quanto mi scrive Laura…

… vorrei condividerlo con voi. Voi che sapete quanto il mio cuore sia legato a Giordano Bruno

Gentilissimo Professor La Porta, GRAZIE INFINITE per questo meraviglioso, stupendo messaggio; e’ stato una bellissima sorpresa. Ricordo quando ero bambina le passeggiate in piazza “Campo dei Fiori” in Roma insieme a mio padre che aveva la casa paterna nei dintorni. Fin d allora mi incantavo ad osservare la statua cosi’ emblematica di Giordano Bruno. Appena mi fu spiegato che era stato bruciato vivo proprio in quel luogo, provai una gran tristezza, non potevo capire; ogni volta che passavo di li’ mi dispiaceva poi allontanarmi, provavo un vago senso di colpa, la sensazione assurda che se gli fossi rimasta accanto avrei potuto confortarlo, cambiargli la sorte. Anche io mi chiedevo e mi chiedo PERCHE’ ,infinitamente, perennemente il PERCHE’ di quell atroce ingiustizia. E una struggente nostalgia mi coglie nel sognare quel che poteva essere. Che dire di fronte a un personaggio simile? Non ci sono parole. Dobbiamo solo inchinarci davanti a tale essenza, a tale energia legata al TUTTO, unita all AMORE e onorare il suo pensiero cercando di non scoraggiarsi, MAI.

Laura

Pubblicità

Non disperate… e combattiamo per un mondo nuovo

Giordano Bruno e l’Amore

Enti divini

Chi, perciò, consistendo nel luogo e nel tempo, libererà le ragioni delle idee dal luogo e dal tempo, si conformerà agli enti divini.

Giordano Bruno

Sei tu la parte migliore di me stesso

Sei tu la parte migliore di me stesso, il limpido specchio dei miei occhi, il profondo del cuore, il nutrimento, la fortuna, l’oggetto di ogni mia speranza, il solo cielo della mia terra, il paradiso cui aspiro.

William Shakespeare

Il sole

Poi che son servo del Sole;
notte non sono,nè adoratore delle notti,non parlerò di sogni.
Come messaggero del Sole e suo interprete,segreti messaggi
prenderò da lui e
vi porterò la risposta.
E poi che vado come sole,
brillerò su rovinati deserti,
fuggirò dai luoghi abitati,
parlerò deserte parole.
Assomiglio alla vetta d’un albero
lontano dalla radice:
pur ristretto in secca corteccia,
parlerò di succoso midollo.
Se pur son mela secca
son più alto d’un albero;
anche se ebbro e sconvolto,
dico parole veraci!
Da quando il mio cuore ha
sentito il profumo della polvere
della sua soglia,
ho vergogna anche della
polvere sua,
non parlo che d’acqua purissima!
Togliti il velo dal volto,
chè il volto hai glorioso!
Non permettere ch’io debba
parlarti come sotto ad un velo!
Se hai il cuore di pietra,
io son pieno di fuoco qual ferro;
se assumi trasparenza di cristallo,
io parlo di calice e vino!
Poi che nato sono dal Sole
come il Re Qobàd antico,
non sorgerò nella notte,
non parlerò di chiaro di luna.

Jalal al – Din Rumi

Lei

Arnoldo Foà – L’Amore – Khalil Gibran

Il divino che è in voi

Cercate di ricongiungere il divino che è in voi al divino che è nell’universo.

Plotino

Vicinanza

Com’è vicina l’anima tua alla mia,
qualsiasi cosa pensi io la so!
Ma ho segni che ti fanno ancor più vicino
avvicinati ancora e guarda il mio segno segreto!
Vieni dunque come derviscio fra noi,
non scherzare, non dire: “io son già fra voi!”.
Al centro della tua casa io sono come colonna
dal tetto tuo curvo chino giù il capo, come grondaia.
Io son sempre con te nel tumulto del Dì del giudizio
non ospite sono, come s’usa fra gli amici del mondo.
Entro io tuo banchetto io giro attorno come calice pieno
e nelle tue battaglie corro avanti come lancia,
e se preferisco morire rapido come il lampo
come il lampo della tua bellezza, sono senza lingua.
Sebbene ebbro come sono, non fa per me differenza
se do vita a un morto, se prendo la vita a un vivo.
Se dono la vita per me è grande guadagno,
ché per ogni vita tu doni cento universi!
In questa casa ci sono migliaia e migliaia di morti
e tu assiso fra loro dici:”Ecco il mio regno!”
Un pugno di polvere dice: “io ero treccia!”
un altro pugno di polvere dice “io ero ossa!”
E tu t’arresti stupito, quand’ecco, arriva l’Amore
che dice:”Avanza dunque, io sono il Vivente, l’Eterno!
Stringi al tuo seno il mio petto di gelsomino
che, in questo stesso istante, ti libererò da te stesso!”
taci o Cosroe, e non far parola della dolce Shirin
che di dolcezza tutta mi brucia la bocca.

