Il mito di Er

“Un tempo egli [Er], morto in battaglia, fu raccolto in buono stato mentre, dieci giorni dopo, venivano raccolti dal campo i cadaveri ormai decomposti. Ricondotto a casa, quando già stavano per fargli il funerale, al dodicesimo giorno, già disteso sul rogo, ritornò in vita, e allora raccontò ciò che aveva visto laggiù nell’Ade. Disse che la sua anima, dopo essere uscita dal corpo, errò insieme a molte altre, e tutte giunsero in un luogo meraviglioso, dove c’erano due aperture comunicanti nel terreno e due altre simili nel cielo in corrispondenza delle prime. In mezzo ad esse erano seduti i giudici. Essi emanavano le sentenze e poi imponevano ai giusti di avviarsi a destra in alto attraverso il cielo, ma prima attaccavano loro sul petto i cartelli con il testo della sentenza. Agli ingiusti ordinavano invece di avviarsi a sinistra in basso, e anche a loro appendevano sulla schiena un cartello su cui stavano scritte tutte le loro colpe. Giunto il suo turno, i giudici ordinarono ad Er di riferire agli uomini ciò che avrebbe visto laggiù, e perciò di ascoltare e osservare ogni cosa. Vide dunque le anime avviarsi, dopo il giudizio, all’una e all’altra apertura rispettivamente del cielo e della terra, mentre le altre due aperture lasciavano l’una salire dalla terra anime polverose e stanche, e l’altra scendere dal cielo anime pure. Tutte quelle che arrivavano successivamente sembravano reduci da un lungo viaggio, e liete di essere giunte a quel prato, come chi si accampa per una festa solenne.
[…] Er narrò che in sostanza ogni anima scontava dieci volte tanto ogni colpa commessa e ogni persona offesa, e ogni castigo durava cento anni […]. Chi invece aveva agito bene con giustizia e pietà, veniva ricompensato secondo la medesima misura.
[…] Ogni gruppo, dopo avere trascorso sette giorni su quel prato, doveva alzarsi e partire di lì l’ottavo giorno, per giungere, dopo quattro giorni, in un luogo dove si scorgeva , in alto, un fascio di luce diffusa, dritto come una colonna, molto simile all’arcobaleno, ma più luminoso e puro. Arrivati lì dopo un giorno di cammino, videro le estremità delle catene che tenevano appeso al cielo quel fascio luminoso: infatti quella luce avvolgeva il cielo, come le corde girano attorno alle triremi: allo stesso modo esso circondava tutta la sfera celeste. A quelle estremità era appeso il fuso di Ananke, che faceva ruotare tutte le sfere. […] Sui suoi cerchi, in alto, si muoveva insieme a ciascuno, una Sirena, che emetteva un’unica nota, con un unico suono […]. Altre tre donne, disposte in cerchio ognuna sul suo trono a uguale distanza, erano le figlie di Ananke, le Moire biancovestite, cinte il capo di bende: Lachesi, Cloto e Atropo […].
Appena giunti, Er e i compagni dovettero presentarsi subito a Lachesi. Per prima cosa un araldo li mise in fila, poi prese dalle ginocchia di Lachesi le sorti e i modelli di vita, salì su un alto palco e così parlò: “Proclama della vergine Lachesi, figlia di Ananke! Anime effimere, ecco l’inizio di un altro ciclo di nascite apportatrici di morte. Non un demone sceglierà voi, ma voi sceglierete il vostro demone! Chi sia stato sorteggiato per primo, per primo scelga la vita che sarà necessariamente legata a lui. La virtù non ha padroni: ognuno la possiederà di più o di meno a seconda che l’abbia onorata o trascurata. La responsabilità è di chi fa la scelta; la divinità è innocente.”
Concluse queste parole, il sacerdote gettò a tutti le sorti, e ognuno scelse quella che gli era caduta vicino, tranne Er, a cui ciò non fu permesso; poi la scelta fu chiarita ad ognuno. E di nuovo furono posti per terra davanti a loro i modelli di vita, molto più numerosi delle anime presenti. Ce n’erano di ogni genere: quelli di tutti gli animali e degli uomini […]. Fra le anime non c’era gerarchia, perché inevitabilmente mutavano posto in relazione alla scelta. Gli altri elementi erano mescolati fra loro e con la ricchezza e la povertà, con la malattia e la salute; c’era anche la possibilità di scelte intermedie fra questi estremi.
[…] Er diceva che lo spettacolo di ciascun’anima intenta a scegliere la propria esistenza era veramente incredibile: uno spettacolo compassionevole, ridicolo e assurdo. Perché in genere le anime sceglievano in base alle abitudini acquisite nella vita anteriore
[…] Quando tutte le anime ebbero scelto ognuna la propria vita, si presentarono a Lachesi secondo il turno del sorteggio. Essa inviò a custodire e sancire la vita prescelta quel demone che ognuna aveva preso con sé. Per rima cosa egli guidava l’anima da Cloto, la poneva sotto la mano di lei e sotto il fuso in movimento, perfezionando il destino scelto al momento del sorteggio. Dopo averla esortata a toccare il fuso, la guidava da Atropo, che rendeva immutabile la trama ormai filata. Da lì l’anima, senza potersi voltare indietro, giungeva ai piedi del trono di Ananke e passava dall’altra parte. Poi, una volta passate di lì anche e altre, si avviavano tutte alla pianura del Lete in un caldo soffocante e terribile: essa era infatti spoglia di alberi e di tutto quanto spunta dalla terra. A sera, le anime si accamparono presso il fiume Amelete, la cui acqua nessun vaso può trattenere. Ognuna fu costretta a berne una certa quantità, ma quelle che non erano protette dalla prudenza ne bevevano più del necessario: chi beveva quell’acqua, si dimenticava tutto.
Una volta addormentate, nel cuor della notte, scoppiò un terremoto illuminato da lampi, e all’improvviso esse si levarono, correndo chi qua e chi là in lato verso la nascita, filando via come stelle. Ma Er aveva ricevuto l’ordine di non bere quell’acqua; non sapeva come e per quale strada fosse ritornato nel corpo, ma all’improvviso alzò gli occhi e all’alba si vide disteso sul rogo.

