori uso da tempo.” J. varcò l’ingresso, pronto a percorrere l’ampio viale che lo portava fino all’atrio del Palazzone. Solo dopo molti anni avrebbe capito la risatina che la Guardia aveva fatto, non appena il cancello si era richiuso alle sue spalle.

Passarono mille anni. J. si buttò per l’ennesima volta su un gradino a riposare. Le scale erano affollatissime. In alcuni punti aveva impiegato molta difficoltà e giorni interi solo per finire una rampa. L’andirivieni era pazzesco. Perlopiù si trattava di anime che avevano perso ogni speranza di raggiungere la Cupola. Nessuno però sembrava volesse tornare indietro. O proseguivano o stavano fermi per anni sullo stesso gradino. J. si trovava adesso su una rampa particolarmente meno affollata delle altre. Contava di essere arrivato molto in alto, ma non sapeva quanto. Quasi rimpiangeva la Città. Chissà se le cose erano cambiate lì fuori. Probabilmente no. Non cambiavano mai. “è come Babele…” Una voce lo fece sussultare. Si voltò. Un cieco che stava parlando da solo, ma sembrava si rivolgesse a lui. Era seduto, coperto di qualche straccio sulle parti intime, magro, magrissimo che quasi gli si vedevano le costole, i capelli argentei. “Non arriveranno mai, capisci?” “Tu hai perso ogni speranza” – gli disse J. “Si, è vero! – disse il cieco – Io ho perso ogni speranza nel genere umano, nel genere che ho creato. Credi abbia edificato io questa città, questo palazzone? Siete stati voi esseri umani a volere tutta questa burocrazia…” “Tu…tu sei ….No, non può essere…” – ma d’improvvisò J. si sentì gelare, cadde a terra, in ginocchio, dinanzi al cieco, tutti passavano avanti e sembravano non far loro caso. “Non si curan di noi, eh? Guardano e passano…I loro occhi non sanno guardare che la Cupola, hanno dimenticato l’essenziale – proseguiva il Cieco – si, J. sono io Colui che tu cerchi. Ponimi le domande che desideri”
J. fu preso da una gioia mista a rabbia, in un vortice di ansietà e frenesia: aveva un sacco di domande da fargli.
“Perché tutte queste promesse? Avevi promesso di costruire Paradiso e Inferno. E invece non sono nemmeno iniziati i lavori. Perché ci prendi in giro? Nelle nostre vite precedenti abbiamo meritato…”
“Avete meritato il dubbio. Sciocchi! Questo è il vostro inferno. L’indecisione, la burocrazia, la lenta morte, l’agonia suprema. Il vero paradiso l’avevate tra le mani e pochi di voi hanno saputo riconoscerlo e viverlo.”
“La vita terrena, quello era il paradiso? Ma dai…con tutte quelle guerre, quelle sofferenze…”
“Solo dolore? – lo interruppe il Cieco – E se anche fosse solo dolore è nulla paragonato a questa insensata follia alla ricerca di una cupola … che non c’è.”
“Cosa devo fare per andare in Paradiso? Dov’è?”
“Devi ricordare J. La chiave sta nella memoria. Devi ricordare ogni singolo istante della tua vita terrena. Non tralasciarne nemmeno un secondo. Quando avrai ricordato, avrai capito.”
“Come accadrà?”
“Ricorda J. Non lasciarti andare all’Oblio.”
J. stette in silenzio. Voleva chiedergli chi fossero i ribelli, perché fra tutti proprio lui…Ma di colpo sentì l’odore del caffè e il bricco fischiare.

“Amore, il caffè è pronto. Che dici? Sarebbe ora di spegnere il fornello?”
J. fissava un punto vuoto. Poi si riscosse. Sua moglie Clara aveva spento il fornello e versava il caffè bollente nella tazzina. “Sei strano stamattina, amore, che hai?”
“Ho fatto un sogno…” – mormorò.
“Un bel sogno?”
“Non so, forse non è così importante…”
“Se non lo ricordi, non è importante…– rispose Clara – Adesso bevi, sennò farai tardi al lavoro e farai fare tardi anche a me.” Lo baciò.
“Vado a vestirmi. Se esci per ultimo chiudi la porta e spegni il televisore.”
“Si…” – rispose J. Bevve il caffè e andò a cambiarsi d’abito.