Rumi

Non lasciarmi andare via

Lettere d’Amore

Curati…

Curati dei tuoi pensieri, diventeranno le tue parole.
Curati delle tue parole, diventeranno le tue azioni.
Curati delle tue azioni, diventeranno le tue abitudini.
Curati delle tue abitudini, diventeranno il tuo carattere.
Curati del tuo carattere, diventerà il tuo Destino
Frank Outlaw

Vorrei aggiungere… curati del tuo destino, diventerà la realtà per cui sei nato
(Ringraziando Calliope)

Una preghiera

Carissimi amici e amiche, seguite sempre la via del Cuore

Confronto necessario (con gli archetipi)

Tutti gli archetipi agiscono e vivono continuamente in noi. Ma ci si può
confrontare con essi in misura maggiore o minore. Se noi, in quel che ci sta
attorno, non facciamo esperienza in modo parziale o globale degli archetipi,
questi, o uno dei loro aspetti, si manifesteranno in forma arcaica, demoniaca.
Un confronto con gli archetipi risulterà allora pressoché impossibile e questi
dovranno venire costantemente proiettati verso l’esterno, su una persona o una
cosa qualunque che funga da equivalente dei contenuti psichici repressi.

Adolf Guggenbuhl-Craig

Conoscere è morire

…conoscere è innanzitutto sentire… è sempre illuiarsi, accogliere l’altro
in sé, farsi l’altro in se stessi… E dunque conoscere è morire, “perché ogni
morte è mutarsi in altro e ogni mutamento è qualche morte”. Ed essendo  il
mutamento farsi l’oggetto, esso è pur morte, ancorché parziale, accompagnandosi
sempre questo nostro internarci nell’oggetto alla consapevolezza di noi
(“sensus nostriment ipsorum, abditus qui est actus”), al senso intimo per il
quale non ci disperdiamo nella cosa, ma ci teniamo fermi a noi stessi. Ma
proprio qui interviene quel rovesciamento dal senso alla sapienza su cui
Campanella batte. Se il sentire in quanto farsi l’oggetto, e quindi patire,
significa accogliere un nuovo limite, e quindi morire, il contemplare Dio
interno a tutte le cose, l’Essere cioé che le costituisce, significa spezzare
la negatività della realtà e farsi reali veramente. “E l’imparare e il
conoscere, essendo un mutarsi nella natura del conoscibile, sono pur qualche
morte, e solo mutarsi in Dio è vita eterna, perché non si perde l’essere
nell’infinito mai dell’essere, ma si magnifica.”

Eugenio Garin

Confini indistinti

L’incertezza dei confini comporta, per la conoscenza psicologica, che non può
diventare una scienza autonoma, con una definita identità, senza che l’anima
sia ridotta in uno stato di costrizione, di esilio, per la perdita della sua
complessità – “i confini dell’anima vai e non li trovi, diceva Eraclito, anche
a percorrere ogni sua via; così profonde essa ha le sue radici”.

Francesco Donfrancesco

 

Compassione

…la principale virtù della donna è la compassione: l’assenza di ogni
isolamento egoistico, l’apertura e la partecipazione. Anche nel sesso, l’uomo è
aggressivo, mentre la donna si apre. L’apertura a quell’energia onnipresente
che è il fondamento di tutti noi  è la compassione. Riconoscere questo
sentimento spontaneo, abbracciarlo e manifestarlo nell’azione costituisce il
potere della donna.

Joseph Campbell

Il cerchio

Jung vede nel cerchio un simbolo dell’anima e del Sé. E’ la rappresentazione
archetipica della totalità della psiche. Il cerchio ha però anche un aspetto
negativo, quando si trasforma, simbolicamente e psicologicamente parlando, in
un circolo vizioso, che non è altro che una coazione a ripetere. E’ il cadere
in una sclerosi in cui l’individuo non riesce più a ritrovarsi, a uscire,
perché si è imprigionati dal cerchio, che rende sterili le capacità
decisionali, il percorso psichico, la realizzazione di se stessi. Solo
distaccandosi dal margine del processo e cercando il centro si può evadere e
ritrovare il nucleo di sé, la causa originaria del proprio essere.

Codice simbolico (dei numeri)

…La psicologia junghiana classica ha messo in luce la straordinaria
connessione che c’è tra i numeri e il principio ordinatore del Sé…
…Nel concepire il simbolismo dei numeri… – come una funzione di equilibrio
della psiche – ci apriamo alla possibilità che attraverso la cultura, il
simbolismo dei numeri con i suoi sistemi – quello pitagorico, religioso,
alchemico, cabalistico, e così via – possano essere dei modi per occuparsi
dell’ambito psicotico della psiche.