Pubblicità

Lirica Antica

Caro, dammi parole di fiducia

per te, mio uomo, l’unico che amassi

in lunghi anni di stupido terrore,

fa’ che le mani m’escano dal buio

incantesimo amaro che non frutta…

Sono gioielli, vedi, le mie mani,

sono un linguaggio per l’amore vivo

ma una fosca catena le ha ben chiuse

ben legate ad un ceppo. Amore mio

ho sognato di te come si sogna

della rosa e del vento,

sei purissimo, vivo, un equilibrio

astrale, ma io sono nella notte

e non posso ospitarti. Io vorrei

che tu gustassi i pascoli che in dono

ho sortiti da Dio, ma la paura

mi trattiene nemica; oso parole,

solamente parole e se tu ascolti

fiducioso il mio canto, veramente

so che ti esalterai delle mie pene.

Alda Merini

Donare è vivere

Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona.

Carl Gustav Jung

Ancora mi struggo per l’angoscia dei desideri

Ancora mi struggo per l’angoscia dei desideri,

Ancora l’anima mia ti desidera,

E nella tenebra dei ricordi

Ancora io rivedo il tuo volto…


Il tuo caro, indimenticabile volto,

Che è sempre, e ovunque, davanti a me,

Così inafferrabile, così immutato

Come una stella nel cielo notturno…

Fedor I. Tjutcev

Arrendiamoci alla divina follia dell’amore

“Non osiamo arrenderci alla divina follia dell’amore, perché il nostro Io si sente troppo insicuro all’idea di perdere il controllo. Questo controllo, la nostra preventiva difesa da possibili ferite, si ottiene tendendo i muscoli, specialmente i muscoli del petto vicino al cuore. Tale “corazza”, come l’ha chiamata Reich, ci estrania dal mondo e limita la profondità delle nostre interazioni. ”

Alexander Lowen