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L’essere umano confonde spesso preghiere con richieste…

Carissimo Gabriele, approfitto di questo giustissimo pensiero di K. Gibran e della risposta che parla della Vergine Madre, per dire una cosa che mi sta particolarmente a cuore, e che quando posso e come posso, tento di proporre anche ai miei allievi.
L’ essere umano confonde spesso preghiere con richieste, oppure recita litanie senza soffermarsi troppo sui significati (spesso molto discutibil) di ciò che sta dicendo. Le preghiere dovrebbero essere invece- ringraziamento, stupore e consapevolezza che niente è scontato o dovuto -, tradotto in parole. Perchè le parole sono importanti, danno peso e riconoscimento ai fatti. Un po’ come era per i Nativi Americani, per intenderci, che ringraziavano e nominavano in modo sacro ogni essere. Nelle religioni monoteiste, manca sempre un elemento molto importante, nonostante (o forse proprio per questo) si asserisca, in primis, che all’inizio era il Verbo. Questo elemento viene tralasciato, e non a caso. Invece adrebbe incluso, riconosciuto e soprattutto detto, fatto Parola, Verbo, Verità, Preghiera. Cambiamento per l’umanità e non solo… Ma fin che tutto, passa in modi diversi, attraverso una Triade, non c’è verità o preghiera che sia veramente tale. Solo passando attraverso la “Legge del Quattro” c’è una possibilità di miglioramento per l’Universo. Quando diremo -”In nome del Padre, DELLA MADRE, del Figlio e dello Spirito Santo, allora avremo una possibilità. Solo attraverso il Quattro (la Croce) si può accedere al Quinto elemento, l’Amor Pietas…. La croce immaginata come l’asse della terra, Nord, Sud, Ovest, Est. Se disegnamo una croce, vedremo appunto che i punti che si formano sono quattro, più uno, quello che nasce dall’incontro del mondo verticale con quello orizzontale. Cioè il mirino, così importante a livello esoterico ed essoterico! La bussola non funziona con una Triade. Ci si perde. E così è anche per noi umani, imbavagliati in questo numero 3, numero maschile per eccellenza,che con questo errore di base siamo arrivati all’arroganza che ci sta dominando e distruggendo. Quattro le stagioni, le lunazioni, quattro i punti cardinali,quattro i colori principali, quattroi segni fissi, quattro i corrispondenti evangelisti, quattro i fiumi del paradiso,erano quattro anche i Re Magi, che come si racconta venivano dai “quattro angoli del mondo” per omaggiare l’incarnazione dell’ Amor Pietas… erano quattro persino i moschettieri. Ma il quattro è un numero che ci conduce al femminile, ed è ancora eresia nominare la Madre. Così la nostra Terra, e tutto ciò
è slegato da un universo prettamente maschile resta, ad oggi, rinnegato. Ho citato solo il Cristianesimo,per non dilungarmi ulterioremente. Ma credo che potremo pregare veramente e cambiare, solo passando attraverso un riconoscimento VERBALE dovuto, che cambierebbe la visione di tantissime cose (….)

Grazie Gabriele per questo spazio, e mi scuso in anticipo se sembrerà astruso ciò che ho scritto.

Donatella

Dormi amore

Questo gran silenzio
quasi fa ruomore
sono ancora sveglio
e sto ascoltando il cuore
fuori nell’immenso
domina la notte
mentre i miei pensieri
fanno ancora a botte
quale strada ha scelto
questo mio destino
sapere dove andrò

come un vento con gli alberi
vedrai muoverò
sfiorerò le ginestre
giù per mille sentieri
dormi amore
non ti svegliare
no non temere
con altre mani
ti accarezzerò

con l’aiuto dei gabbiani disegnerò
impossibili figure
che potrai interpretare
dormi amore
non ti svegliare
no non temere
con altre mani
ti accarezzerò

io ci sarò
ovunque tu sarai
il mio respiro sentirai

dietro la finesta
mille luci in cielo
io che da bambino
ero in cima a un melo
brividi di freddo
questo mio pigiama
forse un po leggero
oppure è il cuor che trema
quale strada ha scelto
questo mio destino
sapere dove andrò…..