Rafael Lòpez-Pedraza

Bellezza

Queste sono le emozioni che devono sorgere al contatto di ciò che è il bello
sensibile: lo stupore, la meraviglia gioiosa, il desiderio, l’amore, e lo
spavento accompagnato da piacere. Ma è possibile provare queste emozioni – e
l’anima infatti le prova – anche riguardo alle cose invisibili; ogni anima, per
così dire, le prova, ma specialmente quella che ne è innamorata.

Plotino

Capacità d’amare

…in qualsiasi modo abbia origine l’Eros, la capacità di amare è una qualità
essenziale dell’essere umano. Per questo le maggiori grandi religioni si
occupano dell’Eros e dell’amore universale, e li sollecitano, li esigono, li
spiegano, li descrivono…

Adolf Guggenbuhl-Craig

Il bene

Il bene deve essere scelto anche se non è seguito dal piacere.

Plotino

Debolezze

Tu non ne avevi.
Io ne avevo una:
amavo

Brecht

Nel tuo sogno…

“Nel tuo sonno, al limite dei sogni,
aspetto guardando in silenzio il tuo viso,
come la stella del mattino che appare per prima
alla tua finestra.
Con i miei occhi berrò il primo sorriso
che, come un germoglio, sboccerà
sulle tue labbra semiaperte.
Il mio desiderio è solo questo.”

RABINDRANATH TAGORE

La Casa-blog disegnata da Map pina

Io la trovo DELIZIOSA 🙂

Barlume di verità

Meglio osare sbagliando che rinunziare alla conoscenza. Fra i tanti errori un
barlume di verità si fa sempre strada. Per quei barlumi, gli ermetismi
medioevali osavano sfiorare il rogo. E vi salivano, spesso, con la sfida sulle
labbra. Miracoli di abnegazione che soltanto la Scienza e la Fede possono
spingere a compiere!

Guido Di Nardo

L’Aura

Il corpo umano sprigiona un’aura che, scientificamente, è l’attenuazione della
parte grave visibile del corpo materiale. Questa aura, diretta dalla volontà,
può spandersi su di un corpo malato  e rimarginare le ferite portandovi
l’equilibrio del corpo che lo emana.

Giuliano Kremmerz

Attraversare l’aria

Noi chiamiamo l’aria cielo, come se proprio questo fosse il cielo attraverso
il quale si muovono gli astri. Per debolezza e infingardaggine noi non siamo
capaci di attraversare l’aria e giungere fino all’estrema superficie di essa.
Infatti, se qualcuno giungesse fino agli estremi confini dell’aria, o se, messe
le ali, riuscisse a volare fino lassù, levando il capo fuori dell’acqua, vedono
le cose di qua; e se la sua natura fosse capace di sostenere una tale visione,
conoscerebbe che il vero cielo, la vera luce e la vera terra sono quelli.

Platone

in quell’attimo

Noi dobbiamo deporre ogni altra cosa e attenerci a Lui solo; dobbiamo anzi
trasformarci in Lui liberandoci di ogni aggiunta, a tal punto che bramiamo di
uscire dal mondo e non sopportiamo più di essere ancora legati al sensibile,
poiché vorremmo abbracciare Dio con tutto l’essere nostro e non avere più alcun
punto che non sia in contatto con Dio. Qui l’uomo può vedere e Lui e se stesso,
finché è concesso vedere: vedere se stesso splendente, ripieno di luce divina,
o meglio, diventato luce pura, lieve, senza peso, che sta diventando dio, o
meglio che è già dio, tutto infiammato in quell’attimo… a meno che non ricada
sotto il suo peso e vada, per così dire, spegnendosi.

Plotino

Il mito della mela – Platone

Il mito della mela di Platone (ecco da dove nasce il termine Anima Gemella)

(Testo gentilmente offerto da Melusina)

Durante il simposio, prende la parola anche il commediografo Aristofane e dà la sua opinione sull’amore narrando un mito. Un tempo
– egli dice – gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione.

