Carissime-i, ecco, ancora una volta, Marina. La sua “nuova” riflessione merita un successivo dibattito
DEDICATO a GEA
Caro Gabriele, Cara Amalia,
sentite sentite dove va a parare tutto questo discorso di Carotenuto: uno dei più grandi volponi di Anima contemporanei…a mio modesto avviso.
Continua Saturno contro Cartesio…eravamo rimasti al Genius romano e al Daimon greco…
…che nascevano insieme ad ogni uomo e “sovraintendevano” a lui lungo il percorso della sua vita. Tale nozione una volta comune al genere umano rimasta viva nel Medioevo, a un certo punto, lungo l’asse che dal Rinascimento porta al Romanticismo diventa prerogativa di pochi privileggiati… Un aforisma di Nietzsche, appartenente alla sezione “Sintomi di una cultura superiore e inferiore” offre una accezione diversa di genio. Dalle immagini che evoca vorremo far idealmente iniziare, per quanto ciò possa per certi aspetti suonare paradossale, l’inversione che si declina nell’arte comune. Aforisma 242: “Se qualcuno volesse immaginare un genio della civiltà, come sarebbe questo fatto? Egli adopera così sicuramente la menzogna, la violenza e il più brutale egoismo come suoi strumenti, che solo il nome di maligno essere demoniaco gli converrebbe. Ma i suoi fini, che qua e là tralucono, sono grandi e buoni. E’ un centauro, mezzo animale e mezzo uomo, e in più ha ali di angelo sul capo.”…
…ed ecco Amalia la tua risposta sul consolidamento dei semi (“Ad una vera domanda corrisponde una vera risposta” Aldo Carotenuto)…
…Nietzsche affronta quindi il discorso in modo seminalmente psicologico e, del resto, non potrebbe essere altrimenti. L’immagine del centauro ci restituisce quella convergenza o, meglio, congiunzione dei processi primario e secondario. E’ questa congiunzione che caratterizza l’uomo dell’arte comune e la sua alterità non costituisce, in partenza privilegio di alcuno.
In un fiume, nel fiume, che s’è pensato nella immaginazione di Coleridge, devono fluire insieme Saturno e Cartesio…
Nel Xanadu alza Kubla Khan
dimora di delizie un duomo
dove Alf, il fiume sacro, scorre
per caverne vietate all’uomo
a un mare senza sole.
Dieci miglia di fertile campagna
con mura e torri furono recinte:
e c’era nel giardino un luccichio di rivi
e l’albero d’incenso era fiorito
e v’erano foreste antiche come i clivi
che abbracciavano il verde agro assolato.
Ma oh! quel cupo abisso fino al fondo
straziava la collina nel suo vello di cedri.
Era un orrido sacro e ammaliato
come alcuno ce n’è sotto la luna
calante ove alza gemiti una donna
inquietata dal demone d’amore!
Dall’abisso di un turbine incessante
quasi il suolo rompesse in un singhiozzo,
una polla irruente urgeva a tratti:
fra i crosci subitanei e intermittenti,
con rimbalzi di grandine o di veccia
sotto il flagello di chi tribbia, ingenti
macigni sussultavano e frammenti.
Di là, da quella danza irta di blocchi
alto insorgeva a tratti il fiume sacro.
Cinque miglia di corso vagabondo
per boschi e valli il fiume percorreva,
poi cadeva per grotte senza fondo
tumultuoso in un oceano morto.
E rauche in mezzo a quel tumulto a Kubla
voci d’avi annunziavano la guerra!
L’ombra della chiara dimora
fluttuava sulla corrente,
indistinta l’eco arrivava
dalle grotte e dalla sorgente.
Era un raro miracolo, una casa
su caverne di ghiaccio ed assolata!
Una fanciulla con la cetra
io vidi in sogno una volta:
era una vergine abissina,
su quella cetra suonava
e cantava del Monte Abora.
Potessi in me risuscitare
quella viva armonia, quel canto
tale delizia inonderebbe il sangue
che a quel suono lungo e chiaro
potrei innalzarlo nell’aria
il castello di sole! le caverne di ghiaccio!
E chi l’udisse, lo vedrebbe là
e griderebbe: “Mistero! Mistero!”
gli occhi infuocati ed i capelli al vento!
Un circolo tre volte replicate
intorno a lui, chiudetegli le palpebre,
poiché manna ed ambrosia ha delibate,
il latte delibò del Paradiso.
…ma far coincidere Saturno e Cartesio è difficile perché il mondo richiede un certo tipo di comportamento e non ci si può permettere di comportarsi in maniera irrazionale. Saremmo subito giudicati sulla nostra incapacità di contenerci. Se ad esempio ad una riunione uno cominciasse ad urlare e a dire parolacce sarebbe immediatamente additato come incapace di dominarsi. Queste condotte nel mondo non sono ammesse e quindi si ritorcono contro la persona che le mette in atto sia ella nel torto che nella ragione. Allora, esistono situazioni nelle quali è esplicitamente richiesta una doppiezza del comportamento, una capacità di simulare e dissimulare, Un’arte della finzione che bisogna saper mettere in atto. Scrive Torquato Accetto, un nostro autore del seicento che al momento di aprire gli occhi ‘uomo, o meglio il primo uomo, procurò di nascondersi alla vista di Dio. Se gli occhi aperti significano la consapevolezza, possiamo dedurre che il primo atto in assoluto della consapevolezza si attua nella dissimulazione che, in termini darwiniani, equivale all’adattamento: se riusciamo a comportarci seguendo determinate modalità abbiamo più possibilità di sopravivvenza.
Nel mondo ci si comporta così: si dice una verità apparente e si pensa una verità segreta…tuttavia, può accadere che una persona che abbia fatto un lavoro su sé stessa, decida, in modo calmo e meditato, di esplicitare la verità segreta. Prendiamo Matteotti che, in epoca fascista, durante una riunione accusò i suoi colleghi di aver rubato. Tutti conoscevano i fatti, ma solo lui ebbe il coraggio di denunciarli e sappiamo come pagò per avere operato questa scelta.
La capacità di dire come stanno le cose è un’arte che si acquista col tempo e per la quale occorre un grande spessore psicologico, che permette di non avere più paura e, quindi, di comportarsi non solo in funzione della sopravvivenza ma soprattutto del rispetto della verità.
Quando si presenta l’occasione di denunciare apertamente la propria opinione bisogna sentirsi realmente molto forti, molto sicuri di se stessi, poiché siamo automaticamente esposti a qualsiasi vendetta, a qualsiasi ricatto, dato che esiste una legge non formulata a parole secondo la quale si deve mettere in atto una punizione nei confronti di colui che si è reso responsabile della denuncia.
Questi meccanismi del mondo degi adulti, quando si è giovani si ritrovano nella famiglia. A tavola, si parla a due livelli di verità: esiste un livello di comunicazione assolutamente falso, in cui si esprimono contenuti apparentemente razionali, e un livello affettivo, detto metacomunicazione, che è il reale commento inconsapevole a ciò che si va dicendo…