con il vento sulle fronde
per te suonerò
nel silenzio della notte
le canzoni che amavi
noi due soli tristi e sereni
ma ancora uniti
con altre mani
ti accarezzerò

con le braccia spalancate
laggiù volerò
scivolando nelle valli
tra le verdi colline
dormi amore
non ti svegliare
tra poche ore
io con un bacio ti risveglierò

ovunque sarai
accanto mi ritroverai

CORO
dietro la finesta
mille luci in cielo
io che da bambino
ero in cima a un melo
brividi di freddo
questo mio pigiama
forse un po leggero
oppure è il cuor che trema
quale strada ha scelto
questo mio destino

CORO
questo gran silenzio
quasi fa ruomore
sono ancora sveglio
e sto ascoltando il cuore
fuori nell’immenso
domina la notte
mentre i miei pensieri
fanno ancora a botte
quale strada ha scelto
questo mio destino

CORO
dietro la finesta
mille luci in cielo
io che da bambino
ero in cima a un melo
brividi di freddo
questo mio pigiama
forse un po leggero
oppure è il cuor che trema
quale strada ha scelto
questo mio destino

(Mogol)

L’ombra della luce

Difendimi dalle forze contrarie,
la notte, nel sonno, quando non sono cosciente,
quando il mio percorso, si fa incerto,
E non abbandonarmi mai…
Non mi abbandonare mai!
Riportami nelle zone più alte
in uno dei tuoi regni di quiete:
E’ tempo di lasciare questo ciclo di vite.
E non mi abbandonare mai,,.
Non mi abbandonare mai!
Perchè, le gioie del più profondo affetto
o dei più lievi aneliti del cuore
sono solo l’ombra della luce,
Ricordami, come sono infelice
lontano dalle tue leggi;
come non sprecare il tempo che mi rimane.
E non abbandonarmi mai…
Non mi abbandonare mai!
Perchè, la pace che ho sentito in certi monasteri,
o la vibrante intesa di tutti i sensi in festa,
sono solo l’ombra della luce

Orme

Una notte un uomo fece un sogno. 

Sognò di passeggiare lungo la spiaggia con il Signore. 

In cielo balenavano scene della sua vita.

 Per ciascuna scena notò due serie di orme sulla sabbia:

 una apparteneva a lui e l’altra al Signore.

 Quando gli fu balenata davanti agli occhi l’ultima scena, 

si voltò a guardare le orme 

e notò che molte volte lungo il cammino vi era una sola serie di impronte. 

Notò anche che questo avveniva durante i periodi più sfavorevoli

e più tristi della sua vita. 

Ne rimase disorientato e interrogò il Signore.

 “Signore, tu hai detto che se io avessi deciso di seguirti, 

tu avresti camminato tutta la strada accanto a me,

 ma io ho notato che durante i periodi più difficili della mia vita

 vi era una sola serie di orme.

 Non capisco perché, 

quando avevo più bisogno di te, 

mi hai abbandonato.”

Il Signore rispose: 

“Mio amato figlio, io ti voglio bene e non ti abbandonerei mai.

 Durante i tuoi periodi di dolore e sofferenza,

 quando vedi solo una serie di orme, 

quelli sono i periodi in cui io ti ho portato in braccio.”

Anonima

Scrivo a te donna

Ogni mattina, dopo il segno della croce,
scriverti
è come recitare una preghiera.
Non si può far di peggio,
ma io so fare di meglio.
Ora che non ti vedo,
di buon mattino,
mentre tutti dormono,
prendo la penna, come un ladro prenderebbe
la chiave di un forziere,
e con la penna
rubo la vita che non mi appartiene
e scavo un camminamento
per raggiungere te che, contro ogni legge,
considero mia.