mi sembra che gli uomini non si rendano assolutamente conto della potenza dell’Eros. Se se ne rendessero conto, certamente avrebbero elevato templi e altari a questo dio, e dei più magnifici, e gli offrirebbero i più splendidi sacrifici. Non sarebbe affatto come è oggi, quando nessuno di questi omaggi gli viene reso. E invece niente sarebbe più importante, perché è il dio più amico degli uomini: viene in loro soccorso, porta rimedio ai mali la cui guarigione è forse per gli uomini la più grande felicità. Dunque cercherò di mostrarvi la sua potenza, e voi fate altrettanto con gli altri. Ma innanzitutto bisogna che conosciate la natura della specie umana e quali prove essa ha dovuto attraversare. Nei tempi andati, infatti, la nostra natura non era quella che è oggi, ma molto differente. Allora c’erano tra gli uomini tre generi, e non due come adesso, il maschio e la femmina. Ne esisteva un terzo, che aveva entrambi i caratteri degli altri. Il nome si è conservato sino a noi, ma il genere, quello è scomparso. Era l’ermafrodito, un essere che per la forma e il nome aveva caratteristiche sia del maschio che della femmina. Oggi non ci sono più persone di questo genere. Quanto al nome, ha tra noi un significato poco onorevole. Questi ermafroditi erano molto compatti a vedersi, e il dorso e i fianchi formavano un insieme molto arrotondato. Avevano quattro mani, quattro gambe, due volti su un collo perfettamente rotondo, ai due lati dell’unica testa. Avevano quattro orecchie, due organi per la generazione, e il resto come potete immaginare. Si muovevano camminando in posizione eretta, come noi, nel senso che volevano. E quando si mettevano a correre, facevano un po’ come gli acrobati che gettano in aria le gambe e fan le capriole: avendo otto arti su cui far leva, avanzavano rapidamente facendo la ruota. La ragione per cui c’erano tre generi è questa, che il maschio aveva la sua origine dal Sole, la femmina dalla Terra e il genere che aveva i caratteri d’entrambi dalla Luna, visto che la Luna ha i caratteri sia del Sole che della Terra. La loro forma e il loro modo di muoversi era circolare, proprio perché somigliavano ai loro genitori. Per questo finivano con l’essere terribilmente forti e vigorosi e il loro orgoglio era immenso. Così attaccarono gli dèi e quel che narra Omero di Efialte e di Oto, riguarda gli uomini di quei tempi: tentarono di dar la scalata al cielo, per combattere gli dèi. Allora Zeus e gli altri dèi si domandarono quale partito prendere. Erano infatti in grave imbarazzo: non potevano certo ucciderli tutti e distruggerne la specie con i fulmini come avevano fatto con i Giganti, perché questo avrebbe significato perdere completamente gli onori e le offerte che venivano loro dagli uomini; ma neppure potevano tollerare oltre la loro arroganza. Dopo aver laboriosamente riflettuto, Zeus ebbe un’idea. “lo credo – disse – che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso – disse – io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio, che il loro numero sarà più grande. Essi si muoveranno dritti su due gambe, ma se si mostreranno ancora arroganti e non vorranno stare tranquilli, ebbene io li taglierò ancora in due, in modo che andranno su una gamba sola, come nel gioco degli otri.” Detto questo, si mise a tagliare gli uomini in due, come si tagliano le sorbe per conservarle, o come si taglia un uovo con un filo. Quando ne aveva tagliato uno, chiedeva ad Apollo di voltargli il viso e la metà del collo dalla parte del taglio, in modo che gli uomini, avendo sempre sotto gli occhi la ferita che avevano dovuto subire, fossero più tranquilli, e gli chiedeva anche di guarire il resto. Apollo voltava allora il viso e, raccogliendo d’ogni parte la pelle verso quello che oggi chiamiamo ventre, come si fa con i cordoni delle borse, faceva un nodo al centro del ventre non lasciando che un’apertura – quella che adesso chiamiamo ombelico. Quanto alle pieghe che si formavano, il dio modellava con esattezza il petto con uno strumento simile a quello che usano i sellai per spianare le grinze del cuoio. Lasciava però qualche piega, soprattutto nella regione del ventre e dell’ombelico, come ricordo della punizione subìta. Quando dunque gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna delle due parti desiderava ricongiungersi all’altra. Si abbracciavano, si stringevano l’un l’altra, desiderando null’altro che di formare un solo essere. E così morivano di fame e d’inazione, perché ciascuna parte non voleva far nulla senza l’altra. E quando una delle due metà moriva, e l’altra sopravviveva, quest’ultima ne cercava un’altra e le si stringeva addosso – sia che incontrasse l’altra metà di genere femminile, cioè quella che noi oggi chiamiamo una donna, sia che ne incontrasse una di genere maschile. E così la specie si stava estinguendo. Ma Zeus, mosso da pietà, ricorse a un nuovo espediente. Spostò sul davanti gli organi della generazione. Fino ad allora infatti gli uomini li avevano sulla parte esterna, e generavano e si riproducevano non unendosi tra loro, ma con la terra, come le cicale. Zeus trasportò dunque questi organi nel posto in cui noi li vediamo, sul davanti, e fece in modo che gli uomini potessero generare accoppiandosi tra loro, l’uomo con la donna. Il suo scopo era il seguente: nel formare la coppia, se un uomo avesse incontrato una donna, essi avrebbero avuto un bambino e la specie si sarebbe così riprodotta; ma se un maschio avesse incontrato un maschio, essi avrebbero raggiunto presto la sazietà nel loro rapporto, si sarebbero calmati e sarebbero tornati alle loro occupazioni, provvedendo così ai bisogni della loro esistenza. E così evidentemente sin da quei tempi lontani in noi uomini è innato il desiderio d’amore gli uni per gli altri, per riformare l’unità della nostra antica natura, facendo di due esseri uno solo: così potrà guarire la natura dell’uomo. Dunque ciascuno di noi è una frazione dell’essere umano completo originario. Per ciascuna persona ne esiste dunque un’altra che le è complementare, perché quell’unico essere è stato tagliato in due, come le sogliole. E’ per questo che ciascuno è alla ricerca continua della sua parte complementare. Stando così le cose, tutti quei maschi che derivano da quel composto dei sessi che abbiamo chiamato ermafrodito si innamorano delle donne, e tra loro ci sono la maggior parte degl adulteri; nello stesso modo, le donne che si innamorano dei maschi e le adultere provengono da questa specie; ma le donne che derivano dall’essere completo di sesso femminile, ebbene queste non si interessano affatto dei maschi: la loro inclinazione le porta piuttosto verso le altre donne ed è da questa specie che derivano le lesbiche. I maschi, infine, che provengono da un uomo di sesso soltanto maschile cercano i maschi. Sin da giovani, poiché sono una frazione del maschio primitivo, si innamorano degli uomini e prendono piacere a stare con loro, tra le loro braccia. Si tratta dei migliori tra i bambini e i ragazzi, perché per natura sono più virili. Alcuni dicono, certo, che sono degli spudorati, ma è falso. Non si tratta infatti per niente di mancanza di pudore: no, è i loro ardore, la loro virilità, il loro valore che li spinge a cercare i loro simili. Ed eccone una prova: una volta cresciuti, i ragazzi di questo tipo sono i soli a mostrarsi veri uomini e a occuparsi di politica. Da adulti, amano i ragazzi: il matrimonio e la paternità non li interessano affatto – è la loro natura; solo che le consuetudini li costringono a sposarsi ma, quanto a loro, sarebbero bel lieti di passare la loro vita fianco a fianco, da celibi. In una parola, l’uomo cosiffatto desidera ragazzi e li ama teneramente, perché è attratto sempre dalla specie di cui è parte. Queste persone – ma lo stesso, per la verità, possiamo dire di chiunque – quando incontrano l’altra metà di se stesse da cui sono state separate, allora sono prese da una straodinaria emozione, colpite dal sentimento di amicizia che provano, dall’affinità con l’altra persona, se ne innamoranc e non sanno più vivere senza di lei – per così dire – nemmeno un istante. E queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dirti cosa s’aspettano l’uno dall’altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie dell’amore: non possiamo immaginare che l’attrazione sessuale sia la sola ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C’è qualcos’altro: evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere, ma che intuisce con immediatezza. Se, mentre sono insieme, Efesto si presentasse davanti a loro con i suoi strumenti di lavoro e chiedesse: “Che cosa volete l’uno dalI’altro?”, e se, vedendoli in imbarazzo, domandasse ancora: “Il vostro desiderio non è forse di essere una sola persona, tanto quanto è possibile, in modo da non essere costretti a separarvi né di giorno né di notte? Se questo è il vostro desiderio, io posso ben unirvi e fondervi in un solo essere, in modo che da due non siate che uno solo e viviate entrambi come una persona sola. Anche dopo la vostra morte, laggiù nell’Ade, voi non sarete più due, ma uno, e la morte sarà comune. Ecco: è questo che desiderate? è questo che può rendervi felici?” A queste parole nessuno di loro – noi lo sappiamo – dirà di no e nessuno mostrerà di volere qualcos’altro. Ciascuno pensa semplicemente che il dio ha espresso ciò che da lungo tempo senza dubbio desiderava: riunirsi e fondersi con l’altra anima. Non più due, ma un’anima sola. La ragione è questa, che la nostra natura originaria è come l`ho descritta. Noi formiamo un tutto: il desiderio di questo tutto e la sua ricerca ha il nome di amore. Allora, come ho detto, eravamo una persona sola; ma adesso, per la nostra colpa, il dio ci ha separati in due persone, come gli Arcadi lo sono stati dagli Spartani. Dobbiamo dunque temere, se non rispettiamo i nostri doveri verso gli dèi, di essere ancora una volta dimezzati, e costretti poi a camminare come i personaggi che si vedono raffigurati nei bassorilievi delle steli, tagliati in due lungo la linea del naso, ridotti come dadi a metà. Ecco perché dobbiamo sempre esortare gli uomini al rispetto degli dèi: non solo per fuggire quest’ultimo male, ma anche per ottenere le gioie dell’amore che ci promette Eros, nostra guida e nostro capo. A lui nessuno resista – perché chi resiste all’amore è inviso agli dèi. Se diverremo amici di questo dio, se saremo in pace con lui, allora riusciremo a incontrare e a scoprire l’anima nostra metà, cosa che adesso capita a ben pochi. E che Erissimaco non insinui, giocando sulle mie parole, che intendo riferirmi a Pausania e Agatone: loro due ci sono riusciti, probabilmente, ed entrambi sono di natura virile. Io però parlo in generale degli uomini e delle donne, dichiaro che la nostra specie può essere felice se segue Eros sino al suo fine, così che ciascuno incontri l’anima sua metà, recuperando l’integrale natura di un tempo. Se questo stato è il più perfetto, allora per forza nella situazione in cui ci troviamo oggi la cosa migliore è tentare di avvicinarci il più possibile alla perfezione: incontrare l’anima a noi più affine, e innamorarcene. Se dunque vogliamo elogiare con un inno il dio che ci può far felici, è ad Eros che dobbiamo elevare il nostro canto: ad Eros, che nella nostra infelicità attuale ci viene in aiuto facendoci innamorare della persona che ci è più affine; ad Eros, che per l’avvenire può aprirci alle più grandi speranze. Sarà lui che, se seguiremo gli dèi, ci riporterà alla nostra natura d’un tempo: egli promette di guarire la nostra ferita, di darci gioia e felicità.