Salvatore Fiume

Il canto di Saffo

Carissimi, nella splendida cornice del Museo Minguzzi, in via Palermo 11 A  Milano,
Venerdì 17 Dicembre 2010, ore 21, verrà presentato il volume di Gabriella Cinti:
“Il canto di Saffo. Musicalità e pensiero mitico nei lirici greci” – Moretti e Vitali editore.

Interverranno i critici: Vincenzo Guarracino, Franco Manzoni, Giovanni Schiavo Campo.
E’ presente l’autrice, Gabriella Cinti.
Segue dibattito.
Ingresso libero

Non ho bisogno di denaro…

           Non ho bisogno di denaro.
           Ho bisogno di sentimenti
           Di parole, di parole scelte sapientemente,
           di fiori, detti pensieri,
           di rose, dette presenze,
           di sogni, che abitino gli alberi,
           di canzoni che faccian danzar le statue,
           di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti…
           Ho bisogno di poesia,
          questa magia che brucia le pesantezza delle parole,
          che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
                                                                               Alda Merini

Bisogna esser sempre ubriachi…

Bisogna esser sempre ubriachi. Tutto sta in questo: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che rompe le vostre spalle e vi inclina verso la terra, bisogna che vi ubriachiate senza tregua.
Ma di che? Di vino, di poesia o di virtù, a piacer vostro, ma ubriacatevi.
E se qualche volta, sui gradini d’un palazzo, sull’erba verde d’un fossato, nella mesta solitudine della vostra camera vi risvegliate con l’ubriachezza già diminuita o scomparsa, domandate al vento, all’onda, alla stella, all’uccello, all’orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che ruota, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, domandate che ora è; e il vento, l’onda, la stella, l’uccello, l’orologio, vi risponderanno: “È l’ora di ubriacarsi! Per non esser gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi; ubriacatevi senza smettere! Di vino, di poesia o di virtù, a piacer vostro.”

 Charles Baudelaire

l’ebbrezza e il desiderio…

L’ebbrezza, e il desiderio, e il lasciarsi andare,

e  questo  era  la mia  vita  

era questo che l’acqua dei tuoi occhi portava.

                                                                     Pablo Neruda

Vieni tu dal cielo profondo o sorgi dall’abisso

Vieni tu dal cielo profondo o sorgi dall’abisso, Beltà? Il tuo sguardo, infernale e divino, versa, mischiandoli, beneficio e delitto: per questo ti si può comparare al vino.

Riunisci nel tuo occhio il tramonto e l’aurora, diffondi profumi come una sera di tempesta; i tuoi baci sono un filtro, la tua bocca un’anfora, che rendono audace il fanciullo, l’eroe vile.

Sorgi dal nediscendi dagli astri? Il Destino incantato segue le tue gonne come un cane: tu semini a casaccio la gioia e i disastri, hai imperio su tutto, non rispondi di nulla.

Cammini sopra i morti, Beltà, e ti ridi di essi, fra i tuoi gioielli l’Orrore non è il meno affascinante e il Delitto, che sta fra i tuoi gingilli più cari, sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.

La farfalla abbagliata vola verso di te, o candela, e crepita, fiammeggia e dice: “Benediciamo questa fiaccola!” L’innamorato palpitante chinato sulla bella sembra un morente che accarezzi la propria tomba.

Venga tu dal cielo o dall’inferno, che importa, o Beltà, mostro enorme, pauroso, ingenuo; se il tuo occhio, e sorriso, se il tuo piede, aprono per me la porta d’un Infinito adorato che non ho conosciuto?

Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena, che importa se tu – fata dagli occhi vellutati, profumo, luce, mia unica regina – fai l’universo meno orribile e questi istanti meno gravi?

 Charles Baudelaire

Veleggio come un’ombra

Veleggio come un’ombra
nel sonno del giorno
e senza sapere
mi riconosco come tanti
schierata su un altare
per essere mangiata da chissà chi.
Io penso che l’inferno
sia illuminato di queste stesse
strane lampadine.
Vogliono cibarsi della mia pena
perché la loro forse
non s’addormenta mai.

ALDA MERINI