(Platone, Simposio)

 

Ormai sei mia

Ormai sei mia. Riposa coi tuo sonno nel mio sonno.
Amore, dolore, affanni, ora devono dormire.
Gira la notte sulle sue ruote invisibili
presso me sei pura come l’ambra addormentata.
Nessuna più, amore, dormirà con i miei sogni.
Andrai, andremo insieme per le acque del tempo.
Nessuna viaggerà per l’ombra con me,
solo tu, sempre viva, sempre sole, sempre luna.
Ormai le tue mani aprirono i pugni delicati
e lasciarono cadere dolci segni senza rotta,
i tuoi occhi si chiusero come due ali grigie,
mentr’io seguo l’acqua che porti e che mi porta:
la notte, il mondo, il vento dipanano il loro destino,
e senza te ormai non sono che il tuo sogno solo.

Pablo Neruda

Ananke

Nella mitologia greca, Ananke è la Necessità, forza che governa ogni cosa. E’ la divinizzazione dell’inalterbile necessità del destino, principio imprescindibile cui nessuno può sottrarsi e legge ordinatrice in mancanza della quale si verrebbe inghiottiti dal Caos. E’ inoltre identificata nella madre delle Moire e di Adrastea. I culti legati ad Ananke non erano molto estesi. Veniva adorata assieme a Bia (la violenza) in un tempio di Corinto

MOLTO IMPORTANTE

Carissimi amici è uscito (finalmente!) un testo fondamentale di Giuliano Kremmerz: Dialoghi sull’ermetismo, pubblicato dalla Rebis Edizioni. E’ una ristampa integrale, fuori commercio, delle edizioni integrali del 1929 e del 1931.
E’ stata pubblicata per commemorare l’ottantesimo anniversario della morte di Kremmerz ed è a cura di Pier Luca Pierini.
Chi desiderasse il libro, potrà richiederlo GRATUITAMENTE, direttamente alla casa editrice (http://www.ilmagus.com/index.php). Il testo serve per entrare all’interno della filosofia ermetica e, per espressa volontà dell’editore, ne sarà vietata la vendita e la commercializzazione.

I Dialoghi sull’Ermetismo – speciale edizione integrale fuori commercio tratta fedelmente dalle edizioni originali del 1929 e del 1931.

Giuliano Kremmerz nasce l’8 aprile 1861 a Portici e muore il 7 maggio 1930 a Beausoleil. E proprio in questo maggio 2010 la Casa editrice Rebis, che ha l’onore di avere già pubblicato la maggior parte delle opere originali di G.Kremmerz, ha deciso di dare vita a un’idea accarezzata da tempo: commemorarne gli 80 anni dalla scomparsa, in forma semplice e riservata ma significativa e concreta, ripubblicando questo libro di grande valore ermetico, in una speciale edizione integrale fuori commercio, che non sarà mai posta in vendita.

Con questa iniziativa totalmente disinteressata intendiamo unicamente rendere omaggio al nome di Kremmerz e alla sua memoria, al di fuori e al di sopra di qualunque altro scopo. E soprattutto rispettarne l’esplicita volontà, già formulata ai discepoli curatori del volume in occasione della prima edizione del 1929.

Egli infatti desiderava che questi suoi scritti non fossero assolutamente posti in vendita e al riguardo il suo pensiero è limpido e netto, tanto nella prefazione al testo originale, quanto in alcune lettere, compresa l’ormai notissima, detta “di Sora Felicetta”, scritte al discepolo E.Quadrelli (l'”Abraxa” del Gruppo di Ur), nelle quali afferma apertamente:

 “Parendomi cosa poco dignitosa mettere il libro in commercio, perché chi compra un libro vuol leggere più che valga il danaro speso, ho pregato di darlo in dono a chi lo chiede; chi vuol contribuire, dia quanto crede; chi non lo stima meritevole d’incoraggiamento, lo legga gratuitamente. Quando si dovrà saldare il conto allo stampatore, se quattrini non ve ne saranno, accenderò un piccolo fornello, farò liquefare in qualche vecchia casseruola un pezzo di piombo e dello stagno, vi lascerò cadere un pizzico di polvere di proiezione, e muterò casseruola piombo e stagno in oro finissimo. Lo stampatore farà la ricevuta: pagamento senza contare, in oro alchimico.” (Dalla prefazione)
“Bisogna innanzitutto che voi sappiate che alla Scuola la mia intenzione è di dare un assetto definitivo ed a questo scopo lavoro per arrivare ad una conclusione completa. Tra un mesetto i nostri amici pubblicheranno un primo volume dei miei Dialoghi Ermetici. Sono i primi sette. Tra cinque o sei mesi sarà pubblicato il secondo volume. Questi libri non sono messi nel commercio librario e sono riservati a dare la fisionomia propria al carattere della nostra Scuola.” (Dalla lettera del 18 febbraio 1929)
“La pubblicazione di questi Dialoghi, che voi mi lasciate supporre di avere già letti, ha lo scopo di esporre le idee fondamentali dell’ermetismo in ma­niera chiara e concisa. Anche scrivendo chiaramente, comprendo quali strani commenti, immaginosi e fantastici e strampalati possono generare le mie pa­role, perché il semplice, anzi il semplicissimo, è pro­prio quello che il lettore non adatta alla sua com­prensione. L’Avviamento alla Scienza dei Magi, che fu compiuto con diversa finalità in tempo di questo assai più imbrogliato, contiene una esposizione ca­balistica, che si presta (e si deve prestare) a com­menti difficili; questo libro qui dei Dialoghi invece è troppo aperto alla intelligenza comune e la sua semplicità lo renderà difficile solo a quelli che per proprio conto vogliono vedervi nel fondo cose non dette. Io non ho il mezzo di impedire che questo av­venga. Nonpertanto, trovando giusta la vostra osser­vazione, nella breve introduzione richiamerò il letto­re a non confondere le sue investigazioni con le semplici cose che espongo io.
Ho pregato i miei amici a non mettere in vendita il libro e di non commerciarlo. Chi lo desideri lo do­mandi e lo avrà; chi vuol concorrere alle spese rega­li quello che creda. Come speculazione libraria sa­rebbe un’impresa sbagliata.
La vostra idea del circolo o circoli o delle acca­demie come erano organizzate prima, ha dato risul­tati molto relativi, che è inutile analizzare. Alla maniera antichissima dei filosofi ci vorrebbe il ca­poscuola a Roma, circondato da amici e in un luogo comodo; o peripateticamente conversare delle nostre cose senza pose magistrali e senza gesti autoritari; discorrere, ridere, sorridere, magari mangiando fettuccine dalla Sora Felicetta.
Ognuno dei discepoli intelligenti, dopo un perio­do di pratica, partire in missione apostolica per qual­che altro centro e fare lo stesso. Così si servirebbe Ermete in letizia. Per fare questo il caposcuola oggi dovrebbe avere quaranta anni di meno e nessuna ne­cessità pecuniaria, perché, anche se egli fosse ricco, non dovrebbe accudire alle sue ricchezze. Perciò i fi­losofi furono poveri per destino della cosa da fare; si contentavano di pane e formaggio e di una botte vuota per ostello. Non so se mi spiego.
La vostra idea è mia in senso più radicale.
Conclusione: facciamo il meglio relativo.
Quando Mamo-Rosar-Amru ritornerà, tutto sarà possibile, perché sulle ceneri e i lapilli di Pompei sboccerà il germoglio di una nuova flora.” (Dalla lettera del 26 febbraio1929)
 Se si escludono le due classiche edizioni originali, apparse entrambe a Spoleto, nel 1929 la prima e nel 1931 la seconda, e l’edizione privata curata negli anni ’80 del secolo scorso dal compianto amico Vinci Verginelli ultimo discepolo diretto del Kremmerz nonché ultima e insigne guida spirituale del Circolo Virgiliano di Roma dal 1971 al 1987, tutte le altre ufficialmente conosciute sono sempre state rigorosamente destinate alla vendita, ignorando dunque le inequivocabili parole del maestro.
 Da parte nostra, con la presente nuova edizione dei Dialoghi sull’Ermetismo, possiamo solo sperare di avere celebrato la ricorrenza nel modo più decoroso e adeguato possibili, a puro e serio vantaggio di coloro che in buonafede e umiltà credono ancora negli ideali, nell’insegnamento e nel messaggio del “massimo maestro contemporaneo di Ermetismo e fra i più grandi di ogni tempo”, come scrisse Verginelli. Con questo atto di modestissima riconoscenza e doverosa correttezza nei suoi confronti, siamo certi tuttavia di aver restituito quantomeno il genuino carattere, la fisionomia originaria e la giusta dignità al suo progetto iniziale e alle speranze coltivate, proprio nell’ultimo periodo della sua vita, in merito a quest’opera straordinaria. Nobili speranze e propositi troppo spesso, come abbiamo visto, disattesi o traditi.
Questo è per noi ciò che conta. Il resto sono e saranno solo chiacchiere al vento.
Pier Luca Pierini R.

Anima danzante

 “L’unione dell’anima nel ballo” si trova alla base dell’esperienza mistica di tutte le religioni dionisiache.

Rafael Lòpez-Pedraza

Superficie

E’ la superficie dell’individuo, la sua capacità di apparire e di comunicare, la “persona” che attrae – la stessa che istoriata dei segni sociali e che addomestica il nostro corpo.

Ugo Volli

Paura di amare

Durante l’abbandono sessuale il cuore si sente appagato dall’amore e si apre alla vita intera […] questo tipo di soddisfacimento sessuale trascende l’orgasmo. E’ quello che sogniamo quando siamo giovani: l’estasi e l’appagamento dell’amore. E’ una tragica realtà della vita il fatto che solo pochi provano una simile esperienza; ancor più tragico è che molti non la provano mai. Il nostro cuore desidera ardentemente l’amore, ma l’abbandonarvisi fa veramente paura.

Alexander Lowen, “Amore, sesso e cuore”

Anima

Jung è riuscito a svincolare questo termine dal consueto significato assegnatogli dalle religioni storiche e a rendergli finalmennte la sua vera attribuzione contenutistica. L’anima è il nostro inconscio. Anima è la nostra parte umbratile, sfuggente, sinuosa, leggiadra, mentitrice, allegra, malinconica. E’ la Ninfa che ci portiamo dentro e nello stesso tempo è l’omicida e il suicida che convive in noi.

E’ la parte più vicina e più lontana dal nostro Ego razionale. E’ la farfalla di mille colori, è ammaliatrice e succuba. E’ amante languida e riservata, “pallidula”, scontrosa. E’ la fata della Natura nordica che si avvicina al boscaiolo, perso nella tormenta, e conquistata la sua fiducia lo lascia nella parte più selvaggia della foresta. Morirà di disperazione. Nel contempo è perfetta consolatrice. E’ di una bellezza indescrivibile, ma può improvvisamente trasformarsi in strega distruttrice. E’ la nostra ricchezza, gioia e sconfinata malinconia. E’ quella parte di noi che dobbiamo tentare di conoscere con tutte le ritualità dell’analisi psichica del profondo e le tecniche meditative e rituali della filosofia ermetica. E’ la nostra meta. Nostra patria, oltre le stesse ragioni del cuore.

James Hillman

 

Ananke – La Necessità

Nella mitologia greca, Ananke è la Necessità, forza che governa ogni cosa. E’ la divinizzazione dell’inalterbile necessità del destino, principio imprescindibile cui nessuno può sottrarsi e legge ordinatrice in mancanza della quale si verrebbe inghiottiti dal Caos. E’ inoltre identificata nella madre delle Moire e di Adrastea. I culti legati ad Ananke non erano molto estesi. Veniva adorata assieme a Bia (la violenza) in un tempio di Corinto

Analogia

Studia l’uomo e conosci l’universo, studia l’universo e conosci l’uomo: dall’Universo scendi all’uomo e applichi in lui le leggi universali; dall’uomo risali all’universo e scopri in questo le leggi occulte. L’uomo ha un’anima, un pensiero, una tendenza, un fine: così l’universo. L’Universo ha moto, respiro, evoluzione, ritorno: così l’uomo. Tutto è analogico, e il processo magico per eccellenza è l’analogia… e lo studio dell’analogia porta alla conoscenza della magia o sapienza salomonica.

Giuliano Kremmerz